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Messaggi - Gibran

#76
Per Phil,


"Se mi trovassi con voi due (te e il saggio taoista) assisterei forse al dialogo in cui ciascuno spiega all'altro che la propria idea di illuminazione non è "fasulla"... sarebbe un confronto interessante, ma per ora manca l'interlocutore direttamente interessato..."


Noto con piacere che il senso dell'humor non ti manca. Ma non manca solo l'interlocutore taoista, ma soprattutto l'illuminazione del sottoscritto!

"Non dimentichiamoci che si tratta di una "risposta zen", oltre che sullo Zen, per cui non può essere presa alla lettera: l'invito (mi permetto di interpretare) è quello di fare il proprio lavoro con consapevolezza, perché è questa l'attitudine zen (non quella, nello specifico, di prendersi cura del prossimo; se avesse parlato con un fabbro la risposta sarebbe stata differente nel contenuto, ma la medesima nel significato profondo...)."


Non sono affatto d'accordo e comincio a sospettare che tu sia in effetti (e come avevi accennato) cavilloso (:-), ma lascio perdere per non esserlo a mia volta...

"Questa influenza, anche demistificandola, è causale, ma involontaria: il saggio, almeno per come viene descritto, non vuole essere di "buon esempio" (banalizzando per amor di sintesi), lo è senza volerlo; classico esempio di non-azione taoista (credo il termine sia wu wei). Senza volerlo si può anche essere utili agli altri, ma non credo in tal caso si possa ricorrere alla parola "amore"..."


Ah, se almeno per una volta riuscissimo ad andare oltre le parole! (:-)

 "Scusa se ti cito, ma non avrei saputo trovare parole migliori..."

Meno male che almeno tu mi capisci, cominciavo a disperarmi! (:-)

"Devo deluderti, ma ti avevo proposto quel gioco per spronare la tua esigenza di distinguere l'Islam dalle altre religioni... per me, come scritto in precedenza, ha tutti i requisiti per essere una di loro (mi attengo alla definizione comune di "religione")."


Ora faccio io il cavilloso: caro amico sei troppo attaccato alle definizioni. Come dovresti sapere, la descrizione non è la cosa descritta.

Last but not least: puoi dirmi se è possibile chiudere un topic? Ho cercato nel menù ma non l'ho trovato e non ho neppure trovato una sezione assistenza qui. Vorrei chiudere questo dato che ormai non interessa più a nessuno.
#77
Paul,
mi spiace ma non riesco a seguirti. Parliamo due lingue diverse. Amen! (:-)
#78
Paul,


su alcuni punti ci troviamo in sintonia ma su altri no. E' giusto così.


Ho voluto pubblicare il mio primo intervento sull'Islam per presentare una visione delle religioni o di cosa sia una religione, diversa e anzi all'antitesi di quella comunemente accettata. Prendo atto che questa visione non è condivisa dai partecipanti di questo forum e chiudo qui il discorso.


Provo però a continuare la discussione relativa al problema delle violenza, ISIS, etc. impostando la discussione però da un diverso punto di vista.


"Maometto e l'Islam non sono violenti in sè e per sè. L'Isis è violento."


Hai mai riflettuto al problema della sostanziale differenza e quindi possibile discrepanza tra ciò che è un fatto, e l'immagine, l'idea, che ci siamo fatti di questo fatto?


L'immagine è una astrazione, è ciò che noi vorremmo che fosse o come le cose dovrebbero essere. In sintesi un ideale. Solo il fatto è reale, l'immagine no. Se siamo attaccati alle immagine che ci siamo creati o che abbiamo preso dall'esterno non vedremo mai la realtà. Così abbiamo una immagine di noi stessi, ovviamente sempre positiva (o nel depresso, negativa), di nostra moglie, del nostro paese, e della nostra o altrui religione. E spesso la relazione tra due individui si basa su queste immagini, su queste astrazioni e perciò non si incontra mai l'altro. Questa era solo una premessa generale necessaria a capire il mio discorso sull'Islam è la violenza.


Veniamo quindi allo specifico. Quando dici Maometto e l'Islam non sono violenti ti stai riferendo ad un fatto reale, a persone reali, o ad una immagine che ti sei fatta di una religione, della sua storia, etc.? Nessuno di noi ha conosciuto Maometto e quindi in ultima analisi non siamo stati testimoni dei fatti. Il discorso si potrebbe chiudere qui ma ci sono dei fatti riportati dalla storia, storia beninteso condivisa anche dai fedeli musulmani e che quindi possiamo prendere per vera. Questa storia narra che Maometto si mise a capo di una banda di uomini armati e marciò contro la città di La Mecca rea di aver respinto i suoi insegnamenti. Gli abitanti di la Mecca infatti erano pagani e adoravano vari idoli, idoli che Maometto voleva abolire. Dopo la conquista militare di la Mecca M. continuò la sua battaglia armata contro i pagani che – secondo lui lo perseguitavano e fu quindi a capo di numerose guerre contro le tribù rivali non certo pacifiche.
Ho citato questo fatto ad un musulmano italiano e mi ha risposto – per giustificare l'operato di Maometto, che l'avevano minacciato di morte. Da qui la sua vendetta.


Allora lascio a te, al tuo buon senso decidere se questo sia un comportamento violento o no.


Ma ciò che i musulmani ieri o oggi presentano di loro stessi e della loro religione è solo una immagine idealizzata dove è tutto amore e fratellanza. Come sai questa fratellanza è sono un ideale, cioè un'astrazione. Nei fatti sono secoli che si scannano tra loro (sciiti contro sunniti) e continuano a scannarsi. Quindi da un lato abbiamo il musulmano ideale (come dovrebbe essere) e dall'altro abbiamo il musulmano reale, quello che realmente è o è stato. Ovviamente non tutti i musulmani sono violenti ma nel momento in cui il corano prescrive la guerra santa contro gli infedeli, e il sacrosanto diritto di ucciderli o di farli schiavi, questo implica un incitamento alla violenza.


E questa violenza c'è stata in abbondanza nella storia dell'espansione dell'impero arabo o musulmano. Ci siamo dimenticati di come nel medioevo impalavano i cristiani che catturavano e che non si volevano convertire e ci siamo dimenticati di almeno otto secoli di vero e proprio terrorismo che i "saraceni" cioè i musulmani delle nazioni nord-Africane: Algeria, Tunisia, Libia, ad occidente e Turchia a oriente, hanno perpetuato in tutto il bacino del mediterraneo. Conosci le torri saracene? Furono costruite tra il 1200 e il 1700 proprio per difendersi da queste incursioni saracene. Arrivavano all'improvviso e attaccavano i villaggi isolati vicino alla costa, uccidendo, depredando e facendo schiavi i giovani di entrambi i sessi. Nell'immagine che i musulmani hanno di sé questa violenza non c'è, ma al contrario lamentano la violenza perpetrata dai "crociati" quando questi rispondevano alle loro malefatte. E oggi gli europei che hanno scordato la loro storia, e hanno il complesso di colpa di aver colonizzato l'Africa (che tra l'altro quando sono arrivati gli europei era già stata colonizzata dai Turchi) per cui credono ormai alla versione dei musulmani...


L'ISIS non è un fenomeno né nuovo né disgiunto dalla storia dell'Islam, l'Isis è la naturale conseguenza del seme gettato da Maometto. Conosci la storia della setta degli assassini? Se non la conosci leggitela, ne esistono varie versioni in internet. Si può notare una stretta rassomiglianza nelle tattiche e negli intenti dell'ISIS.


Poi c'è una violenza più sottile ma ugualmente deleteria, la schiavizzazione delle donne (che ipocritamente negano), e l'arroganza con cui ti sbattono in faccia a casa nostra i loro dogmi religiosi come se fossero verità assolute e pretendono che sia legge dello stato anche per noi. E ogni critica alle loro superstizioni tribali viene presa come un'offesa all'Islam o al profeta e quindi minacciano rappresaglie o gridano all'Islamofobia. Quindi negano il nostro diritto alla critica. Ache questa è violenza. Valgono solo i loro diritti e secondo molti occidentali siamo noi che dobbiamo adattarci a loro, e questo è in pratica ciò che è successo.  Se una persona prende una critica per offesa vuol dire che ha una personalità disturbata e debole ed è lui che deve essere "curato". Ma vuoi col fatto che minacciano rappresaglie fisiche vuoi per il potere dei loro petro-dollari ormai tutti gli danno ragione.


Hai letto l'articolo del Times? L'Onu aveva emesso una delibera contro l'Arabia Saudita perché ha compiuto stragi di bambini in Yemen. L'Arabia si è infuriata accusando L'ONU (di cui fanno parte tutte le nazioni del mondo) di essere anti-islam (non puoi esserlo)  e ha minacciato di togliere i suoi finanziamenti all'ONU che si è visto costretto a ritirare la delibera. Ma ti rendi conto?


Allora se sai tutta la violenza che viene perpetuata in Arabia Saudita, decapitazioni, stupri etc. come fai a dire che l'Islam non è violento? L'Islam non-violento è l'Islam come dovrebbe essere, ma l'Islam com'è di fatto è violento.
#79
Phil,

"Finora ho sempre trovato nell'ideale del saggio taoista una ricerca individuale che lo portava ad abbandonare la società, a snobbare onorificenze proposte, a vivere una vita semplice e tendenzialmente eremitica. Senza nessun accenno a far del bene al prossimo o alla necessità etica di predicare la propria saggezza (invisibile e incomunicabile, proprio come l'illuminazione dei koan zen). Per questo concluderei che nel taoismo c'è molta ricerca individuale della saggezza (chiamiamola così), ma per quanto riguarda l'apertura e l'amore verso il prossimo (di cui, se non erro, si parlava quando si è citato il taoismo), almeno sulla carta, l'Islam è decisamente più "filantropico".

Ora capisco meglio quello che intendevi. Sì, in un certo senso hai ragione, se ci atteniamo ad una visione esteriore del fenomeno. Ma ci sono due fattori da considerare:

1) Molte delle notizie sui saggi taoisti sono solo delle leggende, in ogni caso racconti frammentari e parziali. Chi fossero in realtà queste persone, come si comportavano (o comportassero – io come Fantozzi scivolo sempre sui congiuntivi)  nella vita è qualcosa che non possiamo sapere con certezza. E poi ovviamente ci saranno state delle differenze da persona a persona. Ma lo stereotipo del taoista che si nasconde nelle montagne e bada solo ai fatti suoi esiste ed è ben radicato nella cultura cinese, quindi la tua impressione ha un fondamento. Io credo che il vero illuminato taoista non poteva prescindere dal riversare verso il prossimo l'amore che era fiorito in lui, altrimenti la sua sarebbe stata una illuminazione fasulla.
Mi viene in mente ora una storiella Zen, riportata nel libretto "101 storie Zen" che conferma la mia visione che le spiritualità orientali non siano prive di una azione "sociale".  Un medico giapponese aveva sentito parlare dello Zen e per saperne di più si era recato da uno stimato maestro. "Cosa fai nella vita" gli chiese costui. "Il medico" rispose l'altro. "Allora ama i tuoi pazienti e prenditi cura amorevolmente di loro. Questo è lo Zen."  La storiella ha un seguito ma per la nostra discussione non è rilevante.

2) Hai mai sentito parlare dell'idea taoista che il saggio, pur nella solitudine delle montagne è capace di influenzare il mondo intero?  Dato che il taoismo attuale è intriso di magia (una delle tante corruzioni) questa idea può ovviamente essere scartata come una idea magica.  Ma curiosamente ho trovato conferma di questa idea nel concetto moderno di coscienza collettiva (vedi mia risposta a Jean). Se ammettiamo che esiste una coscienza collettiva allora la trasformazione interiore influenzerà il mondo esterno senza che ci sia una apparente azione da parte nostra. E forse potrebbe essere questo il maggior contributo che l'illuminato è in grado di dare all'umanità.

"Qui metterei in ballo una "terza via": c'à la via della ricerca personale (a cui alludi, se non ho frainteso), la via delle sicurezze sociali (più o meno religiose), ma c'è anche la via della non-ricerca religiosa che tuttavia non si rassicura né con le "coccole" della comunità, né con l'amore come "collante esistenziale"... e, come potrai  ben intuire, anche questa è una via che è piastrellata di "Insicurezza, dubbio, solitudine, perfino la paura di diventare pazzi" (tua citazione)."

Mi sembra di capire che tu propenda per questa terza via?

"Anche qui tertium datur: o si crede alla visione canonica delle religioni, o i profeti avevano raggiunto-esperito una consapevolezza originaria, o... si, c'è anche un terzo orizzonte..."

Beh, non sarebbe il caso di essere meno misterioso e dirmi quale sarebbe questa terza via?

"Non ho più questa esigenza (ma ho vissuto anche la sua sferzante presenza) e quel "più" è solo cronologico, non implica un essere migliorato/peggiorato; ognuno può giudicare la mia posizione come vuole, ma spero non lo faccia leggendo solo queste ultime frasi, ma anche un po' quanto scritto prima e altrove..."

Io non giudico nessuno, tanto meno l'evoluzione che prende la nostra ricerca. Avrai le tue buone ragioni e aspetto di sentirle.

"Ora ti propongo un "gioco linguistico": prova a redigere una definizione di "religione" in cui rientrino tutte le religioni che consideri tali, ma non l'Islam...
poi confrontala con la definizione di "religione" del vocabolario e così potrai salvaguardare, anche in futuro, questa discussione da possibili fraintendimenti..."

Sono sempre stato negato per i giochi linguistici, e mi trovo quindi a mal partito nel soddisfare questa tua richiesta. Sii gentile e svelami tu l'arcano.
#80
Jean,


"... ponendoti tuttavia la questione se "tutta quella roba nostra",  che chiami la coscienza individuale, sia davvero momentaneamente stoppata dal riconoscimento di non sapere.

Certo può esserne l'espressione attraverso il pensiero, ma è dal medesimo "serbatoio" che procederà (riattivata la funzione del pensiero) sia pur per un differente percorso, l'elaborazione mentale."


Ho riletto oggi quello che ho scritto ieri e mi sono accorto che il mio discorso presentava sia dettagli che appesantivano il ragionamento  e sviavano dall'indagine principale (ora le ho eliminate) sia parti non espresse bene e anche un po' confuse. Una di queste è quella che tu citi.


Sì, hai perfettamente ragione, l'elaborazione mentale procederà sempre dal medesimo serbatoio, a meno che non sia in opera un'azione diversa. Questa azione è semplicemente l'osservazione pura, o se preferiamo la consapevolezza. Questo è un punto che meriterebbe un approfondimento che non voglio fare ora.


Il riconoscimento del non sapere, significa essenzialmente vedere i limiti della conoscenza accumulata ed essere disposti a metterla da parte almeno quanto basta per permetterci una osservazione pura, non influenzata cioè da ciò che il pensiero dà per scontato. Sarà qualcosa magari di pochi secondi, o anche solo una frazione di secondo, dato che il pensiero si insinuerà comunque e inevitabilmente nella nostra osservazione. Non si tratta di concentrarci ma di rimanere consapevoli di questo oscillare da un polo all'altro, l'osservare passivamente da un lato e l'attività del pensiero che vuole sempre giudicare, accettare, respingere, etc. dall'altro lato. Entrambi i fenomeni fanno parte della nostra coscienza. Questo basta per una prima indagine che ci permetta di capire in concreto cosa sia la coscienza individuale. La scoperta di non essere individui separati viene spontaneamente una volta che siamo radicati nella consapevolezza interiore.

"...nella coscienza collettiva, il serbatoio dei serbatoi, sarà certamente (non potrebbe essere altrimenti) registrato questo approccio, magari, anche se dubito, fu proprio Socrate a immaginarlo, e quando nell'attuale coscienza individuale vien riproposta la medesima modalità, lo stesso schema... lo stesso input, ecco che al termine dell'indagine, come la chiami, si arriva alle conclusioni... ma c'è un problema, non son le stesse per tutti.
Ciò inficia l'approccio, o questo ha una limitata validità?
Oppure ritorniamo sempre lì, tutto è vero e falso (ahinoi, il principio di non contraddizione...) allo stesso tempo e non c'è una sola verità?"


Verissimo. E' proprio il maggior pericolo e quello che inficia in molti casi l'indagine interiore.


"E a cosa mirano le religioni se non a proclamare l'unica verità?
Ma c'è un problema... attingono anch'esse dal medesimo serbatoio... "


Detto così le cose sembrano senza via d'uscita. Siamo sempre condizionati e quindi le "verità" religiose saranno "sempre" delle verità condizionate. Questo è un buon argomento a favore di chi diffida delle religioni. Io sono uno di quelli. Come ho accennato raccontando la storiella del bramino indiano, la maggior parte delle vie religiose portano solo a delle illusioni, perché in realtà partono già sapendo cosa vogliono scoprire, e ovviamente lo scopriranno ma sarà una proiezione di ciò che volevano scoprire. E' un meccanismo perverso a pensarci bene! (:-)


Il mio discorso precedente voleva solo rispondere al problema se la religione deve essere individuale  o collettiva come suggerito da alcuni. Il problema che hai sollevato tu è fondamentale e richiede una trattazione a parte. Forse ne parlerò in seguito se c'è qualcuno a cui interessa.

Buona giornata.
#81
Jean,
grazie di questo tuo contributo (continuo col tu dato che mi è stato detto che qui si usa così).


In generale posso concordare con le precisazioni che fai, che rispecchiano la concezione del rapporto individuo società in voga nella nostra cultura. Ma nel contempo non rinuncio a proporre una diversa e non condivisa visione di questo rapporto.  Non ha senso accettare o respingere questa visione sulla base dell'autorevolezza di chi parla o sul solo ragionamento logico. Dobbiamo avere questa visione per via empirica (non so quanto sia appropriata questa mia espressione).

"Da una parte direi che sia la somma degli individui a determinare (non userei "crea") la forma della società e le sue caratteristiche, dall'altra parte è il contesto sociale che agisce sull'individuo, sia positivamente – ottenendone in risposta collaborazione e integrazione – sia negativamente – con rifiuto e ribellione. "

Vorrei – se ne fossi capace – instaurare un dialogo Socratico, un dialogo che sia al contempo un'indagine e quindi una scoperta e non solo una disquisizione logica o uno sfoggio di conoscenza acquisita per via intellettuale. Allora facciamo la prova: chiediamoci cosa sia l'individuo e cosa sia la società. Se rispondo subito in base a ciò che già so, a ciò che ho letto, imparato dai libri o dalla viva voce di qualcun altro, l'indagine non può partire. Ma se pongo seriamente la domanda a me stesso e rifiuto ogni conoscenza di seconda mano allora da prima mi sembra di trovarmi in una impasse: la risposta sincera sarebbe: "non lo so". Questo riconoscimento di "non sapere" (ricordiamo sempre Socrate) pone un alt momentaneo ai meccanismo automatici della nostra mente e ci costringe a guardare al problema da un punto di vista diverso, ci spinge cioè a guardare dentro di noi per capire direttamente cos'è quella cosa che sembra vivere dentro la nostra testa e che chiamiamo io. Cosa ci trovo? Fai la prova, senza dire so già cosa sono... ci troverai solo un cumulo di memorie, di immagini, alcune richiamate da stimoli esterni alcune che sorgono senza una apparente logica. E troveremo anche tutta una serie di identificazioni con queste immagini, alcune positive  e alcune negative. (Questo mi piace e questo no) e cioè mi troverò ad avere a che fare con le emozioni associate alle immagini, e quindi a quei grossi nodi psicologici che sono la paura e il desiderio. C'è altro oltre a questo? C'è la sofferenza (o il ricordo di essa), c'è la ricerca del piacere, che è ancora qualcosa relativo alla memoria, e ci sono una infinità di pensieri verbali. E' "roba nostra" tutto questo? Come risponderemo a questa domanda? Questa è ciò che si chiama la coscienza individuale. Ma quanto è realmente individuale questa coscienza?

C'è il senso di un io, ovviamente, e la convinzione molto radicata di essere individui separati dagli altri. Ma ciò che ci dà il senso dell'io, di una individualità separata,  è solo un fenomeno di identificazione con alcuni dei contenuti mentali, la mia casa, la mia famiglia, i miei possessi, i miei hobby, etc. , e l'io dà vita e continuità a queste memorie del passato. Dobbiamo capire questo processo di identificazione.


Proseguendo l'indagine possiamo chiederci: la mia coscienza individuale è diversa da quella di un altro individuo?  Sì, e no. Ci saranno delle differenze nella memoria dato che ognuno ha vissuto esperienze diverse, ma fondamentalmente la struttura della coscienza è uguale per tutti gli uomini. La nostra sofferenza è la sofferenza dell'umanità, e possiamo arrivare a vedere come ci sono contenuti mentali in noi che non provengono dalla memoria delle nostre esperienze vissute. Noi condividiamo con il resto dell'umanità non solo la nostra struttura biologica ma anche quella psicologica. Noi siamo pesantemente condizionati dal mondo esterno non solo per le idee e convinzioni che assorbiamo da esso ma perché in realtà siamo parte di una "coscienza collettiva".  C'è un biologo inglese di cui ora mi sfugge il nome che ha scoperto prove di questa coscienza collettiva anche negli animali. Ma è molto più semplice scoprirla in noi stessi...

Allora, è vero come dici tu che "dall'altra parte è il contesto sociale che agisce sull'individuo," ma mentre l'individuo può esistere senza la società, la società non può esistere senza l'individuo, è per questo che ho detto che l'individuo crea la società. La società è lo specchio fedele della nostra coscienza, se siamo violenti dentro, creeremo una società violenta e a nulla serviranno le coercizioni esterne. Quindi siamo allo stesso tempo un prodotto e la causa della società.  Ma è vano cercare di cambiare o migliorare l'individuo agendo socialmente, cioè condizionandolo dall'esterno – l'azione deve iniziare all'interno.  Se non cambia l'individuo (che ha in sé la coscienza collettiva) la società non potrà mai cambiare perché è la diretta emanazione di questa coscienza. Detto in parole povere: noi siamo il mondo e il mondo è noi, e se vogliamo cambiare il mondo dobbiamo cambiare noi stessi.

(Mi viene in mente la frase di Gesu: voi siete il sale della terra... ma non sono sicuro che c'entri!).
#82
Paul,
cominciamo a trovare un terreno comune...



"Il mio modesto parere è che se una persona ha un'identità interiore debole cerca esternamente quell'identità per trovare forza in se stesso. I grandi maestri spirtuali  di tutte le tradizioni, non sono mai violenti, sono fortissimi interiormente e la forza la cercano dentro di sè. Chi è debole cerca forza nel gruppo identitario e la forza diventa violenza. La violenza diventa la forma di comunicazione esterna di un'identità debole e che il tempo spazzerà via come un vento. i gruppi violenti non durano mai, perchè a sua volta quell'identità è debole perchè la violenza alla fine non paga mai la mancanza di una forza interiore."


E' esattamente quello che io penso e che intendevo parlando di Maometto.


"Ma soprattutto è il vero musulmano che non segue una rotta di violenza perchè il popolo tende ad una vita pacificata, serena, ha già i suoi problemi per poterne crearsene altri e allora fugge dagli scempi."


Perdonami il cinismo ma chi può dire chi è il vero musulmano? Perché non vedere semplicemente l'uomo dietro l'etichetta? E in ogni cultura o paese o religione ci sono individui "giusti" e intelligenti e individui che hanno un rapporto conflittuale con sé e con gli altri. Dopo tutto la volontà di dominio nasce da una incapacità a relazionarsi...


Ma siamo sicuri che i cosiddetti musulmani moderati prevarranno sugli estremisti? Ti confesso che sono pessimista perché c'è una tendenza "planetaria" come si usa dire oggi verso la violenza, l'estremismo, etc. è come se l'ego si fosse risvegliato e ringalluzzito...
Forse mi sbaglio, anzi forse farnetico, ma l'idea me la messa in testa l'anno scorso un australiano conosciuto in internet. La butto giù qui come ipotesi... e spero non sia vera.


Parlando di terrorismo, l'australiano che si è dichiarato un cristiano fervente, ha concluso il discorso citando l'apocalisse e la lotta finale tra il bene e il male, tra – credo l'arcangelo Gabriele e l'anticristo e dicendo che lui era sicuro che – proprio perché conosceva "il libro" (la bibbia) sapeva che l'esito finale della battaglia sarebbe stato a favore dei cristiani. Stava cioè dicendo che Maometto era il famoso anticristo... io ho sempre considerato l'apocalisse come il prodotto di allucinazioni, ma visto lo scenario apocalittico di oggi... (:-)


L'Australia è oggi, l'unica nazione che ha apertamente una posizione anti-islamica (o islamofobica come si usa dire (sic), in tutte le altre ormai non puoi permetterti di dire niente contro l'islam. Ho letto oggi questo articolo sul Times di Londra:

(dimmi se non capisci l'inglese e te lo traduco)

"Saudi Arabia's row with the United Nations over a report which accused it of killing hundreds of children during its war in Yemen has escalated, with the Kingdom demanding the UN reveal its sources.
After Riyadh threatened to issue a fatwa declaring the organisation "anti-Muslim" and cut millions of dollars of funding, the UN made an unprecedented retraction and removed Saudi Arabia from a list of nations accused of abuses against children.
Ban Ki-Moon, the UN secretary-general, said removing the country from the list just four days after the was made public was "one of the most painful and difficult"

Per me è un fatto gravissimo, nemmeno l'Onu può più permettersi si criticare il comportamento violento e spietato dell'Arabia, perchè altrimenti vieni accusato di essere anti-islam, come se l'islam comportasse l'uccidere I bambini!
#83
Bene, abbiamo qualcosa di molto succoso su cui rimuginare!


Non ho ancora imparato come si fa una citazione qui e quindi uso il mio sistema personale.


"Non era mia intenzione andare fuori tema, ma per completezza volevo solo ricordare che la "crisi delle religioni" nella postmodernità non è a 360 gradi, ma prettamente filosofica."


Capisco le sue intenzioni che sono legittime e attinenti al tema ma le chiedo di capire anche il particolare punto di vista da me scelto per la discussione. Scelgo di esaminare le religioni su criteri forse troppo personali, e ovviamente potrei sbagliarmi e cadere in ingenui trabocchetti. Mi perdoni ma sono un assoluto principiante e così voglio restare perché ho imparato a diffidare della cultura accademica in ogni campo. Un'idea non è giusta solo perché condivisa da una maggioranza di persone, e a volte anche un bambino può avere una intuizione fresca e innovativa che sorpassa tutte le conclusioni accademiche accumulate...


"Non so se ho frainteso il tema, ma un minimo di considerazione generale su un termine ricco di storia come "religione", mi era parsa inevitabile (e non per annacquare dottamente il discorso...); altrimenti c'è il rischio di un "opinionismo selvaggio" in cui tutto si riduce al "secondo me è così..."

Accetto la tiratina d'orecchi. Ha ragione, sono stato troppo impulsivo e perentorio e questo è sempre controproducente. Non ho molta simpatia per le opinioni ma sono consapevole che è facile cascarci. Per rimediare posso dirle che ho apprezzato i suoi interventi.
"Non per essere cavilloso, ma l'"esigenza personale" non credo sia la religione; direi che la religione è una delle possibili risposte a quella esigenza, e su questa distinzione verte la non irrilevante possibilità di una vita non-religiosa: dare per scontato che debba per forza esserci una religione interiore, e si tratti solo di scoprirla o non contaminarla con la fallibilità delle chiese storiche, lascia fuori dalla porta la possibilità di avere una risposta legittima che non sia la religione (almeno se intesa secondo la definizione classica); siamo sicuri sia un presupposto attendibile?"

Mi spiace ma qui non posso essere d'accordo. No, non c'è alcuna sicurezza che sia un presupposto attendibile. La sicurezza è un tranello. Se è la sicurezza che vogliamo – ed è una esigenza molto umana- non ci potrà essere mai nessun cambiamento. Mi spiego, per me la religione è un tuffo nell'ignoto. Se siamo attaccati al noto, a ciò che già conosciamo continueremo sempre per la solita strada, la strada che ha portato il mondo a un passo dalla catastrofe. (Non mi accusi di catastrofismo ma  non saprei come definire gli scenari che si stanno delineando oggigiorno).

E' ovvio che la religione non sia l'unica esigenza personale, e nemmeno l'unica risposta a quella esigenza. Quello che io intendevo era se LEI, sentiva questa esigenza personale o no. Ma mi rendo conto ora che lei ha attribuito al termine personale il significato di una "religione personale". Non sto dicendo che ci debba essere per scontato una religione interiore, le sto solo chiedendo se lei sente questa esigenza o no. E questo semplicemente per sapere se e come continuare questa discussione. Se lei mi risponde che non sente questa esigenza, il discorsi si chiude qui. Nel rispondere a Paul ho accennato alla fallacia di considerare l'individuo e la società come due entità separate. E il mio argomento, se condiviso, rende superflua la distinzione tra religione collettiva o sociale e religione personale. Ma lungi da me presentare le mie idee come verità assoluta.

"Non sono certo un esperto, e proprio per questo se potessi avere qualche indicazione per approfondire il tema dell'amore nel taoismo, ti (diamoci pure del "tu"!) sarei grato..."

Avrei preferito che fossi tu (leggo solo ora il tuo invito a passare al tu) a fare il primo passo, dato che hai tirato fuori l'argomento, e mi spiegassi come sei arrivato al punto di vista che "nel taoismo c'è un egocentrismo profondo". Dopo tutto io potrei anche essermi sbagliato. Sono da molti anni che non prendo in mano un testo taoista e la mia affermazione si basava su quello che ricordavo.  Ora dovrei verificare, andare a pescare tutto ciò che ho letto... porterebbe via troppo tempo... Posso risponderti sulla base di quello che ho creduto di capire leggendo il tuo intervento e poi quello di Paul dove parlavate di religioni sociali e individuali. Ovviamente secondo il vostro punto di vista il taoismo appare come una religione nettamente individuale e cioè accentrata sull'individuo. Ma credo sia un tranello confondere l'individuo con l'ego. Come ho detto a Paul la religione è sempre un percorso di crescita e trasformazione personale che quindi avrà il suo ripercuotersi necessariamente all'esterno sulla società. Fare l'inverso porta solo al conformismo tipico di tutte le società totalitarie. Mi piacerebbe che mi spiegassi perché dai così importanza alla società. Questa è una posizione marxista.

"Questa fame che scarta pietanze, risparmiandosi per il "vero" pasto, non corre un minimo rischio di restare alla fine a bocca asciutta?"

Certo. Nulla di garantito. Si sa quello che si lascia ma non si sa quello che si trova. Insicurezza, dubbio, solitudine, perfino la paura di diventare pazzi.... (:-) E' una strada che non consiglio a nessuno. Molto più comodo attenersi al noto, alle idee condivise, la società ci offre sostegno e motivazione. Ma l'amore non ha motivazioni! (:-)

"Anche snobbando audacemente la definizione da manuale, se decidiamo di "emancipare" la religione dalla sua storia, dai suoi dogmi e dalla sua comunità (ministri di culto inclusi), ciò che resta è una spiritualità individuale che non so se possa essere definita "vera religione" (espressione davvero molto impegnativa) e che nondimeno si basa su un concetto di dio che è il lascito delle stesse religioni da cui sembra volersi emendare (religioni che probabilmente giudicherebbero, per quello che vale, tale auto-nomia come segno di debolezza, o ipocrisia, o eresia, o idolatria del Sè, etc.)."

Vedo che hai inquadrato bene il problema. Spero che Gasacchino lo legga e rifletta bene su tutto ciò. Quello che dici è sensato, ma ancora ti chiedo cosa hai contro una spiritualità individuale?  "Se qualcosa può accadere, può accadere solo nell'individuo." No, non è idolatria del sé (che lascio alle religioni semitiche) al contrario è la demistificazione di ogni attività del sé, dell'ego, possibile solo individualmente tramite ciò che i greci chiamavano conoscenza di sé, una conoscenza ovviamente fattuale e non intellettuale che può avvenire solo nella relazione. E' nelle relazioni che l'ego si rivela e lo possiamo osservare. Quindi quella che a te sembra una strada egocentrica e "individualista" è in realtà un processo globale di interazione col mondo che ci circonda.

""Esperienza diretta" di tutto ciò? Metterei in guardia, anche se probabilmente non ce n'è bisogno, dal considerare ogni religione la "traduzione" di un'altra, quasi si trattasse di un'unica "philosophia perennis" espressa in modi differenti : l'essere divinità di Budda non è affatto l'essere divinità rivelata del dio ebraico, la grazia dello spirito santo non ha niente a che fare con il satori etc. (senza voler andare nell'accademico ricordando che il phanteon induista non è molteplice come è "molteplice" la trinità, etc. )."

Anche qui c'è un certo grado di buon senso o di cautela che condivido. Ma devi capire che per rispondere a Gasacchino ho dovuto per forza di cose semplificare troppo. Tuttavia il punto di vista di base, per me rimane valido. Se crediamo valga la pena condurre una ricerca spirituale, se è questo il nostro orientamento religioso, allora il problema sarà, con quale strumento faremo questa ricerca?  Ma non ti sei mai chiesto di quale capacità, potere, o strumento erano dotati coloro che hanno "parlato in nome di Dio"? O accetti il mito, e cioè una visione infantile, oppure l'unica alternativa è che i "profeti" (meglio non definire questa parola) avevano una percezione diretta di quello di cui parlavano. E perché non noi?

"L'essere divinità di Buddha", è una espressione che non mi piace per niente. Forse confondi i Bodhisatva adorati dal popolo nei templi buddhisti come dei e li prendi come tali (un altro valore di facciata), e ignori forse che l'originale dottrina del Buddha non ha mai voluto (e a ragione) entrare nel merito dell'esistenza di Dio. Questo è un argomento che richiederebbe un approfondimento e che cozza con la nostra idea di Dio ereditata dalla cultura semitica.
#84
Oh! finalmente una risposta schietta, chiara e precisa!  E la condivido pienamente.
Per quando riguarda il problema della collocazione del mio intervento, faccio il mea culpa, avevo già capito di essermi sbagliato. Ma ormai la frittata è fatta...  mi ero riproposto di andare a dare un'occhiata alla sezione religioni, ma prima volevo aspettare e vedere che reazione avrebbe suscitato qui.
 
Sono abbastanza soddisfatto di questa reazione, specialmente ora che sono riuscito a farti uscire dal guscio! (:-)  Come avrai capito il mio era un intervento provocatorio, per smuovere le acque e possibilmente suscitare una discussione-riflessione su cose che si considerano scontate. Certo non nego che il mio discorso aveva dei risvolti sociali e politici, uno di questi, per esempio, è la conversione all'Islam di molti - si fa per dire - giovani nostrani. Queste conversioni mi hanno lasciato sempre perplesso e dubbioso. Dubbioso perché sospetto che non siano per niente sincere ma - specie nel caso di donne che si sposano con musulmani, di comodo. Perplesso perché sinceramente non capisco come si possa preferire la religione islamica a quella cristiana che come dici tu " fa un enorme salto di qualità e quantità". Ma credo si possano spiegare con l'enorme degrado culturale e spirituale della nostra epoca dove i giovani ormai escono dalla scuola con una ignoranza spaventosa...  Inoltre, e perdonami se ritorno su questo argomento, non capisco proprio come si possa preferire una figura come quella di Maometto a quella di Gesù. Vedi secondo me ognuno si identifica proprio con ciò che vorrebbe diventare o essere. Perciò non è un caso che un pugile o un terrorista si converta all'Islam dato che quello che vuole è la supremazia, la conquista, il dominio. Ed è questo l'aspetto che oggi in Europa viene trascurato e sottovalutato, ed è per questo che non sono d'accordo nel considerare l'Islam una religione come un'altra. E' nata male, e finirà peggio lasciando dietro di se una scia di distruzione.
 
"Le morali e le etiche hanno così preso alcune differenze sul sentiero della storia, mutando i costumi, le modalità di giusto/ingiusto e così via."
 
Quello che qui stai prendendo in considerazione è la morale o le etiche basate su una dato modello culturale, e cioè su un condizionamento mentale. Ma c'è una morale che non si basa su modelli culturali.
 
Provo a farti un esempio: Puoi considerare l'uomo una creatura da educare o un'animale da soggiogare. Pensa a Mosè, forse non possedeva strumenti educativi adeguati, o forse era impossibile per quei tempi e quelle circostanze educare un popolo semiselvaggio come gli ebrei di allora e creare una società civile dove ci sia un minimo di rispetto delle regole. Allora l'unica alternativa rimaneva la coercizione, fisica o psicologica, la legge del taglione, presumendo che fosse l'unica legge che il suo popolo fosse in grado di capire. Ovviamente perché la legge fosse rispettata doveva provenire da Dio in persona, no? (:-)  Non sappiamo se Mosè fosse un opportunista, un invasato o solo un capo tribale pragmatico. Questo è un modello culturale che ha impregnato i popoli semiti per migliaia di anni e che ancora vogliono proporre. Maometto, secondo me era decisamente dalla parte del furbetto. Ha voluto imitare l'opera di Mosé - dato che era risultata vincente sul piano politico, e ha creato di sana pianta una pseudo-religione sulla falsariga di quella ebraica con qualche apporto di cristianesimo... essenzialmente un inganno. E' un inganno dire che il corano gli è stato trasmesso dall'arcangelo Gabriele, è un inganno creare una società facendo credere che sia Dio a volerlo. E da un inganno non può nascere né una religione vera né una società giusta.
 
Ora prendiamo Cristo, viene e ti dice: "ama il prossimo tuo come te stesso." Puoi prendere questa frase secondo il modello culturale semita e cioè come un ordine divino a cui si deve ubbidire. Ne nascerà come è accaduto una morale ipocrita dove le persone fanno il bene non per bontà, ma per sfuggire al castigo e procurarsi il premio. Oppure puoi prendere questa frase come un insegnamento o un orientamento intuitivo da capire e approfondire. L'ego è incapace di amore, e ciò che conosciamo come "amore" è solo l'attaccamento creato dal pensiero. Se capiamo questo allora l'amore può fiorire spontaneamente e con esso l'intelligenza. E quando ci sono queste due qualità non serve alcuna morale prefissata. Fai del bene e basta e questo bene non appartiene ad alcuna cultura.
 
Ma c'è un altro aspetto che mi hai posto in evidenza tu nel tuo intervento precedente. Maometto -capo polito/religioso (come sai nella cultura semitica queste due figure erano sempre unite) fa in effetti quello che hanno fatto i rivoluzionari comunisti (Lenin - Mao) e i nazisti: si crea una società utopica con l'idea che sarà la riforma della società a riformare o cambiare l'individuo. Come hai sottolineato tu, sono religioni più "sociali". Mi è sembrato di cogliere una simpatia in te verso questo tipo di religioni...
 
Ma l'idea di cambiare la società per cambiare l'individuo è un'idea fallace - vedi fallimento di tutte queste utopie - comunismo, nazismo, etc.) perché è l'individuo che crea la società e non viceversa. A dirla meglio non c'è divisione tra individuo e società (e questo invalida ciò che hai detto sulle religioni "individualistiche"), cioè l'interno (la struttura psicologica dell'io) prevale sempre sull'esterno (la struttura della società). Il cambiamento può avvenire solo all'interno, nell'individuo, e questa è la funzione della religione, e quindi l'individuo per forza di cosa creerà una società migliore. E' l'amore che cambia il mondo, non la politica o le utopie religiose. L'amore è la sola cosa realmente rivoluzionaria, e l'amore può fiorire solo nell'individuo. Una società coercitiva distorce e inibisce la mente individuale e crea degli automi.
 
Forse questo risponde meglio ai precedenti discorsi se si deve considerare l'Islam una religione.
#85
Gasacchino,

ti confesso che le tue domande mi hanno messo in crisi. Sono domande difficili da affrontare in poche parole e in questa sede.
Comunque ci provo lo stesso.

1) Parli di fare esperienza diretta (e condivido appieno il non fermarsi ad uno stato passivo della conoscenza) ma cosa vuol dire? A cosa ti riferisci?

Mi riferisco a tutto ciò di cui le varie religioni ci parlano: Dio, la vita oltre la morte, lo stato di grazia, lo spirito santo (per restare nella terminologia cristiana) o l'illuminazione, il satori, o la percezione della verità per usare la terminologia orientale.

2) Suppongo, viste le tue argomentazioni, che tu abbia affrontato un certo tipo di percorso: sarei curioso di sapere cosa ti ha portato ad assumere certe posizioni.

Ciò che mi ha portato ad assumere quelle che tu chiami le mie posizioni è una profonda insoddisfazione verso tutto ciò che mi è stato insegnato, in famiglia, a scuola, in chiesa, nelle letture private, etc. Questo credo sia il punto di partenza di ogni indagine religiosa. Se non c'è questa insoddisfazione, ma siamo soddisfatti del nostro mondo allora il mio discorso non potrà interessare.

Per quanto riguarda il mio percorso non credo che l'elencazione delle mie esperienze e studi ti possa essere utile e sarebbe da parte mia solo un esercizio di stupida vanagloria. Ovviamente se sei veramente interessato posso consigliarti delle letture, ma prima dovrei capire se è la strada che tu senti profondamente di intraprendere.

C'è una storiella indiana che è abbastanza attinente a quello che io ho attraversato, e penso che possa servirti più di mille parole.

Un giovane Bramino decide di andare in cerca della verità. Lascia la casa paterna e inizia una peregrinazione che anticamente era tradizionale in India: andare a sentire l'insegnamento dei vari guru, asceti o santoni. Soggiorna con alcuni di loro e prova a mettere in pratica i loro insegnamenti, le loro tecniche di meditazione, ma nessuna lo soddisfa veramente. Sente che sono strade che non portano a nulla se non ad illusioni ed è abbastanza intelligente da non cadere in queste illusioni. Così dopo anni di ascetismo, sacrifici, lotte, ect, ritorna verso casa, stanco, vecchio e sfiduciato. Fa per entrare per la porta di casa... ed eccola lì la verità che aveva cercato in giro per il mondo! Capisce di aver sprecato la sua vita e che non era necessario andare da nessuna parte o rivolgersi a nessuno per trovare la verità: essa è sempre lì, dove noi siamo.
#86
Paul,
posso rispondere al tuo interessante intervento anche se non è indirizzato a me? Spero che non mi giudicherai invasivo... (:-)



La tua disquisizione ha ovviamente dei riscontri storici, ma posso chiederti a che ti serve? Quando stai per morire e vuoi sapere cosa ti accadrà dopo la morte, quando sei attanagliato dalla paura paralizzante e con la mente in subbuglio, che ti serve sapere che:
"Penso che Maometto abbia capito questa necessità, fondare una religione per unire i clan tribali e parentali dispersi nelle "piste" dei deserti. Quindi è una religione con delle sue caratteristiche, con un forte legame di appartenenza con una sua giustizia interna tipica delle religioni e abbastanza potente da costruire con il califfato una teocrazia."?
Cioè sei interessato personalmente al tema religioso, perché in te c'è una esigenza di capire, di scoprire, oppure nulla ti tocca personalmente e consideri la religione solo come una materia scolastica?

(ops! mi sono accorto ora che sono passato inconsapevolmente a tu... spero di non essere stato indelicato.)
#87
Per Phil:


Ben vengano le riflessioni su questo tema, era proprio lo scopo del mio intervento. Una vera riflessione, secondo me, dovrebbe comportare anche il dubbio, il dubbio su tutto ciò che noi sappiamo, e sulla sua effettiva validità. Come ho detto rispondendo a Paul, noi spesso ci fermiamo ai valori di facciata, non mettiamo mai in discussione ciò che sappiamo, che abbiamo appreso. Siamo cioè soddisfatti di noi stessi o come ironicamente si sono espressi i Pink Floyd in una loro canzone "comfortably numb".  Allora la prima riflessione che io propongo a me stesso è: sono consapevole dei miei limiti? Di essere fondamentalmente ignorante e di vivere in un mondo di astrazioni?
Una di queste astrazioni è ciò che chiamiamo "religione". Che cosa sono se non semplicemente un cumulo di parole, di immagini che solleticano la nostra fantasia? Cosa accade di concreto quando penso a Dio?  Abbiamo voglia di porci questa domanda e sappiamo come rispondere ad essa?
 
Questo forum si chiama molto appropriatamente "Logos", cioè parola, ma quanti di noi sono realmente consapevoli di cosa sia la parola? Giovanni (l'evangelista) ha divinizzato la parola, riferendosi a Cristo. E anche noi riteniamo la parola qualcosa di portentoso. Nell'antichità - ma ce qualcuno ancora oggi che lo crede - si attribuiva a certe parole la capacità di cambiare la realtà e su di questo si basava sia la magia che la liturgia della chiesa.
E' ovvio che finché noi "crediamo" nella parola, viviamo di esse, il discorso che io ho fatto non avrà senso. Perciò forse sarebbe meglio lasciarlo perdere come il frutto di una mente bislacca... (:-)


Se qualcuno però ha il ghiribizzo di porsi il dubbio allora questa discussione potrebbe continuare.


"- concordo sul fatto che le religioni possano essere filosoficamente "moribonde", ma non dimenticherei nemmeno la loro "ottima salute" sul piano sociologico (numero di praticanti dichiarati) ed economico (aspetto connesso al primo, a prescindere da quanti di loro siano "autentici" ed intimamente convinti)."
 
Se qualcuno lo ha notato la mia discussione era sul piano religioso. Mi ritrovo a leggere risposte che riguardano il campo economico o sociologico. Capisco che anche questi campi hanno la loro importanza, ma possiamo portare la nostra attenzione al fenomeno religioso in sé?  Lasciando perdere la mania della nostra cultura di spiegare ogni cosa in termini economici o socio-politici?
Forse il problema sta che non siamo interessati alla religione in sé per sé, e allora forse ho sbagliato la sezione del forum.


Il discorso sulla religione che ho fatto a Gasacchino era sul piano funzionale. Le religioni sono nate per soddisfare un profondo quanto fondamentale bisogno umano di sicurezza, di comprensione della vita, di far luce sull'ignoto che ci circonda. Una religione è viva e ha senso quando soddisfa in pieno questa esigenza altrimenti può avere milioni di praticanti (chissà poi cosa praticano...) produrre un bel fatturato che soddisfa tutti ma essere solo una caricatura di se stesse perché hanno perso la loro funzione primaria.


E' significativo come sia Paul che Phil abbiano impostato la discussione su un piano impersonale, storico-sociologico e non hanno minimamente accennato al fatto di come loro vivono personalmente la religione. Ci interessa riflettere alla religione come esigenza personale o la nostra è solo una discussione accademica?  Scusate ma non sono interessato alle discussioni accademiche.


 "- Per quanto riguarda Lao Tze sarei molto cauto: per quel che so, nel taoismo c'è un egocentrismo profondo".
Ho appena detto che non mi interessano le discussioni accademiche ed ecco che mi contraddico rispondendo a questa affermazione (:-)


Sinceramente non riesco a capire come lei si sia formato questa idea. Io in tanti anni di studio sono arrivato ad una conclusione opposta. Ma la mia opinione non conta nulla, ci sono studiosi di calibro mondiale che possono parlare più autorevolmente di me.
Il Taoismo forse è la religione che ha subito più corruzione e contaminazioni, dato che è una delle più antiche e bisogna ricordare la distruzione dei libri operata dall'imperatore non-ricordo-più come si chiamasse. Questo ovviamente fa sì che sia difficile capire il messaggio originale.


"Sulla questione dell'amore fraterno nel Corano: ricorderei che uno dei cosiddetti "pilastri" dell'Islam è l'elemosina (se non erro addirittura quantificata economicamente nelle sure del Corano), il che è certamente una traccia del contesto commerciale in cui è nata tale religione, ma anche una dimensione di concreto sostegno al prossimo, che (correggetemi pure) non è così esplicitamente materiale negli altri culti (e sappiamo che aiutare materialmente il prossimo, e non solo a parole, non è sempre un gesto facile e spontaneo per tutti...).


Fare l'elemosina è amore? Non è l'atto in sé che lo decide ma la motivazione che lo spinge. Sì può amare e NON fare l'elemosina, e si può essere generosi ed essere profondamente egocentrici. Se faccio il bene perché me lo impone la mia religione, perché mi hanno detto che così andrò in paradiso, è amore? La maggioranza delle persone cosiddette religiose è intrinsecamente ipocrita perché in realtà sta perseguendo il proprio tornaconto. E' un commercio, o un baratto: io faccio il bene come tu mi dici di fare e tu signore (sultano, califfo, responsabile dell'accettazione dell'Hotel Paradiso, etc.) mi accogli tra le tue braccia e mi colmi di ogni delizia. No, non era questo l'amore di cui parlava Gesù. Le religioni che noi conosciamo oggi sono il prodotto dei fedeli e non della predicazione dei maestri spirituali. La nostra struttura mentale capirà ogni cosa nei termini che è abituata a usare e vanificherà ogni tentativo di introdurre un cambiamento in questa struttura.


"- In fin dei conti, probabilmente, l'Islam è la religione meno estetica e meno metafisica per i nostri occhi, si presenta arida come il deserto in cui è cresciuta, e magari anche la più antipatica della nostra storia recente, ma, al netto di tutto ciò, credo abbia tutti i requisiti fondamentali per essere considerata una religione. "


Ovviamente ha tutti i requisiti per essere considerata una religione... da chi non ha nessuna voglia di capire cosa sia una vera religione! (:-)
Ancora una volta mi viene da ripetere: vogliamo attenerci ai valori di facciata come milioni di "praticanti" o abbiamo sete e fame per qualcosa di più sostanzioso?


Buona giornata.
#88
Caro Gasacchino,

riconosco che le mie affermazioni suonino un po' troppo perentorie e non del tutto chiare a prima vista. Ma vedi non mi propongo di dimostrare nulla o di fare propaganda pro o contro qualcosa. Tutto il mio discorso voleva essere un tentativo di risvegliare le coscienze, di far balenare davanti agli occhi un orizzonte molto diverso da quello che la cultura prevalente ci propone. E' un tentativo il più delle volte destinato a fallire dato che non tutti sono pronti ad una ricerca che vada al di là delle convinzioni condivise. Ma bisogna comunque tentare... specie in un mondo come il nostro che va velocemente deteriorandosi proprio a causa di queste convizioni ormai desuete.

Non c'è alcun male nel far parte di una religione in modo "superficiale" come tu ti esprimi, solo che prima o poi ti accorgerai che non ti servirà nel momento della crisi, cioè proprio quando più dovrebbe servire. Ho sperimentato questo sulla mia pelle e l'ho visto accadere a molti credenti di mia stretta conoscenza. Se la "tua" religione ti serve per avere speranza e conforto tienitela pure, ma ricorda che quando si ha sete bisogna bere acqua e non dissetarsi con la parola o l'immagine dell'acqua.

Le religioni classiche hanno fatto il loro tempo. Hanno avuto la loro ragion d'essere all'epoca in cui sono sorte e in quel ristretto ambito geografico, ma come ogni cosa al mondo col tempo sono deteriorate e oggi - se le si esamina con coraggiosa obiettività non hanno più senso. Ci hanno educato ad essere cristiani da bambini  e continuamo ad andare in chiesa per abitudine...

E' ovvio che nella vita sia necessario a volte fidarsi di qualcuno che nel campo tecnico - un medico per esempio - ne sappia più di noi. E questa fiducia deve essere  ben riposta, e sappiamo come spesso anche i medici commettano errori. Quindi in questo senso la fede ha una sua utilità. Ma in campo religioso, in campo spirituale la fede non ha alcuna utilità. E' molto difficile per noi ammetterlo e vederlo perchè la fede fa leva su un nostro bisogno psicologico di sicurezza.  La fede non serve perchè chi ci istruisce in campo religioso, i preti di ogni religione ne sanno quanto noi e cioè nulla. La loro conoscenza è di seconda mano, ognuno l'ha ricevuta da qualcun'altro fino a risalire a chi dovrebbe averla vissuta in prima persona. Ma come facciamo a sapere se questa conoscenza si è trasmessa nel modo giusto? Il nascere degli scismi, delle diverse interpretazioni che affligge ogni religione è la prova di ciò che dico.

Ma c'è un'altra cosa fondamentale: solo la conoscenza diretta ci libera definitivamente dal "peccato" (lo metto tra parentesi perchè è un concetto del tutto inefficace e superato) cioè dalle limitazioni della nostra struttura psicologica. Nel momento in cui ti accontenti di ciò che un'altro ti dice, è come cercare di saziare la fame leggendo un menù ma senza mangiare alcun cibo.

"Gesù è nato, vissuto, morto e risorto una sola volta e ben duemila anni fa, ora coloro che ne potrebbero aver avuto esperienza diretta credo rientrino in un lasso di tempo molto breve paragonato ai duemila anni che ci separano, sulla base di questo ragionamento i cristiani dovrebbero essersi estinti molto tempo fa e non dovrebbe essere sopravvissuto il cristianesimo. "

Per esperienza diretta non intendevo essere stati presenti alla predicazione di Cristo, ma fare esperienza personale della dimensione trascendente a cui Cristo alludeva quando parlava del "regno dei cieli". 

Vedi qui sorge un'altro problema spinoso che il credente di solito non vuole affrontare. Se crediamo che Gesù fosse una incarnazione divina, cioè un essere superiore e non un comune uomo, allora il discorso si chiude qui. Noi poveri mortali non abbiamo la possibilità di accedere a quella dimensione e dobbiamo solo sperare che Dio ci porti in paradiso una volta morti. E' in fin dei conti una posizione molto comoda perchè così non dobbiamo fare nessun percorso di ricerca personale ma solo accettare quello che ci viene detto e obbedire ad un codice morale prefissato. Ma proprio il seguire un codice morale prefissato è una cosa irreligiosa perchè nega l'intelligenza che Dio ci ha dato. E mi fermo qui perchè penso che se andassi oltre faresti fatica a seguirmi.... (:-)

E veniamo alla domanda sull'Islam. Ho tentato di spiegare perchè ritengo che l'islam non sia affatto una religione e perchè non ritengo che Maometto non fosse un vero maestro spirituale come lo erano sicuramente Il Cristo, Il Buddha o Lao Tze, ma mi rendo conto ora che le mie spiegazioni non dicono nulla a chi non vede ciò che vedo io.  Comunque ci riprovo in termini diversi. Riducendo il discorso al massimo si può affermare che ogni religione sia una strada che porti al superamento dell'ego e quindi alla nascita di ciò che Cristo e altri maestri spirituali chiamavano amore. E' questo amore che ci rende umani e che ci avvicina a Dio. Leggi il corano e puoi scoprire che la parola amore non compare in nessuna delle sue pagine. E l'essenza dellla religione islamica è l'esaltazione dell'ego, della sua sete di dominio e di potenza. Un ego che ovviamente si camuffa da "Dio". Se hai imparato a riconoscere l'ego in tutte le sue manifestazioni lo riconoscerai con chiarezza nell'operato di Maometto.
#89
Citazione di: Gasacchino il 14 Giugno 2016, 15:23:02 PM
   ma siamo noi a dover decidere cosa un'eventuale divinità debba volere da noi e perché o magari, credendo in tale divinità, è essa stessa a dirci che fare?*

sembra infatti che ci si stia scordando che quando si aderisce ad una religione lo si fa credendo che uno o più dei abbiano creato un sacco di cose, c'è chi dice addirittura tutto. In base a ciò mi sembrerebbe logico fare quanto la o le divinità chiedono/impongono.

Vede il problema del credere è un problema complesso a cui pochi hanno dedicato la dovuta attenzione. Perchè si crede? A chi si crede?

Il perchè si crede implica la consapevolezza dei propri meccanismi psicologici, cioè una conoscenza di sé. Essenzialmente, per brevità, le nostre reazioni psicologiche sono condizionate dalla legge del bastone e della carota. La vita è piena di pericoli, sofferenze, frustrazioni, paure, etc, e ovviamente ci aggrappiamo a qualcosa o a qualcuno che ci promette la sicurezza, o l'esaudimento dei nostri desideri o una vita oltre la morte, il paradiso dove godremo di ciò che non abbiamo potuto avere qui. Crediamo perchè siamo incapaci di affrontare la vita con le nostre gambe e le religioni istituzionalizzate ci offrono delle stampelle per tirare avanti.

 A chi si crede implica la capacità di saper distinguere chi è degno di fede, fiducia e chi no. Quando lei dice di credere in Dio o in una religione, in realtà sta dicendo che ha creduto a quello che altre persone le hanno riferito su Dio e sulla religione. Non ha mai fatto una indagine di prima mano e si accontenta di una conoscenza di seconda mano.

Si può fare una indagine sui testi originali, cosa che pochi fanno, e si può anche fare una indagine molto più rilevante sull'origine di tutte le religioni, e cioè sulla vita stessa e dentro noi stessi. Ma è una indagine che a pochi interessa. Se siamo seri dovremmo ammettere che quello che ci interessa veramente è fugare la paura della morte e dare continuità a questa nostra misera vita. L'idea del paradiso è troppo bella e giungiamo anche a commettere orrende stragi pur di assicurarci l'accesso.

Se capiamo questo capiamo anche che il credere non ha alcun valore in campo religioso. Lei crede nel sole? Ovvio che no, dato che può vederlo lì davanti ai suoi occhi. Se Dio è una realtà (e resta ancora da stabilire che cosa sia) allora perchè non cerca la sua esperienza diretta invece di accontentarsi di racconti di seconda mano? Solo così potrà sapere che cosa sia la vera religione. Altrimenti lei vive di astrazioni e le astrazioni sono quelle che stanno distruggendo il mondo.
#90
Mi perdoni se replico ad alcune sue affermazioni ma credo che stiamo parlando su due piani diversi:


1) " il califfato non esiste nel Corano, viene instaurato dai seguaci di Maometto"


Lei sta parlando del califfato come istituzione politica,  io ho usato il termine califfo solo nel senso di una autorità o reggente con potere assoluto. Di fatto Maometto era un califfo. E questo ed un altro argomento a favore della mia tesi che l'Islam non sia un religione.


2) il discorso delle interpretazioni è scivoloso perché ciò che sempre noi abbiamo è solo l'interpretazione di una religione ad opera di seguaci. Questa è la vera religione con cui abbiamo a che fare nella vita reale e non esiste una religione ideale. Cioè dobbiamo badare a ciò che è e non a ciò che dovrebbe essere. Nel studiare una religione, i suoi frutti e dove porta, dobbiamo considerare anche le sue varie interpretazioni, e nessuno può decidere quale sia quella vera.


Ma io sostengo una tesi più radicale, una tesi ovviamente che non può essere proposta pubblicamente o farne un manifesto politico, perché sarebbe inaccettabile, e cioè che Maometto fosse un ciarlatano. Non è una idea mia, molti musulmani smaliziati e di una certa cultura hanno espresso, privatamente è ovvio, l'opinione che M. fosse un furbetto. A me basta leggere la storia della sua vita e di come ha diffuso la sua pseudo-religione per capire che non era una figura religiosa ma essenzialmente politica. E questo perché credo in tutta modestia di capire cosa sia la religione.  Mi scusi ma lei crede ai valori di facciata e non vuole andare oltre l'immagine che l'Islam nei secoli ha creato di sé e verificare che validità abbiano - da un punto di vista religioso - il corano e la vita di Maometto (infatti non è solo il corano a decidere cosa il musulmano deve fare ma anche certe usanze messe in atto da Maometto e i suoi successori..


3) "noi dalle crociate ai colonialismi del Medio oriente e Africa ( non manchiamo nemmeno noi sotto il fascismo guarda caso) a non finire e fino a d oggi e ancora domani lì a imporre gli equilibri strategici, devastanti per quelle tradizioni."


Vedo che il suo masochismo da Europeo filo terzomondista continua ancora (:- ...
Sono costretto ancora a chiedermi come mai dà peso solo alla nostra "imposizione di equilibri strategici, devastanti per quelle tradizioni". Sembra che "quelle tradizioni", per lei siano più importanti delle altre? Ma lo sa che effetto devastante ebbe per l'India, per la sua millenaria cultura, per la sua economia e tessuto sociale, la conquista musulmana? Quando gli inglesi giunsero in India, questa era già allo stremo per secoli di dominazione tirannica crudele e annichilante. E questo per rispondere alla sua affermazione di una "invasione tollerante".  Vorrei sapere da dove ha preso questa tesi...
Se non mette sullo stesso piano tutte le invasioni, e quindi tutti i popoli, lei mostra di avere una visione di parte che privilegia una cultura –per chissà quale ragione – a svantaggio delle altre. (Quasi quasi sarei tentato di accusarla di razzismo (:- ) ) E' un discorso che in genere viene fatto dalle persone di sinistra la cui ideologia critica solo le malefatte degli europei e ignora quelle degli altri popoli. Ma dove c'è una ideologia non ci può essere una indagine obiettiva.


4) "E' una religione che come tutte le religioni e spiritualità può avere un testo sacro paradigmatico poi avvengono interpolazioni umane strumentali, interpretazioni "testuali" senza tener conto dell'insieme, quindi come nel Vecchio Testamento vi sono versetti "violenti"".


Mi sembra di aver già spiegato delle contraddizioni del cristianesimo. La sua replica non aggiunge nulla a quello che ho già detto. Per quanto riguarda l'Islam, non è una religione come tutte le altre, anzi non è affatto una religione. Una religione non può esaltare l'ego.
Non basta che 100 milioni di persone la considerino una religione per esserlo, si deve aver fatto un'indagine seria e profonda per capirlo, e nessuno vuole fare questa indagine perché o non osa sfidare la tradizione o gli sta bene lo status quo.