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Messaggi - Mario Barbella

#76
Tematiche Filosofiche / Re:Che cos'è la verità?
06 Giugno 2016, 22:22:26 PM
Più che una risposta al post di Davintro, questo è solo un mio convincimento riguardo al concetto di "verità".
La verità di un proposizione sta nella sua coerenza con l'intero sistema logico dell'Osservatore (con l'iniziale maiuscola). L'Osservatore può comunque "rivedere" il suo giudizio di verità ove si accorga di una possibile futura incoerenza. Sta proprio qui, in questo timore di possibile incoerenza: la flaccidità. si tratta della carenza di densità di Conoscenza che distanzia l'Osservatore dalla conoscenza assoluta, cioè da quella Singolarità  dove la densità è infinita,  questo limite di specialissima ed infinita densità viene spesso conosciuto come Dio. :)
#77
Vedo che il tuo pensiero riguardo al problema della non oggettività  di fondo delle entità quantistiche, non è lontano dal mio. E' appena il caso di dire che  i problemi che presenta questa non oggettività non è così semplice da digerire, ciò richiede una lunga e forzata convivenza delle due visioni del mondo: quella realista e quella idealista. ::)  :)

CDCLMBBTNSD&SM ;)
#78
I sentiti sono tutte i tantissimi concetti che sono assolutamente refrattari alla loro definizione rigorosa, nel senso qualsiasi tentativo di definizione o finisce in una tautologia più o meno banale oppure impatta in uno o più altri sentiti che, perciò dovrebbero essere rigorosamente definiti per essere utilizzati, appunto, nelle definizioni.
A pensarci bene (come spesso tento di fare senza riuscirci) mi sorge il dubbio, che pare sempre più diventare certezza, che nessun concetto elaborato dalla Coscienza si possa rigorosamente dimostrarlo o definirlo, al massimo lo si può sostenere (leggasi pure dimostrare) poggiandosi su un numero limitato di basi, diciamo così, rigide, cioè su principi (leggasi sentiti) in numero finito e non deformate dal peso dei concetti che si vogliono sorreggere.

Qualcuno potrebbe allora chiedere: "ma cosa sono quei principi che sostengono le nostre conoscenze, non solo scientifiche ma astrattamente matematiche?"  
RISPOSTA: Chiedetelo all'Osservatore, (con la  O maiuscola) cioè all'IO!
#79
Citazione di: paul11 il 02 Maggio 2016, 18:26:04 PM
Personalmente ritengo che storicamente l'orientale è legato più a come il pensiero ha pensato il reale, noi occidentali ci siamo invece approcciati alla realtà fisica mettendo in dubbio i nostri pensieri: per noi il focus è la realtà fisica poichè e descrivibile e logicamente falsa o vera e scientificamente dimostrabile nelle sue reiterazioni fenomeniche.
Quindi per noi il razionale e vero equivale al mondo là fuori, per l'orientale il vero equivale al suo pensiero ed è falsa la realtà.
E di nuovo ritorna la filosofia del reale metafisico greco  contro il reale sperimentale della scienza moderna , il mondo del deduttivo contro l'induttivo.

Condivido il pieno il parere qui espresso da Paul11. E' vero, per l'occidentale l'Universo è là fuori e non nell'IO cosciente il quale è unico. ???
#80
L'oggettivazione dell'inoggettivabile
Prospettive per un moderno approccio 
 alla questione scienza- fede

 Il titolo di questa riflessione è suggerito da considerazioni sia religiose che scientifiche, mi affretto a dire che l'idea prese forma dall'attualità di certi importanti eventi scientifici; c'è chi crede di poter sostenere il suo scetticismo religioso fidando sull'argomento che né la scienza né altro approccio avrebbero finora trovato una prova oggettiva ed inattaccabile della così detta "esistenza di Dio", quasi che una tale prova si possa trovare frugando nei cassetti o negli armadi.

 All'inizio del 900, grazie all'estrema fantasia di alcuni giovani, ed oggi ben ricordati scienziati, si verificò l'incrinatura, niente meno, che delle catene imposte dal realismo oggettivistico tramandatoci  dalle necessità pratiche dii approccio alla quotidianità; ancor oggi, nonostante tutto, queste catene rimangono ed almeno per certi importanti aspetti, problematiche.
 L'incrinatura ha agito su due fronti: uno, quello della relatività einstaniana (che generalizzava quella Galileiana), relatività che indebolì, senza rinnegarla del tutto, l'elegante immagine del mondo classico Newtoniano-Lagrangiano; l'altro fronte, invece, si è manifestato con le scosse che la fisica quantistica ha inflitto al pensiero razionale storico, che era ben solido già prima che Galileo ne consacrasse la fede assoluta con la così (poi) detta "prova oggettiva", il solo certificato di validità di una teoria. Va anche detto che la scossa prodotta dalla scoperta del "quantum" energetico e delle sue conseguenze è stata notevole anche perché è giunta quando ancora imperava il positivismo del pensiero filosofico ottocentesco, che esasperava la concretezza oggettiva non soltanto in fisica. 

 Ciò che non tutti sanno, o non ne sono convinti, o non hanno ben afferrato, è che quella rivoluzione scientifica di inizio '900 ha aperto, fra tanto altro, un varco che consentirebbe, ma non immediatamente, di giungere ad archiviare la vecchia e fuorviante questione dell'inconciliabilità tra scienza e fede. Non è però  cosa facile: mi è appena capitato di leggere in internet l'impressione di un tale che, riferendosi alla recente conferma del bosone di Higgs, conclude che finalmente si è avuta la prova dell'"inesistenza di Dio"! 

Tutta questa premessa per richiamare l'attenzione sulla diversità tra la visuale realista e quella idealista del mondo da parte dell'IO cosciente (o Osservatore universale). Realismo e idealismo furono posizioni opposte che animarono il dibattito filosofico ottocentesco, estintosi senza in seguito alla constatazione che nessuna delle parti poteva provare o smentire la validità di una o dell'altra posizione, ciò per riconosciuta pratica equivalenza. 
 Secondo la posizione "realista" (o oggettivistica) il mondo delle cose del pensiero (Res cogitans) è "dentro" la mente dell'Osservatore mentre il mondo della così detta "realtà fisica" (Res extensa) ne è "fuori" e la sua esistenza o realtà è indipendente dall'Osservatore e dall'osservazione. Secondo la posizione idealista (soggettivistica), invece, il mondo è interamente "dentro" la mente dell'Osservatore il quale ne è la singolarità origine. In tale mondo sia la Res cogitans che la Res extensa si fondono nell'impasto dell'iper-complessità della struttura logica dell'universo; sicché nulla è indipendente dal tutto; la sostanza dell'impasto è la Conoscenza che potrebbe essere, in qualche modo, descritta come uno "spazio" che, al pari di quello comunemente inteso, farebbe da contenitore del tutto, compreso il tempo e lo spazio ordinario. La Conoscenza, tuttavia, l'Osservatore la percepisce, direi, come di consistenza flaccida nel senso che l'azione osservante, ovvero il dominio che l'Osservatore vorrebbe avere sull'universo, non è precisa ed immediata ma, appunto, flaccida, differita e spesso errata, tanto da dar ragione al realista che sostiene la sostanziale indipendenza, piuttosto che legami, tra le varie cose nel mondo.

 Perché la fisica quantistica aprirebbe ad una visione più idealistica del mondo? Per rispondere è necessario ricordare che la fisica classica si è sviluppata poggiando, quasi interamente, sulla così detta "realtà materiale o oggettiva" la cui "esistenza" si ritiene auto-dimostrata proprio dalla materialità, ritenuta in sé prova oggettiva per eccellenza.
 Già da prima del 1901, anno della scoperta del quantum energetico ad opera di Planck, si percepivano segni che preludevano eventi importanti nella struttura del pensiero scientifico. Si verificarono effettivamente nel ventennio successivo alla scoperta di Planck e furono la "relatività" e la "meccanica quantistica". 

A circa un secolo dall'avvento della meccanica o, meglio, fisica quantistica, come mai sopravvive la consueta rigidità oggettivistica nel pensiero scientifico e persino teologico? E' molto difficile rispondere, però spero di riuscire almeno a compendiare il mio punto di vista. Non si può pensare che si abbandoni facilmente il realismo, entro cui ci siamo radicalmente forgiati. 
Se considerassimo una particella sub atomica, per esempio, un fotone, descrivibile, come le altre cose fisiche del genere, solo secondo elaborati modelli matematici, allora questo sarebbe un oggetto materiale (Res Exstensa) o ideale (Res cogitans)? Se fossero ancora vivi i grandi Heisenberg o Shroedinger, la loro risposta sarebbe senza dubbio, la seconda (almeno per Heisenberg), ma non da tutti quei grandi ricercatori potremmo attenderci altrettanto; se oggi interrogassimo un pur preparato giovane studioso di fisica quantistica, la sua risposta sarebbe, quasi certamente, oggettivistica. Questo giovane insisterebbe nel dire che di ogni particella si è sempre trovata la prova "oggettiva"  mediante molteplici esperimenti presso ben noti centri di ricerca, Credo che questa lettura dei fatti andrebbe interpretata più o meno così: mediante un percorso logico, di per sé abbastanza convincente per l'Osservatore, che chiamiamo teoria T1, si perviene alla probabile verità e descrizione di una particella P avente le proprietà p; bisogna provare questa verità, come? Non certo cercando di vederla apparire fisicamente da qualche parte ma creando, invece, un secondo percorso logico di prova, cioè un'altra teoria T2 che comprenda, fra l'altro, l'impiego di strumenti e macchine adattati per funzionare secondo il nuovo percorso logico T2 che, generando eventi E, interpretabili seguendo questo stesso percorso, ci si avvicini sufficientemente alla verità di P. Se l'esito di questo avvicinamento soddisfa l'Osservatore, allora P è verificata entro i limiti di certezza attesi, diversamente si dovrà procedere ancora nella ricerca attraverso altri percorsi logici e teorie T.

 Si evince da quanto detto, che neppure la così detta prova scientifica fornisce una certezza maggiore di quanto si attende l'Osservatore, quindi, anche per queste cose, che generalmente si ritiene esulino dal campo religioso, è indispensabile la fiducia (fede) dell'Osservatore sul programma di ricerca. 
 Per le questioni di fede religiosa, invece, le prove di tipo scientifico, si dice, non valgano perché richiedibili solo quando l'oggetto di indagine, che pur è dentro la mente cosciente dell'IO, vi si trovi ad una certa distanza da questa singolarità-origine. Allora la Conoscenza dell'Osservatore (l'IO) è più o meno debole nei riguarda dell'oggetto di indagine, e può essere rafforzata solo con serie di prove che riducano questa distanza. Invece, diversamente dai comuni osservabili dell'universo, che pur sono dentro lo spazio conoscitivo dell'IO ma più o meno distanti da questo, Dio è proprio dentro la singolarità IO perciò è, come dire, una Singolarità dentro la Singolarità senza una "distanza" ulteriormente riducibile.
 Chiunque solo parli di prova di esistenza di Dio è fuori strada perché dovrebbe cercare, niente meno, che la prova che egli stesso, come Osservatore, esiste: Sembra pazzesco, ma a costui va comunque riconosciuta l'attenuante fortissima di vivere incastrato, come tutti, salvi pochissimi asceti, ma, questi, per tempi limitati, nell'oggettivismo più retrivo. Persino l'Aquinate era oggettivista! 
 Per liberarsi, almeno un poco, da questo stato di prigionia intellettuale, sarebbe auspicabile un compromesso cosciente con la vigente impostazione oggettivistica; molto di più non si può fare, almeno per ora. D'altra parte, ammesso che si riuscisse ad abbandonare completamente la mentalità oggettivistica, ci si ritroverebbe, non potendo far conto sulla "Conoscenza assoluta" (prerogativa per ora solo divina) nell'impossibilità pratica persino di scrivere un'equazione di un evento scientifico; una situazione che proprio non mi augurerei!. Il compromesso cosciente tra Realismo e Idealismo servirebbe, dunque, proprio per facilitare il lavoro di accrescere gradualmente, ma con migliori aperture, la Conoscenza che è la sostanza di cui è fatto l'Universo. ::)
#81
Tematiche Filosofiche / Re:La direzione della storia
18 Maggio 2016, 23:04:15 PM
Ad alcuni -spero non tanti-  la storia la ritiene una disciplina o, se si preferisce, un'argomentazione molto, anzi, disperatamente distante dalla scienza (anche quella detta "non esatta") sicché ne deriva che neppure i rispettivi linguaggi (della storia e della scienza) hanno tra loro qualcosa in comune. Personalmente  non condivido questo, diciamo, disfattismo benché riconosca le diversità evidenti tra queste discipline.
Per venire al sodo:  il linguaggio scientifico si muove entro un ambito che va dalla matematica applicata (quella pura fa scienza a sé) ad un linguaggio non strettamente matematico, a meno che non sia usato per valutazioni statistiche delle cose che concernono la disciplina scientifica in questione. Esempi di tali scienze vanno da quelle economiche alle sociologiche o alla medicina applicata (un'attenzione speciale, in quest'ultimo caso, va però riservata alla biologia molecolare). In ogni caso, anche se parliamo di discipline  non facilmente matematizzabili, vale pur sempre il principio di "causa effetto" seppure costruendo, come avviene nelle scienze classiche, solo catene di cause-effetti che appaiono molto impastate e sfumate trattandosi, sovente, di scienze "non esatte".
La storia non viene, almeno convenzionalmente, considerata una disciplina scientifica, ma, in fondo, lo è. Vi si applica regolarmente per  la costruzione di catene di causa-effetti senza la pretesa, né di chi parla, né di chi ascolta, di attendersi molta precisione e di andare oltre valutazioni e conclusioni approssimative. Anche per il linguaggio filosofico vale questo. :)  ;)
#82
Citazione di: HollyFabius il 17 Maggio 2016, 08:20:21 AM
Citazione di: paul11 il 17 Maggio 2016, 01:59:14 AM
Con rispetto, ma sorrido a come si intellettualizza una coscienza, è già evidente aldilà del contenuto di cosa scrivete, ma il fatto che lo pensate e lo riflettete.Ci sono altri organismi capacità di astrarsi temporalmente, di sedersi davanti ad un computer di comporre dei simboli linguistici e di comunicarli linguisticamente?
Eppure mentre siete assorti il vostro cuore pompa sangue,, i vostri polmoni assorbono ossigeno e innumerevoli attività biochimiche si esplicano contemporaneamente ma voi siete "fuori" da atti metabolici, avete una volontà.
Siete in una sospensione temporale, ma siete fisicamente dentro un tempo .
Utilizzate la logica? Induttiva,deduttiva e magari immaginazione e intuizione, perchè potete spostare le vostre angolazioni, prospettive per relazionarvi, C'è psiche, c'è una motivazione per cui siete lui a scrivere, a pensare, riflettere?
Potete avere attenzione, concentrazione, meditazione  e pur anche contemplazione.E chi altri ha queste possibilità di porsi alfi fuori di sè e relazionarsi a sua volta con se stesso, con il mondo con il divenire o l'eterno.La capacità di problematizzarsi, di ingaggiare una relazione di puro pensiero?

Il cervello deve per forza essere adattato per permettere tutto questo, e a sua volta è stato spinto da una complessità organica..
E' evidente che complessità significa maggiore organizzazione, con differenziazioni specialistiche, interagenti funzioni, ma con centrali decisionali e operative separate ma intimamente connesse. Il corpo deve innanzitutto sopravvivere e lo fa con automatismi ,poi è separata la sfera della volontà. Se la complessità non avesse generato specificità funzionali e spinto a formazioni superiori di sovraintendere i meccanismi noi non ci saremmo.

Un silicio drogato, germanio o chi per esso  che lavora solo con due colori (sistema binario)è meno potente di avere a disposizione l'intero spettro elettromagnetico. I sistemi organici hanno requisiti di plasticità, reattività, capacità di interazione fra loro che avrà permesso i primi abbozzi di autoregolazione.Una cellula è già un'organizzazione di energia e il suo codice sorgente o è un RNA o evolutivamente è un DNA. Il giorbo in cui il substrato hardware sarò organico sarà possibile amplificare notevolmente quella potenza che il bit con i pacchetti di Byte da quattro, otto, dodici, ecc, sposta con velocità e quantità attraverso scambi energetici sapientemente regolati da istruzioni esterne, Il limite attuale è l'elettronica a stato solido, dove le architetture degli hardware, le miniaturizzazioni, le applicazioni delle nanotecnologie potranno ancora potenziare. Si può simulare una coscienza con un computer ,ma non è un organismo autoregolativo e autocodifcativo in grado di automodificare con mutazioni ed espandere le sue possibilità.
E' la plasticità organica che permette di generare coscienza, per le proprietà fisiche e chimiche che hanno i composti organici come le ossidoriduzioni.
La coscienza non  si dimostra perché è il primo ed assoluto "sentito"  che sostanzia l'IO  e che sostiene, proprio in quanto riferimento assoluto dell'universo, ogni altro "sentito".  :)
#83
Tematiche Culturali e Sociali / Re:Matrimonio
16 Maggio 2016, 21:53:12 PM
Un mio parere su come evolveranno il matrimonio ed i suoi effetti non saprei darlo, suggerirei a chi si ponesse questa domanda  di..... RIVOLGERSI A DARWIN !(scherzo!)
#84
La questione ben nota della violenza largamente esibita ed approvata nei passi della Bibbia è un fatto che ora, anche e soprattutto per via del recentissimo libro di Vito Mancuso, sta diventando, diciamo così, l'argomento del giorno. Il libro di Mancuso è più che interessante perché è rivoluzionario anche rispetto alle precedenti posizioni dello stesso autore. Qualcuno potrebbe quasi pensare ad un capovolgimento delle sue posizione di cristiano, mi sento di dire che non è proprio così.
Credo personalmente che il puntare sulla violenza letterale della Bibbia per mettere in crisi il proprio credo religioso sia da prendere con le pinze. 
Sono convinto che la Bibbia come ogni altro scritto religioso, quale che sia la religione, sono essenzialmente trasmissione e comunicazione fra le generazioni dei popoli elaborate  facendo leva su intimi e personali sul "sentito" religioso, positivamente o negativamente percepito Qui non potei entrare nella complessità della questiono , mi limito a sottolineare i seguenti punti:

*L'inizio di una scrittura religiosa non ha  né una data, né una persona, né un luogo precisi, non perché è difficile determinarli ma proprio perché non ha senso che li abbiano.. L'elaborazione avviene senza che gli stessi autori lo sappiano.

** Le elaborazioni dette sopra disordinatamente e con contrasti, anche seri, tra gruppi di pensiero  coevi e no. tali contrasti possono riguardare il senso preciso da dare a certe elaborazioni oppure le negazioni, anche violente di esse.

*** Solo dopo estesi o estesissimi tratti di tempo, per una serie di consolidamenti quasi darwiniani, certe elaborazioni vanno a consolidarsi entro più definiti ambiti di pensiero e certe persone le fanno proprie e le sanno divulgare con i mezzi più moderni del momento. Creando dei punti forti.
Tali punti forti navigano, distinguendosi, nel grande flusso caotico del pensiero dei popoli e della storia di questi influendo sul flusso ed essendone a loro volta influenzati.

**** Concludo con un esempio: oggi tutti noi contribuiamo a questo flusso caotico sia quando ascoltiamo un'omelia o una lezione di catechismo, sia quando la critichiamo o rinneghiamo con forza queste idee religiose  e/o politiche, sia quando facciamo  le leggi civili e quando facciamo,in generale, politica, ma anche quando lavoriamo o rimaniamo del tutto indifferenti a queste cose, quando scriviamo i nostri giornali o i nostri libri (come ha fatto Mancuso), eccetera.

***** In altre parole, la parola di Dio è nella coscienza degli uomini ed elaborata da nessuno di questi in particolare, ma dall'insieme di essi. Questo insieme oso chiamarlo "IO" o forse meglio ancora: "IO sono" o anche "IO cosciente". Attenzione questi IO non sono "io" che è l'io comune di tutti i giorni. ::)  :-[  :)
#85
Citazione di: cvc il 27 Aprile 2016, 10:13:51 AM
Potremmo accontentarci del "penso, dunque sono" cartesiano. Però da questa rivelazione non scaturiscono corollari. Cartesio ha tentato, partendo da questo punto, di dimostrare l'esistenza di Dio e del mondo, ma tali ulteriori argomentazioni gli vennero confutate a differenza della prima. Quindi dove ci porterebbe la dimostrazione rigorosa e formale dell'esistenza della coscienza? E poi, lo sappiamo già, almeno per absurdum. Un essere senza coscienza non si interrogherebbe sulla coscienza. Anzi, un essere senza coscienza non potrebbe interrogarsi su nulla, a meno che si pensi che un computer che rovista nella sua memoria si stia interrogando. Allora si potrebbe pensare che anche un sasso che cade si stia interrogando se continuare a cadere o no. Agire secondo necessità non significa avere coscienza.
.
La coscienza è il primo "sentito"  dell'"Osservatore" -cioè dell'IO cosciente-  che, come tutti i sentiti, per esempio, il tempo, è indimostrabile e se si  tenta di farlo, come accadde a S. Agostino,  si incorrere inevitabilmente in tautologie.  Concludo che l'IO, coscienza osservante è riferimento assoluto nell'universo, dichiara quali oggetti logici dell'Universo (che poi, quest'ultimo, altro non è che l'altra faccia dell'IO stesso) debbano essere i mattoni irriducibili del Suo universo ed accettati come tali. Per esempio Euclide dichiarò (e non definì, nonostante i suoi sforzi) la linea retta, più precisamente, non proprio la linea retta ma la proprietà di essere retta
#86
Tematiche Filosofiche / Re:Che cos'e' la Liberta'?
06 Maggio 2016, 22:43:50 PM
Secondo l'idea comune e corrente del concetto di libertà, questa sarebbe la possibilità, da parte dell'Osservatore (ma anche, più semplicemente, da parte dell'osservatore), di agire a proprio piacimento con pochi o nulla ostacoli al riguardo. 
Questa possibile risposta, tuttavia, non va oltre la visione comune che si ha del mondo, bisogna però tener conto del fatto che questa possibile "libertà" di agire dell'Osservatore nell'ambito del Suo universo è strettamente legata alla, diciamo così, misura della Conoscenza dell'Osservatore, appunto, che conferisce a questo il potere di agire a piacimento! Il discorso si fa qui complesso e riguarda l'unicità del duo  inscindibile: Universo-Osservatore.  :)
#87
Citazione di: Freedom il 01 Aprile 2016, 16:11:34 PM
Ripropongo questo thread fiducioso che possa essere oggetto di ulteriori sviluppi.
L'incipit iniziale era questo:
La tesi di questo thread è che i credenti e i non credenti sono sullo stesso piano per quello che riguarda la probabilità che essi abbiano ragione.
Più che tesi a me sembra di tutta evidenza, tuttavia, ci sono molte persone che contraddicono questa affermazione. Queste ultime sostengono, pur non avendone l'assoluta certezza, che Dio non si percepisce dunque non c'è. E questa posizione è maggiormente veritiera di coloro i quali sostengono che (Dio c'è/Dio non c'è) stanno alla pari.

Qual è la vostra opinione?

Lo sviluppo è questo:
http://www.riflessioni.it/forum/spiritualita/14736-credere-o-non-credere-sono-due-ipotesi-con-uguale-probabilita-ma-di-segno-contrario.html

La direzione verso la quale mi piacerebbe approfondire è quella indicata dall'amico Giuseppe dove "il credere" è qualcosa di più di una idea, qualcosa di più di un convincimento....
Scrive Giuseppe:
Che dire?
Da quando mi sono registrato sto dicendo che per credere occorre avere lo Spirito, che la fede non è un sapere ma un sentire, che chi non crede non crede perché non può credere, che al credere non si arriva attraverso i libri, che la dimora della fede non è il cervello ma il cuore, che la fede alla quale si arriva con il ragionamento è fede mentale cioè non stabile ecc...., ma ancora argomentiamo su l'esistenza del Signore Dio facendo ricorso al metodo scientifico, razionale ecc.
A riguardo delle probabilità di concludere che il Signore Dio esista o no, che in ogni caso non ha nessuna relazione con Fede vera o con la non fede trattandosi solo di elucubrazione mentale, non è un fatto probatorio di tipo incondizionato, ma è una conclusione che dipende dallo stato psicospirituale della persona.
Il credere/la fede è come l'appetito chi è vivo lo sente chi non è vivo non può sentirlo.
Chi non può sentire si diletta a produrre tesi che non stanno ne in cielo ne in terra.
La fede è come l'amore, anzi è l'amore, che non si spiega, ma si sente.
Ciao a tutti - Giuseppe

#88
Tematiche Filosofiche / Re:Che cos'e' la Liberta'?
01 Maggio 2016, 20:40:37 PM
Se ci manteniamo dentro il sentito comune nei confronti di termini come: libertà, bisogno, necessità, schiavitù allora condivido le conclusioni del post a cui sto rispondendo né avrei cose sostanziali da aggiungere. Qualche riserva potrei riservare là dove il termine libertà venisse esteso a significati più generali del consueto sentito comune. ???
#89
Tematiche Spirituali / Re:il perdono: quanto costa?
27 Aprile 2016, 21:37:58 PM
Citazione di: Mariano il 27 Aprile 2016, 18:47:17 PM
Citazione di: giona2068 il 24 Aprile 2016, 10:08:58 AM
Il perdono non costa niente (a nessuno). Il perdono è l'amore chi ama perdona senza fatica, e, dirò ancora di più, chi ama non ha bisogno di perdonare, cioè rinunciare alla vendetta, al rancore ecc.., perché nel cuore di chi ama non entrano queste porcherie. Chi non ha l'amore non può perdonare e quando dice di aver perdonato in verità lo dice perché chi gli ha chiesto il perdono ha nutrito la sua superbia dal momento che gli ha dimostrato  che lui ha ragione. Il torto ricevuto rompe l'unita fra due persone. Chi offende rompe il dialogo/unità e chi riceve l'offesa, se ha l'amore, non rompe l'unità ma non la vive più. Chi non ha l'amore rompe l'unità a vantaggio del rancore. A questo punto l'unico modo per tornare all'unità è il perdono, ma il suo fondamento è il pentimento sincero e qui le cose si complicano perché occorre la disponibilità all'umiliazione che è difficile da trovare. Il perdono senza umiliazione è un perdono che possiamo definire "tecnico" o di convenienza ma non porta nessun vantaggio, in particolare non ricostituisce l'unità.
Parlando di perdono quasi sempre il nostro pensiero va verso il perdono che dobbiamo dare ad altri, ma a nessuno piace di ammettere che dobbiamo essere noi a chiedere il perdono. Questo succede a causa della ns superbia ed il ns orgoglio che sono satana in persona.
In ogni caso se vogliamo essere perdonati dobbiamo chiedere il perdono ai ns fratelli, se abbiamo offeso loro, e dobbiamo chiedere il perdono al Signore Dio se abbiamo offeso Lui preferendo i ns idoli al Suo Santo Spirito. Chi dice di aver ricevuto il perdono dopo aver confessato la colpa a qualche sacerdote, magari sordo, inganna se stesso se non chiede il perdono alla persona offesa. Chi non perdona non è meno colpevole di chi lo ha offeso. Il perdona giova tanto a chi perdona perché libera il cuore dal rancore che è come un acido che ci corrode.
C'è qualcosa che mi sfugge nel tuo ragionamento che in buona parte condivido e cerco di esprimere il mio pensiero:

  • per ricevere il perdono per un torto che ho commesso è necessaria la mia disponibilità a riconoscere di aver sbagliato ( tu la chiami umiliazione, ma io ritengo che il riconoscere un errore debba chiamarsi onestà morale);
  • quindi per perdonare un torto ricevuto dovrei assicurarmi che chi ha sbagliato nei miei confronti lo riconosca, ma questo potrebbe essere un nutrimento alla mia superbia.
  • il perdonare ritenendo che chi mi fa un torto non è consapevole della propria azione e quindi senza il riconoscimento dell'errore è sempre da considerarsi superbia?: ritengo di no, ma ritengo anche che nel perdonare è necessario (senza rancore) cercare di spiegare perché riteniamo di aver ricevuto un torto..
Aggiungo un mio chiarimento al significato di "costo del perdono (o del perdonare). ecco:
-per "costo" ho inteso significare il sacrificio (talvolta, ma non necessariamente, anche economico, normalmente trattasi di sacrificio psicologico o anche spirituale, ma anche di fastidio percepito da chi perdona).

- un "costo" poco significativo (o divenuto tale nel tempo) o per altra causa come, per esempio, la esiguità del danno materiale o morale dell'offesa arrecata, invalida il valore del perdono e parallelamente anche il merito di chi avrebbe perdonato.
#90
Tematiche Filosofiche / Re:La direzione della storia
26 Aprile 2016, 13:37:37 PM
Citazione di: Jacopus il 15 Aprile 2016, 18:56:17 PM
Questo argomento mi è stato suggerito da quello che ho aperto a proposito della violenza nelle Sacre Scritture. Ad ogni modo si tratta di una semplice domanda che è l'oggetto di una disciplina filosofica, la filosofia della storia: "La storia ha una direzione?".
Si potrebbe pensare alla storia come a un percorso causale (freccia casuale), oppure ad un progressivo miglioramento ed innalzamento (freccia verso l'alto), oppure ad un progressivo peggioramento (freccia verso il basso), oppure ad un'opera già programmata (freccia teleguidata), oppure all'eterno ritorno delle cose (freccia circolare). Ogni concezione ha i suoi fautori, i suoi punti critici, e una sottostante Weltanschaung. Voi cosa ne pensate?
.
La direzione del percorso della storia acquista un senso se riferito al sistema di riferimento assoluto universale che è l'Osservatore cioè l'IO nella sua unicità. Solo così assumono significato tutti quei termini particolari come, per esempio, il Tempo, quello di Sant'Agostino, ma non solo,che riteniamo essere indefinibili per via del fatto di cadere  in inevitabili tautologie quando tentiamo di spiegarli o definirli.  Questa problematica  discende dalla convinzione errata, ma inevitabile nella vita quotidiana dell'umanità,  di  ritenere l'Osservatore, ovvero l'IO, come  sostanzialmente, seppure non completamente, esterno rispetto al resto dell'universo e da questo in buona parte indipendente. Questo  alimenta la credenza di considerare del tutto ovvio e naturale fissare sistemi di riferimento stabili ed assolutamente (o quasi) indipendenti da ciò che è il resto del mondo e ciò che vi avviene. Una visione del mondo in ottica idealistica teoricamente correggerebbe  l'errore (ma non facciamoci troppe illusioni, perché ad una visione idealistica l'Osservatore, cioè l'intero universo, non è abituato. Teniamoci, dunque, la nostra vecchia visione oggettivistica, purché ne siamo intelligentemente coscienti, ciò significa di non ritenerci in una botte di ferro quando, per esempio, un esperimento scientifico, specie dopo l'avvento della fisica quantistica, ci sembra che abbia dato la così detta "prova oggettiva", qui è proprio quando bisogna conservare questa umiltà. :o   ;)