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Messaggi - Sariputra

#751
Citazione di: Phil il 24 Giugno 2018, 11:51:56 AM
Citazione di: Socrate78 il 23 Giugno 2018, 22:26:06 PMIl multiculturalismo è un inganno, ha nel meticciato la sua espressione, e cioè si qualifica per un NON ESSERE PIU', non essere più né cristiano né musulmano, non essere NIENTE in fondo. Ed ecco allora che una popolazione senza valori culturali ed etici di riferimento è più governabile e manipolabile, è lo stesso meccanismo del lavaggio del cervello, si distrugge ciò che c'era prima per immettere nuovi ideali modellati su chi ha il potere.
Sarei un po' più cauto: lavare il cervello può significare anche ripulirlo da incrostazioni e renderlo più limpido... e un cervello lavato, se funzionante, può fare maggiore opposizione di un cervello impolverato ;) Secondo me, non si può essere "niente": non si può non avere una visione del mondo, per quanto personale, o estemporanea, o confusa. La contaminazione non è una eliminazione del "vecchio" che lascia uno spazio vuoto, è un mischiare gli ingredienti (anche aggiungendone di nuovi) che dà un risultato meno "standard" e prevedibile (per quanto ogni novità possa talvolta essere associata ad un iniziale brivido di disagio). A volte si sottovaluta il fatto (o l'interpretazione) che non avere un popolo con chiari valori etici o una cultura ben definita, significa, per i politici che volessero assoggettarlo, anche non avere elementi su cui fare leva: ad esempio (banalizzo molto), se il popolo è molto credente si farà leva sulla fede, se è "chiuso" e orgoglioso si farà leva sul nazionalismo, se è spaventato si farà leva sul populismo, se è avido si farà leva sull'economia, etc. tuttavia se il popolo è multiculturale, eterogeneo, "fluido", su cosa si farà leva per vincere elezioni, circuirlo o tenerlo in scacco? Prova a pensare di essere un aspirante demagogo (o "dittatore non violento"); probabilmente la prima informazione che vorresti avere è sull'identità culturale del popolo che vuoi asservire, per sapere quali "tasti" occorre toccare (e come) per parlare alle loro "pance", ai loro ideali, ai loro retaggi, etc. Se hai di fronte una società multiculturale e "multivaloriale", ciò è decisamente più difficile... così come è difficile che ci sia una maggioranza netta da ingraziarsi... Nella mia ignoranza politica, mi pare che il cambio di paradigma, dai partiti con ideali (sulla carta) granitici ai movimenti (sulla carta) meno ideologizzati, possa essere letto non (solo) come uno sgretolarsi delle politiche novecentesche, ma piuttosto come un ricombinarsi più dinamico di idee e visioni del mondo (e se non si conoscono esattamente i gusti del pesce, non è facile preparare l'esca).

Beh!..Se prendiamo una delle società multietniche per eccellenza, gli Stati Uniti, non direi proprio che il tuo ragionamento funzioni molto... ;)
#752
cit.Phil
Eppure, anche intenderlo come "assoluta potenzialità" significa comunque cristallizzarlo in un concetto utile, contenitivo e "invalicabile" (chi può andare oltre l'"assoluta potenzialità"?), demarcante un certo orizzonte .

Beh!...è sicuramente un concetto utile per parlarne, né più né meno che il concetto di "relativo", a parer mio. Nel momento stesso che ne devi parlare, lo cristallizzi inevitabilmente. Si tratta sempre di non confondere la definizione con la dinamica che ne soggiace...
Una dinamica potenzialità è per definizione 'valicabile'.

Proponevo di "rasoiarlo" (con rispettosa delicatezza) proprio per evitare di fare fallimentarmente i conti con qualcosa che non può essere dentro la nostra pratica.

Qui il problema è per come lo intendi. Se tu lo vedi come esterno a te, come qualcosa che devi raggiungere, ma di cui non sei parte, allora sei destinato al fallimento della pratica. Ma se la pratica è essa stessa una dinamica dell' assoluto , di cui sei parte, le cose cambiano. In realtà non c'è nulla da raggiungere. Altrimenti crei la solita dualità di assoluto e relativo, che è solo concettuale...è inutile "rasoiare" il vuoto, oltre che ridicolo alla fin fine... :) ( forse serve a mitigare qualche forma di antipatia "ideologica" verso il termine, che io invece sento come 'neutro', come del resto sento il termine 'relativo'...e diciamo che alla fin fine possono servirci ambedue, almeno per discuterne amabilmente e ampliare le possibilità...).

Perché indirizzarci dove (suppongo) non si può arrivare? E se fosse banalmente una "spinta alla relazione verso altro-da-sé"?

E ti sembra una cosa banale una "spinta alla relazione verso altro da sè"? Io la vedo proprio come una freccia scagliata verso l'assoluto, se è autentica questa spinta.
Il concetto di relativo rischia di 'rinchiuderti' nella tua gabbia mentale e ritenere che i muri siano la sola realtà ( da qui l'individualismo sfrenato dei tempi che viviamo...). Di più, che i tuoi muri personali, siano i muri di tutti e di tutto. Ossia fare della propria vita relativa un metro assoluto di misurazione.
E infatti affermi che è inutile indirizzarci verso dove non si può arrivare. Così hai già deciso che il muro della tua gabbia è il confine della tua esperienza.  E come fai ad esser sicuro che sia il confine di tutti e di tutto? Questo diventa contraddittorio con la necessità della libertà nel "vagabondare" per i campi della filosofia, di cui parlavi sopra, mi sembra...

Perché dare un nome (sia predeterminato che vago) alla mèta?

Infatti non c'è alcuna meta ( sia predeterminata che vaga) da nominare o da raggiungere. Perciò...

non ne abbiamo bisogno per (e qui ti faccio eco) relazionarci a ciò che è "al di qua" del presunto assoluto.

Questa frase rivela che tu intendi l'assoluto come trascendenza e non come qualcosa che è tuo, di cui sei parte e che manifesti nel tuo agire. Lo vedi esterno e ritieni di non aver bisogno del concetto perché tu "stai al di qua". Ma che vuol dire al di qua o al di là. Di che cosa? Non ha senso...

Per superare questa dualità allora, per par condicio, "rasoiamo" ambedue i termini...così da non stare al di qua o al di là, ma semplicemente stare qua... ;D  ;D
Ciao
#753
@Phil

Il problema dell'assoluto come limite si presenta quando lo si intende e lo si cristallizza in un particolare concetto o forma. Un'assoluto inteso invece come assoluta potenzialità è esattamente il contrario di una posizione fissa, che pone limiti invalicabili, che osteggia il 'vagabondaggio' filosofico, come l'hai definito.
Credo che sia un errore il contrapporre questi termini, assoluto e relativo, e lo si vede storicamente nell'affermarsi di culture 'chiuse' quando si dà il prevalere di uno sull'altro. Nel presente, in una cultura di fatto dominata dal relativismo, troviamo lo sviluppo di una società individualistica che, ponendo i moti e i desideri del proprio io al centro di ogni cosa, crea individui dall'ego ipertrofico.
Una tensione interiore verso un assoluto che sempre si deve cercare, che è sempre al di là del mio misero orticello di pulsioni e desideri, oltre che porci in una giusta prospettiva, a parer mio, di relazioni autentiche con l'altro, con ciò che è al di fuori del mio ego relativo, non minate dall'utilitarismo, combatte il  continuo creare questi mondi 'grigi' , parzializzati  dall'assunzione come 'assoluto'  del momento interiore fuggevole, dall'eccessiva importanza, poco relativa, che si viene a costruire artificiosamente  sulla propria 'personalità'. Così , mentre ciò che ci circonda è relativo, non sappiamo assumere anche il nostro ego nello stesso modo ( qui direi soprattutto il nostro desiderio egoistico...) che di fatto diventa il nostro nuovo assoluto.
Se potessimo usare il termine 'relazione' anzichè la coppia assoluto-relativo, ci troveremmo a risolvere molti dei limiti  dei due concetti.  E' giocoforza una danza di relazioni e di interdipendenza reciproca , quella in cui ci troviamo ad esistere. La spinta interiore verso qualcosa che esca dal recinto angusto del proprio ego, diventa quindi relazione verso l'assoluto. La spinta esteriore verso tutto il relativo dei fenomeni che ci circondano e ci costituiscono diventa relazione verso l'altro, ma relativa relazione autentica, non un'ipocrita maschera che mettiamo per nascondere il nostro nuovo dio, il nostro ego smisurato.
Se c'è un abisso interiore che ci tormenta dentro di noi, lo dobbiamo investigare ed entrarci in relazione. E se c'è un tormento esteriore dato dal continuo cozzare gli uni contro gli altri...anche con questo dobbiamo entrare in relazione e, se ci riusciamo, fare pace.  :)
#754
Rieccomi a voi al mutar della marea (cit. Tolkien)
Pur essendo parecchio 'svuotato' d'intenti e di energie, volando tristemente rasoterra, e ammirando da lontano le aquile in volo sopra le cime...non resisto a buttar giù due righe su un tema, un classico direi del forum, che ci ha visto spesso protagonisti di accese discussioni, senza mai giunger a risoluzione.
Premettendo, come al solito, che non son filosofo (desiderei tanto esserlo veramente, ma la mia pigrizia lo ha sempre temuto in verità...ravvisando forse un pericolo ad un certo grado di selvaggia libertà) voglio introdurre una concezione di assoluto 'capovolta', si può dire.
Noi solitamente, istintivamente direi, ci formiamo un'idea d'assoluto come 'pienezza', come qualcosa di 'grande' che contiene qualcosa di 'piccolo', cioè di relativo, di dipendente.
Ma esiste un'altra visione dell'assoluto: l'assoluto come assoluto vuoto. Qui troviamo un vuoto ( vacuità) che è essenzialmente uno spazio illimitato, uno spazio che concede potenziale, possibilità al venire ad esistere di ciò che noi , con una definizione, chiamiamo relativo.  Ciò che è (relativo) esiste in quanto vuoto.
Siamo tormentati da un'idea di vuoto come qualcosa di negativo. Infatti, quando pensiamo a qualcosa di assoluto, tendiamo sempre a riempire quest'idea ( e non potrebbe essere diversamente...) di proprietà e di attributi. Arriviamo a dargli un nome o ad identificarla con qualcosa di "esistente", per esempio l'energia. La mente non trascende la sua limitata capacità e non vede dove essa stessa poggia/sta sospesa: il vuoto che permette il suo insorgere e svanire. Lo specchio non può riflettere se stesso...
Però il vuoto , lontano da ogni definizione di positivo o negativo,  permette al relativo ( che chiamo semplicemente ciò che è, e non vado più in là...) di dispiegarsi e nel suo dispiegarsi manifestare la sua esistenza come vacuità e nella vacuità; nel suo venire ad esistere in questo spazio illimitato, neutro ma fecondo.
Come può essere definito negativo un vuoto che dà pienezza e possibilità?
Come può essere definito positivo un vuoto che toglie e limita?
Assoluto e relativo formano una dualità illusoria: ciò che è non può che essere nel vuoto e il vuoto non può che manifestare ciò che è. 
La nostra natura relativa è quindi la natura stessa dell'assoluto. Di più, partecipando della natura dell'assoluto, la nostra natura relativa è la stessa natura di ogni altro essere.
Questa è una grande potenza, grande perché illimitato è questo vuoto, che genera anche una grande compassione. Si può dare il nome di Dio a questa grande compassione generata dalla potenzialità del vuoto, non è così importante ( ma può essere utile e di conforto per molti...) se si realizza questa reciproca compenetrazione di vacuità e d'esistenza...
Questa compenetrazione impedisce che il Reale  possa essere appreso tramite la Ragione, in quanto non può venir categorizzato e reso relativo. La Ragione si potrebbe definire come falsificatrice del Reale. Il Reale è qualcosa in sè, auto-evidente...
La Ragione, che capisce le cose attraverso la distinzione e la relazione è un principio di falsità, perché distorce e nasconde la vacuità del Reale.
Questo assoluto vuoto illimitato, non essendo condizionato da alcuna distinzione e relazione, è reale in quanto incondizionato e non può essere concepito con definizioni come esistenza, non esistenza o entrambi...
Lascio perdere la riflessione Madhyamika per cui  proprio la scomparsa  effettiva e completa del pensiero è l'intuizione del reale, intuizione che non sorge da nessun luogo ma che, come la vacuità, è sempre presente, perché ci trascinerebbe in territori "mistici" ... e so  che possono creare 'reazioni allergiche' a molti...  ;)
L'assoluto non è quindi una realtà posta contro un'altra, l'empirico. Questo assoluto, quando lo 'vediamo' attraverso le forme del pensiero è fenomeno.
Il fenomeno, liberato, spogliato direi, dalle forme di pensiero sovraimposte è l'Assoluto.
Per questo nella filosofia hindu si parla di samsara o samvrta, letteralmente 'coperto' ( ...dal pensiero).
Mò ve asso... :)
#755
Tematiche Spirituali / Re:Karma e reincarnazione
19 Marzo 2018, 17:28:49 PM
cit.L.Bagnara
Se ricordo almeno una delle mie vite precedenti, vuol dire che ho vissuto vite precedenti; ma allora, come ho vissuto vite precedenti, così è ragionevole aspettarsi di vivere vite future. Questa è reincarnazione. Non della personalità che, siamo tutti d'accordo, è impermanente; ma del suo supporto, quella "lavagna" di cui parlavo nel mio post precedente.

Se tiri via la "personalità" puoi affermare che quella "lavagna" è 'tua'?  Il ricordarsi non significa che ci sia un'identità fissa e immutabile che possiede quei ricordi. Il termine 'reincarnazione' mi sembra supporre che ci sia qualcosa di 'fisso' che passa attraverso varie vite, "di carne in carne" per così dire. Mentre nella rinascita c'è qualcosa di nuovo che si viene a formare gravato del peso di ciò che lo ha preceduto ( visto che nulla si distrugge ma tutto si trasforma...). Infatti ri-nascere sottintende che c'è una nuova nascita di "qualcosa" (nella concezione buddhista dell'aggregato coscienza/frutto dell'azione/brama d'esistere, quindi di un 'processo' non di una individualità).
Ho riflettuto quest'oggi su come trovare un esempio concreto per meglio esemplificare 'sta teoria e...non mi è venuto in mente niente di meglio purtroppo che riprendere il tema del ciclo naturale della vegetazione. Ogni albero produce un seme che, quando cade nel terreno, e in presenza di favorevoli condizioni, germina e dà vita ad una nuova pianta.
Il vinnana/coscienza che si sostiene e trova nutrimento nella propria brama d'esistere, nel proprio ardente desiderio di durare e che così genera continuamente nuove azioni atte a soddisfare questo desiderio, è paragonabile all'albero che produce un nuovo seme. Seme che, in presenza delle condizioni adatte genera una nuova 'personalità' fittizia, un nuovo fantasma atto a soddisfare questa brama inesauribile. Se non c'è albero non può esserci seme che rinasce. Il processo di coscienza che tende sempre a rinascere genera la coscienza che rinasce. Rinasce nè uguale nè del tutto diversa dal processo che l'ha generata. Come il seme non è l'albero , ma nemmeno è del tutto diverso da questi.
cit.
Io amo la sintesi, e credo che a domande così dirette si debbano dare risposte dirette.
Sari, riesci in a rispondere in una parola a questa domanda: dopo la morte, credi che riaprirai gli occhi, SI' O NO?

NO, il Sari non riaprirà i suoi occhi, ma temo che il pocesso che ha generato il Sari proseguirà la sua attività e ancora cercherà l'umidità adatta per ri-nascere , per placare la sua sete...sempre se, nel frattempo, il fantasma Sari non realizzerà la Suprema Illuminazione... ;D  ;D
Il fatto non mi consola per nulla...Questa mente, quando deve relazionarsi con L.Bagnara,,con Suttree, con Apeiron, ecc. usa un linguaggio che non può trascendere l'uso dei termini: io-tu-noi, ecc. Quindi non può sfuggire alle contraddizioni del linguaggio.
Quindi sicuramente questa identità ballerina mi seguirà come un ombra ogni volta che aprirò bocca per dire che è proprio una gran impicciona...Dovrei stare in silenzio? E' una bella domanda...che mi faccio spesso anch'"io" ( ma anche la domanda va e viene nella mia zucca vuota...) cit. da me stesso...

cit.Suttree:
Scusate, sarò fatto del peggior coccio, ma io davvero non riesco a capire una cosa: se tutto, ma proprio tutto è impermanente, che senso ha parlare di rinascita? Dopo la morte il nostro fisico torna polvere, e questo lo sappiamo. Ma se tutto è transitorio, se anche dei nostri pensieri, la nostra memoria, il nostro Sè superiore non resta alcuna traccia... beh allora basta leggere un Giacomo Leopardi o un Sartre  :)
Potete spiegare in parole povere ad un povero ignorante che differenza sostanziale c'è tra il nichilismo e il buddismo, nell'ottica della morte annientatrice?

Proprio per la loro impermanenza e vacuità le cose possono esistere e divenire. Non è annichilimento perché , nella visione buddhista, vi è un elemento che non appare ma che trascende l'impermanenza, ed è l'elemento Nibbana/nirvana, ciò che non rinasce, che non diviene, che non brama nulla, ecc....l'"altra riva". Il Senza Nome...ciò che si 'tocca' quando l'incessante rinascita cessa...ed è "qui e ora"...la sua funzione è "dare pace"...
A volte possiamo 'gustarlo' nei brevi attimi in cui sappiamo e possiamo lasciar andare il nostro attaccamento a questo incessante divenire e cessiamo di identificarci con il nostro senso dell'io-mio...

cit:Apeiron:
Quella che viene chiamata "esperienza" non è una "cosa" bensì un processo. Dunque, anche se non si trasmette nessuna sostanza da una vita all'altra il processo continua. Non c'è una "sostanza" ma questo non significa che il processo si debba arrestare. La morte per il Buddhismo non è la fine di questo processo, perchè il processo è mantenuto dalla "sete" (tanha). In realtà la morte secondo il Buddhismo è piuttosto simile al sonno e la "rinascita" è simile al risveglio dal sonno. Chiaramente c'è continuità tra un giorno e l'altro. Dunque per un Buddhista c'è continuità tra una vita e l'altra.
Inoltre, come nelle altre religioni indiane c'è l'idea che una mente ben allenata possa ricordare le "vite precedenti" e stabilire che c'è vita dopo la morte. Non a caso nel testo che ho citato nella mia risposta precedente si dice che è corretta visione dire che: "ci sono dei bramani e degli asceti che, comportandosi rettamente e praticando rettamente, proclamano questo mondo ed il successivo dopo averlo conosciuto direttamente e realizzato personalmente'."

Caro Apeiron, sono stanco ormai, e Villa Sariputra ha bisogno di un nuovo patriarca. La paga è bassa, ma il paesaggio è ameno, le dolci colline ricoperte di vigneti rosso fuoco al tramonto, le botti piene, gli animali da accudire, le cipolle, ecc.. e le abitanti della Contea....non so se mi spiego  ;)
Che ne dici?...
Posso finalmente salire la montagna?...
#756
Tematiche Spirituali / Re:Karma e reincarnazione
19 Marzo 2018, 11:10:08 AM
La ri-nascita , nella concezione del Buddhismo delle origini, è un evento che vede all'opera tre forze  che agiscono in perfetta interconnessione: la coscienza ( che chiameremo più correttamente, nella specifica terminologia buddhista vinnana...), l'agire ( detto kamma...) e la brama d'esistere ( che chiameremo tanha...). Ora, a differenza della concezione comune occidentale,la coscienza/vinnana non è qualcosa di unitario e statico, bensì viene vista come un flusso condizionato di elementi che insorgono , divengono e cessano.
Le dottrine del kamma e della rinascita appaiono come concezioni metafisiche , ma per il Buddha invece si trattava di un fatto verificabile, esperibile. Si affermava infatti che chiunque, concentrando la propria mente, era in grado di rammentare almeno una delle vite precedenti ( questo mi lascia perplesso sull'abbandono , da parte dell'uomo attuale, della coltivazione del raccoglimento interiore e della retta concentrazione, giusto per fare una verifica di questa affermazione... ;D ).
Il Kamma, che sottintende il processo della rinascita, non è un semplice meccanismo riduzionista di causa-effetto, ma qualcosa di molto più complesso che ha a che fare con i 'bisogni' generati dall'attaccamento alla catena del Paticcasamuppada (co-originazione interdipendente... della quale abbiamo già accennato in altro topic). Non si ha mai, nelle conseguenze generate dall'azione, un assoluto determinismo. Non c'è una corrispondenza biunivoca fra l'azione e il suo risultato futuro:
"Se uno dovesse affermare: 'Come costui compie un'azione, così, nello stesso modo, ne sperimenterà la conseguenza'- se questo fosse vero, non si avrebbe in alcun caso una vita santa, nè si potrebbe conoscere un'opportunità per arrestare il dolore" (Ang.3:110)
Secondo il Buddhismo la ri-nascita è condizionata , per l'appunto, da tre fattori:
"L'azione è il campo, la coscienza il seme e la brama l'umidità".
Il kamma determina il livello generale della successiva esistenza, il vinnana è legato alle aspirazioni e ai pensieri ( in particolare agli ultimi della propria esistenza...) e la tanha lega tutto il processo al dinamismo del paticcasamuppada.
La brama d'esistere/tanha inizia il processo di edificazione di una personalità, che ha luogo attraverso l'upadana ( l'attaccamento al piacere...). La tanha rappresenta la condizione di legame, di dipendenza al mondo e che ci costringe a tornare ad esso. Questo processo di accumulazione   e di costruzione inizia con la nascita e si sviluppa per tutta la vita. La sperimentazione dell'azione del kamma è presente già in questo aggregato corporeo anche se spesso non ne notiamo subito gli effetti ( come quando si viene infettati da qualche virus ma i cui effetti, come lo scoppio di una malattia, si possono subire anche dopo parecchio tempo...).
Un errore d'interpretazione del kamma è dovuto al fatto che lo si vede come una semplice accumulazione di azioni, mentre in realtà dovremmo vederlo piuttosto come un'accumulazione di forze. Le azioni, infatti, non sono che risultati di forze, vale a dire delle intenzioni salutari o nocive che le sottendono. Queste accumulazioni rappresentano così gli aspetti etici e morali della formazione della personalità nella vita presente. E' in questo modo che la coscienza/vinnana viene a formarsi come una "personalità di rinascita", appunto come un 'seme' che cercherà nuova 'umidità' ( brama) per rinascere.
(Utilizzo i termini della vegetazione, perchè è proprio in questa 'calda umidità vincolante' che prende forma la concezione del samsara tipica di tutte le tradizioni filosofiche del sub-continente indiano....)
Bisogna sottolineare con forza l'importanza di tanha/brama nel processo di costruzione della personalità di rinascita che vinnana opera di continuo, questo perché la nostra cultura occidentale  ha la tendenza innata di esteriorizzare ogni cosa e, se possibile, a trascurare e svalutare nel modo più completo la coscienza. Nel Buddhismo, al contrario, i processi coscienti erano considerati di fondamentale importanza. E' veramente difficile distinguere tra la vinnana e la tanha in quanto fattori di ri-nascita, poiché la seconda opera attraverso la prima ( questa fusione viene chiamataabhavatanha, 'brama di divenire'):
"Sradicata è la brama di divenire, distrutto il canale del divenire, ora non c'è più ritorno".(Sam. V 432).
Un altro termine con cui viene definito questo processo di ideazione e costruzione è chandaraga, 'ambizione e desiderio':
"...la coscienza si lega ad essi per ambizione e desiderio; dal momento che la coscienza è legata da ambizione e desiderio, ci si diletta in essa; deliziandosi in essa, si fa ritornare il passato" (Majj.III196).
Questo passo ci dà l'idea di come la coscienza/vinnana si attacca a determinate situazioni del passato e desidera ottenere di nuovo lo stesso tipo di sensazioni e quindi lo stesso tipo di "esistenza". Questo desiderio e ambizione ha lo scopo di legare la vinnana, ossia d'impegnare la coscienza per uno scopo ben determinato, ancorchè spesso inconscio: sognare una condizione futura desiderabile, di piacere. Si vengono così a costruire pensieri e immagini che potremmo definire come 'dinamicamente gravati' e in grado di spingere all'azione kammica ( cioè la ricerca intenzionale della soddisfazione di questa brama...).
Nel Samyutta N. troviamo un brano che dice:
"Se c'è desiderio, diletto e brama per il cibo materiale, per il contatto, per la volizione mentale e per la coscienza, allora lì si fissa e cresce la coscienza. Allora si ha la discesa del nome e forma, e ove c'è la discesa del nome e forma, crescono le attività. Ove crescono le attività, ci saranno ri-divenire e ri-produzione futuri. e quindi seguiranno nascita, vecchiaia e morte".
Il processo è simile a quello della pittura di un ritratto. Il pittore può creare il suo quadro solo se dispone dei colori e di una superficie su cui dipingere. Allo stesso modo noi ' costruiamo' la nostra vinnana/coscienza futura provando desiderio per questi quattro generi di 'cibo', ossia i generi di materiale adatti all'insorgere di una nuova personalità. La creazione, attraverso l'agire, è opera nostra, però troverà nuova forma solo se abbiamo tanha ( brama ).
In assenza di brama d'esistere cessa la costruzione...

Ora, lasciando da parte la dottrina buddhista, che ormai penso sia chiaro che per essa è il kamma stesso , e non altro, che viene a rinascere e quindi non si può parlare di reincarnazione ( Sari non muore qui e riappare là, dentro un altro corpo...ma il contenuto dinamicamente gravato della coscienza che muore determina l'insorgere della coscienza che nasce. Non c'è continuità di personalità, ma continuità di flusso kammico e perciò, esattamente, ri-nascita, ossia ri-apparire del kamma, sostenuto dalla brama d'esistere, che darà origine ad una nuova coscienza, gravata dal peso kammico che l'ha generata...) possiamo riflettere sul concetto di ri-nascita come una forma di spiritualità che ha il pregio di 'aprire' la prospettiva dell'esistenza. Ad esser onesti dovremmo dire che la rinascita,  quale risultato del nostro agire etico, quasi si oppone alla visione del "carpe diem", di quel "cogli l'attimo' che ormai sembra diventato il mantra ossessivo dei nostri tempi spaesati; 'carpe diem'  che sembra quasi tentare di formulare un nuovo tipo di etica spirituale liberata dalla paura del risultato delle proprie azioni. La visione kammica dell'esistenza invece impone una costante attenzione al nostro agire nel mondo in quanto, tutto ciò che facciamo e pensiamo, "darà frutti". Possono essere frutti sani o frutti bacati in ragione dell'etica stessa del nostro agire.
Il concetto è semplice: un albero di mele non darà mai come frutto dei fichi. Un azione malvagia non darà mai come frutto del bene. E cos'è un'"azione gravata di malvagità" se non un'azione che perpetua in noi un ri-nascere della malvagità stessa? Ecco che, seppur non accettiamo l'idea della rinascita kammica postmorte, considerandola una semplice speculazione metafisica, possiamo ben sperimentare, nel nostro attuale vissuto, nel nostro quotidiano agire e relazionarci con il 'mondo' ,costruito dalla nostra coscienza e dalla nostra brama, l'effetto dell'azione kammicamente gravata dall'intenzione. Una profonda consapevolezza dell'importanza del nostro agire, fisico e verbale, come qualcosa che non muore e si dissolve, ma che invece crea in continuazione stati salutari o nocivi in noi e in chi ci sta attorno e quindi crea 'mondi' di dolore, se l'agire è non salutare, o invece pianta semi di compassione e benevolenza, se la nostra attitudine è salutare, ci dono una grande prospettiva umana. Diventiamo artefici di un reale, possibile cambiamento. Il kamma quindi non è più un "fato" senza senso che ci grava sulle spalle, ma è la possibilità di uscire da un 'mondo' di sofferenza e, cosa ancor più importante, aiutare gli altri esseri senzienti, che soffrono per le nostre azioni, ad affrancarsene quanto più possibile.
Oscar Wilde diceva che "ognuno ha in sè inferno e paradiso". La visione del kamma direbbe che "ognuno ha in sé la possibilità di costruire la propria salvezza o la propria rovina"...
#757
Tematiche Spirituali / Re:Sono un essere inadeguato
15 Marzo 2018, 00:50:51 AM
-Seconda parte-

Martin Heidegger

Discorso di ringraziamento*


    In questi giorni ripenso spesso alla festa così ben riuscita del mio settantesimo compleanno. Mi sembra oggi, eppure dista un decennio. In questo breve lasso di tempo, il mondo senza pace ha subìto rapide trasformazioni. La più antica attesa, certo già fragile, che il patrio della patria [das Heimatliche der Heimat] possa essere ancora immediatamente salvato, non possiamo più nutrirla. Appropriate, parlano le parole che nel 1946 scrissi ad un amico francese: "La spaesatezza [Heimatlosigkeit] è il destino mondiale".1 L'uomo moderno sta per stabilirsi in questa spaesatezza.
    Ma questa spaesatezza si nasconde dietro un fenomeno che il mio amico Tsujimura già indicava e che io sinteticamente chiamo "civiltà mondiale"; da un secolo essa ha fatto irruzione anche in Giappone. "Civiltà mondiale" vuol dire oggi predominio delle scienze della natura, predominio e preminenza dell'economia, della politica, della tecnica. Tutto il resto non è neanche una sovrastruttura [Überbau], ma solo una fragile impalcatura [Nebenbau].
    Noi stiamo in questa civiltà mondiale. Con essa deve confrontarsi il pensiero. Questa civiltà mondiale ha intanto assoggettato la Terra intera. Perciò, signor Tsujimura, la nostra difficoltà [Not] è la Sua. Ella ha preteso un bel po' dai cittadini di Meßkirch e anche da me, tentando di rendere comprensibile il buddhismo zen con qualche esempio. Non posso qui entrare nel merito; vorrei, però, ricordare un fatto che forse Le è noto. Nel 1929, come successore del mio maestro Husserl a Friburgo, tenni la mia prolusione dal titolo Was ist Metaphysik?. In questa lezione, il discorso riguardava il nulla; ho tentato di mostrare che l'essere, a differenza di ogni ente, non è un ente e che in questo senso è un niente. La filosofia tedesca e anche quella straniera tacciarono questo discorso di nichilismo. L'anno successivo, nel 1930, un giovane giapponese di nome Yuasa, proprio dell'età e dell'aspetto di Suo figlio, tradusse in giapponese questa lezione, che aveva ascoltato frequentando il primo semestre. Egli comprese quel che la lezione voleva dire. Questo basti come risposta al Suo discorso. La ringrazio e La prego di salutare gli amici giapponesi e innanzitutto il Suo diretto maestro, del quale Lei è successore, il professor Nishitani, e di custodire con me il ricordo del suo maestro, il professor Tanabe, che nel 1922, quando io stesso ero ancora un principiante, venne a Friburgo, dove cercai di avvicinarlo ai caratteri fondamentali e ai metodi del pensiero fenomenologico. Egli divenne il pensatore più significativo del Giappone ed è morto in solitudine; verosimilmente in quel modo che Ella prima tratteggiava.

(trad.di Carlo Saviani- tratto da Centro Studi Asia)
#758
Tematiche Spirituali / Re:Sono un essere inadeguato
15 Marzo 2018, 00:46:42 AM
Discorso

Illustre Professor Heidegger,
Illustre Signora Heidegger,
Gentilissimo Sindaco Schühle,
Signore e signori,

   È un grande onore, non solo per me ma per la filosofia giapponese, poter tenere un discorso per l'ottantesimo compleanno del nostro grande pensatore. Perciò ringrazio di cuore le persone che hanno organizzato questa cerimonia.
   Il motivo per cui l'onorato compito è stato affidato a me, un ignoto giapponese, consiste probabilmente nel fatto che io, un allievo giapponese di Heidegger, se così posso dire, vengo da lontano. Dietro questo venire da lontano, però, corre una via piuttosto lunga, lungo la quale molti giapponesi hanno tentato, e oggi tentano sempre di più, di giungere in prossimità del luogo nel quale soggiorna [sich aufhält] il pensiero del nostro maestro. Mi si lasci allora ricordare brevemente alcuni importanti predecessori su questa via.
   Era il 1921 l'anno in cui per la prima volta un giapponese studiò presso il nostro pensatore durante la docenza a Friburgo. Il suo nome è Tokuryū Yamanouchi, più tardi fondatore dell'Istituto di Filosofia greca presso l'Università di Kyōto. Un anno dopo, nel 1922, arrivò a Friburgo il mio maestro Hajime Tanabe. Egli fu, per quanto io sappia, il primo a scoprire l'importanza del pensiero heideggeriano; non solo in Giappone, ma forse nel mondo intero. Nel suo saggio del 1924, Neue Wendung der Phänomenologie - Heideggers Phänomenologie des Lebens1, si può già ravvisare una prima versione di Sein und Zeit. Tanabe ha proseguito il suo dialogo con il pensiero di Heidegger fino alla morte, avvenuta nel 1962, ed è rimasto il pensatore più significativo del Giappone. Nei suoi ultimi anni, mi disse una volta: «Heidegger, a mio parere, è l'unico pensatore dopo Hegel». Poi, a Marburgo arrivò da Heidegger il barone Shūzō Kuki. A lui noi giapponesi dobbiamo la prima affidabile delucidazione di Sein und Zeit. Purtroppo, morì troppo presto, nel 1941. Nell'inquieto periodo degli anni trenta, il mio maestro e predecessore alla cattedra dell'Università di Kyōto, Keiji Nishitani, frequentò a Friburgo le lezioni di Heidegger su Nietzsche. Grazie alla profonda interpretazione di Nishitani diventò per noi accessibile il tardo pensiero di Heidegger, ad esempio quello espresso nel saggio su Der Ursprung des Kunstwerkes. Egli appartiene oggi, a mio parere, alla cerchia di coloro che nel modo più profondo comprendono il pensiero di Heidegger. Già da mezzo secolo, vi è così anche da noi in Giappone, in particolare all'Università di Kyōto, una continua assimilazione e trasmissione del pensiero heideggeriano. E così, anche a nome del mio maestro e predecessore ora ricordato, esprimo qui la nostra venerazione e la nostra riconoscenza al professor Heidegger.
   La lunga via prima accennata indica che il pensiero di Heidegger mantiene secondo noi un rapporto particolarmente importante con la filosofia giapponese. Di qui il titolo di questo discorso di festeggiamento, che da parte nostra vorrebbe essere un discorso di ringraziamento.
   Per tentare di descrivere questo rapporto, dobbiamo partire innanzitutto da una definizione e da una difficoltà costitutiva [Wesensnot] della filosofia giapponese. Se si considera la filosofia giapponese nel senso della filosofia in Giappone, allora anche là vi sono quasi tutti gli indirizzi della filosofia contemporanea. Essendo stati importati quasi tutti dall'Europa e dall'America, essi non costituiscono per noi un pensiero autoctono. Ma se intendiamo per "filosofia giapponese" quello sforzo di pensiero che non trae origine dal luogo [Ort] della filosofia occidental-europea, bensì sgorga dal fondo sorgivo della nostra propria tradizione spirituale, allora tale filosofia è qualcosa di molto raro. Vorrei qui di seguito intendere la "filosofia giapponese" in quest'ultimo senso; e questa filosofia vive un'essenziale difficoltà [wesentlichen Not].
   Noi giapponesi, fin dall'antichità, siamo in un certo senso degli uomini naturali. Vale a dire che non vogliamo in alcun modo signoreggiare sulla natura, mentre invece vorremmo vivere e morire quanto più è possibile in un modo conforme alla natura. Un comune giapponese disse ai suoi dal letto di morte: "Sto per morire. Come le foglie cadono in autunno." E un maestro zen, per così dire il progenitore della mia personale pratica zen, prossimo a morire rifiutò un'iniezione e disse: "Perché prolungare la vita con una tale forzatura?" Invece di prendere il farmaco, bevve un sorso del suo vino di riso preferito e morì in pace [gelassen]. Se ben cosiderato, qui si avverte un contrasto stridente tra la tradizione spirituale antico-giapponese e una vita determinata dalla tradizione spirituale europea e dalla scienza e tecnica europee. In breve, vivere e morire secondo natura: questo era, per così dire, un ideale per l'antica saggezza giapponese.
   Questo naturalmente non significa che noi giapponesi non abbiamo volontà, ma che al fondo della volontà regna la natura. La volontà è nata in prima ed ultima istanza dalla natura e sparirà nella natura, la quale però si sottrae ad ogni oggettivazione scientifica, pur rimanendo dappertutto presente. Natura in giapponese si dice shizen o jinen, "esser così come è da sé"; in breve, "esser sé" e "esser vero". Perciò "natura" nel giapponese antico era sinonimo di libertà e verità. Questa concezione della natura è stata approfondita attraverso la "visione della transitorietà e della vacuità" di tutte le cose, propria del buddhismo.
   Per mettere in luce la costitutiva difficoltà [Wesensnot] della filosofia giapponese nel senso già detto, volgiamo ora brevemente lo sguardo verso l'altro aspetto della questione. A partire dall'europeizzazione del Giappone, iniziata circa cento anni fa, abbiamo introdotto con tutte le forze la cultura e la civiltà europee in quasi tutte le sfere della nostra vita. L'europeizzazione è stata per noi una necessità storica, onde poter conservare la nostra indipendenza nel mondo attuale, vale a dire nell'ambito di potenza [Machtbereich] determinato dalla volontà. Ma, nel contempo, in essa vi è il pericolo di smarrire la nostra peculiare essenza, prima accennata. Per scongiurarlo, l'europeizzazione del Giappone è avvenuta grosso modo senza un'intrinseca connessione con la nostra tradizione spirituale. Da allora abbiamo dovuto subire nel più profondo del nostro esserci una grave scissione, quella tra il nostro modo di vivere e pensare, conforme alla natura, e la maniera occidentale di vivere e pensare, determinata dalla volontà, che siamo stati costretti ad accettare. Questa scissione rimane per lo più eufemisticamente velata e tuttavia visibile in una formula nata allora, "spirito giapponese e tecnica europea". Per tale "abilità" si intendono innanzitutto la scienza e la tecnica moderne. La scissione persiste ancora oggi nella nostra vita quotidiana. Noi "giapponesi europeizzati" dobbiamo condurre più o meno una doppia vita.
   Riportare in qualche modo ad un'unità originaria questa scissione dovrebbe  essere, a mio parere, il vero compito di una filosofia giapponese. Tuttavia, a prescindere da pochi tentativi, non le è ancora riuscito. Grosso modo, la filosofia giapponese è anch'essa rimasta nella stessa non mediata scissione, "spirito giapponese e tecnica europea", e lo è in una misura ancora maggiore. I vari indirizzi della filosofia europea, che dalla seconda metà del secolo scorso abbiamo tentato di trapiantare nel nostro Paese, non hanno potuto mettere radici nel nostro terreno; mentre, invece, sono stati quasi tutti semplicemente imitati come una moda o, al massimo, impiegati in un ambito limitato, come scienza e tecnica, al servizio della nostra vita sociale. Così, già il nome "filosofia giapponese" è un segno della sua originaria difficoltà costitutiva [Wesensnot]. Questa difficoltà proviene, da una parte, dal fatto che noi abbiamo accolto la filosofia europea senza un sostanziale confronto critico con il fondo sorgivo della nostra tradizione spirituale; dall'altra, dal fatto che i maggiori indirizzi filosofici non ci hanno permesso di toccare e di scuotere proprio quel fondo sorgivo della nostra vita spirituale.
   Ma con il pensiero di Heidegger si tratta di tutt'altro. Ciò che grazie al suo pensiero diventa degno di domanda [fragwürdig] è quel che noi già siamo e quel che di noi viene già in qualche modo compreso in una maniera non oggettiva; e che perciò nella scienza e nella filosofia rimane costantemente omesso, saltato [übersprungen]. A me sembra che la cosa in questione nel pensiero [die Sache des Denkens] di Heidegger conservi sempre questo carattere. Perciò, la cosa in questione nel suo pensiero si sottrae nella sua verità, non appena la si voglia semplicemente rappresentare, cogliere e sapere. E perciò il suo pensiero, per principio, rimane inimitabile. La cosa in questione più importante nel suo pensiero, accennata forse con la parola greco-antica alētheia (non-latenza), potrebbe essere esperita, in uno sguardo retrospettivo alla filosofia occidentale, e cioè alla metafisica, come un fondo nascosto della metafisica stessa. Così, la cosa stessa in questione, propria del nostro pensatore, ha dovuto richiedere un mutamento del pensiero – ossia il mutamento del pensiero filosofico in "un altro pensiero". Solo grazie a questo altro pensiero, ossia al "passo indietro [Schritt zurück] dalla filosofia", è stato "propriamente" scorto il "proprio" del pensiero filosofico, ossia dell'essenza [Wesen] del mondo occidentale e della sua umanità. Questo è un evento [Ereignis] inaudito. In questo senso, noi giapponesi vediamo nel pensiero di Heidegger uno scorger-si del "proprio" dell'umanità occidentale e del suo mondo.
   In considerazione di questo pensiero, anche noi giapponesi dovemmo necessariamente essere di nuovo gettati [zurückgeworfen] sul terreno dimenticato della nostra tradizione spirituale. Se posso qui riportare qualcosa di personale, subito dopo il primo incontro con Sein und Zeit, ancora nel periodo liceale, io sentii che almeno per noi giapponesi l'unico possibile accesso ad una reale comprensione di quest'opera di pensiero fosse nascosto nella nostra tradizione del buddhismo zen. Poiché il buddhismo zen non è altro che un intuire [Durchblicken] quel che noi stessi siamo. In vista di tale intuire, dobbiamo rinunciare al rappresentare, produrre, riprodurre, disporre, operare, fare e volere, in breve all'intera coscienza e alla sua attività, e ritornare su tale via al suo fondo sorgivo. Così dice anche uno dei più grandi maestri zen: «Devi innanzitutto imparare (...) il passo indietro [Schritt zurück]» (Dōgen, Fukan zazenji).
   E tuttavia, cos'ha a che fare il pensiero di Heidegger con il buddhismo zen? Forse nulla, da parte di questo pensiero che è un pensiero del tutto indipendente. Ma, da parte nostra, abbiamo moltissimo a che fare con questo pensiero. Qui dobbiamo limitarci a menzionare solo qualcosa del notevole rapporto tra il pensiero di Heidegger e il nostro buddhismo zen: a proposito dell'«albero in fiore», di cui una volta ha parlato Heidegger2.
   Lì, l'albero è in fiore. Heidegger così parla di questa semplice cosa: «Stiamo davanti ad un albero in fiore - e l'albero sta davanti a noi». Chiunque può dirlo. Poi, Heidegger descrive così questa situazione: «Ci poniamo di fronte ad un albero, davanti ad esso, e l'albero ci si presenta [davanti a noi]». Già appare la singolarità del suo pensiero: abitualmente, in tedesco si dice "noi ci (= a noi, dativo) rappresentiamo [stellen uns ... vor] un albero"; Heidegger dice invece «(Noi) ci (= noi, accusativo) poniamo di fronte [stellen uns ... gegenüber] ad un albero, davanti ad esso». Cosa accade in questa descrizione? Forse nient'altro che lo sparire del "noi" come soggetto che rappresenta e, nel contempo, dell'"albero" come oggetto rappresentato.
   Da Descartes in poi, pensare significa sempre: io penso, ossia io rappresento a me. Che io penso, Descartes lo intende a partire da ciò: io penso. Cogito significa "cogito me cogitare". Da ciò deriva la filosofia dell'Idealismo trascendentale e il principio schopenhaueriano, "il mondo è la mia rappresentazione". Al contrario, Heidegger descrive la situazione nel modo esposto prima. La situazione, in cui noi stiamo davanti ad un albero in fiore e l'albero sta davanti a noi, il nostro pensatore non la pensa o vede più a partire dall'"io penso", bensì dal "ci" [»Da«], dove sta l'albero, che è il suolo «dove viviamo e moriamo». Nella sua descrizione, noi siamo «saltati lontano dal consueto campo [Bereich] delle scienze e anche (...) della filosofia». Di fronte alla semplice cosa che lì l'albero è in fiore, noi, come soggetto che rappresenta, e l'albero, come oggetto rappresentato, non possiamo che sparire in un altro "rappresentare". Altrimenti nemmeno potremmo realmente guardare l'albero lì in fiore. Il buddhismo zen caratterizza questa situazione, ad esempio, in questo modo: «L'asino guarda nel pozzo e il pozzo nell'asino. L'uccello guarda il fiore e il fiore guarda l'uccello».
   Questo altro "rap-presentare" [»Vor-stellen«], in cui l'albero si presenta [sich vorstellt] e l'uomo si pone [sich stellt] di fronte all'albero, potremmo forse indicarlo come un rappresentare abbandonato [gelassenes]; al contrario, l'"io mi [= a me, dativo] rappresento" può essere definito per così dire un rappresentare volitivo [willentliches]. Noi dobbiamo saltare [springen] da questo a quello. Heidegger parla così di questo salto [Sprung]: dobbiamo dapprima «saltare sul suolo dove viviamo e moriamo», cioè «dove propriamente stiamo». Solo attraverso questo singolare salto, viene aperto un campo [Bereich], nel quale «l'albero e noi siamo». In questo campo, denominato «contrata» [Gegnet], l'albero ci si presenta davanti, come quello che è, e noi ci poniamo, così come siamo, di fronte all'albero in fiore. E tuttavia, questo campo è quello nel quale fin dall'inizio noi abitiamo e l'albero sta.
   Vorrei ora riportare dal buddhismo zen un esempio abbastanza adeguato. È un famosissimo kōan, un problema zen. Una volta, un monaco chiese al maestro Chao-Chou: «Perché il primo patriarca Bodhidharma è venuto in Cina?». E Chao-Chou rispose: «Cipresso nel giardino». Il monaco chiese di nuovo: «Maestro, ti prego, non ricorrere ad un oggetto!» Chao-Chou disse: «Non ricorro ad un oggetto.» Allora il monaco chiese ancora: «Perché il primo patriarca Bodhidharma è venuto in Cina?». Chao-Chou rispose: «Cipresso nel giardino».
   Si comprende da sé che il primo patriarca dall'India sia venuto in Cina per trasmettere la verità buddhista. Perciò la domanda del monaco vuol dire: «Qual è la prima e ultima verità buddhista?». La risposta di Chao-Chou suona semplicemente: «Cipresso nel giardino». Questa risposta illumina come un lampo, che con un solo colpo stende al suolo la domanda insieme al monaco che la pone e, nel contempo, fa balenare nuda e cruda la verità richiesta. Con una tale risposta, il monaco dovrebbe improvvisamente saltare [springen] sul suolo sul quale egli e il cipresso già sono. Ma il lampo non colpisce il monaco. Egli non bada alla risposta stessa di Chao-Chou, bensì al suo riferimento, il cipresso nel giardino come oggetto rappresentato. Per cui deve pregare: «Non indicare (la verità), ricorrendo ad un oggetto». Poiché fin dall'inizio il maestro Chao-Chou non l'ha indicata ricorrendo ad un oggetto, la sua risposta alla domanda riproposta suona esattamente come prima. Ma il monaco non arriva al salto, cioè al risveglio. Rimane ancora legato al rappresentare, al vedere e al pensare oggettivanti.
   Aggiungerei che Chao-Chou avrebbe potuto anche non dare la risposta «Cipresso nel giardino». Laddove l'albero è, così come è, e noi siamo, così come siamo, là è [west] la verità buddhista, che proprio per questo non ha più bisogno di essere indicata espressamente come verità buddhista. Il primo patriarca avrebbe potuto non arrivare in Cina da un mare pieno di pericoli; tuttavia, dovette venire; tuttavia, Chao-Chou dovette espressamente dire: «Cipresso nel giardino»; tuttavia, Heidegger deve pensare, domandare ed espressamente dire, ad esempio: «Dobbiamo dapprima saltare sul suolo dove viviamo e moriamo». Perché è necessario questo "tuttavia"? Poiché dobbiamo dapprima saltare sul suolo dove viviamo e moriamo; poiché, nell'oblio del suolo che calpestiamo, noi erriamo in ogni momento di qua e di là. Perfino la risposta di Chao-Chou, «cipresso nel giardino», può farci errare. Noi dobbiamo rendere superflua tale risposta.
   In breve, tra l'heideggeriano "singolare salto" e il nostro "non abbiamo bisogno e tuttavia..." vi è a mio avviso un rapporto profondamente nascosto. Heidegger chiede: «Che cosa succede quando l'albero si presenta a noi e noi ci poniamo di fronte all'albero?» Con lui si potrebbe forse rispondere: «La contrada [Gegend] (o piuttosto la contrata) raccoglie, sebbene nulla avvenga, ogni cosa nel suo rapporto ad ogni altra, facendola permanere nell'acquietarsi in se stessa».3 Questa contrata è, nella nostra prospettiva, il "campo del Buddha" [»Bereich des Buddha«], cioè il campo della verità. Se il maestro zen giapponese Dōgen avesse ascoltato la domanda di Heidegger, avrebbe forse risposto così: «Nell'attimo in cui un vecchio susino fiorisce, nel suo fiorire avviene [ereignet sich] il mondo» (Shōbōgenzō, cap. Baika).
   Alla fine dell'esempio dell'albero in fiore, Heidegger ha ammonito e richiesto: «Finalmente si tratta, prima di ogni altra cosa, di non lasciar cadere l'albero in fiore, ma di lasciarlo stare là dov'è»4. In un altro contesto, ma in fondo nello stesso senso, anche nello zen siamo ammoniti dal kōan del cipresso nel giardino: «Non abbattere, non spezzare quell'albero lussureggiante; nella sua fresca ombra riposano gli uomini».
   Potremmo ora, ricordando ciò che è stato detto, riassumere forse nel modo seguente: il pensiero di Heidegger e il buddhismo zen concordano almeno nello stendere al suolo il pensiero rappresentativo. Il campo della verità, che ne è aperto, indica in entrambi un'affinità non ancora sufficientemente chiarita, ma molto intima. Tuttavia, mentre il buddhismo zen non arriva ancora a chiarire, pensando, il campo della verità (ovvero della non-verità) nei suoi tratti essenziali, il pensiero di Heidegger tenta incessantemente di mettere in luce i tratti essenziali della alētheia (non-latenza). Questa differenza ci fa scorgere una lacuna nel buddhismo zen, almeno nella sua forma tradizionale. Ciò che manca al buddhismo zen tradizionale è un epocale pensiero e messa in questione del mondo. Su questa questione del mondo noi dobbiamo risolutamente imparare ed apprendere dal pensiero di Heidegger; in particolare dalla sua inaudita nozione di "installazione" [»Gestell«] come essenza della tecnica. Altrimenti, lo stesso buddhismo zen potrebbe diventare un albero secco. Altrimenti, nessuna via potrebbe essere percorsa dallo zen verso una possibile filosofia giapponese.

     Stasera c'è una festa. Il nostro anziano grande pensatore è tornato al paese. Per festeggiare il suo ritorno al paese [Heimkunft], vorrei chiudere questo discorso di festeggiamento e ringraziamento con una nostra antica poesia:
«Torniamo al paese! Verso Sud, Nord, Est ed Ovest. Nel fondo della notte, guardiamo insieme la neve sulla rupe dai mille strati».

-CONTINUA-
#759
Tematiche Spirituali / Re:Sono un essere inadeguato
14 Marzo 2018, 11:50:27 AM
PICCOLI IPPOPOTAMI 2
-Adesso...dopo la "distruzione"...me ne spieghi il motivo?-
-La "distruzione" ,  esemplificata pure in un linguaggio diciamo...poco rispettoso, quasi da 'caduta di stile', è in realtà un processo spirituale necessario.
Lo diventa a maggior ragione in questi tempi che siamo chiamati a vivere, ma lo è sempre stato...
L'obiettivo è quella libertà dal 'conosciuto' che ci ingabbia e costruisce, quasi sempre a nostra insaputa, la forma stessa della nostra mente. Realizzare quell'attitudine che lo zen chiama "mente di principiante" e che giunge ad invitare di "uccidere" anche il Buddha stesso se, per caso, ti trovi ad incontrarlo per la via.
In realtà non voglio togliere, né lo potrei, alcun valore a Leopardi, o a i trattati scientifici , o a quelli religiosi. Voglio togliere semplicemente la presa che esercitano su di me...
Rendersi conto che sono soprattutto quelli che amiamo di più che hanno la presa più forte e condizionante. 
Poi in seconda battuta, ma non meno importante per me, liberarsi dal concetto di autorità.
Questo è talmente radicato in noi...che letteralmente non ci accorgiamo di come agiamo conformandoci ad esso. Pensare che, perché un filosofo ha detto così, uno scienziato colà, un poeta quest'altro, ecc. noi dobbiamo smettere di investigare, è assolutamente stupido.
Non possiamo semplicemente delegare all'autorità di "chi sa" la nostra vita. Dobbiamo essere noi che scopriamo quello che dobbiamo sapere per la nostra vita. Scopriamo e valutiamo quel che serve a noi...
Naturalmente non ci si libera solo prendendo un condizionamento e...poggiandolo da un'altra parte. Dobbiamo tagliere la radice del nostro "appiglio" interiore. Tagliere la radice comporta vedere l'inconsistenza del nostro valutarci e giudicarci in base a parametri stabiliti da altri. Questo ovviamente comporta il non paragonarsi mai a nessuno. Non c'è alcuna necessità, in realtà, di paragonarci agli altri. Questo continuo paragonarci è una delle cause più profonde dell'insorgere della nostra sofferenza e insoddisfazione...
Posso vivere la mia vita senza paragonarmi agli altri? Sembra una stupidaggine, ma quando proviamo a farlo, ci accorgiamo di quanto profonda è questa abitudine mentale, questo condizionamento. se siamo sufficientemente onesti con noi stessi lo vediamo, ne prendiamo atto e...tentiamo di metterlo da parte. Già questo libera uno spazio immenso . La nostra energia mentale non viene più sacrificata per rimuginare di continuo quanto siamo diversi , superiori o inferiori agli altri, e possiamo adesso utilizzarla per osservare, dentro e fuori di noi...
E' quasi come avere un frigorifero così pieno che ci è impossibile pulirlo. Il paragone è interessante perché anche il frigo contiene molte cose utili e importanti per noi, per alimentarci e placare la fame. Per pulirlo e farlo splendere dalle incrostazioni che si sono accumulate, dobbiamo però prendere le cose che vi sono riposte e, un pò alla volta, metterle da una parte.
Abbiamo così la possibilità di fare un'ottima pulizia...
Naturalmente non buttiamo via niente, quelle cose ci servono, sono utili. Possiamo poi rimetterle nel frigo, perché adesso non ci sono più quelle incrostazioni sudice che quasi le incollavano . Rimettendole ci accorgiamo pure di quante sono diventate inutili, oppure scadute o deteriorate e allora...possiamo gettarle, non hanno più 'presa' su di noi...
E' incredibile scoprire di quante cose possiamo fare a meno perché si sono deteriorate...
Quando abbiamo gettato tutto il vecchio, ci ritroviamo un frigo con molto più spazio. E' anche molto più bello da vedere, molto più presentabile. Se arriva poi un amico , con una buona bottiglia di vino o una torta...ecco che puoi dirgli:"Mettila pure nel frigo, che la serviamo bella fresca alla fine della cena"...
Abbiamo molto più spazio da condividere, ora che abbiamo fatto pulizia.
Liberarci dall'idea condizionante che, il nostro giudizio sulla vita, ci deve venire da qualcun altro è una forma di catarsi spirituale incredibile. La vastità della libertà che se ne prova è solamente sperimentabile direttamente. Posso sentirmi realmente 'guarito' da molta insoddisfazione e sofferenza e non provare più  alcun bisogno di difendere il mio condizionamento dai condizionamenti altrui. 
Rimane sempre un esercizio continuo di pulizia interiore perché, proprio come il frigo, la mente tenderà nuovamente ad accumulare idee, pareri, opinioni, affascinata da "chi sa", che poi inizieranno a deteriorarsi e a marcire...
Per questo mi piace l'immagine della freschezza dei bimbi che corrono in groppa a piccoli ippopotami. C'è libertà priva di condizionamento....sembra quasi un movimento di acqua che scorre. E infatti i piccoli ippopotami sono usciti sbuffando dall'acqua corrente...-
#760
Dei tuoi lavori che hai postato  nel forum, questo è quello che mi piace di più.. :) è bello dinamico e molto "primaverile" a parer mio...
Cos'è il vento per me?..Beh...per poterti rispondere avrei bisogno di un 'intero post nella sezione 'tematiche spirituali'. Infatti lo considero qualcosa di estremamente evocativo da quel lato... 
Magari, tra un pò, penserò a tediarvi pure con quello... ;D
#761
Attualità / Re:Il dilemma del PD!
12 Marzo 2018, 15:04:56 PM
Citazione di: Eutidemo il 12 Marzo 2018, 14:25:56 PM
Citazione di: Sariputra il 12 Marzo 2018, 10:48:09 AMIo invece direi che non si deve far niente, lasciar stare tutto, perché: "Se c'è una cosa che in Italia funziona è il disordine" (Leo Longanesi) Quindi, lasciare i 5stelle nel loro brodo a cercar di convincere le file davante ai Caf in attesa dello stipendio di cittadinanza; la Lega a convincere tutti che nessun clandestino riuscirà più a infrangere gli italici confini e il Berlusca che le pensioni minime saranno tutte ritoccate all'insù... Siccome nulla di questo si avvererà...ecco che le cose verranno da sé! Alla prossima tornata elettorale, cambiare nome, chiamarsi "movimento", che fa più figo ed è più al passo con i tempi e...semplicemente promettere, per esempio, un anno di traffico telefonico illimitato gratis a tutti. Questo basta e avanza per recuperare almeno 10-15 punti percentuali... :( E' triste, ma ci scommetterei che funziona!... E naturalmente un bel lavoro di sputtanamento sui social...sui social, non in tv!... Tanto, come l'esperienza dei nostri fratelli spagnoli insegna, noi popoli latini, meno siamo governati e...più il PIL cresce...cresce...cresce... Lasciate il Gentiloni ( uomo che almeno ha il grande pregio di non scassare i ...) al suo posto, che va più che bene, è assolutamente sufficiente... ;D
C'è molta logica e buon senso in quello che scrivi! ;) Il punto, però, è che il PD avrebbe buon gioco a fare quello che dici tu, solo se si potesse formare un governo (5stelle o di Centrodestra) che, nel giro di qualche anno, deludesse gli elettori fino al punto di favorire il PD che sarebbe rimasto "eroicamente" all'opposizione, e che, in tal modo vincerebbe la prossima tornata elettorale; magari chiamandosi "Movimento" e promettendo un anno di traffico telefonico illimitato gratis a tutti. Ma, come appunto scrivevo anche io, è ovvio che, per recuperare voti, la cosa migliore per il PD sarebbe farsi qualche annetto di opposizione; ma, per poter fare opposizione serve un governo "politico" a cui opporsi, il quale, senza la loro partecipazione (attiva o passiva), secondo me, NON si può fare!!! Per cui, se il PD fa il "pesce in barile", si tornerà ad elezioni molto presto, il che lo condurrebbe alla catastrofe definitiva alle prossime non lontane elezioni, sia perchè non avrebbero il tempo per recuperare il consenso perduto, sia perchè, risultando colpevoli delle elezioni anticipate, i pidiessini perderebbero pure il consenso rimasto. :-[

Secondo me , con un eventualo ritorno alle urne, invece avrebbero qualche chance in più. Perché il problema vero che hanno avuto è stato "Renzi". L'uomo era ormai troppo inviso alla gente. Il fatto di aver dichiarato che si sarebbe dedicato alla vita privata , in caso di fallimento del referendum costituzionale, salvo rimangiarsi tutto dopo pochi giorni e il non essersi reso conto che proprio quel referendum era un 'de profundis' sul renzismo è una , probabilmente la principale, a parer mio, delle cause della caporetto. Poi...non puoi continuare a fare lo spaccone ridendo e sogghignando quando il popolino soffre e non riesce a pagare la rata del Suv...Questa è una palese, gravissima, forma di miopia ( ben oltre le dieci diottrie...).
Quindi se il PD cambia pelle come i serpenti, getta il partito e si veste da movimento con un bel nome, di quelli che fanno sognare i grulli, e ci mettono davanti un giovane, un nome nuovo, mai sentito da nessuno, un ragazzo che sa promettere, promettere...non è importante se poi sa mantenere...l'importante ormai ( e lo stiamo vedendo un pò in tutte le elezioni nei vari stati del mondo...) è promettere qualcosa di "tangibile", di concreto...materiale e non ideale. Il popolo non vuole nobili scopi, vuole schèi e che nessun moro gli rompa i ...hai già la ricetta per il ritorno al successo. In un pò di mesi si può fare...tanto prima dell'autunno non ce la si fa a riorganizzare altre elezioni...
Devono essere spietati e usare tutte le bassezze politiche necessarie...la gente non aspetta altro... :(  :(


P.S. Ah...e poi dimenticavo...servirsi su internet degli inluencer ( me l'ha spiegato bene mia figlia l'importanza che hanno ormai questi figuri...)...soprattutto di quelli rumeni...dicono siano i migliori... :o  
Chiaro che il partito deve tirar fuori anche un pò di palanche per metter su bene il tutto..."Sari,da una mano stretta non esce niente, ma nemmeno entra".. diceva sempre la mia povera nonna ( pace all'anima sua...).
Devo aggiungere che, le speranze di un reale cambiamento nel PD (PartitoDevastato) sono esigue visto che il Renzi già proclama la sconfitta in una battaglia ma che la guerra è ancora lunga e che , a volte, "il futuro ritorna" (sigh!...). Sembra però che l'unico intenzionato a "naufragar" nei 5stelle sia Emiliano Zapata... ;D
#762
Attualità / Re:Il dilemma del PD!
12 Marzo 2018, 10:48:09 AM
Io invece direi che non si deve far niente, lasciar stare tutto, perché:

"Se c'è una cosa che in Italia funziona è il disordine"
(Leo Longanesi)

Quindi, lasciare i 5stelle nel loro brodo a cercar di convincere le file davante ai Caf in attesa dello stipendio di cittadinanza; la Lega a convincere tutti che nessun clandestino riuscirà più a infrangere gli italici confini e il Berlusca che le pensioni minime saranno tutte ritoccate all'insù...
Siccome nulla di questo si avvererà...ecco che le cose verranno da sé!
Alla prossima tornata elettorale, cambiare nome, chiamarsi "movimento", che fa più figo ed è più al passo con i tempi e...semplicemente promettere, per esempio, un anno di traffico telefonico illimitato gratis a tutti. Questo basta e avanza per recuperare almeno 10-15 punti percentuali... :(
E' triste, ma ci scommetterei che funziona!...
E naturalmente un bel lavoro di sputtanamento sui social...sui social, non in tv!...

Tanto, come l'esperienza dei nostri fratelli spagnoli insegna, noi popoli latini, meno siamo governati e...più il PIL cresce...cresce...cresce...

Lasciate il Gentiloni ( uomo che almeno ha il grande pregio di non scassare i ...) al suo posto, che va più che bene, è assolutamente sufficiente... ;D  
#763
Tematiche Spirituali / Re:Sono un essere inadeguato
12 Marzo 2018, 10:24:29 AM
Citazione di: Domingo94 il 12 Marzo 2018, 02:41:07 AMA furia di pensarci troppo impazzisci, io seguo il mio cuore e mi affido a Dio

E fai bene...le ragioni del cuore spesso sono più fondate di quelle della mente.  ;)
#764
Tematiche Spirituali / Re:Sono un essere inadeguato
11 Marzo 2018, 17:26:36 PM
PICCOLI IPPOPOTAMI

-Continua a piovere e non posso potare le ultime viti. Che disdetta!-
-Va là che di domenica il tuo piacere più grande è raccontar balle...-
-Sogni, non balle...C'è una leggera differenza...-
-E qual'è l'ultimo ? se ti va di raccontarlo...ma poi...che te lo chiedo a fare...si sa che non aspetti altro.-
-Ho fatto un sogno stranissimo, alcune notti fa, ma me lo ricordo perfettamente.  Ero sul muro della roggia e mi sembrava di star tagliando il nocciolo che è cresciuto spontaneo, quando...beh! Sai che il muro della roggia ha un'apertura dove un tempo le donne lavavano a mano la biancheria...-
-Sì, certo, dove mi metto di solito a pescare...-
-Sì, non raccontarlo in giro, che è zona di divieto...-
-Apposta vengo a pescare. Dove c'è il divieto si sa che la popolazione cresce indisturbata e si moltiplica...-
-Allora...da quell'apertura , improvvisamente, cominciano ad uscire dall'acqua corrente della roggia tanti piccoli ippopotami.  Salgono piano , uno dietro l'altro, a volte accavvallandosi tra loro, pestandosi, sbuffando. Una scena incredibile, ed io...-
-E tu?...-
-Ero felice. Tutto qua. Ero semplicemente felice.-
-E com'è finito?-
-Niente. Son usciti tutti, una marea di piccolissimi ippopotami, e si sono sparpagliati in giro per il giardino, menando il culotto cicciotello. Uno spasso...-
-Bah...che significato può avere secondo te?-
-Eh...ho i miei informatori al riguardo. Tu sai chi...Allora...sognare piccoli ippopotami può significare che si accetta e si desidera la dimensione genitoriale, di padre. Si sente la necessità di prendersi cura dei piccoli, di vedere il mondo in una luce diversa, adatta ai più piccoli e indifesi...
-Bello, mi sembra...Fai altri figli allora...-
-No, non capisci...il primo atto è invece liberarsi da tutto ciò che è costruito contro...-
-Ossia?-
-Buttare nel cesso l'Infinito di Leopardi, per esempio. Pulircisi con dovizio il didietro...-
-Bene!Approvo. L'ho sempre detestato. Basta con sta disperazione da quattro soldi. Viva gli ippopotami!...-
-I bambini non vogliono disperazione , scetticismo e cinismo. Vogliono giocare con gli ippopotami...-
-Esatto. E poi , diciamocelo, se invece di menarsela con le morte stagioni, avesse giocato un pò di più all'aperto, con gli altri bambini, senza rovinarsi la salute, l'avrebbe scritta quella porcheria? Dai...-
-Più che una porcheria è...è...una cosa malsana...malata.-
-Giusto! Ineccepibile. E poi...vediamo...cos'altro butteresti ?-
-Tutti i libri di filosofia.-
-Ahhhh! Che spassoooo...sììììììì. Qui ti volevo...Tutti come tutti tutti? Anche quelli che sappiamo? Quelli che tieni sotto chiave?-
-Sì, anche quelli. Mi farà un pò male, ma è necessario. Per i piccoli...-
-Se è per i piccoli, posso aiutarti.  Ho grande esperienza di falò...
-Già, però stai attento, che l'anno scorso a momenti mi bruciavi il capanno degli attrezzi...-
-C'era del vento...vento primaverile. Aizza bene...-
-Poi dobbiamo eliminare tutte quelle opere d'arte tristi, contrite, funeree, piene di color grigio e di nero. Di artisti depressi, sfiduciati, suicidandi. Quelle che guardandole capisci subito che son fatte con il fegato e non con il cuore. Basta con 'sto mortorio, l'arrivo degli ippopotami è chiaramente simbolico. Non lascia spazio a dubbi. E' arrivato di nuovo il tempo della speranza. Il tempo delle ombre deve chiudersi...-
-Distruggiamo tutto il nero e il grigio. Anche la gente nera e grigia...che ne dici?-
-Quelli spariranno da soli con un grande ululato. Torneranno al mondo delle ombre che li ha partoriti. Saranno sommersi dalle risate e dai colori dei bambini che corrono in groppa ai piccoli ippopotami...-
-L'ippopotamo che gridava amore al cuore del mondo...ti ricorda qualcosa?-
-La bestia che gridava amore al cuore del mondo di Harlan Ellison...-
-Sììì, mon amì...sìì..la bestia che gridava amore...l'ho subito vista appena mi hai raccontato il sogno.-
-Cosa aggiungi nella tua furia iconoclasta, di distruzione delle ombre? -
-Tutti i trattati scientifici. Al cesso pure loro, insieme a quelli religiosi. Non facciamo preferenze. E' sempre la solita solfa. Tutti che vogliono redimere. Colpa, redenzione, salvezza o ignoranza, conoscenza, progresso è sempre lo stesso processo in atto, han solo cambiato nome per confonderci.-
-Perfettamente d'accordo. Sembrano farsi la guerra e invece son solo l'uno il figlio dell'altro. Prima si correva al confessionale, adesso ci si rovina dallo psicologo e dal farmacista...-
-I bambini devono giocare lontano dagli ospedali. Se sei felice...non t'ammali!-
-Guarda me. Butto tutto in vacca e, in cinquant'anni, neanche una malattia seria...-
-Accettare di morire-
-Se sei felice non hai tempo per aver paura della morte. Se sei un'ombra temi la morte. se sei colore non puoi che rinascere colore...-
-O piccolo ippopotamo...-
-Già...o come piccolo ippopotamo.-
#765
Mi rendo perfettamente conto che ho lanciato un tema "evanescente", quasi fatto della stessa materia impalbabile dei sogni. Sembra poggiato sopra una di queste nuvole primaverili che si rincorrono veloci nel cielo...non saprei nemmeno bene come svilupparlo... :(
Una materia impalpabile in un forum composto in massima parte da "palpatori"... ;D.
Un'impresa impossibile direi...
Mi fermo qui.