"Come dimostrare logicamente l'esistenza della coscienza?" magari proprio con questa domanda (ossia dopotutto si potrebbe rispondere che se esiste questa domanda, essa è la prova logica che la coscienza esiste).
Scusate se mi intrometto tardi in questa discussione molto interessante per tornare alla domanda iniziale che, per demolire la tesi forte dell'IA (quella che considera la coscienza uh fenomeno emergente dalla complessità), chiede di dimostrare che il tutto non è maggiore della somma delle parti. Io direi piuttosto che il tutto è certamente diverso dalla somma delle parti, che sia maggiore o minore dipende dai punti di vista. Infatti , se le parti si trovano tra loro in una qualsiasi forma di relazione (se non lo sono non credo abbia il minimo senso parlare di tutto e di parti), alla somma delle parti intese come elementi, va aggiunta la somma delle loro relazioni che determina quella totalità intera che sarà a sua volta in relazione reciproca con le singole parti e questa relazione del tutto con le sue parti è proprio ciò che esorbita continuamente all'infinito dalla somma delle parti. D'altra parte però se ogni parte è solo una parte dell'intero e quindi è ad esso minore (e pure la somma delle parti è parte dell'intero), è anche vero che proprio poiché l'intero non è parte ad esso manca questa proprietà che ogni parte possiede in modo specifico e diverso per cui, in questo senso, l'intero è minore della somma delle sue parti per ogni parte che gli è propria.
La coscienza comunque non la vedo proprio come una sorta di misterioso flusso insufflato nel tutto dal di fuori per fare della somma un intero (e come potrebbe? fuori dal tutto ci sta solo il niente, non certo un insufflatore o programmatore di coscienze), ma è proprio quel gioco di relazioni tra le parti e il loro intero e tra l'intero e le sue parti, un gioco mai perfettamente definibile se non come un continuo reciproco rimando come in un gioco di specchi che si riflettono l'un l'altro costantemente all'infinito, finché uno specchio non si rompe. Sì, penso che pensare la coscienza è entrare in una vertigine infinita che non ha in origine nulla di trascendente, ma genera proprio dal suo abisso infinito ogni trascendenza.
Infine la domanda che sempre più appassiona (sia i cultori dell'IA, sia coloro che negano che dall'IA possa mai venire tratta una coscienza): è possibile costruire macchine coscienti? Personalmente penso che nulla fondamentalmente lo vieti, il problema è semmai come accorgersene, fermo restando che la coscienza non è un problema di intelligenza. La macchina che batte il maestro umano di Go o di scacchi non è per questo più cosciente di un qualsiasi distributore automatico di bevande. Magari se si mostrasse inaspettatamente euforica per la sua vittoria (quanto il maestro umano appariva abbattuto) forse dimostrerebbe una coscienza, ma non lo ha fatto e se fosse stata programmata per farlo non avrebbe dimostrato nulla. Ma questo non significa che un giorno, senza che sia stato progettato, un sistema algoritmico che opera in modo continuamente reiterativo su se stesso non arrivi a tanto che poi a chi è cosciente sembra così elementare e banale (ma elementare e banale non lo è per nulla): riconoscere se stesso nell'immagine di se stesso, cosicché quel "me stesso" abbia proprio il senso di me stesso. Ma allora, come è stato detto, non avremmo più una macchina, ma un essere umano vivente e qualcuno (magari la stessa ex macchina) si chiederà se ne è valsa la pena.
Scusate se mi intrometto tardi in questa discussione molto interessante per tornare alla domanda iniziale che, per demolire la tesi forte dell'IA (quella che considera la coscienza uh fenomeno emergente dalla complessità), chiede di dimostrare che il tutto non è maggiore della somma delle parti. Io direi piuttosto che il tutto è certamente diverso dalla somma delle parti, che sia maggiore o minore dipende dai punti di vista. Infatti , se le parti si trovano tra loro in una qualsiasi forma di relazione (se non lo sono non credo abbia il minimo senso parlare di tutto e di parti), alla somma delle parti intese come elementi, va aggiunta la somma delle loro relazioni che determina quella totalità intera che sarà a sua volta in relazione reciproca con le singole parti e questa relazione del tutto con le sue parti è proprio ciò che esorbita continuamente all'infinito dalla somma delle parti. D'altra parte però se ogni parte è solo una parte dell'intero e quindi è ad esso minore (e pure la somma delle parti è parte dell'intero), è anche vero che proprio poiché l'intero non è parte ad esso manca questa proprietà che ogni parte possiede in modo specifico e diverso per cui, in questo senso, l'intero è minore della somma delle sue parti per ogni parte che gli è propria.
La coscienza comunque non la vedo proprio come una sorta di misterioso flusso insufflato nel tutto dal di fuori per fare della somma un intero (e come potrebbe? fuori dal tutto ci sta solo il niente, non certo un insufflatore o programmatore di coscienze), ma è proprio quel gioco di relazioni tra le parti e il loro intero e tra l'intero e le sue parti, un gioco mai perfettamente definibile se non come un continuo reciproco rimando come in un gioco di specchi che si riflettono l'un l'altro costantemente all'infinito, finché uno specchio non si rompe. Sì, penso che pensare la coscienza è entrare in una vertigine infinita che non ha in origine nulla di trascendente, ma genera proprio dal suo abisso infinito ogni trascendenza.
Infine la domanda che sempre più appassiona (sia i cultori dell'IA, sia coloro che negano che dall'IA possa mai venire tratta una coscienza): è possibile costruire macchine coscienti? Personalmente penso che nulla fondamentalmente lo vieti, il problema è semmai come accorgersene, fermo restando che la coscienza non è un problema di intelligenza. La macchina che batte il maestro umano di Go o di scacchi non è per questo più cosciente di un qualsiasi distributore automatico di bevande. Magari se si mostrasse inaspettatamente euforica per la sua vittoria (quanto il maestro umano appariva abbattuto) forse dimostrerebbe una coscienza, ma non lo ha fatto e se fosse stata programmata per farlo non avrebbe dimostrato nulla. Ma questo non significa che un giorno, senza che sia stato progettato, un sistema algoritmico che opera in modo continuamente reiterativo su se stesso non arrivi a tanto che poi a chi è cosciente sembra così elementare e banale (ma elementare e banale non lo è per nulla): riconoscere se stesso nell'immagine di se stesso, cosicché quel "me stesso" abbia proprio il senso di me stesso. Ma allora, come è stato detto, non avremmo più una macchina, ma un essere umano vivente e qualcuno (magari la stessa ex macchina) si chiederà se ne è valsa la pena.