Menu principale
Menu

Mostra messaggi

Questa sezione ti permette di visualizzare tutti i messaggi inviati da questo utente. Nota: puoi vedere solo i messaggi inviati nelle aree dove hai l'accesso.

Mostra messaggi Menu

Messaggi - maral

#751
 "Come dimostrare logicamente l'esistenza della coscienza?" magari proprio con questa domanda (ossia dopotutto si potrebbe rispondere che se esiste questa domanda, essa è la prova logica che la coscienza esiste).
Scusate se mi intrometto tardi in questa discussione molto interessante per tornare alla domanda iniziale che, per demolire la tesi forte dell'IA (quella che considera la coscienza uh fenomeno emergente dalla complessità), chiede di dimostrare che il tutto non è maggiore della somma delle parti. Io direi piuttosto che il tutto è certamente diverso dalla somma delle parti, che sia maggiore o minore dipende dai punti di vista. Infatti , se le parti si trovano tra loro in una qualsiasi forma di relazione (se non lo sono non credo abbia il minimo senso parlare di tutto e di parti), alla somma delle parti intese come elementi, va aggiunta la somma delle loro relazioni che determina quella totalità intera che sarà a sua volta in relazione reciproca con le singole parti e questa relazione del tutto con le sue parti è proprio ciò che esorbita continuamente all'infinito dalla somma delle parti. D'altra parte però se ogni parte è solo una parte dell'intero e quindi è ad esso minore (e pure la somma delle parti è parte dell'intero), è anche vero che proprio poiché l'intero non è parte ad esso manca questa proprietà che ogni parte possiede in modo specifico e diverso per cui, in questo senso, l'intero è minore della somma delle sue parti per ogni parte che gli è propria.
La coscienza comunque non la vedo proprio come una sorta di misterioso flusso insufflato nel tutto dal di fuori per fare della somma un intero (e come potrebbe? fuori dal tutto ci sta solo il niente, non certo un insufflatore o programmatore di coscienze), ma è proprio quel gioco di relazioni tra le parti e il loro intero e tra l'intero e le sue parti, un gioco mai perfettamente definibile se non come un continuo reciproco rimando come in un gioco di specchi che si riflettono l'un l'altro costantemente all'infinito, finché uno specchio non si rompe. Sì, penso che pensare la coscienza è entrare in una vertigine infinita che non ha in origine nulla di trascendente, ma genera proprio dal suo abisso infinito ogni trascendenza.
Infine la domanda che sempre più appassiona (sia i cultori dell'IA, sia coloro che negano che dall'IA possa mai venire tratta una coscienza): è possibile costruire macchine coscienti? Personalmente penso che nulla fondamentalmente lo vieti, il problema è semmai come accorgersene, fermo restando che la coscienza non è un problema di intelligenza. La macchina che batte il maestro umano di Go o di scacchi non è per questo più cosciente di un qualsiasi distributore automatico di bevande. Magari se si mostrasse inaspettatamente euforica per la sua vittoria (quanto il maestro umano appariva abbattuto) forse dimostrerebbe una coscienza, ma non lo ha fatto e se  fosse stata programmata per farlo non avrebbe dimostrato nulla. Ma questo non significa che un giorno, senza che sia stato progettato, un sistema algoritmico che opera in modo continuamente reiterativo su se stesso non arrivi a tanto che poi a chi è cosciente sembra così elementare e banale (ma elementare e banale non lo è per nulla): riconoscere se stesso nell'immagine di se stesso, cosicché quel "me stesso" abbia proprio il senso di me stesso. Ma allora, come è stato detto, non avremmo più una macchina, ma un essere umano vivente e qualcuno (magari la stessa ex macchina) si chiederà se ne è valsa la pena.
#752
L'autocoscienza è coscienza di essere coscienti, dunque non è un termine improprio.
Devo ammettere che è capitato anche a me di pensare la stessa cosa, l'autocoscienza ci rende consapevolmente mortali e solo un individuo (o un gruppo sociale o biologico) autocosciente può concepire, sentire desiderabile e progettare il proprio suicidio.
Certamente poi il grande successo biologico di forme vitali che ci appaiono del tutto prive di una capacità cosciente, insieme con la notevole tendenza all'estinzione di tutte le specie del genere homo sembrano poter fare propendere per tale ipotesi.
Forse l'autocoscienza è solo un errore evolutivo del tutto marginale nell'economia universale, ma perdiana, solo essendo coscienti (e coscienti della propria coscienza) si può dirlo!
Solo alla luce di una coscienza che riconosce se stessa l'universo può apparire a se stesso e quello che appare è terrificante e meraviglioso insieme. Per godere di un simile spettacolo bisogna pagare il biglietto, anche se costa caro.
#753
Citazione di: Garbino il 08 Maggio 2016, 11:16:53 AM
Nel sesto e nel settimo si augura che ci si incominci a porre il grande problema del perché la morale sia stata sempre accettata senza metterla in discussione, mentre invece secondo Nietzsche risulta essere l' argomento più importante che bisognerebbe affrontare.

Mi chiedo se proprio alla luce di quanto scrive Nietzsche nel terzo saggio sulla figura dell'asceta e sulla morale che egli predica contro la vita, non si riveli proprio questa morale come espressione paradossale dell'estrema potenza vitale. L'asceta in ultima istanza nutre infatti un'estrema volontà di potenza, talmente estrema che giunge a negare con la scelta del mezzo morale la vita stessa da cui è prodotta. In tal caso il nichilismo ascetico non è semplicemente ciò va negato in nome della vita, ma sottile espressione della estrema potenza della vita che per affermarsi non arretra nemmeno davanti all'autonegazione.  
Ci sento in tal caso qui qualcosa di simile all'eterno ritorno, voluto da una volontà che vuole rendersi  talmente assoluta da scegliere di annullarsi nell'ineludibile eterno identico ripetersi delle cose.
#754
Tematiche Filosofiche / Re:Sul disegno intelligente
10 Maggio 2016, 19:35:46 PM
Citazione di: HollyFabius il 29 Aprile 2016, 20:13:37 PM
L'onnisciente creatore implica alcune contraddizioni logiche vecchie come la filosofia.
La discussione su essere e nulla è piuttosto elaborata, direi che possiamo riferirci a quanto scrive Severino (che peraltro riporta il pensiero di Parmenide sull'argomento).
http://www.emsf.rai.it/dati/interviste/in_222.htm
Sugli eventi magari ci torniamo, per ora non mi è chiaro in cosa differirebbe la percezione dell'evento dalla più generica percezione dell'essere, ma ci rifletto.
Dopotutto l'onniscienza stessa, come ogni predicato della totalità, è autocontraddizione.
Non credo per questo che sia possibile una percezione dell'Essere, ciò che percepiamo è l'evento che figura del divenire o, come direbbe Severino, dell'apparire della contraddizione C.
Sulla tematica severiniana intorno al nulla e al divenire si è discusso diffusamente nel vecchio forum, inserisco qui uno dei thread più interessanti se vuoi approfondire la questione http://www.riflessioni.it/forum/filosofia/14216-riflessione-su-intorno-al-senso-del-nulla-e-severino.html
#755
Scienza e Tecnologia / Re:Introduzione alla sezione
09 Maggio 2016, 14:37:52 PM
Potrebbe però anche essere che il male dello spirito consistesse in un modo errato di partecipare al significare della materia. Dopotutto cosa sono materia e spirito?
#756
Benvenuta fly.

Il discorso sulla classificazione è stato e in molti ambiti continua a essere fondamentale per le scienze biologiche e non solo. Penso che si possa considerare alla base di qualsiasi progetto di conoscenza scientifica sperimentale la necessità di costruire una mappa sulla base della quale stabilire in che modo rilevare differenze più o meno significative per poi raggruppare e correlare i fenomeni.
Ma poiché i criteri per costruire delle mappe sono diversi e variano anche a seconda dei mezzi che si utilizzano per osservare (l'esempio del bicchiere di whisky e quello di birra mi sembra proprio significativo), sorge il problema di come correlarle al medesimo fenomeno; come correlare ad esempio una classificazione delle forme viventi che si basa sul DNA con la nostra percezione (spaziale e/o funzionale) delle forme. Si può allora voler affibbiare un primato classificatorio a questa o quella metodologia, stabilire ad esempio che la spiegazione genomica della differenza, che necessita di mezzi tecnologici molto avanzati e specialistici, è quella fondamentale; oppure si può tentare di costruire un ponte tra le varie possibilità di mappatura rilevandone, come dice paul11, l'utilità in rapporto ai contesti di osservazione, una sorta di mappa delle mappe che non intende rappresentare la verità fondamentale e oggettiva del territorio, ma cosa risulta utile considerare significativo muovendosi in esso, a seconda dei contesti semantici in cui ci si trova. E' questo quell'approccio pragmatico, immanente ai fenomeni, che sta prendendo sempre più piede in ambito scientifico e cognitivo. Proprio in questi termini, ad esempio nel campo della biologia, si presenta la teoria dell'Evo Devo che avevo tirato in ballo nella discussione sull'evoluzione http://www.riflessioni.it/logos/tematiche-filosofiche-5/ma-davvero-chi-non-e-d'accordo-con-i-darwiniani-e-un-retrogrado/ - risposta #12. Qui, due discipline in passato distanti (l'embriologia e la genetica) si fondono tentando di costruire una mappa comune che tenga conto sia delle forme di sviluppo della ontogenesi che di quelle evolutive della filogenesi, leggendo le une in rapporto alle altre. E certamente l'approccio più pragmatico di questa teoria la rende premiante rispetto a un neo darwinismo teoreticamente più rigoroso, che si affida solo sugli schemi delle mappature genomiche.
Si potrebbe dire anche che, con questo approccio pragmatico, la classificazione perde la sua schematica rigidità, si rende più flessibile e quindi riesce ad aderire meglio a ciò che cerca di descrivere, agli spostamenti e al movimento di una realtà mai definitiva,  sempre in mutamento e oscillante tra significati diversi. In tal modo quella dicotomia tra ciò che ci mostra il mezzo tecnico rispetto alla nostra percezione delle cose viene superata e scopriamo che il mezzo tecnico detta i significati delle nostre percezioni ben più di quanto presupponevamo, ma è necessario che i significati delle nostre percezioni siano accolti e compresi nel mezzo tecnico stesso, per non trovarsi da essi alienati.
Un po' in fondo come il cannocchiale che Galileo usò per mostrare ingranditi i satelliti di Giove o la superficie della luna: ben pochi di chi guardava con quello strumento poteva minimamente riconoscere quanto gli si diceva che stesse osservando (ammesso che riuscisse minimamente a riconoscere qualcosa in ciò che vedeva): quel cannocchiale dava luogo a una nuova realtà e a diverse classificazioni che sarebbero diventate ovvie persino al nostro modo così diverso di percepire, ma che ovvie ai tempi non lo erano per nulla, anzi, ci sarebbero voluti secoli.
#757
Scienza e Tecnologia / Re:Introduzione alla sezione
08 Maggio 2016, 19:57:48 PM
Possiamo intendere la tecnica, come nel mito che Platone fa raccontare a Protagora, una sorta di protesi indispensabile all'uomo che  lo potenzia e gli consente di vivere rimuovendo quegli impedimenti che si presentano alla sua natura incompleta. Oppure possiamo intenderla come definente essa stessa la natura umana: attraverso le tecnologie che usa l'uomo continuamente definisce il suo significato nel lavoro che svolge e sono le prassi del fare che determinano i suoi fini, i suoi progetti, la sua stessa scienza. In questo senso le tecnologie assumono un vero e proprio valore ontologico sull'uomo: la lavorazione della pietra, del bronzo e del ferro e gli strumenti utilizzati per lavorarli determinano l'uomo della pietra, del bronzo e del ferro, l'orizzonte in cui potersi concepire, misurarsi e pensare; proprio come l'invenzione della stampa, della macchina a vapore, dell'elettricità, fino ad arrivare ai computer, ai linguaggi informatici, alle biotecnologie. Quello che siamo è dato da quello che facciamo per come lo facciamo e in questo senso ciò che era concepito come artificiale appare in realtà del tutto naturale, poiché è esso stesso a conferirci la nostra natura e l'esplorazione tecnologica diventa esplorazione indiretta della nostra stessa natura.
Non possiamo quindi abbandonare le tecnologie, come non potremmo abbandonare la nostra natura, ma interrogarle nei loro significati specifici per tentare di capire in che cosa questa natura, pur venendo a determinarci, ci aliena, ci impedisce di riconoscerci.
Io penso che questa alienazione stia oggi nella produttività e conseguente consumo che le nuove tecnologie impongono a ritmi sempre più rapidi. Questa richiesta inderogabile di produttività  annulla la dimensione temporale, la sola in cui l'essere umano può trovare dimora incontrando se stesso, nel darsi e nel riconoscersi un tempo per ricordare. Ma riconosco anche che questa cancellazione del tempo tra il prodotto e il consumato, questa riduzione all'attimo è un'esigenza imprescindibile delle nuove tecnologie (internet ad esempio che apre la possibilità di una informazione di massa già pronta per il suo rapidissimo consumo con la prospettiva di un immediato godimento) in cui l'uomo, da esse definito, non può che sentirsi inadeguato, costretto a quel godimento istantaneo di ciò che gli è dato che mai davvero lo soddisfa, anzi gli ripropone sempre la mancanza.
Forse siamo di fronte a una trasformazione epocale che può portare a un definitivo superamento dell'essere umano, tale da travolgerlo definitivamente. Questa sezione non dovrebbe a mio avviso esprimere allora un semplice e contraddittorio rifiuto tecnologico, né un'esaltazione di quanto le tecnologie vengono a proporci con tutta la potenza che mostrano di realizzare, ma una sorta di riflessione sul loro significare l'uomo, un rallentamento rispetto all'esigenza di azzeramento di quella dimensione temporale in cui possiamo trovare senso. Si tratta di tentare di esplorarle per vedere se in esse stesse sussiste questa possibilità.
E' una proposta, che andrebbe meglio definita o controbattutta su cui invito a discutere.
   
         
#758
Scienza e Tecnologia / Introduzione alla sezione
07 Maggio 2016, 17:13:28 PM
Viviamo in un'epoca  sempre più dominata dalla visione tecnico scientifica, ultimo grande prodotto del pensiero occidentale prima greco e poi cristiano. Non poteva quindi mancare su Logos una sezione dedicata specificatamente alle riflessioni su tematiche scientifiche e tecnologiche.
Se è vero che l'uomo si riconosce in ciò che viene via via facendo e quindi negli stessi mezzi materiali che usa con le sue mani e la sua mente, si tratta in fondo di riflettere sul significato che viene conferito oggi alle nostre esistenze dagli enormi progressi scientifici e tecnologici di cui siamo stati capaci e, proprio a partire da questi, tentare di ricomporre un quadro che non sia quello di una tecnica separata  e chiusa in una disumanizzata autoreferenzialità, celata dall'effetto facilitante che essa illude di  realizzare senza limiti, in ragione del suo saper trasformare secondo progetto.
La fisica ci  presenta ormai da tempo un mondo  ben diverso da quello che umanamente possiamo percepire e, con il suo sempre meno accessibile linguaggio matematico, ci apre orizzonti cosmologici che un tempo erano di pertinenza di una semantica filosofica, metafisica, mitica e religiosa; l'elettronica ha cambiato radicalmente il nostro modo di interagire e comunicare e dunque di sentirci in relazione; la biotecnologia mostra di poter produrre  a partire dall'unità di base del codice genetico, funzionalità che modificano radicalmente le concezioni di esistenza individuale e sociale, la nostra stessa psicologia,  il nostro modo di curare; l'economia, anche e soprattutto nelle sue forme più astratte, è ormai diventata l'unico orizzonte di riferimento politico, regolatrice, nelle pretese funzionali del pensiero che calcola, dei destini di sopravvivenza di intere popolazioni.
In questo contesto noi ci troviamo, da esso siamo espressi e l'umanità non può permettersi che tutto questo poter fare sia affidato a semplici operatori sia pure di grande competenza  che solo si preoccupano di rispettare meccanicisticamente le corrette procedure di controllo e verifica; occorre oggi più che mai recuperare, per quanto possibile, il significato e la dimensione etica di ciò che si è giunti a poter fare. Occorre poterci riflettere insieme.
Certo, il discorso tecnico scientifico, proprio per il grande rigore che ne ha determinato il successo e la potenza, pare prestarsi poco alle speculazioni interpretative di chi non lo ha appreso e a lungo praticato da specialista; in un forum aperto a tutti rischia di disperdersi nella confusione di futili polemiche, ma è un rischio che credo sia importante accettare, poiché in questo momento questo discorso ci riguarda tutti e non è il caso di demandare all'esperto le risposte, dato che non c'è nessuno così esperto da poterle fornire anche se tanti, come sempre, pretendono di avere la capacità di dettare le proprie chiare e indubitabili visioni prospettiche, dimenticando di essere essi stessi espressione di quel medesimo fluire che vogliono definire.
Dopotutto il mondo tecnologico, che in esso ci ritroviamo o meno, lo viviamo ormai da tempo nella nostra esperienza quotidiana. Il mezzo tecnologico che usiamo come una sorta di bacchetta magica, senza averne alcuna effettiva competenza o cognizione (non essendo queste determinanti per l'uso), ci condiziona nel modo di essere più di quanto sospettiamo e forse si tratta allora di partire proprio dalla nostra esperienza quotidiana per recuperare un senso in perenne mutamento, per riuscire a coesistere con questo mutamento senza sentirci da esso rigettati.
La tecnica è da sempre nell'essenza fenomenologica umana, è fatta dei mezzi che usiamo, dei lavori e delle aspettative che essi dispiegano e anche delle facilitanti prospettive di potenza con cui ci illudono. Per questo ogni tecnologia ha pretese sull'uomo e cambia l'uomo, determina la sua scienza, la sua coscienza e il suo modo di essere senza che questi nemmeno se ne accorga, forse è dal tenerne conto che si può qui cominciare la riflessione.
#759
Citazione di: acquario69 il 06 Maggio 2016, 04:54:41 AM
si questo lo avevo appunto capito e posso solo dire e concludere che la tua concezione e' agli antipodi da cio che penso io,perché lo avvertirei come un ribaltamento,anche in riferimento allo stesso zen a cui si sarebbe fatto riferimento..(il "vuoto" delle dottrine Tradizionali,di cui lo zen,non e' secondo me  immanente,ma trascendente dove scompare l'individuale e il soggetto stesso,) dunque per me sarebbe il post-umano,il puro meccanismo e la cesura totale.
una reductio ad unum come un punto privato di estensione (sia spaziale che temporale) e dove nessun orizzonte può essere più possibile,proprio perché reso ormai inconcepibile.

Ad una rilettura mi sembra pure Che Le due versioni risultino per certi versi concordanti e pero non capisco perche allora avresti fatto riferimento in precedenza al corpo e alle sue sensazioni individuali se poi da questo tuo ultimo commento escluderesti l'Io e nulla Che possa definirsi...per l'appunto cio Che lo rende possibile e' il trascendere l'individualita e non la sua ipertrofia
La concezione che ho presentato (a cui non necessariamente sento di aderire, anzi come ho detto, soprattutto in un ambito filosofico occidentale, la trovo contraddittoria, per quanto interessante), è opposta alla tua quanto la via della trascendenza è opposta alla via dell'immanenza, anche se entrambe conducono al medesimo punto (che ritengo comunque metafisico). La prima pare salire teleologicamente, la seconda scendere, ma questo salire e scendere forse è solo apparente, dato che l'individuale (l'io) scompare in ogni caso, nella prima l'io è punto di partenza (come per Cartesio) per andare oltre l'esperienza, nella seconda è una sorta di punto virtuale da cui occorre discendere per ritrovare il fondamento esperenziale autentico, non quindi un cammino verso il post umano, ma un ritorno al pre umano che sta a fondamento dell'umano e di tutto ciò che esiste: un'esperienza di niente e di nessuno, puro atto che accade solo per se stesso, senza progetto che lo sovrasti e lo indirizzi.
Questo consente ad esempio a Ronchi di intendere la tecnica non come alienazione dell'umano (come ad esempio nell'esistenzialismo umanistico), né come realizzazione poietica umana (come nel positivismo), ma come sfondo naturale originario che l'umano reca comunque con sé. La tecnica è intesa come natura naturans, sempre in divenire. Ed è proprio in questo senso che mi appare l'analogia con certe pratiche orientali volte all'assoluto secondo un tecnicismo gestuale perfettamente immanente all'accadere (per citare alcuni esempi: l'arte del tiro con l'arco, del servire il tè, di tracciare ideogrammi, la tecnica della respirazione, tutti atti come non portano per nulla fuori dalla esperienza immanente in cerco di altro da essa: l'atto di scagliare la freccia o anche di respirare è l'assoluto).
Come rientra il corpo in tutto questo? Il corpo non vi rientra come mio o tuo corpo, come corpo soggettuale, ma come mezzo privo di  proprietà soggettiva per un'esperienza pura da cui inizia l'ontogenesi continua di un individuo che è solo un processo in atto.
#760
Citazione di: acquario69 il 05 Maggio 2016, 16:51:53 PM
su questi due punti sopra avrei delle perplessità..

ritengo che rimettere tutto all'esperienza fisiologica corporale,non sia corretto perché se e' pur vero che non e' il linguaggio a cogliere il reale non può esserlo a mio avviso nemmeno il corpo (il linguaggio del resto non proverrebbe dallo stesso corpo?)
Se il linguaggio proviene dal corpo, il linguaggio è espressione dell'immanenza del corpo, non lo trascende.
Il punto è comunque che l'esperienza pura (in qualsiasi forma si realizzi) è esperienza priva di soggetto, priva di un io, sia corporeo che spirituale, poiché è essa stesso a determinarlo e non il contrario.
Citazionei maestri zen oltre a voler far intuire che bisogna trascendere il linguaggio credo proprio che intendano farlo per l'essere stesso di cui il corpo,nella sua esperienza fisiologica ne farebbe parte a pieno titolo e che sarebbe solo una forma,
la forma ha origine dalla non forma,come il non essere (senza forma) e' all'origine dell'essere (forma) oppure analogamente il non manifesto all'origine del manifesto..ed il corpo,compreso il suo logos e' a tutti gli effetti nel manifesto (dal suo punto di vista,poiché il reale avendo origine dal non manifesto comprende entrambi senza distinzione,cioè la distinzione la facciamo noi ma e' appunto relativa)
ed e' a quello che puntano i maestri zen (e non ad un presenza immanente - l'etimologia di immanente vuol dire infatti rimanere dentro -) a quel "vuoto" senza forma,e trascendente,che comprende tutto ed e' Tutto
Immanente nel senso di presente, del tutto coincidente con l'atto. L'esperienza è presente in atto che non conosce limiti e dunque non ha né passato né futuro (senza origine né fine), è l'istante eterno dell'atto. Non nel senso di interno in contrapposizione con un esterno, poiché nell'esperienza pura non vi è ciò che discrimina l'interno dall'esterno, non c'è l'io e quindi non c'è nulla che possa definirsi interno o esterno a esso. Quel vuoto è  pieno in modo traboccante, come il vuoto quantistico, una continua oscillazione senza tempo di forme metastabili che sono e non sono. E' il gioco di un divenire assoluto che le parole non possono rendere, ma che è esperienza primaria comune a tutto il vivente, dalle piante, agli animali, all'uomo. E questa esperienza primaria si rivela nell'atto puro, quello che nello zen si tenta appunto di realizzare nel gesto perfettamente concluso in se stesso, come una tautologia.
#761
Citazione di: anthonyi il 04 Maggio 2016, 16:33:40 PM
L'attuale riforma prevede però il doppio turno, questo vuol dire che nel secondo turno devono essere il 50%+1 dei votanti a confermare il partito di governo. In Italia si confonde la democrazia, che può essere definita in tanti modi, con il parlamentarismo proporzionale che è una forma di questa.
Il riferimento che poi spesso viene fatto al periodo delle dittature fasciste mi sconcerta ancora di più. Sia in Italia che in Germania, le dittature andarono al potere in quelli che erano sistemi parlamentari proporzionali e per effetto anche dell'incapacità di tali sistemi di garantire condizioni stabili di governo.
Il fatto che preveda il doppio turno e il 50%+1 dei votanti al secondo turno non cambia per nulla i termini della questione, anzi probabilmente li peggiora. E' evidente ad esempio che se si presentassero due candidati in cui l'elettore non si riconosce, le sue possibilità di essere rappresentato sarebbero comunque nulle e all'eletto basterà comunque il 50%+1 dei voti di una minoranza (un po' come per i 2 attuali candidati con maggiore probabilità di vittoria alla carica di sindaco al comune di Milano che si presenta simili in modo del tutto speculare).
Sicuramente le forme con cui si tenta di imbastire la democrazia (la cui forma autentica è solo quella diretta, che però è difficoltosa da realizzare anche nelle riunioni di condominio) sono molteplici e tutte criticabili per un verso o per l'altro.
La costituzione italiana del dopoguerra fu costruita anche con la speranza di evitare il ritorno al governo di regimi di stampo fascista, ritorno oggi più che mai possibile, date anche le aspettative di uomini forti al comando e dal fare deciso e spiccio, anziché di responsabilità condivise. E certo lo spostamento del potere verso il capo dell'esecutivo aiuta ulteriormente: non furono proprio Hitler e Mussolini a conquistarsi più o meno democraticamente capi dell'esecutivo e da lì a diventare dittatori sfruttando quella posizione di partenza?
Chissà, bisognerebbe rifletterci: forse è proprio il potere esecutivo quello più rischioso in termini democratici, quello più da controllare e saggiamente compensare.
#762
Citazione di: acquario69 il 05 Maggio 2016, 02:55:13 AM
l'esperienza immediata o prassi pura da quel che mi sembra di aver capito affermerebbe che siano i nostri pensieri (?) se non proprio le nostre immediate percezioni a determinare il reale nel suo svolgersi in atto,in pura praxis..
No, questa esperienza è intesa come assoluto originario (e quindi non ha origine, ma è eterna origine di tutto) i nostri pensieri, le nostre percezioni e sensazioni vengono dopo (il soggetto con l'oggetto dell'esperienza viene dopo), sono dall'esperienza determinate e non il contrario come abbiamo sempre creduto. Nel video Ronchi per richiamarne il senso fa l'esempio dell'urlo del bambino appena nato che ha fame, quell'urlo è un assoluto, non è qualcosa di quel bambino. E' la madre che, offrendo al bambino il seno dà a quell'urlo il significato di una relazione con l'oggetto che rende possibile il cominciare a formarsi di un soggetto umano (che potrà trasformare quell'urlo assoluto in un mio grido, una mia fame).

Citazionee se tutta la cosiddetta realtà rientrerebbe solo in questa pura praxis,attraverso i nostri sensi immediati quindi nella nostra immediata percezione che fine farebbe l'auto coscienza?
a meno che non si voglia appunto negarla,ma non sarebbe comunque una contraddizione voler affermare un idea o un concetto e poi negare implicitamente (visto che come viene detto sopra: "ossia un esperienza che non e' di niente e di nessuno,o se si preferisce,una sorta di coscienza primaria senza l'io e quindi senza l'uomo"..) l'esistenza stessa dell'idea o il concetto espressi un attimo prima?  (e chi sarebbe dunque l'autore di tale size=2]concezione? ..niente e/o nessuno?!?)[/size]
Ripeto, no il "pensiero" orientale o diciamo spirituale a differenza di quanto sopra,arriva a coincidere con la coscienza suprema ed immutabile e la differenza e' che vi sarebbe consapevole coincidenza,che tra l'altro non ha nulla a che vedere col distacco dall'esperienza
Secondo questa concezione immanente (o metodo dell'immanenza per avvicinarsi al noumeno) l'io è solo il prodotto di questa esperienza primaria che è senza io e il pensiero concettuale, astratto che fa perno sulla coscienza dell'io è solo un riassunto molto schematico a posteriori di questa originaria esperienza assoluta (e la conserva come la figura che resta sempre legata come sfondo). Questo riassunto astratto è per certi versi ingannatore proprio perché immagina l'io all'origine e non più l'esperienza primaria e senza io da cui è tratto.
Il legame con il pensiero orientale è evidente, il cuore della meditazione orientale (sia nel buddismo che nell'induismo) è tutto nel superamento della posizione egoica, solo se si abbandona l'io (i propri pensieri, le proprie soggettive aspirazioni e desideri) il Nirvana è possibile, ma il Nirvana (l'illuminazione della realtà in sé) la si ritrova solo nella pura esperienza fisiologica corporale e non nella ricerca di una superiore trascendenza fuori dal corpo, ma nel recupero totale dell'immanenza del corpo stesso, nell'energia materia di cui è fatto. Ronchi si rifà qui al termine aristotelico di energheia (un divenire assoluto, senza direzione) in contrapposizione a quello di katakinesis che esprime un movimento direzionato, ossia volto a uno scopo che sta fermo fuori da esso, ossia un progetto guidato da un'idea.

La contraddizione che io trovo in questa immanenza assoluta che l'Occidente vorrebbe recuperare è che essa continua a venire espressa nei termini di un discorso, di un logos, che è quanto di più lontano possibile da questa esperienza assoluta di cui parla. E' il logos come l'Occidente lo ha costruito che continua a raccontarci la sua  metafisica trascendente presentandola come immanente, è sempre una poiesis a raccontarci una praxis e dunque a presentarla, nel suo progetto originario, come originaria assenza di progetto. Diverso è invece il discorso per l'Oriente, ove la filosofia dell'immanenza assoluta può davvero essere fondamentalmente praxis. Il maestro zen non spiega nulla al discepolo con le parole e se fa un discorso lo fa solo per evidenziare la contraddizione di ogni argomentazione logico dicorsiva: solo il puro gesto fisico nella sua perfezione tecnica, del tutto autoreferente, permette di cogliere la verità. Per dare conto effettivo di questa esperienza pura occorre che sia il corpo stesso a fare filosofia, non il linguaggio (un po' come fanno i maestri yoga o, se vogliamo, in ambito occidentale, fecero anticamente in Grecia i Cinici e gli Scettici)
#763
Citazione di: cvc il 02 Maggio 2016, 16:31:00 PM
Nel sentir discorrere intorno alle scienze mi par di capire che la conoscenza sia diretta verso orizzonti sempre più vasti, ma non tanto estesi da poter comprendere il sapere della cosa in sé. Il metodo sperimentale per sua natura non può allontanarsi dal fenomenico ma, dal mio punto di vista almeno, un universo che fosse solo fenomenico sarebbe assurdo. Se si considera la materia solo nel suo agire e non anche in ciò per cui agisce, allora noi assistiamo solo a delle manifestazioni, ma manifestazioni di cosa? Essendo la materia in ultima analisi energia, e non avendo l'energia una forma che permane nel tempo, dovremmo quindi giungere alle medesime conclusioni di Cratilo. Ossia che non possiamo dare un nome a nessuna cosa ma, al massimo, possiamo riferirci ad essa soltanto indicandola. Perché non appena diciamo che x è un bambino, x è già diventato uomo. E quando diciamo x è un uomo, è già un cumulo di ossa. Ciò che ha senso per noi lo ha solo in virtù che qualche manciata di anni a noi pare un'eternità, ma nella prospettiva dell'eternità noi nasciamo, viviamo e moriamo in un granello insignificante di tempo. Il punto di vista dell'eternità potrebbe corrispondere al noumeno, all'essere in sé che noi non siamo nemmeno in grado di definire con precisione. Quindi facciamo lunghe disquisizioni sul sapere tralasciandone l'essenza stessa. Forse è questa la differenza fra la nostra cultura e quella orientale: per noi ciò che pensiamo intorno alle cose è la loro essenza, per la cultura orientale invece il pensiero e funzione dell'essenza. La quale è inconoscibile e indefinibile.
Eppure proprio nel nuovo materialismo (a cui avevo accennato in questa discussione nel vecchio forum:http://www.riflessioni.it/forum/filosofia/14689-il-transindividuale-ultima-frontiera-del-materialismo-speculativo.html)
partendo dalla concezione di un'esperienza assoluta originaria, pura praxis, che precede ogni soggetto e oggetto e in cui ogni essere vivente è immerso in un totale presente del tutto immanente e in atto, si perviene a una concezione metafisica forte che richiama l'apeiron presocratico. Senza dubbio è filosoficamente interessante, anche da un punto di vista spirituale (materia e spirito si confondono fino a coincidere qualora si consideri le cose sotto la prospettiva di una pura fenomenologia del divenire, seguendo quello che Gentile definì metodo dell'immanenza in contrapposizione con il metodo della trascendenza che ha dominato il pensiero occidentale di impostazione antropocentrica e coscienziale a partire da Platone (con la verità collocata al di sopra e al di fuori della esperienza e con la funzione demiurgica che crea come un artigiano dando forma poietica alla materia sensibile secondo progetto).
Mi pare che questa concezione metafisica che si considera del tutto immanente richiami alcune considerazioni svolte soprattutto nel precedente forum da alcuni utenti che sostenevano la priorità della percezione, se intesa come esperienza una percettiva in sé, ossia un'esperienza che non è di niente e di nessuno, o, se si preferisce, una sorta di coscienza primaria senza l'io e quindi senza l'uomo, pura meccanicità insita nella natura.
Occorre riconoscere che questa concezione mi pare molto vicina proprio al pensiero orientale (penso soprattutto al taoismo e ad alcune forme di buddismo), la cui spiritualità elevatissima si presenta del tutto immanente e pragmatica (il puro gesto zen, ma anche la meditazione trascendentale dello Yoga, che in ambito induista assolutizza l'esperienza del respiro senza creare alcun disegno trascendente). In Occidente forse questo senso di assoluta immanenza ricorre solo in alcune forme di grande misticismo del passato, ma è rimasta abbastanza marginale nell'evoluzione platonica del pensiero occidentale, dominato dall'io e dal rapporto che sussiste tra un soggetto e un oggetto originari.
Dal mio punto di vista trovo che, pur esprimendo una concezione molto interessante, questa impostazione che fa dell'esperienza un assoluto, mostra una contraddizione evidente soprattutto nel modo occidentale di trattarla attraverso il linguaggio, il logos, che comunque resta ascritto al progetto del tutto cosciente e soggettivo di chi ne parla: ossia, anche se questa esperienza la si dichiara assoluta essa è trattata comunque come oggetto di un soggetto e dunque è del tutto relativa ad essi.
Tra gli esponenti italiani di questo nuovo materialismo, senza dubbio c'è Rocco Ronchi, molto legato al pensiero di Deleuze. Allego il link a un filmato Youtube molto interessante (è piuttosto lungo, ma merita) in cui presenta con grande chiarezza questa linea di pensiero ad "Harmonia Mundi" per legarla alla fenomenologia esoterica, mostrandone come può darne ragione filosofica:
https://www.youtube.com/watch?v=8yQF1OlALsI
(Interessante tra l'altro anche la perplessità finale di uno degli ascoltatori che, avendo basato la sua crescita spirituale sul distacco dall'esperienza, si ritrova messo in crisi da una linea di pensiero che legge la crescita spirituale in direzione del tutto opposta.)
#764
Sono d'accordo sul fatto che fondamentalmente non si inventa nulla, ma si scopre solo e quello che si scopre sono nuove possibilità di significare di quello che c'è, che, in determinate condizioni di contesto, vengono a manifestarsi al soggetto. La scoperta è quindi una manifestazione di rapporti di relazione in cui sono implicati uno o più soggetti come eventi relazionali.
#765
Mi sembra stiano emergendo due novi temi di discussione e riflessione non direttamente pertinenti con questo topic che riguarda l'evoluzione darwiniana. Questi temi, filosoficamente fondamentali, sono la natura dell'io (scaturente dal cogito cartesiano, ma non solo) e quella del tutto (la questione che sta all'origine stessa della filosofia). Vi invito quindi ad aprire nuovi temi di discussione pertinenti ove poter proseguire con queste interessanti riflessioni, evitando di disperdere il senso specifico di questo topic.