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Messaggi - acquario69

#751
Citazione di: cvc il 01 Giugno 2016, 08:47:37 AM
Credo che se sopravvivesse allo stupore iniziale poi si adatterebbe abbastanza facilmente alle nuove più confortevoli condizioni, l'adattamento è forte nell'uomo. Credo anche che sarebbe assai più felice di noi, perchè godrebbe del progresso della civiltà dopo aver saputo vivere senza. Avrebbe un bagaglio di esperienze, di battaglie, di ristrettezze e difficoltà affrontate che lo renderebbero un superuomo ai nostri occhi.
Però penso anche al contrario, se ci ritrovassimo all'improvviso nei bei tempi passati, magari così belli poi non ci sembrerebbero. Il punto non è se è meglio il passato o il presente, ma trovare il filo che li lega. E quel filo siamo noi.

"Senza conoscere la storia l'uomo vedrà sempre il mondo con gli occhi di un bambino"
Cicerone


certo,infatti avrei precisato dall'inizio che fare paragoni non avrebbe molto senso,se non quello di poter ravvisare per quanto fosse ancora possibile dei punti di vista diversi e che secondo me sarebbe costruttivo,oggi,riconsiderare ma senza pregiudizi e non per un ritorno al passato,che non sarebbe nemmeno realistico ma appunto per avere la possibilità di ritrovare quel filo e come dici tu quel filo siamo noi.
#752
Citazione di: Sariputra il 01 Giugno 2016, 09:02:48 AM
Citazione di: cvc il 01 Giugno 2016, 08:51:44 AMUno dei miti della nostra società è quello della autorealizzazione. Bisogna emergere, valorizzare le proprie qualità, conquistare il proprio tratto distintivo. Ma che succederebbe in una società in cui tutti gli individui fossero autorealizzati? Bisognerebbe stabilire se il mondo è un gioco a somma zero, oppure se è sempre possibile trovare soluzioni che accontentano tutti. È difficile immaginare un mondo in cui siano tutti realizzati. Realizzarsi implica fare qualcosa meglio di qualcun altro, conquistare un lavoro a scapito di un altro, rubare clienti altrui, guadagnare sulle perdite altrui. Eppure c'è tutta una letteratura, non solo di self help ma anche psicologica e filosofica, che incita le persone a realizzarsi, come se la possibilità di emergere fosse l'essenza dello spirito democratico, come se ci fosse posto per tutti e il mondo fosse un'immensa spiaggia dove chiunque può entrare di corsa rincorrendo i cavalloni più alti, partecipare a riti orgiastici collettivi, godere del meglio, basta avere il coraggio. Trovo molto ipocrita questo aspetto della nostra società. Non dico che uno non debba cercare di migliorarsi, è quello cui ognuno aspira, e un uomo senza aspirazioni è poca cosa. Ma che possano esserci giochi a somma zero, ci credo poco. Si può essere perdenti e felici?  "Avrai raggiunto la perfezione quando capirai che gli uomini felici sono i più infelici" Seneca

Non è che , nel desiderio di autorealizzarsi, si nasconda invece la volontà di dominio sugli altri?

forse può essere dominio sugli altri se l'auto realizzazione viene intesa all'"esterno" anziché al proprio "interno"
e in effetti mi sembra che nella maggior parte dei casi viene concepito solo in questa maniera anche perché ci viene riproposto di continuo come modello da imitare...così mi sembra
#753
Chissa che effetto farebbe o cosa penserebbe una persona di un altra epoca se si ritrovasse all'improvviso catapultata ai giorni nostri,ma anche viceversa.
personalmente credo che (noi oggi) avremmo da imparare molte cose,che nel frattempo ci siamo completamente dimenticati o forse non riusciamo proprio più a concepire..al contrario cosa si potrebbe assimilare?  ::)

potrebbe non avere senso fare paragoni del genere pero credo che sarebbero comunque interessanti,per provare almeno vedere le cose da altri punti di vista,anche perché ritengo che il nostro si sia come irrigidito e secondo me molto ristretto dovuto a un processo di omologazione pressoché totale,ma anche di dipendenza...ad esempio non credo nemmeno sia più possibile potersi ritagliare un esistenza che non debba forzatamente rientrare secondo schemi già prestabiliti,come se questi fossero gli unici possibili.
e questo a mio avviso entra in evidente contraddizione con la credenza opposta,e cioè che oggi si ritiene come non sia mai accaduto in passato,di avere una totale libertà di scelta...secondo me era decisamente più libero l'uomo pre moderno proprio perché godeva della sua libertà all'interno dei suoi limiti (quello del limite e' un altro concetto che andrebbe meglio riconsiderato) e che noi oggi a torto consideriamo ristretti,ma solo secondo la nostra mentalità condizionata e proprio dal fatto di non avere più limiti..non so se sia chiaro quello che ho appena provato a dire ma in altre parole il credere di non avere limiti e' cio che più ci limita in assoluto


in chiave comica (ma forse fino a un certo punto) mi sono ricordato del film benigni-troisi,non ci resta che piangere  :)


https://www.youtube.com/watch?v=OE4VpKxzRdI
#754
Percorsi ed Esperienze / Re:Quale direzione?
01 Giugno 2016, 07:15:37 AM
forse il fatto che questo argomento non abbia avuto finora risposte può già essere un segnale,del resto non credo sia così facile  provare a dire qualcosa in merito,anche perché la corrente del fiume e' diventata troppo impetuosa per non rischiare di esserne trascinati a sua volta...quindi molto meglio (secondo me) mettersi,almeno temporaneamente,al riparo a bordo della riva..
#755
Riflessioni sull'Arte / Re:Nuit etoilée
01 Giugno 2016, 07:11:25 AM
una cosa che forse non tutti sanno e' che prima che nascesse il pittore,ci fu la nascita del suo fratello maggiore che pero mori prima di venire alla luce ed aveva il suo stesso nome.
fu sotterrato nei pressi della canonica dove il padre celebrava le funzioni,come si usa tuttora in nord europa,e sulla sua lapide cera appunto scritto van gogh.

chissa che strano effetto e quali conseguenze deve aver segnato la vita del pittore il ritrovarsi da bambino a leggere il suo nome nella lapide!


http://www.alleottodellasera.rai.it/dl/portaleRadio/media/ContentItem-2432c4e1-98c8-4411-9614-9edecb37a573.html
#756
Tematiche Filosofiche / Re:Che cos'è la verità?
26 Maggio 2016, 06:35:48 AM
Citazione di: maral il 24 Maggio 2016, 15:17:26 PM
Cosa ha determinato nella storia del pensiero occidentale il passaggio della verità da uno stato di spontaneo naturale manifestarsi allo scavo che costringe la natura a manifestarla? Dall'apparire della nudità all'apparire del nascondimento che occorre sistematicamente forzare?
E dove e quanto della verità come aletheia è in realtà ancora tra noi?

la riduzione dell'uomo al puramente umano,l'aver reciso il suo legame con l'universo,in altri termini con il suo archetipo immutabile e permanente,così gli e' rimasto solo il "terrestre",mutevole e relativo..(da notare come mano a mano questa inerente trasformazione lo stia facendo diventare sempre più inconsistente,oggi direi virtuale..forse e' il punto estremo della sua stessa relativizzazione...)
e' maya che viene scambiata per presunta Verita,in un processo che ha finito per rendere maya stesso (pseudo) assoluto,invertendo parodisticamente le cose,quindi chiudendo ogni possibilità di svelamento
#757
Citazione di: Sariputra il 24 Maggio 2016, 15:00:23 PM
Nella concezione buddhista una soddisfazione temporanea è vista come insoddisfacente, in più viene addirittura equiparata a sofferenza in formazione. La mente cercherà di ripetere l'esperienza, ne avrà nostalgia, soffrirà per non riuscire a riviverla, ecc. Ma questo non è un "male" come viene inteso nella tradizione giudaico-cristiana. La beatitudine è uno stato positivo, uno stato di crescita e sviluppo interiore. L'importante è non aggrapparsi a questi stati, altrimenti diventano un altro ostacolo sulla via. In particolar modo quando si identificano questi stati con il concetto mentale di Vero o Santo. Può essere una trappola insidiosissima se non viene vista come un ristoro, un'oasi serena nel mare del divenire. Comunque, nemmeno fare esperienza di vera beatitudine è una cosa comune nel mondo attuale...
Per legami intendo tutto ciò che ci vincola, che ci tiene in suo potere. Legami interiori ed esteriori.

qualcosa non mi sarebbe ancora chiaro.

a prescindere innanzitutto da cio che e' stato concepito dal buddhismo,o dai giudaico-cristiani o altro ancora (secondo me meglio non affidarsi troppo alle dottrine,religioni ecc,personalmente penso che potrebbe risultare anche questo come un attaccamento)

a me sembra,almeno da come ne parli,(o ne parla il buddhismo?) che dai come per scontato,o quasi del tutto, che un esperienza simile debba comportare per tutti lo stesso identico effetto o le stesse identiche conseguenze.
un po mi da pure l'idea,come a dire ; visto che e' scontato che le cose vanno così (partendo pero dal pregiudizio sopra) meglio precludere ogni possibilita,il che a me sembra anche una chiusura.

in riferimento al maestro che mostra semplicemente il fiore ai suoi discepoli,non per questo la semplice osservazione deve "produrre" un estasi,ma piuttosto un distacco,e per come lo interpreto io sarebbe il cessare della mente,credo quei stessi legami interiori ed esteriori che dici tu...e il fiore non e' più un oggetto "esterno" al soggetto e secondo me questo significa "vedere" come il maestro si era proposto di far intuire ai monaci
#758
Citazione di: Sariputra il 24 Maggio 2016, 11:49:10 AM
Insoddisfacente perchè transitoria,  impermanente, soggetta a mutare, trasformarsi, dissolversi. Non è l'osservare il fiore, o la natura, che desta in noi beatitudine. E' la beatitudine che è in noi che si meraviglia della bellezza del puro fiore.  La mente non discriminante non trova differenze tra l'ammirare un fiore o pulire le latrine. Il frutto della concentrazione è la beatitudine (samadhi). Ma la beatitudine non è il risveglio. E' un frutto da cogliere, per me, sul sentiero per il risveglio. Il satori ( o chiamiamolo Nirvana, illuminazione, risveglio, ecc.) non è uno stato estatico. E' uno stato di liberazione da...di estinzione della sofferenza interiore...La differenza fondamentale tra la beatitudine e il "satori" è che la prima è temporanea mentre il secondo è uno stato continuo e definitivo. Non è uno stato ordinario l'illuminazione, nonostante molte tradizioni orientali vedano "illuminati" dappertutto, andando incontro alle istanze fideistiche delle masse. Pochi esseri sono in grado di raggiungere questo stato duraturo , veramente pochi, mentre molti hanno come dei flash d'intuizione che però, non sorretti dalla pratica e dalla moralità ("Ecco la virtù, ecco la meditazione, ecco la sapienza" Siddharta) producono effetti positivi (entrati nella corrente) che potranno portare a questa meta, ma che al momento appaiono passeggeri. I legami del mondo sono molto forti in noi...

certo e' transitorio ma non per questo e' motivo di insoddisfazione...
perché (almeno per me) e' un esperienza che ti ricollega a qualcosa che non e' al contempo transitorio e ne hai la certezza nonostante come e' ovvio che sia siamo legati al mondo..finche siamo nel mondo.
#759
Citazione di: Sariputra il 24 Maggio 2016, 09:36:46 AMNel caso del maestro che mostra il fiore, i monaci , osservandolo, con consapevolezza dovrebbero vedere il sorgere e lo svanire del "fiore", il suo carattere insoddisfacente in quanto impossibilitato a soddisfare il loro desiderio di possederlo, l'assenza di un Sè nel fiore, ossia il suo essere vuoto dal concetto di "fiore". Senza comprensione della natura dei fenomeni , la pura attenzione o concentrazione o consapevolezza che dir si voglia non porta al risveglio. Il problema non è il pensiero, ma la sua degenerazione, il suo prolificare incontrollato, il suo diventare come una scimmia che si aggrappa ad ogni ramo della foresta. Nella sua purezza, che nasce dalla consapevolezza, il pensiero è un'arma affilata che taglia le radici dell'illusione in cui viviamo.

e perché mai dovrebbe essere insoddisfacente la contemplazione di un fiore (io direi della natura in generale) a me ad esempio quando mi e' capitato mi ha ispirato ad una beatitudine che e' per l'appunto ineffabile e indescrivibile :)

e in quei momenti posso dire che ero al massimo della concentrazione..che chiaramente non va intesa come sforzo 
#760
trovo acute le tue osservazioni e in effetti credo anch'io che vi e' un principio imprescindibile a tutte le cose da cui queste provengono.
proverò a dirti qualcosa e che tendo a precisare che non e' farina del mio sacco ma che credo possa tornarti utile per una maggior comprensione e da stimolo alla tua ricerca

anziché usare le lettere,trasferiamo allo stesso senso i numeri.

cominciamo col numero 1 (il principio) dopo l'uno vengono tutti i restanti numeri 2,3,4,5...
dunque l'uno e' l'unita e cio che viene dopo e' la molteplicità dei numeri a seguire.
analogamente come (usando un altra immagine) un punto centrale di un cerchio (1) dove partono tutti i raggi fino alla sua circonferenza periferica (2,3,4,5...) 
ma ce anche lo zero da considerare che viene prima del numero uno e che in realtà contiene in potenza lo stesso numero 1 iniziale.
infatti lo zero non e' da considerarsi un nulla perché se questo lo mettiamo a seguire (es 1 -10-100-1000-10000....) si può capire che non e' affatto così..


ad ogni modo io ho molto semplificato e se ti interessa ti lascio un paio di link (tramite messaggio privato) dove se vuoi potrai approfondire meglio quello che avrei appena accennato
#761
Citazione di: Phil il 23 Maggio 2016, 18:34:10 PM
Concordo; le mie perplessità erano principalmente linguistiche, soprattutto nell'uso della parola "trascendenza", molto (troppo, direi) impregnata di metafisica occidentale... il "trascendere la mente" potrebbe essere inteso da qualcuno come un gesto mistico (quasi alchemico) che ci solleva dal Reale; invece, credo che lo zen alluda piuttosto ad uno "scendere dalla mente", dalle sue discriminanti elucubrazioni, dai suoi falsi problemi sofistici, proprio per restare con i piedi (e la mente) per terra... già, la parola chiave credo sia quella che proponi: "intuizione", che intenderei come forma di "comprensione non-verbalizzata" (né verbalizzabile), e proprio per questo al riparo dai dualismi cognitivi che ci fanno salire sulla mongolfiera della speculazione (con tutte le aporie che ne conseguono...)


secondo me questa riflessione può portare ad un ulteriore considerazione,ossia del fatto che quando intendiamo "mondo" come sopra,questo non sia qualcosa di separato rispetto ad un ipotetico "altro mondo".
la trascendenza allora diventa più semplicemente consapevolezza

penso che,come dici tu,la parola intuizione sia stata da molto tempo fraintesa,concepita appunto come qualcosa di misticheggiante e fuori dal mondo,invece io credo che sia vero proprio il contrario e che sia appunto un aderenza effettiva e più che mai concreta del reale,mondo compreso.

la dicotomia nasce a mio avviso proprio attraverso la ragione e diventa alienante nel momento stesso che se ne fa un uso esclusivo.
chiaro che non sto dicendo affatto che non bisogna pensare o ragionare ma di non cadere nella sua trappola
la sola ragione allora finisce per considerare le cose solo in vista di qualcos'altro,ma che questo altro diventa fittizio,inesistente in realtà,quindi si estranea e direi pure nella maniera più riduttiva e utilitaristica e dimentica cosi (non visualizza più) cio che (di reale) ha davanti a se
 
un giorno il maestro, atteso dalla comunità dei monaci per un discorso, non fece altro che sollevare un fiore e mostrarlo, senza dire una parola. Tutti si interrogavano sul significato di quel gesto. Ma esso non aveva alcun significato. "Amici, perdervi nei pensieri vi impedisce di entrare in contatto con la vita" 

in tutto questo non ce assolutamente niente di strano ed appunto non e' necessario ne ambire a diventare un buddha,o isolarsi come un eremita a fare o non fare chissa che,questi sono soltanto pregiudizi tra l'altro secondo me molto radicati,ogni momento,ogni gesto,anche il più ordinario il più semplice e banale,(apparentemente banale) ,soli o in mezzo alla gente,del nostro vissuto diventa (e') trascendentale,e' consapevolezza...sta qui,non chissa dove

certo il contesto in cui viviamo non facilita affatto le cose,ce la fretta,le distrazioni che si sono nel frattempo pure moltiplicate in maniera esponenziale,e che per molti sono pure considerati dei valori!..e che vanno in direzione contraria alla quiete e alla concentrazione (che come al solito vengono considerati anch'essi in maniera pregiudiziale) 
non siamo più centrati ma decentrati,votati così all'esterno e non all'interno...per me questo significa solo essere alienati,oggi stiamo tutti vivendo in un grave stato di allucinazione..questo penso!
quindi non un aggiungere,un accumulare ma un togliere...e' il "vuoto" che allora diventa pieno
#762
Citazione di: Phil il 22 Maggio 2016, 12:43:15 PM
Citazione di: acquario69 il 05 Maggio 2016, 16:51:53 PMed e' a quello che puntano i maestri zen (e non ad un presenza immanente - l'etimologia di immanente vuol dire infatti rimanere dentro -) a quel "vuoto" senza forma,e trascendente,che comprende tutto ed e' Tutto[/font]
Forse non sono abbastanza forgiato nello zen, ma credo che gran parte dei mestri zen aborrino ogni forma di trascendenza, preferendo invece proprio la presenza immanente ("retta consapevolezza-concentrazione" dell'ottuplice sentiero), per questo rispondono con "bastonate didattiche" alle domande speculative dei loro allievi ed hanno incentrato le loro attività pratiche come "allenamenti all'immanenza" (compiere ogni azione con consapevolezza e compresenza al gesto). Spesso la lettura di termini. tanto cruciali quanto ambigui, viene deformata (in buona fede) dai nostri vocabolari concettuali: "vuoto", "assoluto", "negazione", "soggetto"... sono parole ricche di storia in occidente, storia che rischia di essere una precomprensione "viziata" quando importiamo questi concetti dall'oriente (rischiamo di riscrivere le "istruzioni per l'uso" di quelle espressioni basandoci sull'assonanza della traduzione; forse funzionerebbero meglio dei neologismi o usare le parole "originali", ma sarebbe poi più ostico l'approccio linguistico...).

non so se alla fine stiamo pure dicendo le stesse cose e credo sappiamo entrambi che provare a descriverle ci riporterebbe al punto di partenza,dunque quello che possiamo fare qui (nei nostri impliciti umani limiti) mentre stiamo scrivendo e' cogliere cio che non si può formulare.

il maestro zen che all'improvviso da una bastonata al suo allievo :)
non lo fa certo a casaccio ma avrebbe intuito diciamo così,un motivo per farlo.
quindi,lo scopo del maestro zen era quello di aiutare il discepolo a trascendere la mente,a staccarsi dal suo IO individuale,a "raggiungere" il vuoto,dove soggetto ed oggetto diventano UNO,dove non ci sono più distinzioni,aderente al Reale...ripeto anche queste sono descrizioni,ma e' inevitabile!
cio che conta e' che ci porti comunque all'intuizione.
#763
credo innanzitutto che bisognerebbe farsi una ragione del fatto che uomo e donna siano diversi,purtroppo da qualche decennio a questa parte questo sacrosanto ed oggettivo dato di fatto,oltre a non venir più inteso si e' pure capovolto.
oggi si proclama l'uguaglianza,ma solo nel suo aspetto più superficiale possibile,omologante e indifferenziato,ossia totalmente fasullo,poiché dovrebbe pure essere banale il considerare la diversità come fattore essenziale e per se stesso vitale di ogni manifestazione..l'uomo e la donna in questo stesso senso rappresentano gli aspetti polari e complementari per eccellenza e volerli concepire in maniera uniformante li annulla entrambi.
tutto questo e' stato così (male) interpretato,e la diversità e' stata percio vista come una gerarchia a cui secondo questo ennesimo riduzionismo ci si doveva affrancare.

il risultato dovrebbe essere chiaro agli occhi di tutti,le donne che volevano "liberarsi" sono a tutti gli effetti schiave degli stessi stereotipi che dicevano di voler combattere,e a parte il fatto che già contrapporsi a qualcosa,da come risultato esattamente l'effetto opposto,così la loro essenzialità femminile e' quasi del tutto scomparsa e al suo posto ce un unico vero padrone; il mercato.

dopo questa premessa si può cominciare a parlare di donne in relazione alla commedia.

forse tra quelli più giovani di me chissa se ne hanno ancora un ricordo ma a me vengono in mente grandissimi personaggi femminili davvero autorevoli della commedia (inteso come "logos" come lo hai descritto anche tu,commedia vera che si associa indissolubilmente all'aspetto drammatico come elementi complementari indispensabili ad ogni reale rappresentazione) e che io oggi non vedo più ricomparire.  
...anna magnani,alessandra mondaini,monica vitti,gabbriella ferri,anna marchesini..personaggi che a mio avviso hanno incarnato il ruolo nella loro autentica femminilità,non negandola e non scadendo percio nel volgare ma sopratutto nel non doversi piegare e conformarsi ad un imitazione parossistica maschile,nelle uniche versioni rimaste,quella di una comicità banale,tipo litizzetto e dall'altra quella dove "recitare" equivale a far mostra di culo e tette...mentre il mercato ringrazia


https://www.youtube.com/watch?v=WhvlomhAh3Q

magnani,attrice mitica!
#764
Citazione di: Lou il 20 Maggio 2016, 00:49:00 AM
io direi, molto semplicente e intuitivamente, che l'autocoscienza é la presenza della coscienza a sé stessa.

Secondo me hai colto in pieno.
Dal mio punto di vista e in altre parole,l'autocoscienza e' la "parte" divina,indivisible,immutabile e perenne Che risiede in noi.(la sua presenza come dici tu)

Allora il pensiero e' coscienza (Cioe coscienza individuale e formale,percio duale)
Quando il pensiero CESSA si SVELA l'autocoscienza (il "vuoto" e il senza forma,Non duale)

Per evitare possibili contraddizioni apparenti,quell'autocoscienza come spiegato sopra e' la STESSA Che COINCIDE (diventa UNO) con LA Coscienza (unica,divina,onnipervadente)
...quindi si potrebbero anche dire Che la coscienza individuale altro non e' Che il riflesso di un unica coscienza universale
#765
Tematiche Filosofiche / Re:Cultura e controcultura
18 Maggio 2016, 03:54:49 AM
in effetti emergono ulteriori considerazioni sul tema in questione e mi viene in mente che per cultura oggi viene pure associata a qualcosa che rimanda più ad una moda,ad un presunto modo di pensare che si ritiene "originale" (così che ognuno potrà formulare la sua idea personalizzata,senza poterla nemmeno metterla in discussione,visto che per ognuno vale il criterio individualistico e relativista,come concetto stesso di cultura) quando in realtà sarebbe solo un etichetta (per sua stessa natura esteriore e formale) più che mai omologante,oltreché ideale strumento suggestivo per non permettere che le stesse persone possano arrivare a contestare lo stesso sistema che li tiene ingabbia (ed e' a questo che si riduce la controcultura), allo stesso modo di un pollaio chiuso al suo interno da un recinto senza nemmeno sospettarlo.