A Davintro
A me sembra invece che l'"io penso" anticipi in maniera determinante quanto poi affermerà la Fenomenologia.
Tale anticipazione, ritengo, è particolarmente evidente nella "Critica del Giudizio", nella quale Kant
afferma che i giudizi di gusto ambiscono a una validità universale (e a tal scopo devono poter essere
comunicabili intersoggettivamente).
Kant a tal proposito parla di "senso comune estetico"; ma è chiaro che la portata di un tal concetto va
ben oltre l'estetica, investendo in pieno la conoscenza ed in ciò "attenuando" la contrapposizione fra
noumeno e fenomeno (o almeno così a me sembrerebbe)
Vuol forse dire Kant, con questo, che la "cosa in sè" è conoscibile?
No, certamente, ma forse sta intuendo che l'intersoggettività può giocare un ruolo cruciale; perchè
quell'"io" è in fondo estendibile ad un "contesto" non limitato al singolo individuo.
Recentemente, nell'ambito del dibattito sul "Nuovo Realismo", il filosofo tedesco Markus Gabriel
rispondendo ad una obiezione di Severino (il quale, citando Gentile, affermava che: "un oggetto, in quanto
pensato, è pur sempre un pensato" - ora non ricordo esattamente ma questo era il senso), ha parlato
di "punto d'osservazione" quale fondamento "certo" di una nuova teoria neorealista. A questo Severino
ha replicato che un punto d'osservazione è null'altro che un "contesto" (ed un contesto non rappresenta
un fondamento certo - prendi tutta questa ricostruzione così, alla buona, perchè non ricordo molto bene).
In sostanza: può la Fenomenologia offrire un fondamento più stabile di quello rappresentato dal "contesto"?
Cos'altro può essere l'"ontologia regionale" di cui parla Husserl se non una teoria di validazione "entro"
i limiti di un contesto?
Anche dal punto di vista della Semiotica le cose mi sembrerebbero andare in questo modo.
La Semiotica dice (in scandalosa sintesi...) che il "segno" è riferito ad un oggetto, e che quell'oggetto è
conoscibile solo e soltanto attraverso il "segno" (non mancano fra i semiotici coloro che, addirittura,
negano l'esistenza del "primum assoluto", cioè dell'oggetto cui il segno di riferisce).
C.S.Peirce, a mio parere molto acutamente, rileva che già il pensare, prima ancora del dire, è "segnare",
cioè inserire l'oggetto all'interno di una catena segnica.
Ma cos'altro è una catena segnica se non un contesto, una ontologia regionale, in definitiva un "io"?
saluti e stima (apprezzo molto le tue considerazioni)
A me sembra invece che l'"io penso" anticipi in maniera determinante quanto poi affermerà la Fenomenologia.
Tale anticipazione, ritengo, è particolarmente evidente nella "Critica del Giudizio", nella quale Kant
afferma che i giudizi di gusto ambiscono a una validità universale (e a tal scopo devono poter essere
comunicabili intersoggettivamente).
Kant a tal proposito parla di "senso comune estetico"; ma è chiaro che la portata di un tal concetto va
ben oltre l'estetica, investendo in pieno la conoscenza ed in ciò "attenuando" la contrapposizione fra
noumeno e fenomeno (o almeno così a me sembrerebbe)
Vuol forse dire Kant, con questo, che la "cosa in sè" è conoscibile?
No, certamente, ma forse sta intuendo che l'intersoggettività può giocare un ruolo cruciale; perchè
quell'"io" è in fondo estendibile ad un "contesto" non limitato al singolo individuo.
Recentemente, nell'ambito del dibattito sul "Nuovo Realismo", il filosofo tedesco Markus Gabriel
rispondendo ad una obiezione di Severino (il quale, citando Gentile, affermava che: "un oggetto, in quanto
pensato, è pur sempre un pensato" - ora non ricordo esattamente ma questo era il senso), ha parlato
di "punto d'osservazione" quale fondamento "certo" di una nuova teoria neorealista. A questo Severino
ha replicato che un punto d'osservazione è null'altro che un "contesto" (ed un contesto non rappresenta
un fondamento certo - prendi tutta questa ricostruzione così, alla buona, perchè non ricordo molto bene).
In sostanza: può la Fenomenologia offrire un fondamento più stabile di quello rappresentato dal "contesto"?
Cos'altro può essere l'"ontologia regionale" di cui parla Husserl se non una teoria di validazione "entro"
i limiti di un contesto?
Anche dal punto di vista della Semiotica le cose mi sembrerebbero andare in questo modo.
La Semiotica dice (in scandalosa sintesi...) che il "segno" è riferito ad un oggetto, e che quell'oggetto è
conoscibile solo e soltanto attraverso il "segno" (non mancano fra i semiotici coloro che, addirittura,
negano l'esistenza del "primum assoluto", cioè dell'oggetto cui il segno di riferisce).
C.S.Peirce, a mio parere molto acutamente, rileva che già il pensare, prima ancora del dire, è "segnare",
cioè inserire l'oggetto all'interno di una catena segnica.
Ma cos'altro è una catena segnica se non un contesto, una ontologia regionale, in definitiva un "io"?
saluti e stima (apprezzo molto le tue considerazioni)