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Messaggi - 0xdeadbeef

#751
A Davintro
A me sembra invece che l'"io penso" anticipi in maniera determinante quanto poi affermerà la Fenomenologia.
Tale anticipazione, ritengo, è particolarmente evidente nella "Critica del Giudizio", nella quale Kant
afferma che i giudizi di gusto ambiscono a una validità universale (e a tal scopo devono poter essere
comunicabili intersoggettivamente).
Kant a tal proposito parla di "senso comune estetico"; ma è chiaro che la portata di un tal concetto va
ben oltre l'estetica, investendo in pieno la conoscenza ed in ciò "attenuando" la contrapposizione fra
noumeno e fenomeno (o almeno così a me sembrerebbe)
Vuol forse dire Kant, con questo, che la "cosa in sè" è conoscibile?
No, certamente, ma forse sta intuendo che l'intersoggettività può giocare un ruolo cruciale; perchè
quell'"io" è in fondo estendibile ad un "contesto" non limitato al singolo individuo.
Recentemente, nell'ambito del dibattito sul "Nuovo Realismo", il filosofo tedesco Markus Gabriel
rispondendo ad una obiezione di Severino (il quale, citando Gentile, affermava che: "un oggetto, in quanto
pensato, è pur sempre un pensato" - ora non ricordo esattamente ma questo era il senso), ha parlato
di "punto d'osservazione" quale fondamento "certo" di una nuova teoria neorealista. A questo Severino
ha replicato che un punto d'osservazione è null'altro che un "contesto" (ed un contesto non rappresenta
un fondamento certo - prendi tutta questa ricostruzione così, alla buona, perchè non ricordo molto bene).
In sostanza: può la Fenomenologia offrire un fondamento più stabile di quello rappresentato dal "contesto"?
Cos'altro può essere l'"ontologia regionale" di cui parla Husserl se non una teoria di validazione "entro"
i limiti di un contesto?
Anche dal punto di vista della Semiotica le cose mi sembrerebbero andare in questo modo.
La Semiotica dice (in scandalosa sintesi...) che il "segno" è riferito ad un oggetto, e che quell'oggetto è
conoscibile solo e soltanto attraverso il "segno" (non mancano fra i semiotici coloro che, addirittura,
negano l'esistenza del "primum assoluto", cioè dell'oggetto cui il segno di riferisce).
C.S.Peirce, a mio parere molto acutamente, rileva che già il pensare, prima ancora del dire, è "segnare",
cioè inserire l'oggetto all'interno di una catena segnica.
Ma cos'altro è una catena segnica se non un contesto, una ontologia regionale, in definitiva un "io"?
saluti e stima (apprezzo molto le tue considerazioni)
#752
Citazione di: DeepIce il 08 Settembre 2018, 15:49:11 PM
Citazione di: Kobayashi il 08 Settembre 2018, 15:37:20 PM
Per fare un discorso costruttivo bisognerebbe chiedersi quali siano le peculiarità di una persona specializzata in filosofia (nel nostro tempo, s'intende).
A mio giudizio ciò che può far valere come sua capacità specifica è l'analisi di testi. La capacità di smontare un discorso, di coglierne le sfumature più sottili etc.
E' qualcosa che sa fare solo lui. Gli altri umanisti da questo punto di vista non sono alla sua altezza.
Questo sarebbe un ottimo settore per i filosofi. La vedo però dura, dal momento che la comunicazione, oggi, deve essere necessariamente manipolatoria e per nulla analitica.



Non ritieni sia più opportuno puntare sulla conoscenza delle lingue?
Io sono, come dire, "fuori" da certi discorsi ormai da diversi anni, ma ai miei tempi contava soprattutto il
"pezzo di carta", e se il tuo è una laurea in filosofia la vedo dura...
Molti anni fa, ad esempio, ero appassionato di informatica (e anche piuttosto bravo...) e ho provato ad unire
l'utile al dilettevole cercando, nel tempo libero, di fornire servizi di sicurezza informatica per le reti
aziendali (considera che si era davvero agli albori di tali discipline...). Beh, ho constatato che senza
"carte" non si andava da nessuna parte, e che il solo "saperci fare" era misconosciuto.
Boh, forse qualcosa è cambiato?
saluti
#753
Bisogna però "vivere", e per vivere bisogna lavorare (o meglio: bisogna percepire uno stipendio...).
Il nostro amico ha 37 anni e non ha un lavoro: la sua situazione non è di quelle da stare allegrissimi.
Le chiacchiere non fanno farina, dice un saggio adagio popolare...
Diceva un tale (non ricordo chi) che le sole persone davvero libere sono quelle in cima e quelle in fondo
alla cosiddetta "scala sociale", e che tutti quelli che stanno nel mezzo devono venire a compromessi
più o meno pesanti. Beh, bisogna riuscire a, come dire, "ritagliarsi uno spazio"; magari con non troppa
sfortuna ci si riesce anche...
Si è però solissimi, ed è dura; ma non bisogna abbattersi, perchè spesso le cose si risolvono da sole o
quasi (sembra retorica ma è davvero così).
saluti
#754
Tematiche Filosofiche / Re:Scienza e scientismo
08 Settembre 2018, 15:20:53 PM
A Carlo Pierini (in riferimento alla risposta #26)
La scienza non ha, nella storia, una definizione univoca, mi pare appurato.
Una volta, ad esempio, era scienza ciò che era assolutamente vero ed accertato (e così era per quel Kant
che tu accusi del contrario...), e questa definizione veniva ad opporsi a quella di "opinione".
Ora mi pare proprio che le cose non stiano esattamente allo stesso modo (l'assolutamente vero è una
espressione considerata, giustamente, anti-scientifica).
Il geocentrismo rispetta uno dei criteri di fondo della metodologia scientifica: l'osservazione diretta
(fino a prova contraria si vede il sole muoversi e la terra stare ferma...). Galileo e/o Copernico
mi pare scoprirono l'eliocentrismo a seguito di certi calcoli fatti su certe distanze di certi pianeti,
ma poterono scoprirlo solo a seguito dell'invenzione del cannocchiale, mi pare ovvio.
Quel che dicevo in quella risposta è che se il geocentrismo, come ogni altra enunciazione scientifica,
fosse una "assoluta verità" Galileo, Copernico e il cannocchiale sarebbero stati presto
distrutti e dimenticati...
Voglio dire: è chiaro che l'"assolutamente vero" non può essere una espressione scientifica, tant'è
che il geocentrismo, pur fondato su un criterio scientifico, è stato dimostrato essere falso (pur se
gli stessi termini di "vero" e "falso" sono usati più per comodità che altro).
saluti (adesso però non ho davvero da dire altro su quest'argomento)
#755
Tematiche Filosofiche / Re:Scienza e scientismo
08 Settembre 2018, 14:39:55 PM
A Paul11
Beh, direi che Heidegger riteneva Nietzsche l'ultimo metafisico proprio perchè, secondo lui (Heidegger)
la metafisica è nata nel momento stesso in cui è stato affermato il "divenire" (e con esso, naturalmente,
un "iperuranio" di entità indivenienti).
Quindi Nietzsche ultimo metafisico in quanto ultimo (definitivo?) "tecnico", laddove per "tecnica" si intenda
appunto il rimedio contro l'angoscia suscitata dal divenire (dunque la volontà di potenza come tecnica in
tal modo intesa).
Che dire? Questa è null'altro che una interpretazione; ma, personalmente, è quella che, diciamo, "preferisco"...
E' chiaro che l'"oltreuomo" nietzschiano (che in troppi traducono con "superuomo"; e già questo è indicativo
di come Nietzsche sia stato frainteso) non è un uomo meschino, che cerca potere e denaro. Ma, di fatto, nella
"morte di Dio" l'uomo questo è diventato.
Perchè Nietzsche, come del resto ogni filosofo, non inventa o crea un bel nulla; semmai "scopre", "denuda"
un qualcosa che già è (e questo qualcosa che già è, al tempo di Nietzsche, è appunto la morte di ogni valore
"eterno ed immutabile").
Nietzsche, nella veste di "oltreuomo" afferma: "vengo troppo presto" (ora non ricordo in quale opera è
questo passo). Ma non è, a ben vedere, un giungere che se fosse avvenuto nei tempi, diciamo, "dovuti"
avrebbe avuto successo. Non era allora e non è adesso il tempo per l'"oltreuomo" (se non forse, chissà, per
una sparuta ed insignificante minoranza di "eletti"), perchè nella morte di ogni valore "eterno" ad
emergere non è un uomo finalmente "libero" da ogni vincolo, ma un uomo che nel valore eterno trovava
un freno alla sua meschinità (adesso invece "libera" di esplicarsi a tutta potenza).
Un uomo quindi debole, e che in quanto debole non sa rassegnarsi all'indeterminatezza (da qui la sua
"ricostituzione dell'inflessibile" nelle "certezze" dello scientismo...).
Che altro dire? Certo sono consapevole che la mia lettura è quella di un conservatore, di un tradizionalista
(confesso che a certe conclusioni e riletture sono giunto soprattutto per "colpa" di Dostoevskij...), ma
a me sembra comunque quella "giusta".
saluti e stima.
#756
Tematiche Filosofiche / Re:Scienza e scientismo
07 Settembre 2018, 21:02:46 PM
A Paul11
Beh, come commentare in maniera appropriata queste acute riflessioni dell'amico Paul11?
Non sono troppo d'accordo sul punto ove dici della volontà di potenza "nietzscheiana", che sarebbe
di altro tipo rispetto alla potenza "scientifica" (anzi, che quest'ultima sarebbe un "tipo" - laddove,
presumo, quella di Nietzsche non avrebbe specificazione).
Proprio la deriva, l'"estensione" scientista di cui dicevo, dimostrerebbe che la potenza dell'apparato
tecno-scientifico ambisce a ben altro che non a stare nel "recinto" costituito dalla scienza vera e propria.
In questo senso, a me sembra, la potenza dell'apparato tecno-scientifico va sempre più costituendosi come
potenza senza alcuna specificazione (e cioè in maniera del tutto identica alla potenza "ontologica" di
Nietzsche).
Eccellente la tua riflessione sul nostro tempo, che affermi essere quello di S.Tommaso (chiaramente non
d'Aquino...). E' assolutamente vero ciò che sostieni sulla teoria della relatività, sulla meccanica classica
newtoniana, sull'utile e sul funzionale quali fondamenti della scienza e della cultura attuale, sulla
psicanalisi che perde nei confronti della neurologia.
Ma, mi chiedo, se l'"utile" domina incontrastato con quale strumento l'uomo fronteggia il pensiero del
divenire (prosaicamente: della malattia e della morte)? Non con il pensiero di Dio, mi verrebbe da dire,
visto che "Dio è morto" (e non è certo morto perchè l'ha detto Nietzsche...).
Non con lo scientismo, direi, che personalmente intendo come "una" tecnica; ma forse con "la" tecnica
(concetti che qui intendo in maniera speculare al tuo "tipo" di potenza) nel suo senso generico e
senza specificazioni.
Forse, cioè, con la volontà di potenza, cioè con il sostituire l'Uomo a Dio (anche la religione credo parli
in termini millenaristici di un tale evento, come la, o una, fase finale della storia...).
Ma dove può trovare, l'uomo, una potenza maggiore di quella che l'apparato tecno-scientifico gli offre?
Severino afferma che laddove la preghiera smuovesse le montagne, l'uomo sarebbe prontissimo a lasciare
l'apparato tecno-scientifico e ad abbracciarla, ma finchè ciò non succede...
Ecco allora che allo scopo di incrementare la propria potenza (in un gioco in cui mezzo e scopo si
confondono annullandosi), l'uomo estende e "potenzia" (con lo scientismo) lo strumento che gli fornisce
la maggior potenza: l'apparato tecno-scientifico.
saluti
#757
"Ma vi è ben di più che non la sola ripresa del concetto tradizionale di scienza.
"O la cosa è scienza o non è nulla", dicevo.
Un uomo atterrito dal nichilismo e dal relativismo non può accontentarsi di un sapere
dubbio o tutt'al più probabile. Ecco allora che tutto diviene "scienza" (tradizionalmente
intesa, ovviamente), perchè solo la scienza dà certezze...".

Scusami se mi auto-cito (la discussione è "Scienza e scientismo"), ma è precisamente per questo motivo
che non trovi lavoro (la cosa mi addolora: hai tutta la mia solidarietà).
La società moderna vuole solo e soltanto un sapere tecno-scientifico.
saluti
#758
Tematiche Filosofiche / Re:Scienza e scientismo
06 Settembre 2018, 20:26:52 PM
Citazione di: bobmax il 06 Settembre 2018, 18:09:32 PM
A Oxdeadbeef
Concordo con te.

Vorrei aggiungere che la stessa idea di Dio nasce dalla medesima facoltà che produce la tecnica.


Giustissimo, come già accennavo la metafisica (Heidegger) nasce come edificazione degli immutabili (le
divinità) in risposta all'affermazione circa il divenire delle cose.
In questo senso (un senso molto ben specificato da Severino), l'immutabile (ad es. il "nostro" Dio) viene
edificato come rimedio all'angoscia suscitata dal divenire delle cose (in particolare la vita che passa e
diventa morte).
In altre parole, Dio è lo "strumento" di cui l'uomo si serve per raggiungere un determinato fine: Dio è
quindi, in quanto strumento, parte di una "tecnica".
Molto profonda e largamente condivisibile la successiva riflessione sul pensiero logico-razionale come
causa "ultima" della tecnica (quindi del pensiero della divinità come dell'apparato scientifico odierno).
Credo sia arduo dire se stiamo o meno raggiungendo il limite ("ossia il punto dove le profonde contraddizioni
dell'interpretazione razionale della realtà non potranno più essere ignorate").
Non credo sia facile o alla portata di tutti trovare la consapevolezza per comprendere tutto questo.
Severino, ad esempio, sembra porre molto in là da venire il punto in cui la volontà di potenza potrebbe
"svuotarsi" di significato (appunto a seguito dell'avvento della consapevolezza di far parte di un
ineluttabile "destino" - qui inteso in un vero e proprio senso "heideggeriano").
Per intanto, dice Severino, la volontà si esplicherà nella sua massima potenza, e proprio in quanto
l'uomo comprenderà (ma sulla base di quanto sostengo in questo post mi sembra non lo stia comprendendo...)
non esservi nessun limite, nessun "inflessibile".
saluti
#759
Tematiche Filosofiche / Re:Scienza e scientismo
06 Settembre 2018, 17:40:36 PM
Citazione di: davintro il 06 Settembre 2018, 16:33:49 PM
Lo scientismo è metafisica e filosofia camuffata da "scienza", o meglio da un'idea di scienza che non è quella su cui presume di fondarsi. Non a caso l'esempio credo più sistematico ed evidente di "scientismo" nella storia della filosofia, il positivismo comtiano e più in generale ottocentesco, che relegava religione e metafisica a saperi primitivi nella storia dell'umanità, destinati a essere soppiantati dalle scienze positive, induttive e naturali, è correttamente presentata a tutti gli effetti come una corrente filosofica, non certo scientifica nel senso galileiano del termine

A Daveintro
Sono assolutamente d'accordo che lo scientismo sia, in ultima analisi, una corrente filosofica (lo dicevo infatti
già nel post di apertura).
Il problema consiste appunto in questo: che si "ontologizza" la pratica scientifica facendola diventare l'unica
spiegazione del mondo e di tutte le cose.
Ripeto allora la domanda: come, da dove e perchè nasce tutto questo "bisogno di scienza"?
(la mia risposta l'ho già data)
saluti
#760
Tematiche Filosofiche / Re:Scienza e scientismo
06 Settembre 2018, 17:03:11 PM
A Sgiombo
Ammetterai almeno che scienza e tecnologia occupano uno spazio sempre maggiore (magari non per te, per me o
per qualcun'altro, ma certo per un numero grandissimo di persone...).
Sento addirittura dire, e senza alcun pudore di dirlo, che nel prossimo futuro camperemo tutti 120 e passa
anni (e se questo non succederà la colpa sarà attribuita all'errore di qualche medico, come ben sai...)
E che dire dell'economia? Nonostante tutti i guasti prodotti ancora i più si ostinano a parlare di "scienza"
laddove, se scienza fosse, questa dottrina economica "mainstream" sarebbe immediatamente abbandonata (una
delle caratteristiche della scienza modernamente intesa è infatti la "correggibilità"; la "confutabilità"
già in premessa dello stesso "essere scienza").
Ora, non ti chiedo nemmeno di abbracciare in toto la mia tesi sulla divinizzazione della scienza, ma di certo
vedi da te come la scienza stia sempre più debordando e, debordando, negando se stessa (in quanto diviene
scientismo).

A Carlo Pierini
Sono, molto francamente, stufo di ripeterti le stesse cose (e stufo che si risponda ad un frammento del mio
discorso senza dire mai nemmeno una parola sul contesto in generale che cerco di proporre).
Il termine "verità assoluta" non appartiene alla scienza. Se gli uomini avessero preso per verità assoluta
la tesi per cui il sole gira attorno alla terra (tesi in tutto e per tutto scientifica, visto che rispetta
appieno una delle principali caratteristiche della scienza: l'osservazione empirica), Galileo e Copernico
sarebbero stati rinchiusi in manicomio, bruciati e, soprattutto, dimenticati...
Ciò che ti sfugge, caro Carlo Pierini, è (oltre a molte altre cose, come ad esempio la definizione non
univoca del termine "scienza" nella storia e all'interno delle varie interpretazioni) l'importanza ed il ruolo
che il linguaggio ha negli enunciati...
saluti (sperando vivamente tu voglia lasciare spazio a chi intende rispondere al mio post)
#761
Tematiche Filosofiche / Re:Scienza e scientismo
05 Settembre 2018, 16:55:03 PM
Il punto che a me sembra saliente di tutto il discorso è l'implicazione che esso, il discorso,
ha con la "tecnica" così come essa intesa da Severino (sulla scia, naturalmente, di Heidegger).
Se intendiamo la "tecnica" come quel qualcosa che l'uomo assume come rimedio contro l'angoscia
suscitata dal divenire delle cose, allora non possiamo non vedere chiaramente che mentre ieri
tale rimedio era la divinità, diciamo, classicamente intesa, oggi (nella "morte di Dio") è
l'apparato scientifico e tecnologico.
Per usare la terminologia di Severino, l'Inflessibile (che era stato "flesso") si è ricostituito
come tale; e si è ricostituito appunto nell'apparato scientifico e tecnologico.
Quindi, rispondendo all'amico Iano, non direi che: "la scienza di oggi si appropria della Chiesa".
Direi piuttosto che l'uomo di oggi si appropria della scienza esattamente allo stesso modo in cui,
ieri, si appropriava della Chiesa. Il fine dell'uomo è il medesimo: salvarsi dall'orrore che in
lui suscita il divenire delle cose.
Da questo punto di vista, e per rispondere all'amico Baylam, a me sembra che ci sia ben più che
non una semplice indistinzione dei piani della morale, della politica e della scienza.
Lo scientismo è ben più che l'atteggiamento di chi dà importanza preponderante alla scienza nei
confronti delle altre attività umane. Sì, è anche questo, ma è anche: "l'atteggiamento di chi
ritiene non ci siano limiti alla validità e all'estensione della conoscenza scientifica". Cioè
l'atteggiamento di chi ritiene la scienza "assoluta ed infinita".
Una scienza assoluta ed infinita vuol dire però una scienza "divinizzata" (cioè una falsa scienza,
dal momento che la scienza, per così dire, "autentica" presuppone essa stessa la propria confutabilità).
Vuol dire appunto uno "scientismo", che della scienza rappresenta (oltre che la negazione) un uso
arbitrario che presenta le caratteristiche di una vera e propria psicosi (una psicosi inconscia, che
rimanda, come dicevo, alla definizione severiniana di "tecnica").
saluti
#762
Tematiche Filosofiche / Re:Scienza e scientismo
04 Settembre 2018, 21:31:27 PM
Citazione di: sgiombo il 04 Settembre 2018, 21:04:53 PM
Dubito peraltro molto che dell' uomo odierno (ma vi sono non pochi diversi e anche contrastanti modi di essere "uomo moderno"; diciamo: della "versione più diffusa", per lo meno in Occidente, di umanità) si possa dire che certamente sia molto meno libero che non quello degli ultimi otto-nove secoli (che "conosceva" Dio); che sapesse anche relegarlo in un ruolo limitato mi sembra falso e contraddittorio rispetto alla natura infinita "da sempre" attribuita a Dio stesso).


Beh, diciamo che questa parte della mia riflessione (che, voglio almeno sperare, a questo non
si esaurisce...) è riferita ad un epoca, diciamo, "pre-francescana"...
Con il Francescanesimo (certamente preceduto da importanti movimenti ereticali)
infatti Dio comincia ad essere relegato nella "fides",
perdendo, anche se non certo "di diritto", almeno di fatto la sua "infinità".
Non è certo per un caso che i primi studi sul naturalismo sono fioriti nell'ambiente
francescano (Inghilterra).
saluti
#763
Tematiche Filosofiche / Scienza e scientismo
04 Settembre 2018, 20:21:23 PM
In relazione alle ultime discussioni, vorrei soffermarmi un attimo sul rapporto che
intercorre fra la scienza e la sua, chiamiamola, "estensione" (una estensione che è
in ultima analisi filosofica): lo "scientismo".
La miglior definizione di "scienza" è, a mio parere, quella del Dizionario Filosofico
di N.Abbagnano che già citavo in un altro post: "una conoscenza che includa, in modo o
misura qualsiasi, una garanzia della propria validità".
Bah, di definizioni se ne possono trovare tante, ma questa ritengo sia, davvero, la più
generica ed "esatta" nella sua genericità onnicomprensiva (quindi la più adatta ad una
riflessione di tipo filosofico).
Altrettanto direi della definizione di "scientismo", che nell'Abbagnano così recita: "l'
atteggiamento di chi dà importanza preponderante alla scienza dei confronti delle altre
attività umane, o ritiene che non ci siano limiti alla validità e all'estensione della
conoscenza scientifica. In questo senso il termine equivale a "positivismo".
(preciso che questa definizione di "scientismo" è la seconda; quella prevalente nella
cultura non-anglosassone).
Bah, sulla base di quanto appena accennavo sul post "La psicologia e la psichiatria
hanno valore di scienze?" mi sembra di poter rilevare che oggigiorno si è andati ben
oltre la scienza, sconfinando in un vero e proprio feticismo scientista.
E' ritenuta scienza, dicevo, persino la politica (l'ottimo Jacopus vi ha opportunamente
aggiunto l'economia, il diritto, la sociologia e la storia), figuriamoci.
Ora, chiedevo, perchè, come e da dove nasce questo "bisogno di scienza"?
Per rispondere a questa domanda credo interessante andare a vedere meglio cosa dice il
Dizionario di Abbagnano: "la limitazione espressa con le parole: "in modo o misura
qualsiasi" (vedi definizione di "scienza") è qui inclusa per rendere la definizione
applicabile alla scienza moderna, che non ha pretese di assolutezza. Ma il concetto
tradizionale della scienza è quello per il quale la scienza include una garanzia
assoluta di validità".
E allora, io dico, ecco svelato l'arcano...
Quello che va per la maggiore è il concetto tradizionale di scienza. Perchè l'uomo ha
bisogno di certezze, e la divinità "morta" di Nietzsche ci rientra dalla finestra nelle
sembianze di un apparato tecno-scientifico che l'uomo assume come rimedio contro
l'angoscia suscitata dal divenire delle cose (come in Severino).
Ma vi è ben di più che non la sola ripresa del concetto tradizionale di scienza.
"O la cosa è scienza o non è nulla", dicevo.
Un uomo atterrito dal nichilismo e dal relativismo non può accontentarsi di un sapere
dubbio o tutt'al più probabile. Ecco allora che tutto diviene "scienza" (tradizionalmente
intesa, ovviamente), perchè solo la scienza dà certezze...
Un uomo odierno, si diceva, certamente molto meno libero che non quello degli ultimi otto-
nove secoli (che "conosceva" Dio e sapeva anche relegarlo in un ruolo...)
Per certi versi l'attuale situazione mi ricorda infatti quella dell'alto medioevo, allorquando
le uniche "cause" possibili degli effetti e del divenire delle cose erano Dio o il demonio...
Finchè l'uomo, per così dire, "non imparerà a riconoscere questo nuovo dio" non saprà né
assegnargli un ruolo né, all'occorrenza, ignorarlo.
saluti
#764
Concordo sostanzialmente con quel che afferma InVerno nei suoi due interventi.
Anch'io penso che, al di là se possano o meno fregiarsi del titolo di "scienze", psichiatria
e psicologia una loro funzione ce l'abbiano.
Anni fa ero contrario all'uso di psicofarmaci. Lo consideravo semplicemente inutile. Poi ho
però cambiato idea, perchè sono giunto all'opinione che nei momenti più critici servano
eccome.
Poi, certo, occorre anche un lavoro di scavo interiore; un lavoro che non tutti sono in
grado di fare da soli (anzi, ben pochi a dire il vero), quindi la figura di uno psicologo
si rende spesso necessaria.
Dunque la psichiatria e la psicologia "funzionano". Ma questo, se ben ci pensiamo, già le rende
in un certo qual modo assimilabili al concetto di "scienza", se di tal concetto avessimo
l'idea che ho precedentemente proposto ("ogni conoscenza che, in un modo o misura qualsiasi,
implica una garanzia della propria validità").
Magari si dirà: "anche il potere dello sciamano, a volte, ha funzionato. Anch'esso è dunque
scienza?"
Beh, mi verrebbe da dire sì e no...
Sì in quanto "funziona", è efficace (non sfugga che la cosiddetta "rivoluzione scientifica"
prende in definitiva le mosse da quel "naturalismo" rinascimentale fortemente imparentato
con la magia...); no in quanto il potere dello sciamano non ha nessuna garanzia della
propria validità.
Dunque lo psicologo e lo psichiatra come lo sciamano? Boh, io non ci vedo grandissime
differenze: se "funzionano" vanno tutti bene. Andrebbe bene persino un esorcista, se
solo "funzionasse"...
saluti
#765
Per quanto riguarda l'argomento della discussione, io credo che ogni conoscenza sia
catalogabile come "scienza" laddove essa implichi una garanzia ("in modo o misura
qualsiasi", specifica opportunamente il Dizionario di N.Abbagnano) della propria
validità.
Da questo punto di vista no, la psichiatria e la psicologia non sono affatto un prodotto
di ciarlatani, perchè una qualche forma di garanzia della propria validità la offrono.
Certo, resta quel "in modo o misura qualsiasi" (riferito alla garanzia), che apre spazi
sconfinati alla riflessione critica; ma su questo punto, ritengo, non dobbiamo metterci
a fare gli "esagerati" (perchè l'esagerazione ci porterebbe ad equiparare l'affermazione
di un assennato a quella di un pazzo...).
Non traccerei neppure una troppo netta linea di demarcazione fra "scienze della natura", o
"esatte", e scienze umane (inesatte?).
Voglio dire: certamente nelle scienze "esatte" vi è un, diciamo, "grado di garanzia"
circa la validità degli enunciati superiore a quello delle scienze "umane". Ma, del
resto. questo non vuol neppure dire che in queste ultime non vi sia affatto "garanzia".
Ciò di cui dobbiamo "accontentarci", per così dire, è di sapere non tanto l'esatto "dove",
ma il "più o meno" del dove la verità si trovi...
saluti