Menu principale
Menu

Mostra messaggi

Questa sezione ti permette di visualizzare tutti i messaggi inviati da questo utente. Nota: puoi vedere solo i messaggi inviati nelle aree dove hai l'accesso.

Mostra messaggi Menu

Messaggi - maral

#766
Temo che di fatto lo siano o che quanto meno riducano sensibilmente la democrazia nel paese realizzando un quadro di gestione politica sempre più nelle mani di un esecutivo che può essere eletto grazie a esorbitanti premi elettorali da minoranze di votanti e quindi per nulla rappresentativo. Che poi questo, oggi, alla maggioranza degli Italiani, interessi poco o nulla, propensi come siamo sempre stati a desiderare l'uomo forte di mascolina mascella, quello del "ghe penso mi" a cui accodarsi con speranze di piccola o grande remunerazione privata e su cui scaricare ogni responsabilità al prima o poi inevitabile fallimento è altrettanto vero.
L'abolizione delle vecchie competenze legislative del senato non ha inoltre per nulla abolito la doppia cameralità e non si capisce a quale scopo essa continui a sussistere, senza comportare di fatto se non infinitesimi recuperi economici e ben poche semplificazioni burocratiche, anzi l'iter legislativo appare reso ancor più complicato da questo pseudo senato. O forse lo scopo c'è, quello di estendere il salvacondotto immunitario a una delle classi più corrotte della politica italiana (già tra le più corrotte d'Europa), quella del tutto fallimentare delle amministrazioni regionali.   
#767
Citazione di: and1972rea il 24 Aprile 2016, 13:38:09 PM
Credo che lo Stato laico abbia innanzitutto il dovere di difendere il più debole all'interno di quel recinto di regole (che delimitano il gioco competitivo e a volte duro fra le libertà individuali )sulle quali si fonda il patto sociale di coloro che vogliono vivere gli uni insieme agli altri in modo pacifico e costruttivo; se nei patti di quelle persone ci debba essere o meno il diritto di difendere alcuni deboli a discapito di altri deboli presunti meno meritevoli, bé , questa è una decisione che diventa fondamento di un certo tipo di società piuttosto che di un altro. Io , personalmente, preferirei vivere nella comunità degli uomini che difendono e coltivano la vita fin dal suo principio,e che preferiscono il male minore di chi ha un poco di più rispetto al male peggiore di chi non ha null'altro che l'intera propria vita racchiusa in un fragissimo principio del proprio corpo.
Ma la vita nel suo principio, per quanto possa dispiacere al contesto sociale che vorrebbe farne una questione propria, è affidata alla madre. Questo nel senso che quella vita non è scindibile dal corpo vivente della madre in cui quell'esistenza si esprime e per corpo vivente intendo non solo la funzione biochimica, ma soprattutto il modo di sentire della madre. Non siamo in presenza di un contenitore biologico e di un contenuto concepibile in modo separato, ma di un'unità biologica e psichica che la società con le sue regole (e il padre che in un certo qual modo dovrebbe rappresentarla) può tutelare solo nella sua interezza e unicità, riconoscendo pienamente l'unità di madre-figlio. Quando il bambino nasce e l'unità primigenia si scinde, allora alla competenza materna si dovrà aggiungere quella sociale che diventerà sempre più importante mano a mano che il bambino acquisisce l'autonomia di un soggetto sociale. E purtroppo questo spesso non accade, perché quella stessa dimensione sociale (paterna) che tanto vuole predicare su ciò che non è di sua diretta competenza, poi si arresta nell'indifferenza di un sine cura verso ciò che invece le dovrebbe effettivamente competere: costruire un soggetto in grado di interagire socialmente nel rispetto della sua individualità e differenza.
#768
Citazione di: Loris Bagnara il 28 Aprile 2016, 23:07:47 PM
Non mi pare si possa dire che l'ipotesi del "disegno intelligente" sia stata superata, nel senso di "verificata e poi accantonata": è stata semplicemente accantonata, questo sì, ma per ragioni ideologiche, cioè filosofiche, in nome di una visione del mondo autosufficiente rispetto a quel Dio che era il cardine delle precedenti concezioni.

Non c'è dubbio che vi siano ragioni culturali e filosofiche a monte, sviluppatesi a partire dalle stesse precedenti storie delle trascendenze che ora vengono negate, ragioni che vanno ben oltre la stretta verificabilità scientifica, ma questo non accade ad arbitrio. Non è che
CitazioneAd un certo punto (a tavolino) si è stabilito che ... i fenomeni dell'universo si devono poter spiegare con cause che restano all'interno dell'universo
ma che ogni pretesa di leggere la trascendenza nei fenomeni è venuta a cadere per una necessità culturale che appartiene alla storia del pensiero occidentale fin dalle sue origini mitiche, e questo divenire in sé autosufficiente potrà certamente essere messa filosoficamente in dubbio, ma non si può cancellarla in nome di un ritorno ai felici vecchi tempi quando la mitologia delle rivelazioni da parte del progettista o da chi si proclamava autorizzato a parlare in nome suo potevano ancora essere intese come credibili.
Qualsiasi discorso sull'origine, che non si appelli a una pretesa mitica arbitraria, è contraddittorio, poiché niente può apparire prima dell'origine della coscienza interpretante che è pur tuttavia il prodotto di questa origine, può solo venire immaginato, l'osservatore non può porsi al di sopra di ciò che vede ritenendo così di godere la visione oggettiva delle cose per come stanno, non può esimere dal dubbio nessuna rivelazione, c'è dentro in ogni caso, anche quando immagina di riceverle dall'alto.
L'entanglement quantistico non esula per nulla dal punto di vista assunto dall'osservatore e resta comunque legato alla probabilità, a un fattore del tutto immanente e casuale, una probabilità che assume addirittura un significato ontologico e autoreferente da cui ogni progetto è radicalmente escluso. Se in essa alcuni avvertono un sapore (ad alcuni gradito ad altri no) di un  misticismo olistico, è comunque un misticismo del tutto immanente alla materia stessa e alla perfetta casualità che determina ogni sua forma.  

CitazioneE poi, chi l'ha detto che il disegno intelligente non si può conoscere perché noi ne siamo dentro? E se chi l'ha concepito, quel disegno intelligente (perché qualcuno lo deve aver concepito), semplicemente ce lo rivelasse? Rivelazione - termine passato di moda, vero? - Certo, nei limiti della nostra comprensione, ma sempre meglio che il non-senso del nulla.
Comunque non procedo oltre col disegno intelligente, perché non è propriamente la soluzione a cui io penso. E' solo per far comprendere che vi è una preclusione ideologica nei suoi confronti.
Il problema non è quello delle preclusioni ideologiche alle rivelazioni, ma che una rivelazione può essere accettata solo per fede. Occorre cioè credere a priori nelle rivelazioni per poter dire di averne ricevuta una e ci sarà sempre qualcun altro che quella rivelazione non la trova per nulla degna di fede. La scienza attuale non può basarsi sulle rivelazioni dall'alto, dato che comunque pretende di poter dare una ragione oggettiva del mondo, in grado di reggersi da sola. La scienza pone la fede solo nel suo metodo che le consente di mostrare a chiunque lo applichi che funziona, che sia musulmano, politeista, cristiano, ateo, buddista e via dicendo. E funziona al punto che oggi che lo si voglia o no, che si creda o no alla formulazione tecnico scientifica del mondo, nessuno può e sa farne a meno.
CitazioneVi è un esperienza interiore che tutti possono fare, ed è quella del proprio perdurare come io-sono aldilà dei mutevoli contenuti che attraversano l'io-sono.
Ora, se l'io-sono perdura costantemente, e se è vero che esso è generato dal corpo, si deve trovare qualcosa nel corpo che perdura.
Ma vi è qualcosa nel corpo che perdura? Assolutamente no. Perfino nel cervello non c'è nulla che sia immutabile: i neuroni (benché propriamente non muoiano) comunque scambiano molecole, energia, cambiano potenziale elettrico etc.
Non c'è nulla che resti uguale a se stesso nel corpo umano, e dunque nulla a cui agganciare quell'io-sono che noi sentiamo indubitabilmente essere sempre uguale a se stesso.
E' vero, il senso dell'io è sempre presente alla coscienza, ma il contenuto di esso varia continuamente e quindi varia il cosa io sono a partire da ciò che ora sono. L'io infatti non è una cosa con una sua permanenza oggettiva, ma il modo di darsi di una relazione che accade ripetendosi nel mondo in rapporto a ciò che non sono. L'io non è in nessun modo un assoluto, ma un evento relativo che si ripete mutando continuamente di significato pur conservando la propria complessiva identità di segno. Certo, Damasio e altri neurologi tentano di dare un senso a questo accadere nei termini che consente il linguaggio scientifico di cui sono esperti e questo non è cero sbagliato, se lo si intende come una particolare prospettiva che tenta di individuare nella fisiologia il modo di costruirsi di questa  relazione, è sbagliato invece se questa prospettiva la si intende come l'unico modo esaustivo ed essenziale di dare ragione del proprio essere coscienti di sé.
#769
Tematiche Filosofiche / Re:Sul disegno intelligente
29 Aprile 2016, 16:08:37 PM
CitazionePer la cosa non vi è scopo, ragione, se non quello della conoscenza del creatore che per ottenere il suo scopo dovrà anche distruggerla.
Considerazione interessante che mostra come la conoscenza sia un processo di creazione e distruzione, dunque una perfetta aderenza al divenire in cui
Citazionegli enti escono dal nulla, diventano (altro) e poi nel nulla ritornano
.
Viene però da chiedersi come la conoscenza potrebbe porsi come fine per l'onnisciente Creatore universale: non conosce forse Egli già tutto? Dunque perché crea e distrugge? Forse perché al contrario ritira la Sua conoscenza affinché qualcosa da conoscere possa esistere?
Ma poi davvero gli enti entrano ed escono dal nulla? Come è mai possibile una simile contraddizione? Come può il nulla essere mai qualcosa e qualcosa essere mai nulla, o anche solo quel qualcosa diventare davvero ciò che quel qualcosa non è? Quello che vediamo con fenomenologica certezza è solo l'apparire e scomparire di ogni altro ente dal nostro orizzonte e chiamiamo questo sorgere e tramontare evento. L'evento è ciò che si presenta al nostro sguardo ed evento è il solo modo che abbiamo per concepire noi stessi e riconoscerci, ma gli eventi non dipendono da noi, bensì da una necessità che definire "intelligente" non ha senso, perché il senso siamo solo noi a sentirlo o meno leggendolo nel fluire immane di che viene accadendo in ogni istante e che continuamente ci riflette per ciò che siamo, ripetuti da una miriade di eventi che incontriamo, ci accompagnano e prima o poi ci lasciano, oltre l'ultimo orizzonte che possiamo scorgere.

#770
Citazione di: Loris Bagnara il 27 Aprile 2016, 10:26:19 AM
B) Nell'ambito della macro-evoluzione, dove non è possibile evidentemente condurre esperimenti di laboratorio, la situazione è ben diversa, e una parte non disprezzabile della comunità scientifica ravvede numerosi problemi irrisolti. La paleontologia offre una documentazione relativamente scarsa, e ovviamente non replicabile in laboratorio. Le ricostruzioni filogenetiche, pertanto, si basano su pochi e controversi elementi, e le lacune sono integrate con abbondante wishful thinking; così come, del resto, la descrizione dei meccanismi che produrrebbero la macro-evoluzione. Non esistono modellazioni matematiche che supportino i meccanismi evolutivi invocati; peraltro si rileva, nei sostenitori della teoria, una sostanziale insensibilità al problema della verosimiglianza dei meccanismi invocati, tanto che il problema di una seria e rigorosa verifica matematica e statistica è poco (o per nulla) sentito. Si ha l'impressione che, per i sostenitori della teoria, la verifica matematica non sia necessaria, forse perché si ritiene esauriente la descrizione dei meccanismi, oppure perché la teoria non può che essere vera (poiché non ve ne sono altre accettabili), e prima o poi le prove arriveranno.
Non è che non esistano modellazioni matematiche, di tentativi ce ne sono fin troppi. Il problema sta nel fatto che in campo macro evolutivo l'attendibilità di queste modellazioni resta assai discutibile e la domanda fondamentale è se davvero la biologia possa essere affrontata adeguatamente con strumenti matematici che tra l'altro di sicuro oggi non abbiamo se non per casi molto semplici e strettamente casuali, come la deriva genetica.
Certamente tutto il discorso è retto da tematiche filosofiche che appartengono ad ambiti culturali e sono proprio questi ambiti culturali che ormai hanno reso l'idea del disegno intelligente di fatto ben poco proponibile in termini scientifici.
Come abbiamo visto lo studio comparato di evoluzione e sviluppo (filogenesi e ontogenesi) sta ormai superando il neo darwinismo classico che faceva dipendere tutto dal genoma, è un approccio nato da poco che a mio avviso potrà portare a sviluppi molto interessanti.
Quanto al problema della coscienza, vista come aspetto evolutivo, essa credo che potrà benissimo venire descritta in termini di funzionamento fisiologico (ad esempio nei termini di continue reiterazioni tra diversi livelli neuronali che funzionano a specchio rendendosi di reciproco stimolo), non con la pretesa di dire cosa è in sé, ma per tentare di stabilire come funziona nell'ambito dell'attività del sistema nervoso senza introdurre misteriosi fluidi trascendenti. Che poi il cosiddetto libero arbitrio sia il prodotto di una necessità di cui il soggetto con le sue volizioni è solo espressione mi pare sia ormai evidente, ma questo non annulla il problema etico, lo sposta semplicemente dall'illusoria pretesa di essere l'artefice autonomo delle proprie scelte, alla piena assunzione della responsabilità di se stessi per quello che si è, per come ci si viene rivelando nel proprio agire.


#771
Citazione di: sgiombo il 26 Aprile 2016, 19:40:14 PM
Personalmente non ritengo sostenibile (e nemmeno troppo fedelmente "spinoziana" ) la tesi per la quale "la materia esprime in sé lo spirito, esattamente come il corpo vivente esprime nei suoi meccanismi corporei la propria coscienza, non esiste una coscienza separata in sé, fuori dalla necessità della materia del corpo che vive"; per lo meno per come riesco a intenderla io (salvo eventuali ulteriori spiegazioni da parte tua).
Infatti per me i meccanismi corporei (neurofisiologici) non possono al loro interno contenere la coscienza: il cervello di uno che stia vedendo un bell' albero verdeggiante o che sia innamorato non contiene nessun albero (nulla di verde), né sentimento amoroso alcuno, ma solo determinati processi neurofisiologici (interessanti soprattutto il lobo occipitale nel primo caso; più diffusi e di localizzazione meno nota nel secondo) alla visione dell' albero o al sentimento di amore corrispondenti ma costituiti da tutt' altro: trasmissioni di impulsi lungo assoni di neuroni e attraverso sinapsi (macroscopicamente "roba grigio-rosea molliccia o gelatinosa"; microscopicamente molecole, atomi, particelle-onde subatomiche, ecc.).
La coscienza corrispondente (biunivocamente) ai processi neurofisiologici (e al loro divenire deterministico, in accordo con Spinoza) deve essere "da qualche altra parte", in un diverso "ambito ontologico"
Sono d'accordo con te, mi premeva solo sottolineare la radicale visione monistica di Spinoza sintetizzata nel suo "Deus sive natura" in contrapposizione a quel dualismo cartesiano sul quale, che lo si voglia o meno, ha trovato fondamento la scienza moderna. La coscienza non è nemmeno a mio avviso riducibile a un fenomeno trattabile in termini biochimici, pur tuttavia non parlerei di ontologia diversa, quanto piuttosto di una descrizione secondo linguaggi diversi (e diversamente esplicativi) di un medesimo fenomeno e di un'unica ontologia. La scienza utilizza un linguaggio che le permette di vedere alcuni aspetti della faccenda, ma questi aspetti da soli non danno di sicuro ragione esaustiva (e nemmeno preminente) del fenomeno per come effettivamente si manifesta. Ed è qui che, a mio avviso, una analisi transdisciplinare del fenomeno coscienza, libero da pretese pregiudiziali e sorretto da un modo di pensare filosofico capace di coglierne i sensi, potrebbe risultare di grande utilità.
#772
Citazione di: Loris Bagnara il 26 Aprile 2016, 10:08:16 AM
Intendevo dire che lo spazio entro cui si muove la scienza ha un perimetro che dipende dall'osservatore e, con lo stesso osservatore, cambia nel tempo. Per dirla con Popper, oggi appartengono alla scienza cose che ieri non c'erano, e domani ci saranno cose che oggi vengono escluse. La storia della scienza è la storia di una continua violazione di confini precedenti.
Certo, ma l'idea del disegno intelligente era definita entro i confini di una visione precedente che è stata superata in relazione alle sue trascendenti indefinibili implicazioni che non ne permettono alcuna valutazione scientifica, poiché qualsiasi osservatore che volesse dire qualcosa sul disegno intelligente sarebbe un elemento di quello stesso disegno che pretende di definire. In questo senso il progetto resta fuori da ogni portata di indagine scientifica. Per questo esso rappresenta un'idea scientificamente superata e non certo una novità da venire esplorata.

Quando si parla di intelligenza e di coscienza di solito le posizioni cadono ai due estremi: o è un fenomeno che trascende la realtà materiale (res cogitans cartesiana) o è un epifenomeno della realtà materiale (cioè un effetto collaterale, un'illusione, qualcosa di sostanzialmente trascurabile).
Ma esiste anche una posizione intermedia, la più sensata a mio avviso: la coscienza e l'intelligenza sono uno dei principi fondamentali dell'universo UNO, al pari di materia, energia, spazio, tempo.[/quote]
Ma è proprio alla luce di questa unità che non ha senso considerare la materia separata dalla coscienza o la coscienza come una sorta di spiritualità del tutto immateriale che dal di fuori ordina la materia. Non c'è nulla di più spirituale della materia, non occorre andare oltre essa per trovare un fantomatico spirito che la governa e la plasma. Non vi è dubbio che nell'universo c'è intelligenza e coscienza, ma questa intelligenza e questa coscienza sono nel modo di presentarsi interagendo della materia dell'universo stesso, è il modo con cui noi, esseri coscienti, materialmente funzioniamo ed è il modo con cui l'universo conosce se stesso, ma non come totalità unitaria, bensì come molteplicità di parti che accadono interagendo. Quindi non c'è alcun progetto predefinito che rappresenterebbe un punto di arrivo ultimo e definitivo, ma solo una continua trasformazione nella quale gli osservatori tentano di trovare il senso perdurante di se stessi. Non ci vedo nessuna intelligenza o coscienza che dall'alto regola ogni cosa, ma solo l'intelligenza e la coscienza di questi osservatori che tentano di conservare la propria stabile identità dinamica da ciò con cui interagiscono evitando per quanto possibile di disintegrarsi, guidati dalla medesima necessità a esistere che è propria di ogni evento.

CitazioneCos'è che disturba tanto nella concezione che anche l'intelligenza e la coscienza possano essere fenomeni indagabili sperimentalmente? La nostra intelligenza individuale non è forse un fenomeno di questo universo, che si esplica in questo universo? Forse che non ne tocchiamo concretamente gli effetti nelle nostre azioni quotidiane? Che cos'è allora uno psicologo? Un operatore trascendentale?
E non vengono forse indagati sperimentalmente? C'è tutto un filone di ricerca che tenta di definire la coscienza nei termini di funzionamento interattivo dei neuroni. Uno degli esponenti più interessanti è Damasio che vede il fenomeno coscienza come una interazione continua tra i neuroni del midollo allungato e quelli dell'area neocorticale, in stretta polemica con l'idea cartesiana di una res cogitans. La psiche è materia non intesa come cosa, ma come relazione, non una sostanza ineffabile che sta oltre la materia vivente.
CitazioneForse non mi sono spiegato bene, accennando al gradualismo. Intendevo dire che una forma di selezione naturale può aiutare gradualmente un algoritmo genetico a produrre un ordine maggiore, una maggiore complessità, una forma più adatta al proprio ambiente. È quel che accade nella micro-evoluzione, dove non discuto il neodarwinismo.
Siamo d'accordo che piccole variazioni possono generare di colpo forme molto diverse: diverse sì, ma non più ordinate, non più complesse.
Tu usi il termine "qualitativo" (nel senso di "forme qualitativamente diverse"), che ha poco significato in fisica. Bisogna tornare al concetto di entropia dell'informazione, e l'entropia dell'informazione di un sistema ha molta più probabilità di aumentare (disordine) che di diminuire (ordine).
Se taglio un pilastro di un edificio, di colpo l'edificio crolla a terra, ma non mi aspetto che si ricostruisca sull'altro lato della strada, e non mi aspetto nemmeno che i materiali si mettano in bell'ordine: mattoni da una parte, vetro dall'altra etc. Una variazione catastrofica porta il sistema ad un nuovo punto di equilibrio che corrisponde ad un punto minimo locale dell'ordine, non ad un nuovo punto di massimo dell'ordine.

Invece la teoria dell'evoluzionismo a salti, nella macro-evoluzione, invoca tutta una serie di improbabilissime "catastrofi" che avrebbero prodotto, ogni volta, più ordine e complessità di prima (se consideriamo la totalità dell'evoluzione della vita, dall'ambiente pre-biotico ad oggi).
Ma non è che l'evoluzione (intesa in senso darwiniano) generi forme migliori, come un ingegnere che progetta edifici che reggano sempre meglio alla forza gravitazionale, semplicemente si determinano forme secondo certe regole che possono o meno reggere in rapporto ai contesti in cui si vengono a trovare. Possono pure essere forme di nicchia, del tutto trascurabili rispetto ad altre forme del mutamento che prevalgono, come lo erano i mammiferi nel Giurassico rispetto ai rettili. Poi accade un mutamento improvviso del contesto e quelle forme di nicchia, fino ad allora svantaggiate, si moltiplicano, mentre i rettili si trovano a loro volta del tutto svantaggiati, se non in altri contesti di nicchia che a loro volta possono trovare modo di affermarsi (come gli uccelli). Non c'è un percorso progressivamente anti entropico, ma il mantenimento costante della  autopoiesi nelle condizioni di adattamento richieste. I mammiferi prevalgono sui grandi rettili non perché rappresentino una forma migliore, più efficiente, ma perché un caso cosmico è stato l'artefice della loro fortuna,  non certo un progetto preordinato (sempre a meno di non pensare che quel meteorite sia stato il progettista a scagliarlo di sua volontà sul pianeta, ma qui, lo capisci bene, si esce da ogni possibilità scientifica di analisi).
Le grandi catastrofi che periodicamente si sono abbattute sul globo terrestre sono state il vero motore evolutivo che svolge la sua azione non nel premiare chi sempre meglio contrasta la tendenza entropica, ma nel determinare la necessità di instaurare adattamenti sempre diversi per conservare una soglia minima di resistenza temporanea alla disgregazione entropica in contesti più o meno estesi, necessità che talvolta comporta una serie così vasta di cambiamenti quantitativi morfologici da rappresentare una repentina variazione qualitativa.  
Si corre per poter restare dove si è, questo è la frase che più di ogni altra dà il senso del quadro evolutivo in termini darwiniani.
#773
Ritorno un attimo sull'asserzione secondo la quale "non ci dovrebbero essere lezioni di filosofia, ma discussioni di filosofia", che a mio parere va presa con grande cautela, per non finire di credere di star facendo filosofia solo perché si parla di certi temi, mentre non la si fa per nulla. Una "discussione" filosofica presuppone una prospettiva filosofica che si articola in un linguaggio di significato filosofico e questa prospettiva, questo linguaggio, sono tutt'altro che spontanei, ma vanno appresi (e non è nemmeno detto che tutti possano apprenderli). L'ottica filosofica non è né quella scientifica, né quella sociologica o psicologica (men che meno quella mitologica) e necessita di una propedeutica severa. In questo senso credo che proprio la storia della filosofia costituisca un'indispensabile propedeutica anche nel caso in cui si privilegi un modo di pensare per temi, se lo si vuole fare con un minimo di rigore filosofico.
Credo poi esista una differenza sostanziale tra il sapere filosofico e quello scientifico (per come è inteso oggi il fare scienza): mentre è possibilissimo trattare i temi delle scienze sperimentali, come ad esempio la medicina, alla luce delle scoperte più recenti (credo che per la pratica medica attuale conti ben poco considerare cosa pensassero i medici dei secoli precedenti, se non al massimo per curiosità), non si può pensare filosoficamente senza avere studiato Platone e Aristotele che ne hanno gettato le fondamenta (e lo stesso si può dire per tutti i grandi filosofi del passato che se ne condivida o meno l'impostazione e il pensiero): il loro pensiero resta comunque basilare per qualsiasi adepto filosofo attuale e per qualsiasi tema intenda oggi affrontare filosoficamente. Questa conoscenza non va però intesa come una subordinazione a un principio di autorità che sarebbe quanto mai deleterio, ma per non trasformare qualsiasi discussione filosofica in mera chiacchiera opinionistica più o meno polemica, dettata solo dai propri attuali preconcetti.
E questo sarebbe davvero la fine della filosofia che nasce proprio con l'intento fondamentale di liberare dai preconcetti (dunque di essere veramente liberi) e la storia (memoria) di questa lotta contro il preconcetto resta fondamentale, almeno per tentare di non ricascarci sempre pari pari.
#774
Citazione di: HollyFabius il 24 Aprile 2016, 14:12:01 PM
Per non nascondermi dietro un paravento di molte parole io sono convinto che tutte le persone, nessuna esclusa, che criticano la teoria dell'evoluzionismo in realtà ne rifiutino l'intuizione.  
Sebbene da un punto di vista strettamente logico l'intuizione evoluzionista non neghi la possibilità di un principio creativo razionale, essa colpisce la declinazione principale della filosofia cattolica, dove al principio creativo razionale segue un percorso razionale di trasformazione della realtà basato sulla volontà della stessa natura del principio creativo.
E' per questa ragione che viene accettata la teoria del big bang, perché questa pur possedendo alcune caratteristiche evoluzioniste non mina alla base l'idea della creazione da parte di un'entità superiore razionale, anzi rafforza la tesi della complementarietà. L'evoluzionismo al contrario invade proprio la declinazione principale, proponendo non una realtà assoggettata alla ragione bensì al caso, ovvero alla non ragione.
In realtà il motivo fondamentale che separa il creazionismo dall'evoluzionismo sta proprio nel presupposto di un progetto provvidenziale che dall'esterno dovrebbe guidare l'evolversi della natura. Sappiamo quanto Darwin si sia trovato in difficoltà con il termine di evoluzione, tanto da non usarlo praticamente mai nei suoi scritti (a differenza dei suoi successori), temeva che si confondesse l'evoluzione con una sorta di progresso delle forme viventi verso un fine, ravvisando in essa un disegno teleologico, un progetto che era del tutto estranea alla sua idea di cambiamento per mutazioni generazionali.
Questa posizione corrisponde in ambito filosofico al radicale immanentismo razionale di Spinoza che lo sostiene in contrapposizione al dualismo cartesiano (che ha a lungo dominato la scienza stessa nelle sue forme più deleterie). La materia e lo spirito non sono enti autosussistenti in contrapposizione di cui si debba rivendicare la primarietà a seconda delle prospettive da cui ci si pone, ma sono semplicemente aspetti della medesima... materia: la materia esprime in sé lo spirito, esattamente come il corpo vivente esprime nei suoi meccanismi corporei la propria coscienza, non esiste una coscienza separata in sé, fuori dalla necessità della materia del corpo che vive.
#775
Citazione di: Loris Bagnara il 24 Aprile 2016, 10:51:38 AM
maral, all'inizio sembri accettare come legittima l'adozione del postulato dell'agente intelligente.
Poi, evidentemente, qualcosa si ribella dentro di te e scatta il riduzionismo ( ;) ). Infatti, sintetizzando le tue parole conclusive:
- l'esistenza dell'agente intelligente è indimostrabile
- se anche esistesse, non sarebbe esplorabile.
Ergo, l'agente intelligente non esiste. O meglio, mi comporto come se non esistesse. E' questa la conclusione implicita.
Ancora una volta si ricade nella visione che esiste sono ciò che è esplorabile dalla scienza: ciò che non è esplorabile, non esiste. Ma questo sì che è un limite legato all'osservatore: la scienza è uno strumento che l'uomo si è costruito. Se cambia l'osservatore, cambia lo strumento e si allarga o restringe il perimetro del conoscibile. Qual è l'universo di un lombrico? E quale sarebbe l'universo di una creatura ancora più complessa dell'uomo?
Eppure la verità è sempre lì, identica a sé: non può certo allargarsi o restringersi in funzione del faro che tenta di illuminarla.
Quello che sostengo è che l'esistenza dell'agente intelligente è scientificamente inesplorabile e indimostrabile in quanto non è più ammissibile su un piano scientifico. Ma questa inamissibilità (che è un'inamissibilità dovuta a una coerenza prospettica) non significa per nulla negarne assolutamente l'esistenza (cosa che implicherebbe accettare il presupposto che l'esistenza è solo in ciò che la scienza può definire e spiegare nei termini e nella sintassi del suo discorso). Pertanto mi stai mettendo in bocca un riduzionismo che non mi appartiene per nulla.

Il problema non è qual è l'universo di un lombrico, perché in quell'universo noi non entriamo per nulla  e se lo facciamo, se immaginiamo di poter cogliere la cosa per come stanno per i lombrichi, è sempre e solo dal nostro punto di vista, umanamente finalistico, che lo facciamo: è sempre e solo l'osservatore che parla e l'osservatore di cui possiamo intendere le parole come significanti siamo solo noi, comunque la pensiamo. L'unico presupposto che ritengo ragionevolmente lecito è il riconoscimento che al di fuori dei presupposti (che non scegliamo, ma da cui veniamo sempre scelti) non c'è nessuna possibilità di costruire scienze, filosofie, miti o una qualsiasi visione del mondo. E questo per il semplice motivo che la nostra esistenza di osservatori è solo nel mondo, comunque la mettiamo non ci troviamo su alcun piano panoramico sopraelevato: né la nostra scienza o la nostra filosofia o le nostre credenze religiose ci porranno mai su alcun piano sopraelevato da cui poter dire le cose stanno realmente così per tutto e per tutti, lombrichi compresi.
Il giorno che arriveremo ad accettare questo limite fondamentale che ci definisce nella nostra umana possibilità di sapere, sarà il giorno in cui si potrà davvero dialogare tentando di comprenderci (comprendere come ci troviamo gettati nel mondo, ciascuno per quello che è o crede fermamente di essere).
Citazione1) La complessità generata dagli algoritmi genetici descritti nell'articolo è ancora incomparabilmente lontana dalla complessità biologica. Può darsi che in futuro ci si arrivi (oppure no, come dici tu), ma per adesso...
E siamo d'accordo
Citazione2) Gli algoritmi genetici funzionano in modo gradualistico, cioè un piccolo passo dopo l'altro. In questo modo si potrebbe forse spiegare l'evoluzionismo graduale, che però è proprio quella soluzione che la maggioranza degli utenti di questo forum scarta, preferendo la soluzione a salti. E del resto, lo abbiamo già detto, l'evoluzione graduale è smentita dalla mancanza di prove fossili sufficienti. Quindi, in sostanza, ne ricavo che l'evoluzionismo a salti non ha ancora il benché minimo supporto dagli algoritmi genetici.
Su questo invece non sono per nulla d'accordo: come già detto, differenze minime dell'algoritmo possono determinare forme molto diverse e senza alcuna necessità che si passi per gli stadi intermedi. E' proprio la matematica (e le simulazioni al computer possono facilmente confermarlo) che lo dimostra, basti pensare alla teoria delle catastrofi. Se modifichi anche di pochissimo il valore di una variabile, in particolari situazioni, puoi ottenere in un colpo solo risultati completamente diversi, sia in termini quantitativi che qualitativi.
Citazione3) L'articolo ha l'intento di spiegare come la complessità biologica sia stata ridotta dall'evoluzione, non come si sia accresciuta dall'inizio della vita: cioè, la complessità biologica è assunta come un punto di partenza del discorso, anziché come un risultato da spiegare.
Sì, questo è un punto che trovo anch'io criticabile, ma lo trovo criticabile nel senso che trovo arbitrario quell'aumento iniziale repentino di complessità iniziale. E' il concetto stesso di tendenza biologica alla complessità che trovo del tutto fuorviante, ciò che si osserva è sempre e solo un adattamento complesso di tipo interattivo della struttura biologica al contesto in cui si trova a esistere. Laddove l'ambiente non esercita alcuna pressione selettiva  le forme biologiche si svilupperanno in ogni direzione, ma è proprio questa molteplicità direzionale che, ponendole in relazione tra loro in ragione della loro coesistenza, determinerà da subito una pressione selettiva crescente che potrà prima o poi rivelarsi catastrofica.
CitazioneE quindi a cosa mai ci si potrà affidare per scoprire su quali meccanismi si basa - cioè come realmente funziona - l'evoluzionismo a salti?
L'evoluzionismo descritto dall'Evo Devo si basa sullo studio osservativo comparato della filogenesi con l'ontogenesi e sulle somiglianze che si riscontrano nelle ontogenesi degli individui di tutte le specie. Questa osservazione è scientificamente trattabile, mentre quella del disegnatore (o dell'indefinibile disegno) intelligente non lo è, anche se ci si può credere o meno e resta lecito crederci o meno, ma al di fuori di qualsiasi discorso scientifico. Resta il fatto, sul quale sono d'accordo con te, che il discorso scientifico non è l'unico modo di discorrere (o di osservare) possibile, ma non ha senso tentare di presentare come scientifico qualcosa che non può esserlo e non può esserlo nemmeno se il discorso scientifico presenta delle lacune, poiché né il creazionismo, né il disegno intelligente può dare una risposta scientificamente sensata a quelle lacune.
#776
Citazione di: Donalduck il 23 Aprile 2016, 17:26:17 PM
Innanzi tutto, cosa significa "scientificamente razionale"? Io ho parlato di razionalità, e la razionalità non è certo un'invenzione della scienza, casomai ne è alla base, ma la scienza non esaurisce di certo il campo di applicazione della razionalità.
Significa coerente con i presupposti di un discorso scientifico, che tu poi dica che i presupposti del discorso scientifico attuale non ti convincono, che li trovi assurdi, nulla lo vieta, ma non è rimanendo su un piano scientifico che puoi farlo.
CitazioneQuello che sostengo è che di fronte a un fenomeno come la vita, non è affatto ragionevole supporre che sia originata e governata da forze cieche. E' evidente che non esiste nessun fatto che lo attesti in nessun modo, e neppure qualche debole indizio. L'intelligenza è qualcosa che conosciamo bene e che agisce a stretto contatto con la coscienza, e sappiamo che ha tutte le caratteristiche necessarie per ordinare, organizzare, congegnare, pianificare, adattarsi alle più diverse situazioni, eccetera. Che è quello che fa ogni essere vivente, in misura maggiore o minore, con diversi gradi di complessità ed efficacia. E la struttura stessa e il funzionamento degli esseri viventi si spiegano benissimo presupponendo una progettazione e un'attività ordinatrice di un "agente X", mentre le forze cieche non c'è modo di stabilire (e neppure di creare una rappresentazione immaginaria coerente e verosimile) come possano portare quest'ordine e questa organizzazione.
Ma non è vero che le forze cieche del caso non determinino alcun ordine. La deriva genetica in campo evolutivo ne è la dimostrazione. Anzi, è assai più difficile prevedere un ordine quando ad agire sono delle intenzionalità e soprattutto quando queste intenzionalità manco si riescono a definire: dove sta l'intenzione finale dell'evoluzione naturale? In che cosa consiste il suo progetto?
Sei libero di credere in un intelligenza cosmica che fa funzionare le cose, la materia, ma dove la collochi? Come la spieghi?
Tu dici il puro meccanicismo non è razionale e hai ragione, ma non è razionale solo in quanto lo si vuole assolutizzare, prendendolo a spiegazione di qualsiasi cosa.
L'intelligenza a che cosa corrisponde: a una capacità adattativa, a un saper funzionare in relazione ai contesti mantenendo integra la propria entità organizzativa? Capisci che quello che sembra tanto evidente e banale (c'è intelligenza nel cosmo) non lo è per nulla? E anche che di quello che percepisci con i tuoi sensi non è assolutamente facile dare ragione? Che pure quell'ordine, cooperazione, progettazione non implica per nulla l'esistenza di una volontà ordinante, progettante e cooperante? C'è solo l'uomo, per quanto ne sappiamo, che in tutto l'universo può progettare e può parlare di progetti o di mancanza di progetti e la natura include l'uomo, ma non lo include come suo progetto, ma come un semplice evento naturale. 


CitazioneInvece troppo spesso, certi scienziati fanno confusione tra teorie scientifiche e "realtà" (una supposta "unica realtà"). E la divulgazione scientifica si dà molto da fare per fissare nella mente di ognuno questo travisamento, che induce tra l'altro a pensare che la scienza possa penetrare effettivamente i "misteri dell'esistenza".
Senza dubbio, ma questo non toglie che la scienza ci mostra una via di accesso alla realtà, una via di accesso che non è unica ed esaustiva, ma a cui non possiamo comunque rinunciarvi, ma al contrario, va compresa per quanto ci mostra.
#777
Citazione di: Loris Bagnara il 23 Aprile 2016, 16:22:00 PM
Ho insistito più volte sulla necessità di mettere alla prova matematicamente la plausibilità del neodarwinismo e dell'evo-devo.
Ho trovato che esiste un indirizzo di ricerca che dovrebbe fare al caso, ed è quello che si occupa di algoritmi genetici applicati alla biologia. C'è qualcuno di voi che conosce qualche risultato interessante in questo campo, a conferma o a smentita delle teorie suddette?
Io non ho nessuna mia teoria da difendere, e nessun pregiudizio su neodarwinismo e evo-devo: sono apertissimo a farle mie, purché se ne dimostri la plausibilità statistica.
E' da tempo che la biologia utilizza gli algoritmi genetici sia per costruire modelli matematici che possano dare ragione del manifestarsi di organismi viventi, sia della loro evoluzione. Ne trovi un esempio proprio nell'articolo di McShea che ho linkato nella seconda pagina di questa discussione, se avrai la pazienza di leggerlo. McShea introduce gli esempi computazionali su cui verte la dimostrazione della sua "Zero force evolutionary law" con queste parole:
Citazione di: McSheaThe following examples are drawn from the Evolving Cellular Automata (EvCA) project (Hordijk 2013). In this project, a genetic algorithm was used to evolve cellular automata to perform a non-trivial computational task, with the aim of answering the general question: ''How does evolution produce sophisticated emergent computation in systems composed of simple components limited to local
interactions?

Personalmente comunque sono molto scettico sul fatto di poter costruire modelli matematici coerenti a quanto accade biologicamente in natura: penso che la biologia non è e non sarà mai ascrivibile alla fisica e men che meno alla matematica, se non in ambiti assai circoscritti.
Un'applicazione molto interessante del calcolo statistico in biologia è stata fatta da Cavalli Sforza per studiare i fenomeni in cui l'evoluzione è determinata essenzialmente dalla sola deriva genetica (quindi da una casualità pura che è, proprio in quanto rispondente alle sole leggi statistiche del caso, ben più facilmente modellabile di un'evoluzione determinata dalla selezione)

Citazione di: Loris Bagnara Riporto queste parole di maral, ma mi richiamo in generale a tutta la diatriba in corso fra razionalisti e irrazionalisti.
Ha poco senso una discussione in questi termini. In primo luogo perché occorrerebbe prima intendersi sul significato delle parole stesse, poiché probabilmente ciascuno di noi intende il razionale e l'irrazionale un po' diversamente dagli altri. E poi, oltre al significato, c'è il connotato: spesso il termine "irrazionalista" viene lanciato in senso dispregiativo, come se tale qualifica dovesse inficiare la qualità di quel pensiero. In verità qualcuno potrebbe perfino andare fiero di esprimere un pensiero irrazionalista, anziché "angustamente" razionalista, e in certi periodi storici è stato proprio così.
Veramente ho risposto citando la razionalità scientifica in risposta a Donalduck che in risposta a Green tira in ballo l'irrazionalità scrivendo:
CitazionePeccato, finora c'era un barlume di logica in quello che scrivevi, ora siamo scivolati nell'irrazionalità pura
. Evidentemente il tema dei disegni e dei progettisti intelligenti suscita sempre le più irrazionali passioni, sia da parte di chi li sostiene che di chi li nega e portano facilmente a scambiarsi reciproche accuse di irrazionalità.
La razionalità sta nel vedere la correttezza delle implicazioni di un discorso e vale per qualsiasi discorso argomentativo, ma non serve per stabilire i presupposti da cui muovono i discorsi. Razionalmente si può solo verificare se questi presupposti non sono negati dalle conclusioni a cui si perviene.
Sono perfettamente d'accordo sul fatto che la verità scientifica non è (né intende essere, se effettivamente è scientifica e non prodotto di un fideismo scientifico) alcuna verità assoluta. Esistono molti modi di presentarsi della verità, ma non ha senso tentare di dare una parvenza scientifica a presupposti che non possono appartenere alla scienza (e in questo sta l'irrazionale), esattamente come non ha senso razionale il contrario. E il disegno (e ancor meno il disegnatore) intelligente è uno di questi casi.
#778
Leggendo la tua risposta mi sento di dover precisare che non intendo la storia idealisticamente come un progresso verso la verità (come Hegel, come Marx e, come se vogliamo, tutto il pensiero escatologico di matrice cristiana di cui comunque il nostro modo di pensare è il risultato, anche nel punto di arrivo scientifico attuale), ma la storia stessa come verità, poiché in essa la verità appare per ciò che originariamente ed eternamente è, proprio come io e te e ogni altro siamo sempre noi stessi nella storia della nostra vita, non siamo più veri mano a mano che cresciamo, ma la verità della nostra vita è data solo dal suo dipanarsi e non da un ente immobile posto al di sopra di essa come essenza in sé stante di ciò che siamo.
Il bambino vede il suo io nella sua storia di bambino e così il giovane, l'adulto e poi il vecchio che si ritrova nei ricordi che ancora conserva, in questi ricordi, i nostri resti vediamo l'identità di un io che da essi solo è riflesso. L'io è fenomeno riflesso dalla memoria dei resti che ha prodotto, prima di potersi concepire come soggetto del cogito. E la memoria di ciò che abbiamo fatto che ci dice chi siamo, ha a sua volta una storia e non è scissa da ciò che veniamo a essere.
E' vero che la prassi del divenire è priva di senso, ma il senso di questa prassi sta appunto nel suo apparire alla coscienza. è la coscienza che dà senso a quel continuo accadere che già si allontana, per farsi riconoscere come un accaduto lasciando posto a un nuovo accadere che si preannuncia dal passato, ma la stessa coscienza appartiene a questo fluire, non è fuori da esso, è il suo immane e continuo apparire che si vede storia di un soggetto nel mondo in quanto accadimento di tutta la storia del mondo. Non si tratta allora di fare della prassi un nuovo assoluto metafisico che non può che alienare ancora di più l'uomo, ma di aderirvi per partecipare dell'immane bellezza e verità che il fare dispiega, comprendendo in sé, nel più semplice e fuggevole dei suoi accadimenti, ogni passato e quindi ogni atteso futuro.
Questo intendevo dicendo che la verità è la storia della verità: è storia dell'apparire infinito della verità in ogni esistente in cui essa prima in un modo, poi in un altro, parimenti, ma sempre diversamente, accade.
#779
Tematiche Filosofiche / Re:Lo spirito deleterio
23 Aprile 2016, 13:04:44 PM
Citazione di: SimoneP il 21 Aprile 2016, 10:01:44 AM
:"Distinguo una particolare forma nelle categorie dell'essere  umano:L'uomo  deleterio. Tale forma ,che determina un'attitudine introversa e limitata ,si manifesta nello spirito deleterio , coerente con il carattere malevolo dell'esistenza  umana,che determina nell'uomo un'azione disgregativa che, corrodendo la coscienza attraverso la quale l'individuo  stesso agisce  ,determina in esso comportamenti che tendono ad annichilire  ciò che chiamo l'oggetto di interesse tra due individui.In altre parole,l'uomo deleterio è vittima della vita e tale condizione,a carattere disgregativo,pur non limitando ma spesso enfatizzando la socievolezza dell'individuo ,intacca la durevolezza del rapporto tra un essere e l'uomo deleterio, che in tal modo asseconda l'azione distruttiva del proprio Io ,ampliando il proprio dolore e palesando a se il volto orrido del ritratto della vita umana.Ma mi chiedo perché il male prevalga sul bene, perché sia più facile distruggere che creare ,perché la morte dolga meno della vita.Tale quesito ad oggi non si è ancora rivelato ,ciò che è certo è che tale condizione terrestre si sia inevitabilmente proiettata nell'esistenza umana, attraverso ciò che ribadisco essere lo spirito deleterio ,manifestando l'esclusività del rapporto tra l'uomo e il mondo che egli abita."
Ciao Simone, se ho ben capito questo tuo "spirito deleterio" corrisponde a uno spirito intimamente distruttivo che ha nella propria distruttività rivela la contraddizione radicale della propria esistenza. Ma se questa contraddizione esiste non possiamo rimuoverla o semplicemente reprimerla, essa c'è, anche se il suo esserci è contraddizione e occorre farne conto, poiché è nel cuore stesso dell'esistenza, sta nella sua vitale e pulsante manifestazione per come si rivela.
In esso (nella contraddizione che esprime) c'è tutto il male e il dolore di esistere, ma questo male e questo dolore non è che l'esistnza stessa nel suo continuo meraviglioso e sempre nuovo infinito rivelarsi. 
#780
Perdona Donalduck, ma non c'è nulla di scientificamente razionale nella soluzione dell'agente intelligente e nemmeno in quella del disegno intelligente intrinseco alla natura. Questo non significa che tali postulati a priori non possano venire adottati in quanto sentiti, ma non sono scientificamente esplorabili.
In primo luogo occorrerebbe ammettere che c'è un disegno intelligente in natura, una sorta di progetto provvidenziale, ma questo è solo una caratteristica dell'osservatore, che può venire messa in discussione, come abbiamo visto: in cosa consisterebbe questo disegno intelligente, nel fatto che noi, con la nostra meravigliosa e tanto presuntuosa intelligenza siamo venuti a esistere? Nella complessità che ci appare, ma che non è crescente se non in un certo modo molto superficiale e soggettivo di intendere certi fenomeni?
In che modo, se esistesse un agente intelligente, alla cui intelligente volontà è sottoposto il creato, si potrebbe mai anche solo tentare di dimostrarlo scientificamente? Non equivale forse a dire che, poiché non riusciamo a rendere conto di tanta intelligenza che sta dietro l'esistenza, occorre che ci sia una volontà che la vuole e tutto il mistero è risolto? Dove può innestarsi una qualsiasi ricerca scientifica in una simile assunzione?