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Messaggi - Phil

#781
Citazione di: Eutidemo il 02 Gennaio 2022, 15:53:05 PM
Quanto ai tuoi paradossi, la circonferenza che diventa una  "retta apparente" con una  "curvatura impercettibile" mi sembra appunto un evidente paradosso; ed infatti una linea o è "curva" o è "retta", ma non può essere un po' l'una o un po' l'altra.
Non colgo la paradossalità: l'aggettivo «apparente» falsifica la natura di ciò a cui si riferisce, a differenza di «impercettibile». Detto altrimenti: parlare di «retta apparente» significa parlare di qualcosa che non è una retta, ma lo sembra (così come parlare di un «miracolo apparente» significa parlare di qualcosa che in realtà non è un miracolo, anche se lo sembra); invece parlare di «curvatura impercettibile», significa parlare comunque di una curvatura, seppur molto difficile da percepire, non di una retta (come se dicessi che fra due corridori c'è stata un'impercettibile differenza al traguardo; ovviamente «impercettibile» qui significa «ridottissimo», altrimenti non potremmo nemmeno parlarne). Quindi nessun paradosso: «retta apparente» o «curvatura impercettibile» si riferiscono entrambi ad una circonferenza con raggio che tende all'infinito, seppur, come detto, sia un «caso-limite» (lieto che baylham abbia colto l'allusione al limite come operazione matematica).

Citazione di: Eutidemo il 02 Gennaio 2022, 15:53:05 PM
Peraltro, quando tu scrivi che "l'infinitamente piccolo, proprio in quanto tale, non può diventare a-dimensionale" e poi, però, aggiungi che "il punto è privo di dimensioni", cadi in manifesta  contraddizione; ed infatti il punto (per unanime parere di tutti i matematici) è senz'altro un'entità geometrica "infinitamente piccola", ma nessuno dubita che sia "adimensionale" e, quindi,  "non misurabile".
Anche qui non sono affatto sicuro della apparente contraddizione che rilevi: i matematici definiscono il punto come «adimensionale», ma davvero lo definiscono "unanimemente" anche «infinitamente piccolo»? Hai qualche fonte al riguardo?
Se anche così fosse, non vi sarebbe paradossalità all'interno nella mia posizione, che resterebbe coerente (basandosi proprio sulla da me presunta differenza fra adimensionalità e infinitamente piccolo), ma sarebbe di certo una considerazione ad auctoritatem che smentirebbe la plausibilità matematica delle mie elucubrazioni (ubi maior...).

Citazione di: Eutidemo il 02 Gennaio 2022, 15:53:05 PM
un "segmento di retta", in quanto caratterizzato soltanto da "una dimensione" (la lunghezza), accorciato all'infinito diventa un punto "privo di dimensioni"; cos'altro diventerebbe, senno?[/size]
***
Stando così le cose, quindi, se accorciamo all'infinito il "segmento di retta" che costituisce il lato di un quadrato, cosa ci resta di tale lato  se non un punto "privo di dimensioni"?
Queste due domande partono dal presupposto che qualcosa debba necessariamente diventare altro da sé (a dispetto della rigidità delle definizioni matematiche); se non erro, il tendere a meno o più infinito è il modo in cui i matematici risolvono la questione, senza "snaturare" rette, figure, etc. ma non sono in grado di entrare in dettaglio (più di quanto abbia già accennato).

Per quanto riguarda i cambiamenti di dimensione:
Citazione di: Eutidemo il 02 Gennaio 2022, 15:53:05 PM
- se aumenti  all'infinito la larghezza di un piano, ne ricavi un cilindro aperto di grandezza infinita;
Un piano ha due dimensioni; un cilindro "aperto" non è più un cilindro (anche le due circonferenze agli estremi diventano infinite? e lo spazio intermedio fra loro e la superficie laterale aperta? degli infiniti che si delimitano a vicenda sono ancora infiniti?): nessun cilindro diventa bidimensionale, quello dell'"apertura del cilindro" è solo un espediente narrativo per aiutare i bambini a capire la geometria usando l'immaginazione; l'"apertura" di un cilindro, non è un'operazione matematica che consente il passaggio da tre dimensioni a due (concetti matematici ed infinto a parte, puoi sperimentarlo concretamente tu stesso, puoi provare tale "apertura" con un cilindro di pongo o altro; ti accorgerai che la bidimensionalità non è raggiungibile nel mondo a tre dimensioni...).

Citazione di: Eutidemo il 02 Gennaio 2022, 15:53:05 PM
-se, invece, accorci  all'infinito la larghezza di un piano, ne ricavi una retta.
Per definizione, una retta ha una sola dimensione, ogni piano sempre due; dunque anche questa è, a suo modo, una variante del quadrato che tende a rimpicciolirsi all'infinito, quindi preferisco non ripetermi né annoiarti... all'infinito.
#782
@Eutidemo

Sulla circonferenza che "diventa" retta, ho anch'io le mie perplessità: avrai notato che infatti ho parlato di «essere (asintoticamente?) una retta»(autocit.), con il concetto di asintoto che spiega bene come siamo in un caso-limite (quasi un esperimento mentale) e già parlando con viator avevo optato per «retta apparente» con «curvatura impercettibile». Tuttavia ho letto online che è una questione da matematici seri per cui ho preferito non addentrarmi in discorsi troppo tecnici per me (anche perché non questo è il punto del topic).

Citazione di: Eutidemo il 02 Gennaio 2022, 06:54:43 AM
le "entità infinitamente piccole" (come il "punto"), non avendo dimensioni, non sono per loro natura "misurabili"
Forse questa è la confusione cruciale: «infinitamente piccolo» non significa «privo di dimensione». La suddetta distanza asintotica (fra circonferenza che tende all'infinito e retta) si riduce all'infinto ma non è mai zero, così come dividendo un numero infinite volte non ottengo l'assenza di numeri, né zero. Per questo anche l'infinitamente piccolo, proprio in quanto tale, non può diventare a-dimensionale, ossia una forma, caratterizzata da almeno due dimensioni, non può mai perdere tali dimensioni e diventare un punto privo di dimensioni (una forma può solo diventare più piccola o più grande, magari all'infinito, ma non può diventare altro-da-sé come fosse un bruco che diventa farfalla; in questo sta la rigidità concettuale della definitoria matematica). L'esser forma (o retta o circonferenza) esclude il poter diventare punto, non può esserci continuità dimensionale in tale processo; come non può esserci continuità fra il bidimensionale e il tridimensionale: se anche aumento all'infinito le dimensioni di una forma bidimensionale non diventerà mai tridimensionale; infatti per renderla tridimensionale non ho bisogno di "saturare" le due dimensioni, ma mi basta aggiungere la terza, anche ad una figura di dimensioni modeste; lo stesso vale anche all'inverso: diminuendo la misura ad una coppia di dimensioni (altezza/larghezza) non ottengo l'assenza di dimensione.

Per quanto riguarda il «quadrato misurabile più piccolo di tutti gli altri quadrati misurabili»(cit.) non credo possa essere considerato un concetto matematico, proprio perché la matematica moderna (quella scolastica, oltre non vado), come ci ricorda iano, comprende anche il concetto di infinito o, più semplicemente, non prevede che ci sia un quadrato con un lato che non possa essere diviso. L'apparente aporia nasce solo se pensiamo di poter inserire l'esistenza di tale "quadrato definitivo" in una matematica che considera i numeri naturali (e le misure) infiniti; ma in fondo, come detto, l'unica necessità che può spingerci a considerare tale "superlativo assoluto" è una necessità pratico-empirica, fuori dalle concettualizzazioni matematiche (che con l'infinità dei numeri tolgono le basi logiche per proporre il superlativo assoluto).

P.s.
Abbi pazienza, ma non ho individuato quali sono i paradossi nelle mie considerazioni.
#783
Citazione di: Eutidemo il 01 Gennaio 2022, 11:33:45 AM
D'altronde, poichè la forma geometrica di un "cerchio" di dimensioni infinitamente grandi cessa di essere un "cerchio",  e diventa una "retta", non vedo perchè mai, sempre a livello definitorio, dovrebbe sorprenderti che un "cerchio" di dimensioni infinitamente piccole cessi di essere un "cerchio",  e diventi, invece, un "punto" !
Nella mia scarsa "matematicità", credo che se la retta è definibile anche come una circonferenza di raggio infinito, tale cerchio non «cessa di essere un cerchio»(cit.), non diventa un'altra forma, è la circonferenza ad essere (asintoticamente?) una retta. Dunque, pur essendo corretta la tua allusione (alla circonferenza che estendendosi all'infinito diventa retta), è comunque un caso ben differente dal cerchio che "implodendo" diventa punto: la circonferenza infinita, nel diventare una retta, cambia curvatura ma rimane nondimeno un ente con la sua medesima ed unica dimensione (quella di linea); se pensiamo invece ad un cerchio che diventa un punto, c'è un passaggio concettuale dall'essere bidimensionale (cerchio) al non avere dimensione (punto). Cambiare curvatura non è paragonabile al "perdere due dimensioni", così come cambiare coordinate sul piano cartesiano non è paragonabile all'essere elemento strutturante il piano cartesiano.
Banalizzando empiricamente, è un po' la differenza fra il piegare un arco fino a farlo diventare un bastone e il tagliare i bordi di un cerchio di carta e continuare a ritagliare fino a (credere di) ottenere il concetto di cerchio; riducendo la materia non si ottengono per via empirica i concetti, così come diminuendo matematicamente una misura non si arriva all'assenza di misura (punto a-dimensionale).
Così come i limiti della misurabilità non sono i limiti della concepiblità:
Citazione di: Eutidemo il 01 Gennaio 2022, 11:33:45 AM
Ovviamente, se ne facciamo una questione di "fisica" della misurabilità, la "forma geometrica misurabile più piccola di tutte le altre forme geometriche misurabili del suo tipo",  è un po' come "il tetto del cielo"; però è senz'altro qualcosa di logicamente concepibile "in modo necessario", poichè, visto che esiste un "quadrato misurabile più piccolo" del primo che ho concepito, uno un "più piccolo" del primo e del secondo, e così via, ne consegue che deve logicamente esistere anche un "quadrato misurabile più piccolo di tutti gli altri quadrati misurabili" (e la stessa cosa vale per quello più grande).
L'idea di «quadrato misurabile più piccolo di tutti gli altri quadrati misurabili»(cit.) non è una necessità logico-matematica (altrimenti non esisterebbe il concetto di infinito matematico), ma piuttosto un limite empirico; per la matematica la misura del lato del «quadrato misurabile più piccolo di tutti gli altri quadrati misurabili» sarà sempre concettualmente divisibile, ed è questo che dà un senso (ma non un referente empirico) al concetto di in-finito matematico.
Se con «quadrato misurabile più piccolo di tutti gli altri quadrati misurabili» ti riferisci alla finitezza delle possibilità tecniche dell'umanamente misurabile, concordo che tali "limiti pragmatici" indubbiamente esistano, tuttavia non vanno confusi con i limiti concettuali pertinenti discorsi che implicano l'infinito matematico.

Citazione di: Eutidemo il 01 Gennaio 2022, 11:33:45 AM
Ovviamente, non nego che le mie conclusioni risultino paradossali (ammesso e non concesso che poi "filino" logicamente); ma ritengo che non lo siano più delle tue.
Dove trovi paradossali le mie considerazioni di "matematica da strada"?
#784
Citazione di: Eutidemo il 31 Dicembre 2021, 14:00:28 PM
Credo che, la principale fonte di "misunderstanding" tra di noi, consista principalmente nel fatto che io distinguo tra:
- "forma geometrica infinitamente piccola", e, pertanto, "priva di dimensioni misurabili";
- "forma geometrica misurabile più piccola di tutte le altre forme geometriche misurabili del suo tipo" (ad es.i quadrati), e, pertanto, dotata di dimensioni estremamente minuscole, ma, per definizione, "misurabili".
Tu, invece, tendi a considerare le due cose come se si trattasse della stessa cosa.
La divergenza principale, oltre che quella fra "l'infinitamente piccolo" e "il più piccolo possibile", è principalmente quella fra la misurabilità e la concepibilità. Se per "forma geometrica infinitamente piccola" intendiamo quella i cui lati (o perimetro o circonferenza) hanno una misura che tende a meno infinito, parliamo in realtà o di una serie infinita di figure determinate (quadrati, cerchi o altro) inscritti uno nell'altro, all'infinito; oppure di una "pseudo figura" il cui perimetro/circonferenza misura meno infinito (quindi non è concettualmente priva di misura), che ovviamente non è una misura coincidente con un numero con cui calcolare agevolmente aree o altre caratteristiche (quindi non so quanto senso abbia chiedere quale ne sia esattamente la superficie o quanto misuri univocamente il suo perimetro). Come detto, una "forma geometrica infinitamente piccola" non può essere, né diventare, un punto almeno finché la identifichiamo con il nome di una forma e finché ha una estensione (che il punto non ha) per quanto tendente a meno infinito. D'altronde, altrimenti non avrebbe senso chiamarla, ad esempio, "cerchio infinitamente piccolo", quindi concettualmente ben distinto da uno "scarabocchio infinitamente piccolo", da una "firma infinitamente piccola", un "autoritratto infinitamente piccolo", etc. Il punto è che, almeno secondo me, l'infinitamente piccolo non significa adimensionale (tanto quanto meno infinito non è uguale a zero) ma significa avere "una" dimensione che tende a rimpicciolirsi all'infinito. Perciò non so quanto sia opportuno parlare di una forma geometrica infinitamente piccola, o se invece sia più esplicito parlarne al plurale (salvo considerare la suddetta "circonferenza che misuri meno infinito", ma non ho le minime competenze matematiche per postulare coerentemente le conseguenze di un'ipotesi del genere).
Per quanto riguarda invece la «forma geometrica misurabile più piccola di tutte le altre forme geometriche misurabili del suo tipo»(cit.), la sua esistenza cozza proprio con il concetto logico (non certo empirico) di infinito (immisurabile per definizione), ossia tale forma può esistere solo empiricamente, per limiti pratico-tecnici, ma logicamente (e con lo sviluppo di ulteriori tecniche) risulta sempre a sua volta divisibile (senza mai diventare un punto, che essendo adimensionale non può essere ottenuto dividendo il dimensionale, tanto quanto l'assenza di dimensione non si ottiene rimpicciolendo all'infinto una dimensione... altrimenti tale processo non sarebbe, appunto, "all'infinito"). Se ne facciamo una questione fisica di misurabilità, è come chiedersi quale sia l'area del quadrato più grande misurabile: «misurabile» non coincide con «logicamente/matematicamente possibile», ed in fondo in questo sta il passaggio fra la finitezza dell'uomo e dei suoi strumenti all'infinitezza delle possibilità concepibili (seppur non attualizzabili, se non con espedienti grafici come «∞» e «...», che comunque non rappresentano un'alfa privativo, anzi...).
#785
Citazione di: viator il 30 Dicembre 2021, 21:18:24 PM
Io sostengo invece che sia ipotizzabile una eccezione. Una circonferenza di raggio infinito (illimitato) risulterebbe priva di curvatura (o avente curvatura infinitesima, comunque non apprezzabile), quindi - per quanto riguarda le sue proprietà - indistinguibile da una retta.

In tal caso inoltre si godrebbe del vantaggio di togliersi di torno l'inutile complicazione di uno spazio interno da delimitarsi (Occam insegni !)............riducendo la presenza delle DUE dimensioni ad una UNIDIMENSIONALITA' geometrico-spaziale. Saluti.
Se ho bene inteso: se su un piano tracciamo una retta o una circonferenza con curvatura quasi impercettibile, dividiamo comunque il piano in due parti: dentro/fuori la curvatura, o quantomeno al di qua e al di là della (apparente) retta. La bidimensionalità rimane (garantita dal piano), così come rimane un dentro/fuori la circonferenza, con la particolarità che essendo la curvatura impercettibile non si può essere sicuri se si è nella parte del piano dentro l'infinita circonferenza o fuori dall'infinita circonferenza.
Se la "super circonferenza" contenesse tutto, avendo raggio infinito (ed essendo quindi una pseudo-circonferenza poiché l'infinito in quanto tale non ha verificabile forma propria), noi ci troveremmo allora nella bidimensionalità dell'area al suo interno, potendo tracciare il perimetro del nostro orticello o quello del nostro parcheggio riservato.
#786
@viator
[Grazie per l'apprezzamento] Una circonferenza, per esser tale, deve racchiudere uno spazio, un'area; in tale area è sempre (almeno concettualmente) possibile disegnare un'altra circonferenza o un perimetro poligonale che racchiuda una parte di quello spazio, come fosse un sottoinsieme.


@iano
[Grazie anche a te] Non colgo la possibilità dell'area uguale a zero: per avere l'area uguale a zero dovremmo non avere né perimetro, né raggio, né altre forme chiuse di riferimento (che inevitabilmente, con la loro estensione, renderebbero l'area diversa da 0); direi, da profano, che ha area zero solo "la figura che non c'è" (che sia come "l'isola che non c'è" di Peter Pan?).
#787
Mi unisco volentieri ai ringraziamenti per la premura dedicata alla gestione del forum.
#788
@Eutidemo

Secondo me, l'adimensionalità del punto serve euristicamente per scongiurare il regresso all'infinito e l'infinita divisibilità di zenoniana memoria; cercare quindi di dare una forma e una dimensione al punto, significa riaprire il problema per la cui chiusura (o meglio, "toppa logica") è stata redatta ad hoc la definizione standard di «punto». Più che un elemento geometrico il punto è un concetto-tampone, o per dirlo meglio, un assioma che rende completa e coerente la matematica, ma che da essa non è spiegato (come sempre capita agli assiomi). Sarebbe un po' come chiedersi quanto è spessa una linea (segmento, retta o altro), se essa è "erta" un punto o due punti o infiniti punti, perché se la vediamo non può essere monodimensionale e priva di larghezza come ce la racconta la sua definizione; è tuttavia un domandare che chiede ad un assioma di dimostrare se stesso all'interno del sistema che esso fonda, dimostrazione impossibile perché la sua definizione è ciò che dà senso alla logica del sistema stesso.
Provando a restare nella logica matematica, riprendo alcune questioni del "sogno":

«un cerchio infinitesimamente piccolo non sarebbe altro che un "punto"?»(cit.).
Direi di no, un cerchio per definizione non è un punto, nemmeno se lo pensiamo infinitamente piccolo, perché esso avrà comunque un centro, rappresentato da... un punto; dunque anche il cerchio infinitesimamente piccolo ha pur sempre una circonferenza che è una linea e un centro che è un punto mentre il punto, sempre per definizione, non ha né perimetro, né area, né centro.

«potremmo anche dedurne che una "forma geometrica infinitamente piccola" non è logicamente concepibile; questo perchè, visto che una "forma" comporta necessariamente delle "dimensioni", e visto che ciò che è infinitamente piccolo non ha "dimensioni", ne consegue che ciò che è infinitamente piccolo non può avere nessuna "forma"!»(cit.).
Una forma infinitamente piccola non è empiricamente riscontrabile ma resta logicamente concepibile, soprattutto nel momento in cui diamo a tale forma un nome che ne contiene la definizione: se dico «quadrato infinitamente piccolo» so già che tale forma avrà quattro lati uguali, quattro angoli retti, etc. a prescindere da quanto sia grande (so com'è, pur non sapendo, per limiti empirici, disegnarne uno).

«Ma quale sarebbe questo "piccolissimo" quadrato? Quale sarebbe la sua area?»(cit.)
La sua area si otterrà elevando al quadrato la misura del lato poiché, per quanto piccolissimo, per esser un quadrato, ne avrà comunque una; infatti non ha senso parlare di "quadrato infinitamente piccolo", ma piuttosto di quadrati infinitamente piccoli, poiché ogni quadrato, in quanto tale, può contenerne uno minore al suo interno (in una serie infinita di "quadrati matrioska"). Se usiamo il singolare, «quadrato infinitamente piccolo», rendiamo finito l'infinito, come se dicessimo che tale quadrato non può contenerne altri, ma finché è un quadrato avrà una sua area e all'interno di tale area sarà sempre logicamente possibile inscrivere un quadrato più piccolo.

«Ed infatti qualsiasi area di quadrato (di cerchio ecc.) può essere concettualmente soggetta ad una "reductio ad infinitum"; nel qual caso diventa un "punto"...cos'altro, sennò?»(cit.)
Un'area non può mai diventare un punto, né per le rispettive definizioni, né perché logicamente nessuna forma può diventare un punto, anche se empiricamente qualunque forma estremamente piccola (o estremamente lontana) può sembrarci un punto.
Il punto sta proprio a simboleggiare la "reductio ad infinitum" come possibilità logica, ma non come forma matematica, similmente come avviene, mutatis mutandis, con i puntini di sospensione nella lingua scritta: nessuna parola diventa puntini di sospensione, ma i puntini di sospensione stanno a simboleggiare un proseguimento che non viene esplicitato (così come non viene esplicitata, essendo inesplicitabile, l'infinita divisibilità logica dello spazio).

«D'altronde, anche qualunque "segmento" può essere accorciato all'infinito nel qual caso diventa un "punto" pure lui: per cui si potrebbe definire il punto come un infinitesimo di segmento.»(cit.)
Nemmeno un segmento può diventare un punto, poiché il segmento è per definizione la linea che unisce due punti, quindi, logicamente, per quanto piccolo, avrà sempre due punti alle sua estremità, sarà sempre divisibile in due semi-segmenti e così via...
#789
Attualità / BUON NATALE A TUTTI!
27 Dicembre 2021, 11:47:49 AM
Il Natale, nel suo essere componente culturale, rappresenta uno di quei "giochi di società" in cui tutti, non solo i capitalisti, "vincono" (seppur per differenti motivi), "giochi" meglio noti come «festa», vantaggiosi al punto che diventa irrilevante quanta verità ci sia alla base, se il fondamento è davvero quello che ci racconta la tradizione nostrana o sia solo una dissimulata postverità; ciò che socialmente conta è avere un pretesto per attuare pratiche vantaggiose (economicamente, psicologicamente, etc.). Siamo di fatto (in) una "società dei pretesti e degli effetti", più che (in) una società della verità e delle "cause prime". In ciò il postmoderno ha avuto la sua più palese, seppur talvolta inconsapevole, efficacia di disseminazione, al punto da cessare di essere motore di disincanto e sovversione, annullandosi nel suo diventare attualità diffusa, cultura che sta al suo stesso gioco per il beneficio degli effetti del gioco, non per la Verità delle regole del gioco o per la sacralità dei fondamenti del gioco.
Come accennato da Niko, spesso si festeggia il Natale perché "così si usa", "così dice la nostra cultura", "così abbiamo ferie e regali", etc. con quel «così» ad indicare quanto sia di primaria importanza l'effetto, non la causa, la convenienza del risultato, non l'autentica verità del pretesto. Indubbiamente c'è anche chi crede nella verità del movente culturale (sia esso agro-astronomico o teologico), nel Senso della festività, a prescindere dalle modalità di festeggiamento, e proprio questa eterogenesi dei fini che unisce nel medesimo festeggiamento credenti e non, sotto il segno di Babbo Natale, di Gesù Cristo, del solstizio, della diatriba panettone/pandoro, etc. è un affresco postmoderno-contemporaneo che raffigura giocatori intenti in differenti giochi, pur stando seduti allo stesso tavolo a scambiarsi reciproci cenni d'intesa (e d'auguri).
#790
Tematiche Filosofiche / La scommessa di Pascal
12 Dicembre 2021, 21:31:30 PM
@Ipazia
Oggi la scommessa pascaliana ha senso perlopiù per chi ha già scommesso sul montepremi più ricco (almeno a sentire quanto dice "il banco"). D'altronde, lo stesso Pascal con il suo «Adoperatevi, dunque, a convincervi non già con l'aumento delle prove di Dio, bensì mediante la diminuzione delle vostre passioni» e parlando poco dopo di «vous abêtira», è stato piuttosto lapidario circa il rapporto fede/ragione, rapporto che, più di tre secoli dopo, ha assunto connotati che rendono la scommessa non tanto basata sul calcolo delle probabilità di vincita, ma sul calcolo dei benefici esistenziali da incassare con cedola periodica nell'al di qua (per chi sente il bisogno di avere tali rendite; bisogno che si intensifica solitamente con l'avanzare dell'età, quando si torna a voler scommettere). Per chi invece non crede nel pinguino reale che abita nel garage del vicino di casa, non ha molto senso chiedersi quante siano le probabilità che la protezione animali possa arrivare prima che il pinguino muoia di fame (soprattutto finché l'effettiva esistenza del pinguino resta infalsificabile...).
#791
Tematiche Filosofiche / Re:La scommessa di Pascal
12 Dicembre 2021, 18:37:09 PM
Citazione di: iano il 12 Dicembre 2021, 17:36:52 PM
Direi che l'unica scommessa da evitare è dunque di puntare tutto su se stessi, che banalmente equivale poi alla coscienza di essere animali sociali.
Puntare sul proprio essere animale sociale, in fondo, non è nemmeno una scommessa, ma una certezza, ben oltre il "vincere facile". La "diversificazione religiosa" mi ha fatto tornare in mente questa scena di un vecchio film (che senza i sottotitoli appare assai più sarcastica di quanto vorrebbe essere...).

@Niko
Non a caso ho scritto che una vita «per quanto lunga e prospera non è quantitativamente né qualitativamente paragonabile all'infinito gaudio paradisiaco»(autocit.): alla qualità del nostro tempo-vita possiamo attribuire certamente un valore soggettivo, ma Pascal, da buon matematico, ne fa anche (se non soprattutto) una questione quantitativa, di durata temporale. Certamente si può anche non "stare al gioco" proposto di Pascal, o prenderne le distanze per le sue inconsistenze e le sue "faziosità", ma filologicamente è corretto almeno inquadrarlo nel suo contesto culturale, sicuramente molto differente dal nostro (in cui persino la domanda «quale Dio?» è molto meno scontata che ai suoi tempi, ma non possiamo fargliene una colpa).
#792
Tematiche Filosofiche / La scommessa di Pascal
12 Dicembre 2021, 13:27:43 PM
Mi permetto di rivedere lo schema di Alexander considerando che c'è pur sempre una puntata in gioco (chiamiamola «V»), ossia il nostro stile di vita, comprese le nostre rinunce per aderire ai dettami della religione anche quando non ci piace farlo (come già osservato da Niko); tutta la nostra condotta morigerata viene messa sul piatto scommettendo che sia un buon "investimento"; dunque:
Dio esiste ed io ci ho creduto: +∞ (ho guadagnato l'infinta gioia nel paradiso)
Dio non esiste ed io ci ho creduto: -V (tutti i sacrifici sono stati vani, avrei potuto spassarmela di più e non ho vinto nulla)
Dio esiste ed io non ci ho creduto : -∞ (ho perso la gioia infinita e mi tocca la dannazione eterna)
Dio non esiste ed io non ci ho creduto: +V (non ho puntato su Dio, ho evitato di fare sacrifici, e ho guadagnato una vita edonistica)

Risulta chiaro dallo schema, che se punto su Dio ottengo +∞ o -V, mentre se non ci credo ottengo -∞ o +V; ovviamente una vita (V) per quanto lunga e prospera  non è quantitativamente né qualitativamente paragonabile all'infinito gaudio paradisiaco, per questo Pascal ci suggerisce di puntare su Dio. Sembrerebbe che ci dica: se punti 5 centesimi su Dio puoi vincere un bancomat con credito illimitato o perdere i 5 centesimi; se non punti i 5 centesimi su Dio, non li perdi, ma eviti anche di vincere un bancomat con credito illimitato (e forse ottieni "illimitato rimpianto"). Il punto cruciale è che tuttavia non si tratta di puntare 5 centesimi, bensì tutta la nostra vita (che è tutto ciò che siamo/abbiamo), per cui la scommessa reale è: se punti tutto ciò che hai, puoi vincere un un bancomat con credito illimitato, ma se perdi, perdi tutto ciò che hai (se ogni gioco d'azzardo richiedesse di puntare tutti i propri beni in un colpo solo, probabilmente il gioco d'azzardo si sarebbe già estinto, o si sarebbero quantomeno estinti tutti i suoi giocatori, almeno se il guadagno fosse proporzionale alla puntata e quindi anche ai poveri non converrebbe puntare quel poco che hanno).
Va poi soprattutto considerato che non si tratta affatto di una scommessa del tipo testa/croce, 50/50: trattandosi di esistenza, per stimare le probabilità diventano rilevanti prove, indizi, deduzioni, etc. Banalizzando: le probabilità che nel garage del mio vicino (a cui non posso accedere), posto sicuramente freddo e da cui mi pare di aver sentito spesso dei rumori, ci sia un pinguino reale, non sono esattamente del 50% (soprattutto considerando che siamo in Italia) e se mi si chiedesse di puntare tutti i miei averi per ottenere il famoso bancomat con credito illimitato qualora il pinguino ci sia davvero, ma perdere tutto se il pinguino non c'è, personalmente scommetterei sull'assenza del pinguino e mi terrei i miei (pochi) averi.
Inoltre, molto marginalmente e lasciando da parte i pinguini, una falla strutturale della scommessa pascaliana è che non c'è garanzia della verifica dell'esito finale, nel senso che, se Dio non esiste, quando l'uomo non credente muore non saprà di aver vinto, così come l'uomo credente non saprà di aver perso.

Per onestà intellettuale, va comunque notato che il credere nel Dio cattolico oggi non comporta fustigarsi con il cilicio o andare a morire in terra santa, anzi, alcuni cardini della morale cattolica fanno ormai parte della legislazione vigente e anche di molte prospettive atee, per cui il sacrificio di una "vita da cattolico" non è una totale alienazione dalla società e da ogni forma di piacere; rivalutando quindi la scommessa di Pascal in "valuta corrente" è certo meno "onerosa" che nel diciassettesimo secolo (per quanto resti ancora poco probabile che un pinguino si aggiri davvero nel garage del mio vicino...).


P.s.
Chiaramente il buon Pascal è figlio del suo tempo, quindi quando parla di un dio è condizionato dalla sua cultura d'appartenenza (non pensa ad un dio "in generale"), per quanto nei suoi Pensieri dimostri di aver ben chiaro cosa siano il prospettivismo (Pensieri, 47), i limiti della ragione, la forza dell'abitudine («abêtir» deriva da «bête»1, ossia «bestia», forse lo usa nel senso di "addomesticarsi" tramite l'abitudine, proprio come è la ripetizione dei gesti che addomestica gli animali, non la loro intrinseca "razionalità"; v. anche Pensieri, 140), etc. tutti aspetti che, coniugati con la sua lucidità da matematico, potrebbero allontanarlo dal feticismo ingenuo di una credenza in un dio definito, ma nondimeno lo confermano fulgido esempio dello scienziato che non sa/può/vuole lanciare la propria razionalità oltre l'horror vacui del "mistero" della morte.

1Non senza una certa ironia linguistica, la pronuncia di «bête» in francese è simile a quella di «bet» in inglese che significa... scommessa.
#793
Tematiche Filosofiche / Il paradosso delle due ruote
11 Dicembre 2021, 16:58:26 PM
Per ottenere una traccia percepibile dello slittamento della ruota piccola, che non avviene in quella grande, se non si dispone di un "timbro rotante" (rivisitando quanto scritto da iano: il timbro grande stamperebbe esattamente le proprie lettere, quello piccolo le deformerebbe, allungandole nel venir trascinato), si potrebbero attaccare degli aghi identici sulle due circonferenze e poi farle scorrere su due nastri di carta: la circonferenza maggiore, quella che tocca il tavolo, dovrebbe lasciare una traccia di buchi precisi, mentre la circonferenza minore, scorrendo sul nastro sospeso sopra il tavolo, dovrebbe tendere a strappare il nastro, lasciando dei buchi "allungati" per l'effetto "traslazione" (quanto più la differenza fra le due circonferenze è elevata, tanto più l'effetto di traslazione della minore risulterà evidente).
#794
Tematiche Filosofiche / Il paradosso delle due ruote
11 Dicembre 2021, 12:29:15 PM
Come osservato da tuo figlio «Il rotolamento puro è quello per cui il punto di contatto con il terreno è sempre il centro di istantanea rotazione, nel caso del tuo video questo punto coincide con il punto di contatto tra la ruota grande e la retta, visto che le due ruote di muovono solidali, quello sara anche il centro di Istantanea rotazione della ruota piccola, quindi la ruota piccola non può muoversi di puro rotolamento perché il centro di istantanea rotazione non coincide con il suo punto di contatto sulla retta»(cit.).
Ossia: la circonferenza piccola ruota concentricamente a quella grande, ma è la grande ad avere una rotazione con "presa meccanica" sul piano, mentre quella piccola viene trascinata da quella grande, ruotando ma non come ruoterebbe se fosse lei a determinare la rotazione toccando direttamente il piano. Per rendere più lampante come la rotazione della circonferenza minore sia "trascinata" (come se scivolasse anziché far presa sulla superficie d'appoggio), prova ad usare due circonferenze molto differenti l'una dall'altra (una di raggio 1 cm e una di raggio 20 cm, ad esempio) e noterai che la circonferenza minore rotola e al contempo trasla, mentre la maggiore rotola senza traslare (facendo presa sul piano).
Un'ulteriore prova empirica potrebbe essere: appoggia il tappo sul bordo del tavolo (tenendo il barattolo fuori dal tavolo) e fai compiere al tappo un giro completo (percorrerai lo spazio esatto della sua circonferenza); se invece appoggi il barattolo sul tavolo (e il tappo resta sospeso) percorrerai una lunghezza uguale alla circonferenza maggiore. Lo spazio percorso dopo un giro, dipende da quale delle due circonferenze ha realmente contatto sul piano, quella "sospesa" o "inscritta" non percorre la propria circonferenza, ma percorre, "traslando", la lunghezza della circonferenza che ha attrito sul piano.
#795
Tematiche Filosofiche / Il paradosso delle due ruote
09 Dicembre 2021, 20:00:22 PM
Citazione di: Eutidemo il 09 Dicembre 2021, 14:51:09 PM
Ora, poniamo che la ruota di colore blu impieghi circa 10 secondi (10,305) per compiere il tratto di 10 metri da A a B, denominato tratto n°1, quanto tempo impiegherà la ruota di colore grigio per compiere il tratto 2, che è lungo anch'esso esattamente 10 metri?
Intuitivamente verrebbe da rispondere metà del tempo!
Per calcolare il tempo, "intuitivamente" manca un'informazione fondamentale, ossia la velocità, in questo caso intesa anche come velocità angolare: se pensiamo ad un tronco che rotola, la circonferenza esterna è di dimensioni maggiori ma gira più lentamente, quella interna è minore ma gira più velocemente; detto diversamente: una ruota piccola per percorrere lo stesso spazio nello stesso tempo di una ruota grande, deve compiere più giri. Non colgo il paradosso; forse se consideriamo la circonferenza minima possibile, quella del punto centrale di tutte le circonferenze concentriche, ci imbattiamo in paradossi matematici dovuti alla dimensione del centro in quanto punto di dimensioni indefinite (o meglio, privo di dimensione) da rapportare a dimensioni finite (i 10 metri da percorrere).