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Messaggi - Sariputra

#781
L'argomento di questa discussione consiste proprio nel fatto che la persona razionale si vede messa in questione dalle persone di fede e reagisce tentando di ricondurle alla propria gabbia, oppure squalificandole se non vi entrano. È questo quello che Socrate78 ha fatto quando ha iniziato la discussione. Tutte le cose che stai dicendo mi vengono a risultare ancora sulla stessa linea: tentare di far entrare tutti nella gabbia della razionalità, in modo da rinfacciare poi l'irrazionalità come se fosse un difetto, un problema.

La ragione, potente strumento di conoscenza del mondo empirico, implicitamente non riconosce nulla che possa metterla in discussione ( un pò come la fede irrazionale per altro...). L'unica obiezione e discussione può ammetterla solo all'interno di se stessa, cioè della ragione stessa, e quindi in un circolo autoreferenziale, come giustamente, a mio parere, fai notare, sulla specie di indovinello che @Epicurus presenta e che non può essere svolto che con la ragione stessa...non se ne esce... ;D
Però, in questa discussione, sono in sintonia con te ( mi sto preoccupando  :o...scherzo!) quando ti ribelli all'idea che tutto debba sottostare al giudizio di validità emesso dalla ragione stessa. Quindi farei anch'io, parafrasando Erasmo, un sano "elogio della follia". Perchè una gabbia è sempre una gabbia , anche se si tratta di una gabbia 'ragionevole'... :(

Alcuni aforismi in tema:
Due eccessi: escludere la ragione, non ammettere che la ragione.
(Blaise Pascal)

Passare dai fantasmi della fede agli spettri della ragione è solamente un cambiare di cella.
(Fernando Pessoa)

La ragione è la follia del più forte. La ragione del meno forte è follia.
(Eugène Ionesco)

La ragione è anche una passione.
(Eugenio D'Ors)
#782
Non riesco più a postare...addio a tutti!!   :(  :(

Contrordine...adesso ci riesco nuovamente! Misteri dell'informatica...
Avevo scritto una risposta a Epicurus ma si è volatilizzata...e non è così meritevole da essere riscritta... :)
#783
Tematiche Culturali e Sociali / Re:Capitalismo
15 Febbraio 2018, 08:57:36 AM
Nichilismo, cinismo o stupidità: queste sono le alternative politiche del nostro tempo.
(Nicolás Gómez Dávila)
#784
Io credo che gli uomini disposti a cedere anche pochi centrimetri del proprio cortile alla discussione siano rarissimi, nella formalità piace a tutti giocare all'essere aperti e premurosi verso il prossimo, umili e dubitevoli, ma poi facciamo (stoicamente) sempre e comunque e solamente il nostro bene. Se fosse il contrario, non esisterebbe l'ipocrisia, di cui il mondo è pieno. [/quote]

Beh! Saranno pure rarissimi, questo non posso saperlo ( visti i sette miliardi circa...), ma se ci sono, sono da lodare direi... ;D 
Però, visto che siamo in tempi di par condicio, bisogna pure dire che anche quelli che non credono... hanno lasciato memorie, su questione di ordine a volte universale che auspicabilmente volevano lette e condivise dall'umanità intera, hanno creato comunità basate su principi da loro postulati tentando modelli sociali rivoluzionari, in altri casi hanno dato vita a fratture culturali epocali......
Insomma...scrivono e fanno tutti! Lo facciamo anche noi... :(
#785
Tematiche Spirituali / Re:Dubbio << mentale >>
14 Febbraio 2018, 22:36:38 PM
cit.Green demetr:
La comunità degli amici ha una etica, ma è quella insegnata da Nietzche. Non dai preti.
Proprio per questo il conflitto fa parte integrante dell'etica nicciana.
Laddove non c'è conflitto non c'è etica. E quindi non c'è comunità.


Non capisco cosa c'entrano i preti con la definizione che ho cercato di dare di sila...va bene che Nietzsche aveva l'ossessione verso i preti, ma il mio discorso non aveva nulla a che fare con i preti...
Devi però spiegare cos'è concretamente, nella fattibilità, l'etica nicciana. Ovviamente al di là della mera utopia...
Se c'è conflitto come costruisci "comunità" ? Almeno in quello che s'intende per comunità ossia: "Insieme di persone unite tra di loro da rapporti sociali, linguistici e morali, vincoli organizzativi, interessi e consuetudini comuni". Il termine "unite" indica la possibilità del conflitto?...
Capisco che N. possa essere stato un genio, il sommo, ecc. e mi dirai che è troppo per me, che non capisco una mazza, che è meglio che lasci perdere , ma ...concretamente la risposta ...qual'è? Come si attua, si organizza, si fa esperienza possibile questa utopistica comunità di amici fondata sull'etica del conflitto continuo ?

Io intendo la morale sessuofoba. Non fare il solito giochetto, di fraintendere la civiltà con la vera meta dell'essere umano: la donna.
Comunque non insisto, non mi pare il caso, le tue risposte sono già esplicative in sè.


Io invece parlavo di moralità in senso generale. Proprio come possibilità di vivere insieme in armonia, senza violenza e sopraffazione. Non ho nemmeno menzionato il sesso. Comunque il sesso non è mai stato, storicamente, un grande problema per i buddhisti... ;D E' semplicemente considerato una manifestazione del desiderio, come altre...
Non puoi generalizzare. La "donna" sarà magari la vera meta di molti ( o quella di N. che sembra avesse i suoi bei problemi al riguardo... ;D ) ma come fai a sostenere che è l'ossessione di tutti?...( per inciso credo che sia un problema grosso per chi ha poco...diciamo...dimestichezza  ;)  su cos'è, alla fine, la sessualità...ehm!).

Non ho ancora capito se per te Dio esiste o meno.

La mia posizione  è perfettamente riassunta nel paragone dell'uomo colpito da una freccia. Bisogna levare la freccia prima di chiedersi chi l'ha scagliata, da quanto lontano, con che legno era fatto l'arco, quanti anni aveva l'arciere . Prima di conoscere...sarai morto! Bisogna levare la freccia...altrimenti non ti resta che creare una divinità e supplicare che ti levi la freccia...ma di solito...non risponde! :)
Ritengo che ci sia, una volta levata la freccia, la possibilità di conoscere qualcosa di "vero". Ma non c'è formula verbale per definirlo...al massimo per indicarlo.

Ritengo molto interessante invece proprio il fatto che se nulla esiste (e dunque anche la morale) allora quale possa essere la morale nuova libera sotto il cielo?

Credo che , per il momento, come io sono lontano dal comprendere Nietzsche, tu lo sia parecchio dal comprendere il significato di vacuità ( shunya) come è interpretato nel Buddhismo. :)
Comunque, non preoccuparti, non lo capiscono neanche un buon 80% degli stessi buddhisti...
#786
cit.Epicurus:
La questione è che se io credo a X per fede, allora o la pensi come me e va tutto bene, ma se non la pensi come me, come potremo gestire la divergenza di opinioni? Se credo per fede a X, come posso rendermi conto di aver sbagliato e correggermi?

Mah...qui sorge però un altro tipo di problematica, che è quella dell'intollerenza alle idee altrui. Una persona di fede ma ragionevole arriva sempre a dialogare costruttivamente con il non credente e , alla fine, ci si lascia con una stretta di mano e magari pure in amicizia. Ma l'intollerante non si trova certamente solo tra i credenti nell'idea di un Dio...
Per esempio, ho un vecchio amico che fa il ricercatore a Francoforte presso una multinazionale del farmaco,  a suo dire fiducioso solamente nella razionalità umana...ebbene, quelle poche volte all'anno in cui ci incontriamo, non è proprio possibile parlare liberamente del mio interesse per la spiritualità. Nella migliore delle ipotesi mi prendo un : "Buffonate!", seguito da una smorfia di disprezzo... :( Non è decisamente 'ragionevole'...e il discorso non può che morire ( malamente...) là...
L'intollerenza nasce, a parer mio, dall'attaccamento alle proprie opinioni ( di qualunque natura trattasi...).
Quando poi si dice "aver fede" bisogna sempre intenderlo come una continua 'scoperta' di questa fede. La condizione naturale è ovviamente quella del non aver fede...se andiamo solo a rileggerci qualche vita di santo vediamo che , anche per loro, spesso erano più i momenti di dubbio che non quelli di fede...
"Gestire la divergenza di opinioni" è a volte veramente arduo e richiede sempre il rinunciare a qualcosa che riteniamo 'nostro' ( in questo caso un pò della nostra sicurezza di essere nel "giusto"...). Spesso però crediamo che il farlo sia una sorta di debolezza...da non mostrare all'altro!
#787
Citazione di: epicurus il 14 Febbraio 2018, 12:33:31 PM
Citazione di: Sariputra il 13 Febbraio 2018, 10:59:12 AMSono d'accordo con Angelo Cannata. Pretendere che la ragione dimostri l'assurdità dell'idea di Dio sarebbe come non riconoscere i limiti della stessa. Della serie : voler tagliare un diamante con il coltello per affettare il salame!... ;D Questo sì che è antropocentrismo!...
Non è affatto mia intenzione pensare che con la ragione si possa conoscere ogni cosa (se hai letto come intendo io "ragione", spogliata di ogni connotazione metafisica, non ti stupirà) o che la ragione sia infallibile. Però questa abbiamo e questo è l'unico modo per conoscere, migliorarci e dialogare. Questo lo chiami antropocentrismo (mentre non lo è pensare di sapere qualcosa di dio per fede?)? Non so, tale termine sta venendo un po' strattonato... Ma credo possiamo concordare che sia più utile capire se una cosa sia vera o falsa, anziché applicare etichette come stigmi. Ritornando sulla questione "dio" è ragione. Penso che ci siano margini per la ragione per chiarire il significato di tale termine e per capire se ci sono anomalie linguistiche o problemi di coerenza e ragionevolezza rispetto a ciò che già conosciamo. Tutto qui. Ma è proprio tutto qui... non c'è una scorciatoia in cui si abbandona la ragione e si accede magicamente a tutto un sapere mitico. Anche perché la vera e unica alternativa alla ragione è la pazzia.

Non è che si possa conoscere solamente con la ragione. C'è pure l'intelligenza emotiva, quella istintiva, quella creativa , ecc. e anche questa, se correttamente praticata, aiuta a dialogare e a migliorarsi...
Se invece intendi conoscere come semplicemente conoscere le leggi naturali che ci circondano allora la ragione è la più indicata... ;D  ( è ottima per tagliare il salame... ;D)
Nel mio intervento mettevo in evidenza che è la ragione stessa a formulare l'ipotesi "ente creatore". E' una delle ipotesi sul tavolo, si potrebbe dire, come ve ne sono altre di diverse...
Non è certo la pazzia che si fa questa domanda... ;D
Il fatto che la ragione pretenda di capire tutto ( assolutizzare la ragione) mi sembra che sia la ragione stessa a mostrane i limiti.
Questo non significa smettere di investigare e indagare e la conoscenza che ne viene non è falsa, seppur relativa ai limiti stessi...
L'idea che il credente sia uno che mette totalmente da parte la ragione e si getta nel "magico", sinceramente, mi sembra mooolto stereotipata... come dimostra l'esperienza di molte persone che hanno fatto della ragione "scientifica" il proprio campo di studio e  lavoro e che proprio per questo ritengono l'ipotesi "ente creatore" la più razionale... e altri che la pensano al contario...;D
Il discorso poi dell'eventuale "rivelazione" di questo supposto 'ente creatore' è ancora un altro...
#788
Tematiche Spirituali / Re:Dubbio << mentale >>
14 Febbraio 2018, 09:45:43 AM
Quindi per me la discussione, anche la discussione sul Buddhismo, per me è una modalità dell'esercitazione del pensiero.

Per me invece non può essere che stimolo per cambiare ( me stesso). Esercitare il pensiero è secondario, non è il mio problema principale. Il pensare è importante, ma non siamo 'solo' pensiero, a parer mio. Se ci riduciamo a questo avremo solo risposte intellettuali che però non saranno in grado di trasformarci seriamente ( come la storia dell'uomo ha dimostrato, purtroppo...). Come mettersi un nuovo vestito sopra un corpo che puzza perché non è stato lavato... :)

Quando dico che non sono interessato ai maestri, non lo dico perchè i maestri sono in qualche maniera il problema.
Semplicemente essendo maestri essi parlano di cose semplici.
E non è quello il mio ramo.


Sì, diciamo che si intuisce  ;D ... Ma sei sicuro che 'complessità' faccia sempre rima con 'profondità'? Mi sembra che, a volta, molte cose che rendiamo complesse in realtà troverebbero soluzioni che riteniamo semplici ( e pertanto le snobbiamo...).

In generale il buddhismo mi pare che non ammetta la relazione..

Al contrario, proprio la comprensione della famosa "catena" ci dimostra che noi siamo anche il prodotto di una continua relazione con tutto ciò che viene a colpire la coscienza. Ed è proprio perché siamo in relazione che assume importanza l'etica/moralità/virtù, chiamiamola come vogliamo ( loro usano semplicemente il termine sila...).
Spesso parli di una "comunità di amici", ma questa comunità potrebbe stare insieme senza il collante di questa sila ? Se all'interno di una comunità ognuno esprime la ricerca della propria personale massima soddisfazione ( di ogni tipo di 'piacere', dal sensoriale all'intellettuale...) è realmente possibile che non sorga conflitto, che è sinonimo di divisione?...
Come ho scritto sopra, se intendo l'etica come un "prendersi cura" devo necessariamente moderare il mio 'appetito' per il piacere e costringermi a fare anche cose che non mi danno piacere, tipo...è 'morale' che in un paese la gente getti l'immondizia nei canali  e nelle rogge che servono per l'irrigazione dei campi?  Certo non è 'piacevole' dover separare i rifiuti e magari fare strada per portarli negli appositi contenitori, è molto più semplice prenderli e gettarli nel canale, meno fastidioso, mi crea meno sacrificio di tempo ...Ecco, per un buddhista sila non è semplicemente 'ridurre la ricerca del piacere' in vista di un risultato , ma proprio quella cosa che serve per creare armonia in una comunità. Il mio 'moderare' lascia spazio anche alla necessità dell'altro...
La mancanza di sila la trovi dappertutto...in una famiglia in cui si continua a litigare perché ognuno dei membri ritiene che i suoi desideri siano frustrati dalla presenza dell'altro c'è mancanza di sila. Balza all'occhio nell'odierno atteggiamento egoistico, nello sfruttamento di un individuo sull'altro, nelle contese tra gruppi in difesa di interessi di parte. Questa mancanza di moralità si coglie in tutte le categorie: studenti, insegnanti, amministratori, negozianti, clienti, avvocati, poliziotti , giudici, ecc...Come conseguenza ci si accusa a vicenda di non occuparsi dei problemi della società. Si accusa la politica, l'economia e così via , senza accorgersi che uno dei motivi principali è la mancanza di sila, di moralità/etica. Se anche un sistema politico fosse sano, uomini senza moralità potrebbero essere governati?...Le cose non funzionerebbero lo stesso...
Il termine sila è interessante perché significa pure qualcosa come normalità e quindi ha un significato come di coincidenza con la natura, di equilibrio. Ciò che porta all'equilibrio e non alla confusione è detto appunto sila..( equilibrio nei pensieri, parole e azioni). Quindi equilibrio di relazioni... 

Invece mi pare tu Sari sia più interessato al lato morale, alla limitazione dei piaceri.


Praticare sila, ossia una vita morale, la vedo come l'unica possibilità per 'fare spazio', ossia vivere una vita che cerca armonia e non conflitto. Se ho fatto spazio posso accogliere l'altro ( ma non solo le persone, l'altro nel senso più ampio che coinvolge il mio rapporto con la realtà naturale in toto...).  Ci sono arrivato perché, per lunghi anni, non ho mai lasciato alcun spazio all'altro , dentro di me, e non vedevo aumentare la mia felicità , ma la vedevo sempre diminuire...temevo d'"impoverirmi"; che poi è sempre il solito problema del restare aggrappato...del voler controllare.
#789
Sono d'accordo con Angelo Cannata. Pretendere che la ragione dimostri l'assurdità dell'idea di Dio sarebbe come non riconoscere i limiti della stessa. Della serie : voler tagliare un diamante con il coltello per affettare il salame!... ;D  Questo sì che è antropocentrismo!...
Ovviamente ci sono molte 'rivelazioni' di questo ipotetico Dio ed è con quelle che bisogna confrontarsi.
Nella fattispecie, perché penso Socrate78 si riferisca a questo, la rivelazione di un Dio come 'padre amorevole' si scontra con la presenza della sofferenza . E giustamente Angelo parla di confronto nel vissuto, dove al grido disperato del sofferente si contrappone il famoso "silenzio di Dio". Con questo 'silenzio' ( ma molti credenti ribatterebbero che 'appare' a noi come silenzio e che in realtà la risposta c'è, ma non si matura con i tempi del desiderio immediato dell'uomo; il famoso "I miei pensieri sovrastano i vostri pensieri"...) anche i credenti devono misurarsi nella propria coscienza.
Sono d'accordo con Angelo che è questo che veramente mette in crisi la fede per molte persone e non certo le varie scoperte o riflessioni della ragione.
Interessante infatti un sondaggio condotto, tra scienziati di vari paesi, dalla Rice University (2015) che riguardava il rapporto tra scienza e fede, dove si vede che la percentuale di credenti tra gli uomini di scienza e la popolazione  in generale è più o meno la stessa e che i motivi per cui molti si dichiarano atei sono gli stessi della popolazione.


Cari scienziati, credete in Dio? La risposta è sorprendente. Il 57 % degli scienziati italiani oggi non fa fatica a raccontare di credere in Dio, e non vede contraddizione tra la propria fede e un lavoro fatto principalmente usando la ragione. Nel resto d'Europa le cose non cambiano. Un sondaggio internazionale tra gli scienziati, infatti, dimostra che gli screzi tra chiesa e mondo della ricerca non sono riusciti a intaccare la fede in una vera e propria "entità superiore". Dalla Turchia all'India, dall'Italia ad Hong Kong: la Rice University ha lanciato il sondaggio che tutti, prima o poi, avremmo voluto fare: cari scienziati, credete in Dio?
Dopo la Turchia, India e Taiwan (con un tasso di scienziati credenti rispettivamente dell'85, 79 e 74 %) l'Italia si piazza al quarto posto in classifica, tra gli 8 Paesi sottoposti a censimento) a dichiarare la propria fede in Dio anche all'interno dei laboratori.
Sono quasi 1.500 i fisici e biologi intervistati: ma il risultato è univoco. Non c'è niente di strano nel conciliare i due aspetti: fede e scienza. "E non dobbiamo nemmeno pensare che la scienza sia il dominio della libertà, in contraddizione con la religione", spiega a Repubblica Gianpaolo Bellini, fisico dell'Università di Milano e dell'Istituto di fisica nucleare. "Quando studio un fenomeno naturale e mi convinco che sia vero, a quel punto devo accettarlo e basta".
"Sono un fisico delle particelle elementari – continua Bellini – e credo che una logica così enormemente estesa non possa essere casuale. Dietro alla forma e all'ordine dell'universo c'è, secondo me, un input. Se alcuni dati della natura fossero stati anche solo minimamente diversi da quel che sono, la vita sulla Terra non sarebbe stata possibile".
Gli ha fatto eco il noto fisico Lucio Rossi, cattolico praticante e tra i responsabili del CERN di Ginevra: «Mi sono convinto che l'ipotesi che tutto sia nato per caso è molto più difficile da accettare che non l'esistenza di Dio. Al Cern siamo in molti credenti, e non solo cristiani». ..


Tra i Paesi censiti, sembrano pensarla diversamente Stati Uniti, Gran Bretagna e, soprattutto la Francia, dove la percentuale di scienziati atei è del 51 %, contro il 25 % di agnostici e il 24 % di credenti. Ma la ricerca, ne siamo sicuri, continuerà a far discutere. (Corriere 16 Dic.2015).

Il mio oculista ( un luminare e presidente di non so quante associazioni scientifiche del campo...) infatti è un credente e alla domenica sera legge le Letture in chiesa durante la messa. Ovviamente questo non gli impedisce di farsi pagare 150 eurozzi ogni visita... >:(  >:(  >:(  ( spero non sia un utente del forum.. :-[  :-[ ).
#790
Tematiche Spirituali / Re:Dubbio << mentale >>
11 Febbraio 2018, 11:32:58 AM
cit.Apeiron:
Non appena ci si accorge che quello che ci ha pestato il piede pur non essendo uguale a noi, in realtà è molto simile - problematizziamo la collera. Se dunque comprendiamo la nostra sofferenza e riusciamo tramite la ragione concettuale a "comprendere" che gli altri sono simili a noi, vediamo che l'altrui sofferenza è molto simile alla nostra: in sostanza l'analisi della propria mente unita alla capacità di astrarre non solo ci fanno comprendere la nostra sofferenza e il nostro dolore ma anche l'altrui. Da qui si capisce come "prajna" (saggezza) e "karuna" (compassione) in realtà non sono così "lontane" come pensiamo...

La compassione, che è uno dei cardini dello sviluppo nel Mahayana del Buddhismo ( ma che è presente anche nel Theravada seppur con accenti diversi...), è un elemento centrale dell'insegnamento del Buddha. Sappiamo che quattro sono i punti fondamentale nei quali si sviluppa questo Insegnamento:
-una vita etica
-la consapevolezza profonda dell'impermanenza di tutti i fenomeni
-la pratica
-il sostegno della fede
Con "vita etica" ( o pratica di sila ) s'intende, nel Buddhismo, un atteggiamento di base verso tutta la realtà ( quindi dentro e fuori di noi...) che ci veda come "genitori". Essere padri e madri di ogni situazione che attiviamo direttamente e  , con un certo livello di coinvolgimento, di tutte le persone, esseri senzienti e cose con cui veniamo in contatto.
La caratteristica che distingue il genitore è proprio quella di "aver cura",  di nutrire una piena accoglienza nei confronti dei figli. Oltre all'accoglienza e alla cura c'è il "prestar attenzione" , essere quindi mentalmente presenti al sorgere della sofferenza ( propria e altrui...).
Per questo viene spesso usata la metafora del genitore per spiegare la concezione della compassione (karuna) proposta dal buddhismo...
Il vero genitore non è però solamente uno che accoglie ma anche infatti uno che si attiva per il figlio;  la parola karuna deriva dal verbo karoti (fare) e indica quindi non solo l'accoglienza ma anche , per l'appunto, la cura, il darsi da fare, il sorreggere. Nel momento in cui l'unione della saggezza (panna/prajna) sorta sulla visione dell'impermanenza, e quindi della sofferenza, si unisce con la karuna della compassione, prende forma la risposta appropriata: darsi da fare per alleviare la sofferenza altrui. Cercare di operare per dare sollievo alla sofferenza e avere un'iniziativa in tal senso. Si può però avere una compassione saggia o una compassione stupida propria in relazione al grado di saggezza sviluppato. Se opero senza alcuna aspettativa di ricompensa personale ( psicologica o materiale...) sarà uno sviluppo saggio della compassione, viceversa potrò certo dare sollievo lo stesso all'altrui sofferenza ( per esempio un medico che pretende di essere pagato profumatamente per le sue cure...)ma questo non farà che alimentare il mio attaccamento e ricerca di piacere personale e quindi, in definitiva, non farà che creare altra sofferenza a me stesso...
Sulla differenza di enfasi tra il Buddhismo degli anziani e il Mahayana sulla pratica della compassione, sono portato a vederli come momenti diversi che si presentano nell'esistenza di ognuno. A volte sentiamo il bisogno di 'aver compassione' di noi stessi ( e quindi dedicheremo più tempo alla solitudine , al silenzio e alla pratica della meditazione...), altre volte sentiremo invece più profonda la necessità di operare per cercare di dare sollievo alla sofferenza di chi ci circonda ( a partire dai più vicini, ovviamente...).
Un altro aspetto molto importante è quello del "non creare altra sofferenza". Non si tratta quindi solo di agire per alleviare e dare sollievo , ma anche sviluppare la capacità di intecettare tutti quei momenti in cui la paticcasamuppada ci farebbe agire inconsapevolmente come costruttori di nuova sofferenza. E qui entra in campo la pratica della meditazione... :)
La coerenza logica con cui Siddhartha sviluppa il suo Insegnamento è, ancor oggi, dopo 25 secoli, capace di stupirmi... :o
Come amo quest'uomo!!...(in senso spirituale s'intende...) ;D  ;D

P.S. Sono andato ampiamente fuori tema, come al solito e...mi sembra quasi che io stia assumendo un tono predicatorio!  :-\  :-\
#791
Tematiche Spirituali / Re:Dubbio << mentale >>
10 Febbraio 2018, 10:35:40 AM
"quello che conta è "vivere" secondo queste "idee" e la cosa non è per niente facile" ...scrive@Apeiron e la cosa non è facile per niente proprio perché sembra un sistema psicologico di "deprogrammazione". In un certo senso si è forzati ad andare contro il senso naturale e comune di percepire e vivere.  Non si tratta più di 'reagire' semplicemente ma di porre costante attenzione all'insorgere della catena del paticcasamuppada così da potersi 'staccare' dall'azione karmica che ne consegue. E il distacco dalla reazione/azione kammica diventa realmente il "cuore dell'Insegnamento". @Green non crede alla validità della meditazione come 'terapia' per giungere a questo 'distacco', ma essenzialmente la meditazione com'è intesa nel Buddhismo non tende a raggiungere 'qualcosa' ( come  stati sovrasensibili o beatitudini, anche se queste necessariamente intervengono come conseguenza della meditazione stessa...) ma bensì servirebbe a creare un'abitudine alla consapevolezza del nostro reagire inconsapevole allo stimolo del Pat. Uno degli effetti della pratica ( che deve essere continua e non saltuaria od occasionale...) è che, a lungo andare, la mente tende spontaneamente a 'rifugiarsi' in questo senso di 'distacco'. Quando questo diventa la sua 'casa' abituale anche le formazioni kammiche perdono la loro forza di condizionamento e di propulsione verso nuove azioni nocive ( dal punto di vista kammico che per il Buddhismo significa il ri-nascere continuo di stati mentali insalubri e di attaccamento...).
Questo penso sia anche il senso della famosa frase attribuita al Buddha che, quando gli è stato chiesto se poteva riassumere il suo insegnamento in un'unica frase, ha risposto: "Nulla a cui aggrapparsi".
@ Green, che ringrazio per la pazienza di essersi letto tutto il 'polpettone' sul paticcasamuppada da me postato, :D  ha una specie di allergia ad ogni forma di spiritualità che si organizza in religione istituzionalizzata ( e questo direi che è molto 'nicciano' senza  che anche lui si offenda per questa valutazione... ;D ). Personalmente tendo a distingurere i piani e distinguere le persone all'interno di un'istituzione stessa ( che poi non è altro che un insieme di persone che condividono una certa visione spirituale...). Facendo un'analogia ...è come trovarsi davanti un piatto pieno di pietanze, ma alcune di queste sono ben cotte e salutari e altre invece malcotte e nocive. Non trovo molto saggio gettare l'intero piatto per la presenza di ciò che è nocivo, ma bensì tenderò a cibarmi solo di quel che è salutare...( Che poi è il classico "non gettiamo anche il bambino insieme all'acqua sporca"...ovviamente bisogna anche ammettere che, soprattutto in certe epoche storiche, l'acqua era piuttosta lurida e il bambino molto piccolo... :().
Vorrebbe anche dire: non giudichiamo semplicemente sulla base di stereotipi ( non diventiamo atei semplicementi perché da piccoli un prete antipatico ci ha ripreso, come è successo a molte persone... ;D).
La "mistificazione" (Distorsione, per lo più deliberata, della verità e realtà dei fatti, che ha come effetto la diffusione di opinioni erronee o giudizî tendenziosi) può senz'altro essere stata il leit-motiv di molti sedicenti interpreti della spiritualità in cerca di potere e autorità, ma sicuramente non lo è stata per tutti e in particolare non per me ( che è la cosa su cui posso avere diretto controllo... :)), ma anche per molti che ho avuto la fortuna di conoscere...anche qui, si tratta sostanzialmente di distinguere il grano dalla pula...
Se poi uno ritiene che l'intera ricerca spirituale sia una buffonata, una perdita di tempo è ovviamente libero di pensarlo...
Su moltissime altre questioni sollevate dal vulcanico @Green ritornerò con calma ( perché ha aperto tantissime 'finestre' , peggio di un sistema operativo windows... ;D ).
Una cosa , per concludere: la riflessione buddhista è lenta, fa della lentezza il suo metodo, in quanto si poggia su un pensare essenzialmente intuitivo che si alimenta nella pratica stessa. Anche questo è in controtendenza con lo spirito attuale del mondo che richiede risposte immediate ( tra l'altro, a mio parere , è un problema che investe lo stesso Buddhismo attuale e che sicuramente nel passato ha giocato un suo ruolo nel sorgere di varie interpretazione all'interno ...) .
#792
Tematiche Filosofiche / Re:Buddhismo
06 Febbraio 2018, 15:17:01 PM
Citazione di: Apeiron il 06 Febbraio 2018, 12:42:00 PM@Sari, Forse ho trovato una analogia interessante per la vacuità. Per esempio si dice che "la forma è vacuità, le sensazioni sono vacuità..." (parafrasi Sutra del Cuore) ecc. Analogamente l'energia (della fisica) "esiste" come "energia a riposo, energia cinetica, energia potenziale...". Tuttavia anche se puoi osservare tutte queste forme di "energia", non puoi osservare mai "l'energia in-sé" :D e questo permette all'energia di continuare a cambiare forma - e questo permette il cambiamento, che rihiede la conversione di una forma di energia nell'altra (per esempio "collisione di particella-antiparticella" -> "emissione di fotoni"). ;D ;D


Non ci capisco granché di fisica, ma mi sembra un'analogia interessante.

A questo punto...hai già scritto al tuo collega fisico Achaan Brahm per raggiungerlo nel suo vihara a Perth, in Australia?... ;)  ;D  ;D

A parte gli scherzi, la visione di una realtà totalmente 'dinamica' come quella propugnata dal Dhamma buddhista, credo possa "affascinare" e interessare anche un cultore di una disciplina scientifica com'è la fisica... :)
#793
Tematiche Spirituali / Re:Dubbio << mentale >>
04 Febbraio 2018, 17:13:37 PM
Seconda parte...

Si può arrivare ad essere attaccati ad uno dei legami più 'pericolosi', quello alla 'divinità', oppure all'idea della 'buddhità'. Ossia allo stato d'essere "assoluto" che nel Theravada viene definito come "l'estremo positivo della metafisica". Quello in cui si tenta di 'trascendere'  le nozioni di base, elementari, quali quelle di uomo, donna, società, cultura, ecc.
Bisogna essere consapevoli di questa possibilità d'attaccamento pernicioso insita in ogni cammino che comunemente viene definito come 'spirituale'. Si rischia di costruire un 'fantasma' che immaginiamo come puro, ineffabile, eterno...Si arriva a concepire una sorta di 'coscienza primordiale', coscienza "tout court" trascendente, senza oggetto, senza proprietà, attributi e stato. Qualcosa di "elevato".
Questo attaccamento all'idea di divinità arriva all'ossessione dell'identificazione diretta con la divinità stessa, la fusione in essa...
Non sto dicendo che non esiste divinità. Sto dicendo semplicemente che l'attaccamento tende a costruirsela in modo da 'provarne piacere'...
Qui Krishnamurti parlerebbe di "materialismo spirituale"...
Siddhartha aveva un modo ragionevole e assai franco , diretto, logico e 'sano' di rispondere alla domanda: "Ma cosa ci faccio io qui?". Siamo qui, diceva, semplicemente a causa di tanha, del desiderio. Viviamo perché lo desideriamo...Il monaco Gotama ha fatto una grande scoperta; ha avuto un'intuizione geniale. E, se la ebbe, fu prevalentemente per avere avuto la concreta esperienza del nibbāna. Scoprì che, tutt'al più, ci immaginiamo, idealizziamo qualcosa che non potrà essere altro che un ciclo di paṭiccasamuppāda. Cioè, l'apparizione, il divenire secondo una sequenza di tappe riassunte, in modo succinto, da: un contatto, una sensazione, una reazione, un impulso, una volizione, una coscienza, un movimento, un atto, un divenire.
Siddhartha ebbe una consapevolezza del tutto sconcertante e che andava contro corrente con tutto il resto; che non viene insegnata in nessuna altra religione ( e neppure in molto del Buddhismo attuale...)...un'esperienza che potremmo definire come rivoluzionaria...oppure  come contradditoria con tutto ciò che può venire conosciuto nel quotidiano e, infatti, il fatto vine descritto in modo assai interessante. Dopo anni di ascesi disperate, di sperimentazioni, tra cui anche consapevolezze mistiche, o divine, posò la sua ciotola nel fiume, che scorreva proprio davanti a lui e si disse:"Se veramente io sono destinato a scoprire qualche cosa del tutto nuova, che il mondo ignora, oggi, completamente, che la ciotola non galleggi nel senso della corrente, ma che rimonti contro di essa!". Fu quanto avvenne. Poco importa preoccuparsi dell'aspetto leggendario, o miracoloso di questa storia. Ciò che interessa è che rappresenta un modo per illustrare come quel che Buddha scoprì fosse assolutamente rivoluzionario e contrario a quanto si conosceva, a quanto fosse stato appurato, ed insegnato, sino a quel momento. Di cosa si trattava? Ma naturalmente del nostro amato paticcasamuppada , però...in ordine inverso! Siddhartha visse un'esperienza concreta, visto che non ne conosceva affatto la teoria. Egli ha realizzato l'esperienza dell'ordine inverso. ossia non ha mancato di conoscere quel che appariva alla sua coscienza, non ha omesso di portarvi sopra la sua massima attenzione, non l'ha ignorato. Ciò che è successo di straordinario fu che, logicamente, tale coscienza, tale sensazione, tale contatto e tale oggetto non sono sorti. Hanno cessato di apparire ed avvenne, a quel punto, l'interruzione del ciclo in cui la coscienza si mostra, con il suo oggetto. Non nacque, dunque, una sequenza, né un seguito. Cosa divenuta impossibile a causa di quella interruzione. Egli sperimentò ciò che viene chiamata la Cessazione, la cessazione della non conoscenza, dell'ignoranza, dell'incapacità di apprendere; fatto che ha provocato la fine di quanto, per una volta, non venne ignorato.
Per questo motivo Siddhartha non dice:" L'apparizione della conoscenza", ma bensì: "La Cessazione dell'ignoranza".Perché, se avesse dichiarato "l'apparizione della conoscenza", ciò avrebbe significato che prima si conosceva, si apprendevano i fenomeni con l'ignoranza; mentre, poi, essi vengono assimilati con la conoscenza. No, egli dice:" vi è la cessazione dell'ignoranza", poiché, giustamente, appare l'interruzione del fenomeno. E se questo non si mostra più, come lo si può conoscere? Il concetto non è di acquisire i fenomeni che ci circondano sulla base della consapevolezza. Ma, che questi fenomeni apparenti cessano di mostrarsi, poiché, di conseguenza, la coscienza che si esprime con essi si interrompe. Per Buddha, è la conclusione dell'ignoranza. E' un fatto così stupido, che, nel sentirlo, si potrebbe dire che si tratta di una cosa da sempliciotti! E, invece, ci parlano di conoscenza trascendente, di modi di conoscenza, della coscienza che non sa, quando si trova nel samsāra, mentre, invece, esiste quella soprannaturale, che sa...
L'esperienza vissuta da Siddharta è sconcertante, incredibile. D'altronde questa questione non si può porre in termini di 'credenza'. La cessazione dell'ignoranza accompagna anche quella della conoscenza. E' proprio quando non c'è più nulla da conoscere che paradossalmente cessa l'ignoranza, o quel che Buddha chiama ignoranza.
Nel momento in cui la coscienza appare si manifesta, si mostra con il suo oggetto, c'è come una falla, un'increspatura...da qualche parte c'è un 'buco', perché c'è dell'ignoranza ( avidya). Buddha ha fatto l'esperienza della Cessazione della coscienza conoscitiva e del suo oggetto. Così, egli dice, si arriva alla fine dell'ignoranza. E' un concetto...un pò radicale! Però...però...c'è un però...non si tratta di annichilimento, di annientamento completo.Semplicemente la coscienza che appare incatenata con il suo oggetto, in funzione di un ciclo ben definito di successioni e che in seguito sperimenta ogni sorta di brama, odio e illusione, non si manifesta più.
Tuttavia, nel momento in cui la coscienza cessa di mostrarsi con il suo oggetto, essa ne assume comunque un altro, che è il Nibbana/Nirvana.Questo è un fatto molto particolare, direi quasi incredibile. La coscienza non può impedirsi di fare vedere; anche quando non ha più alcun oggetto da 'afferrare' essa esprime la sua tendenza che è tanto forte che, anche quando non ha più un qualcosa di 'prendibile', allora assume il Nibbana come oggetto, si radica nel Nibbana si potrebbe dire.
E' qui che il Buddha ha fatto una scoperta importante (quella decisiva direi...). Ha realizzato  non soltanto Nirodha, cioè la cessazione dell'apparizione della coscienza e dei suoi oggetti, ma pure che, quando tutto ciò cessa, sparisce...rimane ancora qualche cosa. Non è il nulla, nè IL NULLA. La coscienza /vinnana non può che seguire la sua 'natura' e allora prende come oggetto il Nibbana. Questa coscienza che prende come oggetto il Nibbana però funziona sempre nel ciclo di paticcasamuppada .
Così, quando il bhikkhu raggiunge il Nibbana, contempla il nibbana, Buddha sostiene che questa coscienza che prende per oggetto il Nibbana è ancora una fabbricazione insoddisfacente, impermanente. E tuttavia, se Buddha non avesse toccato il Nibbana come avrebbe potuto sapere che esiste?E' molto particolare il Nibbana...Sarebbe una cosa perfettamente vana cercare di dargli una descrizione definitiva.
Perché è particolare? Perché il Nibbana "non appare". Malgrado questo la coscienza può assumerlo come oggetto, anche se quello non offre nessun appiglio. La particolarità dell'elemento Nibbana è che può venire conosciuto dalla coscienza/vinnana.
Quando la coscienza che può prenderlo come oggetto può totalmente svanire e sparire nel  Nibbana c'è quello che viene definito come Parinibbana.
C'è un'altra differenza importante da rimarcare:  quando la coscienza prende come oggetto il Nibbana, tale oggetto non è legato al paticcasamuppada. Non è un oggetto che appare, dispare ed ha una forma. Non possiede qualità ed attributi intrinsechi ( e neppure estrinsechi...). Non possiede una forma, non ha una 'pietra angolare', è senza asperità. E' molto particolare perché Siddhartha ci dice che è vuoto. Ma non è IL vuoto; è semplicemente vuoto. Finchè esiste la coscienza non può che avere una certa 'forma', una sua certa proprietà. La coscienza senza proprietà...semplicemente non esiste. Così, quando la coscienza prende ad oggetto nibbāna, a causa dell'assenza di 'legame', di natura, di definizione; per il fatto che esso non appare, la medesima coscienza non ne risente per nulla. Non ha nulla da risentire. Poiché, non è né buono, né cattivo; e neppure neutro.
Si adopera , per tale coscienza che prende come oggetto il Nibbana, una definizione che ,spesso, è mal compresa: santi sukha, che significa 'piacere' dovuto ad uno 'stato pacifico'.
Però chi conosce il Nibbana non prova alcun 'piacere'. Proprio perché non vi nulla da vedere in Nibbāna, nulla da conoscere, nulla da ascoltare e per definizione è inconcepibile che possa esistervi una reazione, una collera, un pensiero, una parola, oppure un movimento.
Proprio perché non esistono sensazioni...appare la beatitudine; questo famoso santi sukha.
Questa esperienza di Nibbana Buddha l'ha fatta , quella della coscienza che prende il Nibbana come oggetto e prova beatitudine. Per sette giorni ne è rimasto assorbito. Assorbito nella conoscenza del Nibbana. Così, egli ha compreso che la coscienza che assume ad oggetto nibbāna, se è, beninteso, calma, sta, tuttavia, ancora... là.
Poi, per altri sette giorni narra la tradizione, ha avuto un'altra esperienza: è pervenuto alla Cessazione di paticcasamuppada , del ciclo di sorgere della coscienza e dei suoi oggetti ed è riuscito a far sì che la coscienza non riapparisse prendendo come oggetto il Nibbana. Ha sperimentato cioè il Nibbana senza alcuna coscienza residua.
Evidentemente non se n'è potuto accorgere...non essendoci più coscienza con oggetto il nibbana ma solamente Presenza dell'elemento Nibbana.
Per avere fatto questa esperienza, Siddhartha è giunto alla conclusione che il Nibbana è proprio la Liberazione definitiva, irreversibile. E' proprio quando è giunto a questa esperienza di Nibbāna, stavolta definitiva, senza alcuna coscienza residua, che ha compreso che Nibbāna è proprio la fine definitiva del 'processo' del paticcasamuppada e della sofferenza insita in questo. Assenza totale di sofferenza, attraverso l'assenza totale di infelicità, di collera, di odio, di desiderio, di gioia, di amore, o di qualunque cos'altro; attraverso l'assenza totale di proprietà, di coscienza, di sensazione, di oggetto, di colorazione, di forma...

Se siete arrivati a leggere tutto questo ...avete buone possibilità di aver svilupppato la mente chiamata "paziente sopportazione del non-creato". ;D  ;D  ;D

P.S.  A proposito della ricerca continua di ciò che ci dà piacere. Eccola qua in azione: il piacere di scrivere!... ::)  ::)
#794
Tematiche Spirituali / Re:Dubbio << mentale >>
04 Febbraio 2018, 17:10:17 PM
Direi un cosa. sembra che l'intera problematica ruoti attorno alla comprensione corretta di paticcasamuppada (pratityasmutpada in sanscrito per Bluemax...) che è oggettivamente uno degli insegnamenti più profondi, difficile e 'sottili' da afferrare di Siddhartha, detto il Buddha ,o l'asceta Gotama...
Ora mi accingo ( con sommo sprezzo del pericolo, di farci la mia classica figura di... :-[ ) a darne una mia interpretazione, facendomi aiutare da un testo 'segreto' che tiene un posto particolare nella polverosa biblioteca di Villa Sariputra. Così, se il mitico nicciano  Green, non intenzionato a leggersi la Mulamadhyamakakarika del grande Nagarjuna per il momento, ne è ancora un poco interessato,potrà farsene una parziale opinione...
Cominciamo col dire che questa catena del paticcasamuppada è intimamente legata all'idea buddhista dell'anatta, che s'intende come assenza di un "sè" intrinseco , sostanziale e durevole. Si potrebbe anche dire che Pat.( paticcasamuppada) sia la spiegazione del processo di anatta. 'Anatta' è per il Buddhismo un "dhammata", ossia una specie di realtà ineluttabile, universale e completamente a-temporale. Pat. si può dire sia la costruzione, lo svolgimento fattuale di questo 'anatta'...
Buddha espose ripetutamente in molti sutra la teoria della Pat., di questa genesi da produzione condizionata. Una volta un tale gli chiese:" Voi affermate che non esiste reincarnazione; però, malgrado questo, parlate di vite passate, di vite future, di rinascite."
Al che Gotama , per tutta risposta, con un leggero sorriso sulle labbra, gli dette esattamente la lista dei dodici elementi che formano la catena di Pat., che formano questo processo, in ordine logico ma inverso. Ecco in cosa il Buddha riassume la sua concezione, la sua visione del ciclo delle rinascite, proprio in Pat.
Pat. è un 'processo' ( senza imputati... :) ); cioè si tratta di una successione di avvenimenti che sorgono senza l'intervento di alcun agente, o "essere". E' un susseguirsi del tutto incontrollabile, ineluttabile e irreversibile ( salvo quando il 'processo' termina il suo ciclo...).
Per il Buddhismo questo processo gestisce l'evoluzione della materia, dei suoi fenomeni ma anche l'evoluzione della mente stessa, con tutti i suoi attributi e proprietà.
Tutti gli eventi che la coscienza può seguire sono contenuti in questo processo. Di più, direi, la coscienza stessa ne è contenuta. La "legge fondamentale", iniziale, che si manifesta nel processo è "anatta ( anatman)". Secondo il Buddhismo delle origini la coscienza è suddivisa in unità elementari , così come la materia, per es., è composta da atomi e questi si raccolgono in molecole e poi in cellula, in organo, ecc. così le unità elementari di coscienza hanno una durata di vita infinitesimale (un miliardesimo di secondo? Boh!... :-\ ).
Sarebbe più giusto però, a parer mio, chiamarli "momenti fondamentali di coscienza". Ognuno di questi momenti ha la particolarità di sorgere e svanire immediatamente secondo un processo chiamato appunto paticcasamuppada.
La successione di infiniti 'momenti' di coscienza forma un ciclo, considerando però le stesse unità come dei cicli elementari a loro volta. Ovviamente la sequenza che ne consegue è a sua volta guidata dal principio della Pat. La composizione nella mente dei cicli forma 'strati' di coscienza a loro volta condizionati da paticcasamuppada.
La domanda è: questo 'processo', per il Buddha, come si introduce nella vita? Questo Buddha che ci dice che questo processo è onnipervasivo e che pertanto ogni concetto di 'essenza' è completamente assente . Assente addirittura dall'universo intero...
Proviamo a pensare una situazione concreta: Un tizio che ci pesta un piede in metropolitana o sull'autobus, inavvertitamente. Cosa proviamo? Un dolore violento al piedone. Che succede? Per la maggior parte di noi questo dolore fisico si accompagna ad un impeto di collera  >:( . E' molto raro che compaia immediatamente uno stato di compassione, d'amore per il calpestatore, uno spirito bello tranquillo e accomodante. Quasi sempre sorge invece un senso di avversione, di irritazione e , a volte, pure di odio. Così prorompiamo in una parola dura o in un gestaccio . Qui osserviamo in azione paticcasamuppada , come avviene, schematizzando e semplificando il 'processo'. C'è una consapevolezza dolorosa e, immediatamente, sorge una sensazione spiacevolissima che l'accompagna. Non sappiamo perché, né come, ma probabilmente tutti ne abbiamo fatto l'esperienza. Sembra una cosa del tutto automatica. A seguito poi di questa collera nasce un'intenzione poco edificante ( che a volte, per fortuna , si ferma lì...), spesso malvagia: "Stai attento, scemo!", oppure:"Pezzo di imbecille!" o altro di poetico...
La situazione può andare avanti e arrivare alla 'vendetta', così affibiamo un bel calcione nella tibia al malcapitato, anche se non l'ha fatto apposta.
Ecco esposto, in modo molto stringato, questo processo: vi è l'apparizione della coscienza (esempio: coscienza dolorosa), che farà rapidamente nascere un fenomeno materiale (esempio: movimento della mano, emissione di un suono, sotto forma di una parola offensiva). E' così che tutto funziona in quel che noi chiamiamo universo, mondo cosciente. E per ogni essere, in ogni momento. Però tutto quello che noi possiamo pensare, dire o fare è solo la fase finale di un 'processo' iniziato prima, semplicemente attraverso un impulso cosciente, una percezione sensoriale.
Discutiamo di filosofia e di spiritualità sul forum, di cose esistenziali, del tran tran giornaliero, del tempo che fa, di politica...tutte queste chiacchere interiori ed esteriori, con altri, sono solo la fase finale, in larga misura, del 'processo' . Di solito la parte con cui passiamo la maggior parte del nostro tempo è quella del discorso dialettico, del parlare dentro di noi, a cui dedichiamo indagini e riflessioni. Assai raramente, soprattutto se non pratichiamo  la meditazione, riusciamo ad osservare i momenti precedenti . Diciamo, a volte:" Sono consapevole che la vita è proprio questa, sono consapevole della sofferenza, spesso ci penso...". Però di solito manchiamo per inavvertenza, per disattenzione e diamo importanza solo alla fase finale, alla riflessione e ai discorsi , banali o intellettuali e filosofici.
Quando mai siamo consapevoli della mascella che si muove o dell'aria che respiriamo?
Non diamo alcuna importanza alle fasi anteriori del processo. Non lo osserviamo, ci fermiamo, invece, nei nostri discorsi...oscilliamo costantemente tra una situazione di pensieri basati su idee negative ad altri su idee positive, per tutto il tempo.
Se riflettiamo un po', potremo giungere a capire, a percepire che, quando, nella giornata, abbiamo degli attimi di riflessione sull'esistenza ,nel senso che essa è insoddisfacente, piena di problemi... vi sono anche dei momenti in cui non si pensa affatto a tutto questo, visto che ci troviamo occupati ad assaporare una deliziosa bevanda, un piatto squisito. A quel punto, ci gettiamo, piuttosto, su delle considerazioni, tipo "la fortuna che abbiamo di essere nati in italia, che è il paese dell'arte culinaria". Sfortunatamente, passiamo da una situazione di pensieri, basati piuttosto su delle idee negative, ad un'altra, fondata su idee positive; ed oscilliamo dall'una all'altra, per tutto il tempo.
Nella vita sembra esistere soltanto l'"appetito": cioè desiderio, tendenza verso qualcosa.
In pali viene chiamata tanha. Tanha è quella cosa che fa proiettare la nostra coscienza sul proprio oggetto, o su altro.
Vi ricordate ( questo è un esempio classico...) di quando , da piccoli, ci facevamo una specie di cerbottana con una penna svuotata e 'sparavamo' palline di mollica di pane contro i vetri delle finestre o il banco del maestro ? Il fatto che queste palline venivano proiettate e s'incollavano illustra il significato di tanha , che è la tendenza, continuamente ripetuta, perpetuata, che ha la nostra mente di scagliarsi su di un oggetto. Dal momento che la coscienza si 'appropria' di un oggetto tende continuamente ad attaccarcisi e l'operazione, il processo, si ripete ancora; naturalmente, è ovvio, che i nostri desideri riguardano fatti piacevoli. Noi ci lanciamo verso la destinazione che ci prospetta un certo piacere. Questa facoltà di restare 'incollati' al nostro oggetto di piacere nel Buddhismo viene chiamata upadana, che significa appunto 'fissarsi'. Naturalmente la pallina di mollica di pane, lentamente, si secca e si scolla dal vetro e così anche i nostri desideri verso quel particolare oggetto, o sensazione , o pensiero si 'seccano' e si 'scollano'. Così la mente sarà allora necessitata a lanciarne una successiva, per continuare il gioco di tanha...Riusciamo ad elaborare un mucchio considerevole di strategie, di progetti, di manovre, che chiamiamo amministrative, professionali, sociali, ecc., al solo scopo di vivere. Cioè, di garantirci che gli attimi di piacere siano i più numerosi a succedersi , possibilmente ad un ritmo elevato e continuo , e che quelli di dispiacere e di pena siano i meno consistenti possibili; magari, i più distanziati e corti...
Questa è, in pratica, la nostra vita, quella che chiamiamo la vita di un uomo...
Per sopravvivere ci sono però i momenti di bisogno naturale, come il nutrirsi o andare al bagno, che sono una gran rottura perchè interrompono la nostra occupazione di lanciar palline verso il piacere. A volte son proprio fastidiosi. Allora, dato che non possiamo proprio farne a meno, cerchiamo di rendere anche questi i più piacevoli possibile...trasformandoli in momenti di piacere. La produzione condizionata è un processo che succede a se stesso, in quanto è una sorta di ciclo che non cessa di ripetersi. Esattamente come il pendolo di un orologio, che oscilla a destra ed a sinistra, e, fino a che la molla è carica, cioè fino a quando in essa rimane dell'energia, continua a farlo. Il "carburante" che vi è nella molla è proprio taṇhā. Si tratta veramente del motore della vita. Taṇhā è il termine impiegato per sintetizzare, in senso lato, l'avidità, il desiderio e la propensione. Così, alla partenza, vi è l'ignoranza, la mancanza di conoscenza, l'incapacità di sapere cosa è, per esempio, quel dolore che appare e la coscienza che lo accompagna. Poiché esiste questa incapacità, vi è, di conseguenza, l'ignoranza che produce il processo che si chiama formazione. La formazione, che accompagna la coscienza è, da una parte, la sensazione (piacevole, o spiacevole) e, dall'altra, la necessità che abbiamo di esprimere, in tale momento, un'azione.
Naturalmente non è facile da spiegare a parole perché il paticcasamuppada è una specie di serpente che si morde la coda.  Di fronti a questi dodici anelli della catena di Pat. si può, in una certa misura, cambiarne pure l'ordine, non ha molta importanza a conti fatti. Lo si insegna seguendo un determinato schema ben preciso ma , nell'apparire alla coscienza, il Pat. è così particolare che non sarebbe 'inesatto' in senso stretto variarne l'ordine. Il ciclo è così breve e aderisce all'apparire di un fenomeno di primo livello, costituendo, lui stesso, con il suo numeroso ripetersi, un evento di livello superiore. Semplificando, si può dire che, all'inizio esiste una ignoranza di quanto sta per capitarci, sino al momento in cui sopraggiunge la consapevolezza. dalla consapevolezza appare una sensazione, piacevole o spiacevole,; poi sorge una reazione, cioè il nascere di un'intenzione, di un progetto motivato dal desiderio di soddisfare qualcosa. Acquisito l'oggetto, nasce l'attaccamento ad esso. Lo si accaparra e si crea un legame..
All'inizio dunque ci proiettiamo su qualcosa, però arriva il momento che l'impulso che ci ha spinti, che è diventato abitudine...svanisce. Non sappiamo nemmeno dire perché. Fa parte dell'attaccamento che è , in sostanza, la facoltà che ci trattiene sugli oggetti o sui nostri ragionamenti, discorsi, ecc..
Esiste l'attaccamento alle nostre opinioni e punti di vista. Un buddhista, un cristiano o un ateo possono essere molto attaccati ai loro punti di vista, per esempio. Spesso non ne sappiamo nemmeno il perché. E' una sorta di rinnovo dell'appetito alla vita...
Aderiamo, ci attacchiamo ovviamente anche a questa idea del 'divenire', ossia di 'vivere'. Crediamo nell'"essere" e siamo molto avvinti da questo. Non soltanto all'idea: sono Sari, sono Piero, sono un uomo, sono una donna, sono buddhista, sono cristiano , sono ateo, ma semplicemente al fatto. Questo attaccamento alle opinioni fa sorgere numerosi momenti di tanha  e iniziamo ad attivare di nuovo progetti futuri, iniziative, ecc.

Fine prima parte...
#795
Tematiche Spirituali / Re:Dubbio << mentale >>
03 Febbraio 2018, 00:59:42 AM
Se il 'dubbio mentale' riguarda la vacuità, giova ricordare che la vacuità non è altro che paticcasamuppada, la coproduzione condizionata. Proprio il più grande 'teorico' della vacuità (shunyata) , Nagarjuna, lo dice chiaro:

"La coproduzione condizionata questa e non altro noi chiamiamo la vacuità. La vacuità è una designazione metaforica. Questa e non altro il Cammino di mezzo."
Mulamadhyamakakarika 24

La vacuità permette alle cose di esistere, altrimenti avremmo enti sostanziali ma cristallizzati, privi della possibilità di divenire. Per questo si dice che la vacuità è il vero modo d'esistere dei fenomeni. E qui potremmo anche dire anicca ( questo fa più Hinayana, ma mi piace di più perché è l'esperienza diretta che si fa nella pratica meditativa e sono quindi d'accordo con il Theravada che pone minor enfasi sulla vacuità e più sull'impermanenza...). Pensiamo all'esperienza spirituale di Siddhartha prima di diventare il Buddha: qual'è la visione fondamentale che lo porta a lasciare la casa paterna e tutti gli agi e i conforti? La visione dell'impermanenza: il vecchio, il morente, il cadavere.  Infatti la sequenza buddhista primaria è: anicca, dukkha, anatta. Visione dell'impermanenza,  constatazione del dolore, vacuità di esistenza intrinseca, determinata dall'impermanenza....
Quando un buddhista afferma di non capire la vacuità è perché non ha fatto i conti veramente con la visione dell'impermanenza. Conti interiori ( nella meditatio ) ed esteriori  ( nella contemplatio... ;D ).
Se si sente nelle ossa l'impermanenza, non è necessario formulare molte teorie sulla vacuità...ossia le lasciamo fare a Nagarjuna e c., che sono maestri di logica...ma noi prendiamo sul serio la definizione del Dhamma come "un Sentiero di Liberazione fondato sulla disciplina del vedere" e "vediamo"...che cosa vediamo? L'impermanenza di tutto. La vacuità non la si vede... ;)
Chiaro che sto parlando della visione buddhista di un essere inadeguato...che si sente ormai di parlarne 'in proprio' ( mi son messo in proprio dopo esser stato 'dipendente da...")....parlo delle mia esperienza, ho solo questa...però mi sento di farlo perché l'ho vissuta e l'ho sofferta...quindi parliamo del mio Buddhismo, come quando leggiamo...che so...D.M. Turoldo parliamo del suo  Cristianesimo e J.Rumi del suo Islam.. Non fraintendetemi...non mi ritengo a questi livelli...ovviamente son men che adeguato, insignificante quasi...ma con finta umiltà dichiaro la mia dipendente indipendenza da ogni maestro, setta e Veicolo ( dipendo ovviamente dal veicolo a quattro ruote che mi serve per spostarmi... :D ).
@Apeiron, molto bella l'analogia del fiume. Una volta ho scritto che la contemplazione di un fiume è un'autentica esperienza spirituale. Ed è così la mente  che fluisce  , ma non dobbiamo per forza immaginare un approdo, un mare ove si riversa...una meta. C'è questo meraviglioso fluire...la  pace è sostanzialmente la consapevolezza, priva d'attaccamento, del fluire. Anche per questo si dice che la pratica del Sentiero è già il Nirvana...


Non ritornare sulle cose passate,
E per il futuro non nutrire ingenue speranze:
Il passato è stato lasciato dietro di te,
Lo stato futuro non è ancora giunto.
Ma chi con l'intuizione può chiaramente vedere
Il presente che è qui ora,
Un tale saggio dovrebbe aspirare a conquistare
Ciò che mai può essere dimenticato né scosso.
(Majj.Nik.13)

Ecco una bellissima definizione del Nibbana: Ciò che mai può essere dimenticato. Ne definisce la caratteristica della permanenza ( quindi sfugge all'impermanenza di ogni fenomeno soggetto a paticcasamuppada...), la sua imperturbabilità di fronte ad anicca, dukkha, anatta e il suo 'valore', ossia uno stato che è saggio aspirare a 'conquistare'...
Non credo sia possibile aspirare a conquistare il Nulla, e nemmeno che non si possa mai dimenticare o scuotere...
Pertanto l'idea che il Nibbana sia semplice Nulla è totalmente priva di fondamento ( ma di questo caro Apeiron ne abbiamo già lungamente discusso nel topic apposito "Buddhismo"... :) mi sembra).