Menu principale
Menu

Mostra messaggi

Questa sezione ti permette di visualizzare tutti i messaggi inviati da questo utente. Nota: puoi vedere solo i messaggi inviati nelle aree dove hai l'accesso.

Mostra messaggi Menu

Messaggi - maral

#781
Citazione di: davintro il 22 Aprile 2016, 17:53:45 PM
Il discorso che sto facendo presuppone però di base la risposta a una domanda fondamentale: la filosofia è scoperta della verità (realismo) o creazione della verità (idealismo)? Nella prima ipotesi (quella su cui io convengo ma questo non è importante) la filosofia è autonoma dalla storia della filosofia, in quanto i suoi concetti hanno un valore oggettivo poichè corrispondenti, husserlianamente parlando, alle "cose stesse", aspetti del mondo reale che danno a quei concetti un senso perennemente attuale, indipendentemente dal riferimento alle opinioni dei pensatori che ci hanno preceduto. Le "cose stesse" in ogni momento possono essere scoperte ed osservate nell'esperienza attuale di ognuno che sia interessato a rifletterci su. Nella seconda ipotesi invece filosofia e storia della filosofia coincidono in quanto la comprensione dei concetti implica il risalire a ciò che li ha creati, vale a dire l'attività pensante che si dà nella storia. La filosofia coinciderebbe con il suo sviluppo storico, ogni singolo pensatore non farebbe altro che aggiungere un mattone a un edificio perennemente in costruzione che però è unico in quanto assorbe sinteticamente in sè tutte le posizioni succedutesi, solo apparentemente contrastanti tra loro, ma in realtà inglobate in un pensiero unico in continua progressione. Una visione tipicamente idealista che mi lascia fortemente perplesso (ma non ne voglio parlare ora, sono già stato troppo lungo). Non a caso, l'impianto storicistico dell'insegnamento della filosofia in Italia può essere visto come il portato di un dominio nella nostra cultura per larga parte del '900 del neoidealismo di Gentile e Croce...
Ciao davintro, mi soffermo su questa domanda della questione molto interessante da te qui introdotta.
Come è noto la filosofia nasce nel pensiero greco come esigenza di stabilire come stanno veramente le cose, ossia la verità fondamentale che non può essere che la verità del tutto e nasce realistica: c'è una realtà che va detta, che deve farsi discorso, logos, affinché possa essere detta in modo veritiero, coerente con la realtà stessa che sussiste in sé. Il logos è lo strumento che va affinato affinché ciò che si dice restituisca il significato del reale (parafrasando Aristotele e lo stesso Platone, vero è dire vero di ciò che è vero e non vero di ciò che non è vero). In questo la scienza non si è discostata per nulla dal realismo filosofico originario, essa rappresenta solo un affinamento del logos che ha associato al metodo deduttivo originario che parte dalla definizione del principio primo, della unità originaria necessaria a priori, al metodo induttivo che cerca, a mezzo di un grande rigore procedurale predefinito, di risalire alla sostanza formale dei principi. La scienza, come la filosofia classica, non crea la verità, ma la scopre e la scopre in virtù del potente funzionamento del suo metodo che le consente di dire come sta oggettivamente (quindi di per se stessa) la totalità delle cose, di ogni cosa.
Sappiamo anche che questa visione oggettiva è però entrata in crisi proprio con la nascita del razionalismo scientifico: già con Cartesio che fonda il reale sul soggetto pensante, poi con l'empirismo e poi con Kant e la sua critica della ragion pura. A questa crisi l'idealismo hegeliano ha tentato una risposta che ha rappresentato forse l'ultima grande enunciazione metafisica della filosofia. In essa la verità ha perso la sua visione perfettamente statica, per diventare prodotto della storia dialettica dello spirito che la viene continuamente creando verso una totalità di completa sintesi (che per Hegel si trovava nel suo stesso pensiero), in tal modo la verità diventa storia della verità e la filosofia storia della filosofia. Marx si porrà nella stessa direzione, ma immergendo questa dialettica nel reale accadere storico, rappresentandola come lotta di classe determinata dal potere economico finché il pensiero post marxista individuerà nel puro divenire stesso (in ciò che continuamente esso crea e distrugge) il motore di ciò che è reale. Il divenire (come già per Eraclito) prende quindi il posto dell'essere e la storia è la verità-evento che essa viene continuamente creando. La realtà è il mutamento e il suo rivelarsi veritiero è storia (di idee, di popoli, di rapporti economici ecc.), ma la storia, come espressione della pura immanenza diveniente, è ancora un oggetto metafisico, con tutte le pretese metafisiche che le competono su chi solo in essa può esistere come evento.
La storia è, come fa intendere Nietzsche, anche quando si rivela volontà di potenza, solo un cumulo sterminato di rovine. Al nostro sguardo, che vede solo il passato, appare solo il morire di ogni evento che riflette continuamente il nostro stesso morire insieme all'universo intero ed è proprio questo che determina la morte di ogni metafisica e il grande rimpianto per la metafisica dell'essere, per quell'oggettività che fissava una stabilità a fronte di un nichilismo ontologico tanto liberatorio, quanto disperato e vano. E si chiede, di nuovo si chiede, come fa Green, che la filosofia sappia ancora dirci qualcosa, dare indirizzi forse in questo sterminato campo di rovine, ma la filosofia non riesce più a dire nulla che risollevi la speranza metafisica, paradossalmente sembra che solo la scienza, e proprio nella sua versione tecnica e a-storica, possa farlo.
E qui occorrerebbe scendere nel profondo della tecnica. Non c'è dubbio che l'uomo contemporaneo, abitante del liquido Paese della Cuccagna che la tecnologia allestisce continuamente per lui, è l'uomo antiquato di cui parla Gunther Anders, un residuo bio psichico che paga continuamente il prezzo dell'illusione di funzionalità progettata con grande maestria da apprendisti stregoni anch'essi in corso di trasformazione sempre più inumana, ma è anche vero che solo nell'assunzione del proprio fare l'uomo può trovare il senso di se stesso, è solo lì che trova e ha sempre trovato abitazione e quel senso che lo comprende e che lui può comprendere.
Per questo credo che la necessità di una nuova filosofia alla fine non possa che trovare risposta dall'analisi di una storia che ci appartiene, di cui non siamo, ciascuno, per il nostro modo di sentire, di vivere, di pensare, che espressione dialettica di un flusso immane che viene a rappresentare il continuo accadere del mondo in cui tecnicamente, da sempre, siamo chiamati ad abitare, possiamo venire ad abitare.
#782
Citazione di: Loris Bagnara il 22 Aprile 2016, 09:20:24 AM
Questo pensiero mostra bene come siano gli scienziati, più che i filosofi, a creare il regno della metafisica, e altri regni più o meno immateriali e irrazionali, per usarli come comodi contenitori di tutto ciò che non riescono a spiegare. E all'ingresso di quei regni mettono su un bel cartello: "Lasciate ogni speranza o voi che entrate". Trovano più facile fare così, anziché ridefinire i propri paradigmi e i propri strumenti concettuali.
Paradossalmente, se applicassimo lo stesso ragionamento alla nostra origine individuale, dovremmo concludere che la nostra stessa nascita è un problema metafisico, poiché quand'è che siamo veramente nati? Quando siamo usciti da nostra madre? Quando siamo stati concepiti? Oppure esistevamo già nello spermatozoo e nell'ovulo dei nostri genitori? Oppure ancora niente di tutto questo?
Eppure è chiaro a tutti che ora ci siamo, e prima non c'eravamo. Tutto il resto è... non noia, come diceva Califano, ma sterili sofismi.
Ma mi pare che qui si diano troppe cose per scontate. Cos'è la materia? E perché mai la metafisica dovrebbe essere immateriale e irrazionale?
Certamente la scienza istituisce una metafisica, ma il suo peccato non sta nell'istituirla, né nell'aderirvi coerentemente, ma nel negarla benché la istituisca.
Per quanto paradossale possa sembrare la cosa, sì anche la "nostra" nascita è un problema metafisico, al pari della "nostra" morte (entrambe tutto fuorché nostre), di entrambe non ne abbiamo alcuna diretta conoscenza. Il sofisma, se tale è, è mio, non della scienza, che ha una visione metafisica ben precisa sia della nascita che della morte dell'organismo e crede di poterle definire con la massima precisione e senza ambiguità alcuna, nei termini che competono alla biologia. Ma io non lo ritengo un sofisma, bensì una pura evidenza: l'origine e la fine ci sono entrambe ontologicamente estranee, servono solo a raccontarci storie sulle quali poter fantasticare, perché ogni storia ha bisogno di un inizio e di una fine, ed è delle storie che non possiamo fare a meno.
CitazioneL'idea, avanzata dall'evo-devo, che un salto evolutivo possa avvenire in "toto" con una singola variazione, a mio avviso produce l'ingannevole percezione che questo salto, questa singola variazione "di successo" possa avvenire in maniera relativamente facile, relativamente probabile.
La questione è legata alla quantità di informazione codificata in una forma. Maggiori sono le differenze fra due forme, maggiore è la quantità informazione che serve per descrivere la variazione dall'una all'altra.
Non credo che nell'evo devo si consideri il salto di per sé facilmente funzionale: solo che la grande differenza di forme non è più considerata solo di stretta dipendenza genomica e se una forma sussiste semplicemente essa, come tale, in un determinato contesto, può con successo sussistere senza necessità di dover pensare a un fine che guida questa sussistenza.
Il contenuto informativo di una forma non è un contenuto che possa essere preso in sé, oggettivamente, ma è sempre legato a un'interazione soggettiva con l'osservatore, con ciò che questi può cogliere nel contesto in cui esiste partecipando di ciò che osserva, in termini biologici è anche la quantità di informazione è collegata alla omeostasi conservativa dell'osservatore. La differenza tra le forme è sempre un fenomeno relativo a chi percepisce e intende questa differenza nell'ambito della soggettività che lo determina.
#783
Citazione di: green demetrSu questo punto hai ragione, non penso Sgiombo o Maral possano argomentare contro.
Nel senso che la scienza (che io sappia) non l'ha ancora scoperto.

Se il motore che varia il vivente è conosciuto.
Il motore che varia l'organico in "vivente" è sconosciuto
Non solo è sconosciuto, ma ritengo che sia impossibile conoscerlo senza un approccio essenzialmente filosofico che stabilisca questo confine, che dia un criterio per poter dire cosa è vivente e cosa no. E il problema è che di criteri ne sono stati dati tanti, troppi, ma ognuno alla fine può essere messo del tutto lecitamente in discussione. E allora rassegnamoci: il vivente si distingue dal non vivente solo in virtù dell'opinione che la cultura a cui apparteniamo determina in noi su di essi e solo il senso di questa opinione alla fine merita di essere filosoficamente esplorato.
#784
Citazione di: Loris Bagnara il 21 Aprile 2016, 19:55:21 PM
Mi sono guardato il video. Sono concetti sicuramente interessanti, anche se, a ben vedere, fanno sorgere più domande di quante siano le risposte che danno.
E' vero, ma trovo che questo sia il valore maggiore di un discorso scientifico.
CitazioneMa qui sorge la prima grande domanda: se non sono i geni a controllare le forme, che cos'è a controllarle, allora? Dove stanno scritte le informazioni che descrivono le forme e le regole delle loro evoluzioni?
La seconda domanda che mi è sorta, vedendo il video, è la seguente: qual è il processo che seleziona le forme?
Non sono un biologo, quindi la mia risposta va presa con le pinze, ma penso che in entrambi i casi sia l'adattamento reciproco tra la forma vivente e il contesto in cui realizza la sua autopoiesi come unità. L'organismo vivente è (da un punto di vista strettamente scientifico) fondamentalmente un trasformatore di energia che persiste finché riesce costantemente a mantenere integra a ogni variazione di contesto la propria complessa unità biostatica e, a differenza di un elemento non vivente, può fare questo solo interagendo con l'ambiente in modo ciclico. Secondo l'Evo Devo non dovremmo allora più pensare che la forma sia determinata semplicemente dal genoma, ma proprio da questa costante interazione genoma - ambiente, a volte essa funziona, altre no. Il genoma stesso alla fine non è che l'espressione di questa interazione.
La cosa più spettacolare secondo me è proprio l'ontogenesi dell'organismo vivente. Come si spiega quella straordinaria differenziazione cellulare che mette in atto a partire da un'unica informazione genetica, che resta identica in ogni cellula del nostro corpo nonostante la loro straordinaria differenziazione? E' chiaro che questa differenziazione non dipende dal DNA e allora cos'è che la detta? Un biologo direbbe che è l'azione delle proteine, ma probabilmente non solo, entrano in gioco fattori chimici, fisici e stereospecifici, tutto un contesto ambientale di contorno che fa funzionare il genoma in quel modo e questa interazione, se funziona, determina la sopravvivenza.
Non c'è un progetto, perché il disegno si costruisce continuamente, un po' come un'orchestra che via via riesce a trovare un accordo di suoni che stanno insieme senza che vi sia alcuna partitura predefinita. Ogni orchestrale incide sul modo in cui suona l'altro e viceversa e a volte può accadere che il tutto, per un po' per ciascuno, stia straordinariamente insieme.


CitazioneCredo abbiate tutti compreso cosa intendo dire. Il primo processo di tirare a indovinare in maniera graduale è statisticamente molto più vincente del secondo, perché il processo di selezione del risultato, intervenendo ad ogni passaggio, opera in maniera costruttiva, come un insegnante che in qualche modo indirizza l'alunno, nell'intero corso di studio, verso il "successo". Invece il secondo modo di tirare a indovinare è statisticamente quasi impossibile, perché il processo di selezione interviene solo alla fine, come un insegnante che si limita a correggere il compito d'esame e a dare il giudizio: promosso o bocciato.

Ecco, l'evo-devo mi pare sia affine a questo secondo modo di tirare a indovinare, mentre il neodarwinismo gradualista al primo.
In conclusione, l'evoluzione a salti, di cui parla evo-devo, mi sembra implicare l'esistenza di una intelligenza delle forme, che però è ancora tutta da spiegare.
Secondo l'Evo Devo infatti non si procede variando un risultato per volta nel compilare la schedina e attendendo l'esito, perché una singola variazione può variare in un colpo solo tutti gli altri risultati che, tutti insieme, producono un adattamento riuscito o meno.
Noi, a posteriori possiamo pensare che vi sia una sorta di intelligenza preordinatrice delle forme , per spiegarci come mai quell'organismo abbia fatto 13 e per un po' continui a farlo, ma questo è solo il risultato del modo con cui a posteriori, da osservatori, interpretiamo il risultato finale.
Ogni forma vivente è di per sé un grande successo di cui il DNA è solo uno degli attori in gioco, ma ogni successo, per quanto grande sia, è destinato prima o poi all'insuccesso, è inevitabile. Forse con l'eccezione dei batteri che continuano ad avere enorme e incontrastato successo da quando è comparsa la vita sul pianeta. Quella è senza dubbio la base imprescindibile del vivente, da cui continuamente tutto il resto sorge e si estingue. Ma anche i batteri devono mutare continuamente e assai rapidamente per poter restare.
#785
Citazione di: Loris Bagnara il 20 Aprile 2016, 15:15:12 PM
Sì, è vero, l'aumento di complessità significa anche aumento della precarietà, della fragilità di quell'organismo.
Ma, mi viene da pensare, questa osservazione complica ancora di più il problema: se è vero che i batteri sono più vincenti degli organismi complessi, che cosa spinge la natura a creare anche forme complesse, che come tali sono molto più improbabili delle forme più semplici?
E, come ho già scritto, che cosa spinge la natura a compiere il salto oltre il regno dei minerali, che sono certamente ancora più semplici e ancora più vincenti dei batteri?
Non è necessario (anche se lo si può fare) pensare che qualcosa "spinga" la natura in una certa direzione improbabile , accade a volte che si formino specie complesse in certi contesti, un po' come nell'acqua che scorre a valle possono formarsi dei gorghi e, in certi punti l'acqua può anche scorrere a ritroso. Il punto è che il gioco è quello di un costante adattamento dinamico tra la forma vivente e i contesti che via via vengono a determinarsi e questo può determinare, temporaneamente, forme incredibilmente complesse che sussistono finché le condizioni lo permettono, condizioni che esse stesse interagendo andranno a mutare con la loro esistenza. In tal modo la forma vivente è determinata dall'ambiente e a sua volta muta l'ambiente determinando nuove esigenze di adattamento. E' una sorta di gorgo nello scorrere entropico dell'acqua. Non c'è un fine, ma una necessità di un continuo adattamento conservativo ("si corre per poter restare dove si è" quando tutto scorre).
CitazioneNon è, allora, che i progetti (cioè le forme) siano già scritti da qualche parte (non so dove), e che la natura salti da un progetto all'altro senza doverlo "cercare" il nuovo progetto, un po' come fanno i bambini quando giocano a carampana e saltano da un riquadro all'altro, perché vedono il riquadro dove devono andare?
E non è, questa ipotesi, qualcosa di molto simile a un "disegno intelligente"?
D'accordo, la probabilità che possano formarsi forme adattative funzionanti potrà essere molto limitata, ma non è da escludersi laddove nulla è statico. Certo, può venire più facile pensare che ci sia da qualche parte un progetto, perché noi, esseri umani, tendiamo sempre a pensare in modo finalistico, è nella nostra "natura". Ma è una soluzione solo apparentemente più semplice, perché appunto dove sta questo progetto? Dove si trova?

Citazione di: DonalduckChe sia una "balla colossale" va dimostrato, altrimenti finisce ancora una volta con una battaglia di asserzioni che hanno lo stesso valore dialettico dello scambio: "ho ragione io!", "no, ho ragione io!". Presupporre che qualcuno che ha opinioni differenti, le abbia solo per ignoranza non è altro che presunzione. Loris, in un suo intervento ha mostrato come la voce di Wikipedia faccia supporre che il "gradualismo" sia tutt'altro che superato. E Wikipedia è tutt'altro che una fonte trascurabile, anche per l'innegabile predominio in quella sede delle correnti scientifiche "mainstream", che spesso comportano ostracismo per tutto ciò che (sempre dalla "mainstream") viene considerato eretico. E anche nellla maggior parte delle fonti divulgative (probabilmente anche nei libri di testo scolastici, ma ammetto di non avere una documentazione aggiornata su questo, sarebbe interessante verificare...) si parla quasi sempre di mutazioni graduali. Inoltre la questione e tuttora in corso di dibattito e le opinioni non sono affatto convergenti. E' arbitrario dire che ci sia una posizione definita e consolidata: c'è chi ha abbandonato in parte la teoria della gradualità, chi no.

E' proprio per mostrartelo che ho inserito il filmato con Minelli, che è uno dei biologi italiani più quotati nel campo dell"Evo Devo che si sta dimostrando una teoria scientifica sempre più convincente. Che l'idea dell'evoluzione a piccoli stadi sia stata un errore di Darwin ormai è scientificamente accettato (poi ci sarà sempre chi, tra i biologi resta attaccato alle sue idee), se non ci credi basta che ascolti qualche intervento su Youtube di Telmo Pievani, come qui https://www.youtube.com/watch?v=WUDSDgcCbgA. Quindi non ha senso criticare l'evoluzionismo perché l'idea di un'evoluzione lenta e graduale è contraddittoria, dato che ormai sono gli evoluzionisti stessi a mettere in discussione questo principio in auge nella prima metà del secolo scorso, sarebbe come criticare la fisica attaccando la meccanica newtoniana perché non riesce a dar conto della costanza della velocità della luce.
CitazioneMa, come ho già (inutilmente, a quanto pare) chiarito, possiamo benissimo prescindere dall'aspetto graduale o meno della mutazione. Se la mutazione è improvvisa dobbiamo rendere conto (perché al di là delle astrazioni di questo si tratta) di un roditore terrestre che all'improvviso partorisce un pipistrello, il che non mi sembra molto più facile da giustificare di una lunga serie di mutazioni.

E di nuovo pensavo che il video di Minelli fosse chiaro. Il mutamento è genetico, ma un piccolo mutamento genetico può dar luogo a un enorme mutamento morfologico. Quando Minelli ti mostra insetti tra loro diversissimi, ma che appartengono alla stessa specie, o un millepiedi con 23 zampe che può mutare direttamente raddoppiandole in un colpo solo, senza poter passare per tutti i gradini intermedi, è proprio questo che viene a spiegare.
Se tu consideri che la differenza in termini genetici tra un uomo e uno scimpanzé è inferiore all'1%, pur essendo assai diversi, che una cellula della tua pelle ha il medesimo DNA di un un neurone, ma sono del tutto diverse, puoi intuire la spiegazione.
Un mutamento che coinvolge pochissimi geni può avere effetti enormi sulla morfologia e la funzionalità di un essere vivente e può accadere (anche se in genere non accade) che la nuova forma vivente nel suo funzionare come unità si venga a trovare in un contesto o in una nicchia ecologica che incredibilmente la favorisce.
Le ali da sole non significano poter volare, occorre tutto una nuova morfologia del corpo per poterlo fare, ma probabilmente bastano pochi geni mutati a determinare questo cambiamento morfologico in un colpo solo e se il colpo funziona, ecco che il nuovo topo (o il nuovo rettile) non solo ha le ali che da sole magari gli sarebbero di impiccio, ma può pure volare.
#786
Citazione di: Donalduck il 20 Aprile 2016, 13:52:00 PM
Ho detto onestamente quello che penso, né più e né meno, e ho ottenuto in risposta sproloqui supponenti e insulti gratuiti... Ed è principalmente con questi mezzucci squallidi (e fortemente dannosi per la scienza e per il pensiero in generale) che le tesi neodarwiniane che contesto son state tenute artificalmente in vita per tanto tempo e continuano ad essere considerate un pilastro incrollabile della biologia. Emarginando con ogni mezzo, non importa quanto sleale, tutti gli "eretici" (che non sono mai mancati e non mancaro tuttora, e in quantità) per motivi esclusivamente ideologici.
Donalduck: a quali insulti ti riferisci? Sei stato personalmente insultato in questa discussione? Se è così segnala dove e quando e il caso sarà valutato dalla moderazione.
Il punto è che una discussione sull'argomento "evoluzione" è retto sempre, da una parte e dall'altra da enormi impostazioni pregiudiziali ed ideologiche e non credo che nemmeno tu ne sia esente, come non ne sono esente io che, tra l'altro, sono sempre stato assai critico sulle tesi degli evoluzionisti (soprattutto quando sul principio della selezione naturale, giusto o sbagliato che sia, si vuole giustificare la pratica della selezione bio-sociale). Ma riconosco che, per essere efficacemente critici occorre conoscere bene il campo in cui ci si muove e invece, molti critici, spesso si muovono a lume di naso, con scarsissima competenza di ciò che vanno a criticare, si fermano sulle posizioni di principio in nome delle quali non si può che litigare.
Ad esempio, lo ripeto ancora, è una balla colossale (e dire che è una balla colossale non è un insulto) che la teoria evolutiva attuale (quella che va per la maggiore) sostenga che l'evoluzione non avviene per sbalzi, è da tempo che anche i darwinisti più convinti non sostengono più questa tesi, dunque non ha alcun senso ormai criticarla, già la scienza evolutiva lo riconosce: l'evoluzione si manifesta per sbalzi nella morfologia dei viventi (sbalzi a cui possono corrispondere limitatissime variazioni genomiche).
#787
Citazione di: donquixote il 19 Aprile 2016, 14:51:54 PM
Sarebbe anche corretto, però, che chi si fa forte di argomenti come questi e come quello più sopra avesse anche il buon gusto di portarli alla logica conclusione.
Se una persona viene ritenuta talmente responsabile dalla legge da consentirgli di  decidere della vita e della morte di un altro essere, a maggior ragione dovrà poterle essere consentito di drogarsi liberamente, di andare in auto a duecento all'ora e senza cinture allacciate, oppure in moto senza casco... dovrà essere talmente responsabile da riconoscere a distanza una Wanna Marchi e non farsi truffare, e se dovesse capitare non dovrebbe lamentarsi con lo stato e pretendere che la legge corra in suo soccorso. E chi afferma il primato della responsabilità individuale abbia il coraggio di contestare le leggi che la limitano, quali che siano, e non avalli ad esempio tutte quelle migliaia di leggi sui controlli alimentari, o dei giocattoli destinati ai bambini, e rifiuti in linea di principio qualsiasi intrusione dello stato nella vita altrui. Se tutti sono ritenuti responsabili al punto di poter decidere se uccidere o meno un altro essere umano, e se in particolare questa responsabilità è demandata alla sola madre, perché allora lo stato si intromette se una madre decide di uccidere il proprio bimbo di due o tre anni, che fino a prova contraria dipende ancora totalmente da lei quasi come se fosse ancora nel suo grembo?
Ognuno pensi e decida quel che vuole, ma almeno sia coerente, e risolvere tutti questi problemi attraverso la ributtante ipocrisia di non attribuire la qualifica di essere umano ad un feto passibile di aborto secondo la legge è francamente insopportabile.
No, mi pare che la situazione di un feto che dipende interamente e direttamente dalla madre, che fa parte del suo corpo perché è nel suo corpo, e tutte le altre, compresa quella di un bambino appena nato che non è più nel corpo della madre, ma nascendo si trova già partecipe, esposto come oggetto diretto di un contesto sociale, sia assai diversa. Con questo non voglio dire che il contesto sociale debba essere escluso nel caso del feto, ma che la responsabilità di questo contesto è in primo luogo verso la madre, perché è la madre che è direttamente esposta alla dimensione sociale nelle sue scelte e azioni. Dunque chi, dal di fuori, si preoccupa della vita dei nascituri (per ragioni religiose o meno), dovrebbe interessarsi del contesto sociale per renderlo favorevole affinché la madre possa scegliere per la vita dell'essere che porta in grembo (e così dovrebbe essere per il padre, poiché questo è il suo compito principale finché il figlio è nel grembo materno: tutelare e proteggere comunque la madre che lo porta, riconoscendola nella sua assoluta dignità di unità vivente). E sinceramente, non per essere provocatorio, ma io credo che il buon Dio nel far sì che tra gli umani fosse un individuo femminile il diretto responsabile della vita dell'essere che porta in grembo, e non un'istituzione scientifica, politica o religiosa ha fatto la cosa di gran lunga migliore che mai potesse essere fatta.
Devo però ammettere che con i progressi delle scienze biologiche, con quello che esse possono ormai fare sull'ontogenesi, tutto questo mio discorso rischia di venire a cadere di senso. Alla fine la gestante potrà essere davvero una pura e semplice macchina e, dato che le macchine non hanno responsabilità, ma devono solo funzionare, la scelta sarà tutta in capo ai soli tecnici che le gestiscono (finché le gestiranno) secondo programma e ogni discorso religioso o etico sarà solo una vecchia favola per bambini, compresa la coscienza con tutte le sue lecite o illecite obiezioni.
#788
Citazione di: Loris Bagnara il 19 Aprile 2016, 16:10:15 PM
Sono d'accordo sul primo punto: definire cos'è la vita.
Secondo me il punto di partenza è semplicemente questo: la scienza dovrebbe accettare l'idea che la vita (e la coscienza con essa) è un aspetto fondamentale dell'universo, non un accidente. Se non si parte da questo, non si capirà mai cos'è la vita (e la coscienza).

Quanto al secondo punto, la complessità, be', solo con un sofisma mi puoi convincere che non c'è stato un aumento di complessità.
Prima non c'era nulla: 0.
Poi è sorta la vita: 1.
Uno è maggiore di zero. Nessun dubbio.
E quanto alla definizione di complessità, io la ricollegherei all'informazione: un organismo biologico è tanto più complesso quanto più numerose sono le informazioni che servono a descriverne la struttura e a regolarne lo sviluppo e le funzioni. Una pura questione di bit.
Definire la vita è tutt'altro ce semplice, c'è sempre qualcosa che non convince in ogni definizione. D'altra parte se non la si definisce come possiamo stabilire che prima di un certo momento non c'era nulla (di vivente). Per chi considera vivo il fuoco questo prima probabilmente non c'è mai stato, non c'è mai stato lo 0.
Inizialmente vivo era considerata qualsiasi cosa in grado di muoversi spontaneamente, poi ci si è aggiunta la proprietà di alimentarsi e riprodursi. Più recentemente, una definizione di vita che mi convince molto, è quella che la intende come l'attività autopoietica di un'unità complessa finalizzata solo alla conservazione biostatica di questa stessa unità. Finché la biostasi ciclica funziona la vita si mantiene, quando cessa di funzionare l'unità vivente si disintegra. C'è chi identifica questa unità con il DNA, ma a mio avviso è un'assunzione troppo riduttiva e arbitraria. Una cosa tuttavia mi pare evidente, non si può parlare di vita senza considerarla dal punto di vista interattivo con l'ambiente: la vita è un adattamento al variare del contesto e ogni condizione di contesto esige forme diverse di complessità (come dice minelli ricordando la frase della Regina Rossa nella fiaba di Alice: evoluzione significa correre continuamente per poter restare dove si è). Se un organismo è tanto più complesso quante più numerose sono le informazioni che servono a descriverne la struttura e a regolarne lo sviluppo e le funzioni, è anche vero che l'aumento di questa complessità non è in genere premiante: il trionfo della forma vivente batterica lo dimostra ampiamente, se è vero che i batteri possiamo considerarli più semplici dei dinosauri, dei mammiferi e dei tanti ominidi andati estinti e penso abbiano prospettive molto migliori dello stesso homo sapiens che, per quanto si consideri al vertice del creato, senza di loro, come ogni altra forma vivente, neanche potrebbe sopravvivere.
Ma è vero La coscienza è un'altra questione fondamentale, che non può prescindere dalla vita, poiché qualsiasi cosa ne diciamo, la si può dire solo dal nostro punto di vista cosciente. Solo noi, esseri coscienti, forse sappiamo di essere vivi, poiché sappiamo di dover morire. Solo la coscienza ammette l'osservatore che è colui che tenta di definire la vita. E la coscienza anch'io non credo che sia riducibile a una semplice attività neuronale, anche se questa attività è strettamente collegata e istituisce una sorta di scambio continuo di informazioni rappresentative tra le cellule del midollo allungato e quelle dell'area corticale, in una sorta di continui rimandi reciproci ove le une stimolano le altre, come in un gioco di specchi continuamente reiterato.
#789
Citazione di: Freedom il 19 Aprile 2016, 15:11:49 PM
in primo luogo privare il nascituro della vita stessa mi pare una violenza molto grande. Non si tratta di una parte del corpo della madre ma di una nuova vita. Una vita indifesa. Poi, per carità, è evidente che la responsabilità più grande e più profonda spetta alla madre tuttavia, impedire che altri possa partecipare alla decisione, mi sembra ingiusto. Soprattutto nei riguardi del padre. Possibile che tu trovi giusto che quest'ultimo non abbia voce in capitolo? Immagina, che so, una coppia con due figli e la mamma rimane incinta del terzo. I genitori sono in disaccordo: la mamma vuole abortire e il papà no. Ecco, papà non conta niente. Corretto?
No, non ritengo giusto che il padre non possa esprimersi, ma ritengo giusto che in ogni caso la decisione ultima spetti alla madre in relazione a quanto la natura o il Creatore ha a lei affidato. Certamente è una violenza molto grande privare della vita il nascituro, ma a mio avviso è una violenza ancora più grande pretendere di sostituirsi alla madre naturale nel decidere su chi solo lei porta in grembo e alimenta attraverso il suo corpo, equivale a ridurla a una macchina incubatrice a disposizione.
#790
Citazione di: Loris Bagnara il 19 Aprile 2016, 12:43:53 PM
In queste parole ci sono due aspetti che mi lasciano estremamente perplesso.

a) L'origine della vita e che cos'è la vita.
La vita è un fenomeno di questo universo, forse il più straordinario fenomeno dell'universo, e come tutti i fenomeni di questo universo deve avere una spiegazione. Non può, la scienza, alzare le mani e dire: qui non mi addentro. Che cos'è la scienza se non la ricerca della verità? Se la scienza di oggi non ha gli strumenti per affrontare la questione vita, allora è la scienza che deve cambiare, non è la questione vita che dev'essere accantonata.
Certo, ma se vogliamo studiarne l'origine doppiamo definire chiaramente cosa è vivo e cosa no, sembra facile dire che un gatto è vivo, mentre un sasso non lo è, ma sappiamo bene che ci sono stati tempi in cui si pensava che il vento, il cielo, la terra, il fuoco fossero vivi. Era solo perché chi li considerava tali era stupido, privo della nostra sapienza che vede le cose per come sono? Possiamo considerare la crescita di un cristallo qualcosa di almeno simile a un processo vivente? Ma anche in ambito specificatamente scientifico ci sono fenomeni di confine difficili da definire: un virus ad esempio è vivo? Come considerare un organismo che alterna periodi di vita a periodi in cui le sue funzioni vitali sono completamente sospese a seconda delle condizioni ambientali? E' vivo o no in quelle sospensioni? Un ecosistema è in se stesso vivo o solo perché in esso vi sono organismi vivi? Il pianeta terra possiamo consideralo vivo? Sì o no perché?
E' proprio cercando di capire questi fenomeni ambigui, di confine, che credo possiamo capire cosa intendiamo con il voler dare una spiegazione del vivente: cos'è quel vivente che vogliamo spiegare e magari persino riprodurre? Una protocellula? Un protobatterio? un programma al computer che li simula?
Citazioneb) La complessità della vita.
Ora, non si può negare ciò che è evidente e palese anche a un bambino. Guardiamo alla storia della Terra. Prima non c'era niente, solo materia inanimata. Poi sono venuti gli organismi monocellulari. Poi quelli pluricellulari. Poi gli artropodi. Poi i cordati. Poi i vertebrati etc etc Fino ai mammiferi e l'uomo. Possiamo concordare sul fatto che la crescita della complessità non è un fenomeno lineare, e che da qualche decina di milioni di anni non ci sono grosse novità (a parte l'uomo...). Ma vogliamo negare il fatto che, globalmente, la complessità della vita sulla terra oggi è infinitamente maggiore di quella degli albori, per non parlare del periodo precedente la comparsa della vita? Che cosa ha creato tutta questa complessità?
Purtroppo le cose più palesi sono quelle su cui ci si inganna più facilmente, ritenendole semplici ed evidenti. Pur essendo gli organismi monocellulari comunque sistemi complessi, si può ritenere che i pluricellulari siano di una complessità di ordine superiore, ma perché mai si dovrebbero intendere gli artropodi, i cordati, i vertebrati, i mammiferi via via più complessi? Un mammifero nel Cambriano, per quanto complesso, sarebbe fuori posto ancor più di un trilobita oggi. L'uomo, lo ammetto, aggiunge un ulteriore grado di complessità con la coscienza: ma siamo sicuri che questa costituisca un vantaggio e non un pericolo di prematura estinzione? Ancora oggi gli organismi che hanno di gran lunga più successo su scala planetaria sono quelli che consideriamo più semplici: i batteri e ci saranno batteri ben dopo l'estinzione di ogni essere umano e mi sa pure di ogni mammifero.
La complessità è un tema molto dibattuto e forse irrisolvibile sul piano biologico oggettivo. Gould la descrive nella sua teoria degli equilibri punteggiati: c'è un livello minimo di complessità, presso il quale si stabilisce un massimo di popolazione vivente, al di sotto di questo livello non si può scendere. Alcuni organismi (pochi) possono determinare forme più complesse, ma possono tornare indietro? Le grandi catastrofi naturali, le estinzioni di massa, ci insegnano che ciclicamente il livello di complessità del vivente si riduce e tutto ricomincia, facilitato dal vuoto che si determina, fino alla prossima estinzione.
McShea stabilisce una definizione di complessità basata sul numero delle parti e osserva come questa complessità tenda ad aumentare a un massimo in assenza di selezione naturale (zero force level), ma la selezione naturale che poi interviene tende a semplificare, cancella il ridondante, il troppo complesso, dunque nel tempo la complessità si riduce fino a un livello più o meno stabile, inferiore a quello iniziale http://sites.duke.edu/mcshearesearch/files/2014/03/Complexity-by-Subtraction-McSheaHordijk.pdf
Proprio come quel moscerino con 4 ali nel video con Minelli che presenta l'Evo devo, un moscerino con 4 ali è di sicuro più complesso di uno con solo due, ma non funziona e la selezione naturale, purtroppo per lui, punisce tragicamente la sua complessità.
#791
Citazione di: Freedom il 19 Aprile 2016, 10:31:46 AM
Trascuri i diritti del nascituro.
E, a dirla tutta, anche quelli del padre.
I diritti del nascituro, che lo si voglia o meno, sono per natura affidati alla madre che lo reca in grembo. Questo significa che è la madre colei che in ogni caso ha il diritto e la responsabilità della decisione, giusta o sbagliata che sia, tenendo conto o meno dei contesti sociali e del padre, poiché non è né la società né il padre che custodiscono in grembo quella creatura e ogni volontà di gestione dall'esterno di quel grembo la trovo assolutamente indebita, equivale a considerare la madre un mero contenitore a disposizione di volontà superiori del tutto mondane.
Semmai le strutture sociali e il padre possono operare affinché la tutela della madre gravida e le prospettive post parto del nascituro siano ottimali, questo è quanto a loro compete secondo responsabilità.
#792
E chi dovrebbe cristianamente decidere in merito se non la madre, colei che porta nel suo grembo quella vita a lei affidata? Forse i preti o i vescovi che non porteranno mai in grembo loro vita alcuna? In nome di chi pretendono di parlare costoro? Non è forse Dio che ha affidato per natura alla madre (e non certo al prete) la vita della sua creatura?
Per quanto riguarda l'uccisione degli innocenti, la storia ci insegna ampiamente che qualsiasi istituzione laica o religiosa che fosse, non ha mai avuto alcuno scrupolo a sacrificarne la vita ai propri interessi, ci fosse o meno l'anticristo sotto.
Poi se i medici anti abortisti confidano nella santità della loro posizione, non saranno certo turbati da una piccolezza mondana come il  venire esclusi dall'impiego nel settore pubblico per porre in atto le loro scelte di fede, anzi!
#793
Premetto che la teoria dell'evoluzione ha dei precisi presupposti di visione filosofica per mantenersi coerente con la sua impostazione scientifica, è dunque retta anch'essa da una metafisica a priori che non può che escludere qualsiasi visione finalistica data da un disegno intelligente o da una trascendente creazione della vita. Sia l'evoluzionista che pretendesse di dimostrare l'inesistenza di un creatore o di un fine qualsiasi nella natura alla luce della teoria darwiniana sia, al contrario, il credente (o il finalista) che volesse dimostrare in polemica con questi e  in base ad argomentazioni scientifiche la validità delle sue idee di fede commetterebbe un errore enorme, di principio. E ancora più grande sarebbe l'errore di chi volesse costruire teorie sociali o politiche sulla base di talune assunzioni evoluzionistiche.
L'origine della vita, quanto il suo fine, devono restare fuori dall'evoluzionismo scientifico, sia perché per parlare dell'origine della vita occorrerebbe innanzitutto avere chiare le idee di in che cosa consista il vivente (e quindi necessariamente assumere una posizione filosofica o mitologica a seconda dei gusti), sia perché la stessa posizione che vede nelle forme viventi una sorta di  aumento progressivo di complessità si dimostra fallace e piena di pregiudizi. La complessità è infatti un altro termine che crea enormi confusioni ed errori in campo biologico, innanzitutto anche qui la definizione è molteplice: esistono infatti complessità strutturali e complessità funzionali che spesso non vanno per nulla d'accordo tra loro e non c'è alcuna storia evolutiva continua verso una complessità continuamente crescente, quanto piuttosto una serie di adattamenti più o meno temporaneamente riusciti ai contesti ambientali che via via si sono venuti a produrre, con alternanze di periodi progresso e regresso che azzera i precedenti progressi. La vita è comunque a tutti i livelli e in tutte le sue forme, un fenomeno parimenti complesso, anche se ogni volta lo è in modo diverso.
A questo aggiungo che la teoria dell'evoluzione darwiniana ha avuto anch'essa una sorta di evoluzione, prima con la scoperta del codice genetico che ha spiegato in termini scientifici l'intuizione originaria di Darwin, poi, oggi con la teoria dell'evo devo (che si va sempre più affermando tra gli evoluzionisti) che sta correggendo sia l'errore darwiniano di un'evoluzione per piccole differenze progressive, sia l'idea neo darwiniana che tutto dipende solo dal genoma. L'evo devo, come sappiamo, legge l'evoluzione nello sviluppo delle forme viventi, ossia la filogenesi nell'ontogenesi. Già Sgiombo ne ha dato un corretto accenno, ma per darne un'idea di base più chiara, per chi non conoscesse questo nuovo scenario evolutivo, vi invito a vedere questo filmato su youtube https://www.youtube.com/watch?v=5jpATs42GIE, ove Alessandro Minelli spiega con esempi molto chiari come accade che l'evoluzione proceda a balzi, passando improvvisamente da una forma vivente a un'altra apparentemente assai diversa (e diversamente funzionale all'adattamento), ma in realtà geneticamente molto vicina, senza alcun stadio di forme intermedie e senza che le cause di queste variazioni siano da ascriversi solamente ai geni. Un po' come appunto nello sviluppo individuale tutte le cellule del nostro corpo adulto (circa un milione di miliardi) hanno il medesimo DNA derivante da un'unica cellula originaria, eppure sono estremamente diverse tra loro per forma e funzione: un neurone da una cellula dell'epidermide, una cellula del tessuto osseo da un globulo rosso e così via.
#794
Citazione di: sgiomboNon capisco cos' altro resterebbe, rinunciando al valore dei principi etici, a cui affidare una speranza di giusta regolazione dei rapporti personali e sociali fra gli uomini; secondo me resterebbe inevitabilmente l' hobbesiano "homo homini lupus", ovvero il dostoiewskiano "dio è morto e dunque tutto è lecito".
Resterebbe quel senso morale che nasce dall'assunzione della responsabilità verso l'altro del proprio agire. Senso morale che non è prestabilito come principio, ma fa parte del proprio vivere e agire, di un sentire.
L'hobbesiano "homo homini lupus"  in realtà lo sento come un'arbitraria impostura per giustificare un atteggiamento esclusivamente predatorio presente negli uomini ben di più che non tra i lupi. Tra l'altro una società in cui ciascuno è animato solo da intenzioni predatorie verso gli altri avrebbe ben poca durata.
La morale operativa è quindi a mio avviso una morale che non si basa su principi a priori, su dettati trascendenti, ma semplicemente nasce dal sentire l'altro collocandolo in una dimensione di assoluto rispetto, tale da sospendere i nostri intenti su di lui,  e non perché c'è una norma o un principio che obbliga a farlo.
#795
Tematiche Filosofiche / Re:La direzione della storia
17 Aprile 2016, 09:35:50 AM
La storia è una creazione a posteriori dell'osservatore, e la narrazione storica si sviluppa per un periodo molto limitato dell'esistenza umana, il cui inizio corrisponde all'assunzione di quella visione del tempo escatologica, propria della visione del mondo cristiana. Per gran parte della sua esistenza l'uomo non ha avuto storia e il racconto delle origini era affidato al mito e le storie alle cronache degli eventi ricordati dalla generazione precedente.
Parlare di storia significa dunque parlare di una visione storica dell'esistenza che necessita di una specificazione, esiste infatti una storia bellica, una storia tecnologica, una storia economica, una storia sociale, una storia delle credenze e via dicendo: tutte queste storie si intrecciano e si aggrovigliano, alcune per determinati periodi progrediscono, altre recedono, altre ancore restano statiche e solo si ripetono. Gran parte della storia poi ci resta del tutto ignota, è la storia di miliardi di comparse di cui non conserviamo alcuna memoria, praticamente la storia reale di tutti noi e di tutti coloro che ci hanno preceduto senza lasciare traccia.