Un rosso minaccioso messaggio mi consiglia di aprire una nuova discussione, ma non lo faccio perchè questa mi sembra quella giusta per chiarire la contrapposizione tra me e Lou & Ox sul rapporto tra struttura, sovrastruttura, materia vs. Oggetto-Soggetto. Ma ancora più giusta perchè è il luogo idoneo per un approfondimento di quella filosofia della prassi di cui il marxismo fin dalle origini (Tesi su Feuerbach) si fa promotore. Filosofia della prassi significa sostanzialmente etica/morale.
Il primo post di Sgiompo afferma il carattere etico e antimeccanicista del marxismo come risulta dalla lettera di Engels. La replica all'iniziatore della discussione (chissà se la leggerà ...?) è opportuna per iniziare a sviluppare il mio discorso.
Non solo, ma proprio la struttura stessa viene ricondotta alla sua occultata natura di relazione tra uomini, mistificata in relazione tra cose. L'oggettività della struttura è antropologicamente vincolante, ma metafisicamente/ontologicamente falsa, e la critica marxista riesce a destrutturarne la falsità oggettiva negli interessi soggettivi che l'hanno fondata. Tale falsificazione è inevitabile in qualsiasi società classista. Aristotele riteneva gli schiavi per loro natura degli oggetti animati perchè l'attributo umano nel bios-polis era la capacità di agire liberamente, ovviamente preclusa allo schiavo:
(Aristotele, Politica I, 4-5)
La dissimulazione ontologica prosegue, e si ingigantisce in quanto falsa coscienza sovrastrutturale, nella società liberal-borghese che, mentre proclamava il diritto alla felicità e si abbeverava a Rousseau, si faceva servire nei campi, officine e a letto da schiavi africani. Tale mistificazione idealistica continua nelle forme attuali del lavoro salariato (e dei mostrusi surrogati del globalismo finanziarizzato), dove tutta la soggettività del cittadino cessa nel momento in cui, timbrato il cartellino, diventa un oggetto tra i fattori della produzione e dell'accumulazione. Col vantaggio, che non facendo parte del capitale fisso, può essere sacrificato in qualsiasi momento senza alcuna perdita del valore aziendale. Come spiegò magistralmente Marlon Brando in Queimada, confrontando la moglie con la prostituta.
La critica marxista mostra nel suo pieno disvelarsi il collasso della funzione d'onda dell'ideologia liberal-borghese, scissa tra un'onda libertaria e una materia schiavistica, indeterminabili - alla Heisemberg - nello stesso istante. Questa divaricazione di falsa coscienza, di doppia verità, è quella che ancora regola i rapporti politico-economici della modernità.
In conclusione, ben lungi dal deificare la struttura, superati gli ultimi sprazzi di positivismo, la filosofia della prassi marxista la decostruisce nei suoi aspetti soggettivi di mera violenza e dominio di classe. A cui non risponde in termini di automatismi meccanicistici, che ci riporterebbero alla cattiva oggettivazione, ma attraverso la soggettività di un processo rivoluzionario delle classi subalterne, sempre cosificate dall'ideologia, filosofia e storia dominanti.
Il materialismo storico è lo strumento teorico di destrutturazione di struttura e sovrastruttura nel cui procedimento ermeneutico l'oggetto idealizzato (stato, proprietà, mercato, capitale) si annulla, disvelando la reale contrapposizione di soggetti portatori di interessi contrapposti.
Nell'Introduzione alla "Critica della filosofia hegeliana del diritto pubblico" il giovane Marx scrive (1843)
Il fondamento della critica irreligiosa è: l'uomo fa la religione, e non la religione l'uomo. Infatti, la religione è la coscienza di sé e il sentimento di sé dell'uomo che non ha ancora conquistato o ha già di nuovo perduto se stesso. Ma l'uomo non è un essere astratto, posto fuori del mondo. L'uomo è il mondo dell'uomo, Stato, società. Questo Stato, questa società producono la religione, una coscienza capovolta del mondo, poiché essi sono un mondo capovolto. La religione è la teoria generale di questo mondo, il suo compendio enciclopedico, la sua logica in forma popolare, il suo point d'honneur spiritualistico, il suo entusiasmo, la sua sanzione morale, il suo solenne compimento, il suo universale fondamento di consolazione e di giustificazione. Essa è la realizzazione fantastica dell'essenza umana, poiché l'essenza umana non possiede una realtà vera. La lotta contro la religione è dunque mediatamente la lotta contro quel mondo, del quale la religione è l'aroma spirituale.
La miseria religiosa è insieme l'espressione della miseria reale e la protesta contro la miseria reale. La religione è il sospiro della creatura oppressa, il sentimento di un mondo senza cuore, così come è lo spirito di una condizione senza spirito. Essa è l'oppio del popolo.
Eliminare la religione in quanto illusoria felicità del popolo vuol dire esigerne la felicità reale. L'esigenza di abbandonare le illusioni sulla sua condizione è l'esigenza di abbandonare una condizione che ha bisogno di illusioni. La critica della religione, dunque, è, in germe, la critica della valle di lacrime, di cui la religione è l'aureola.
La critica ha strappato dalla catena i fiori immaginari, non perché l'uomo porti la catena spoglia e sconfortante, ma affinché egli getti via la catena e colga i fiori vivi. La critica della religione disinganna l'uomo affinché egli pensi, operi, configuri la sua realtà come un uomo disincantato e giunto alla ragione, affinché egli si muova intorno a se stesso e perciò, intorno al suo sole reale. La religione è soltanto il sole illusorio che si muove intorno all'uomo, fino a che questi non si muove intorno a se stesso.
E' dunque compito della storia, una volta scomparso l'al di là della verità, quello di ristabilire la verità dell'al di qua. E' innanzi tutto compito della filosofia, la quale sta al servizio della storia, una volta smascherata la figura sacra dell'autoestraneazione umana, quello di smascherare l'autoestraneazione nelle sue figure profane. La critica del cielo si trasforma così nella critica della terra, la critica della religione nella critica del diritto, la critica della teologia nella critica della politica.
Col senno di poi direi che l'oppio non può essere abolito per decreto, ma esso non è un gran problema: va legalizzato e tenuto sotto controllo perchè non faccia troppi danni, in attesa che la verità - ovvero la storia - ce ne liberi del tutto dalla sfera civile, lasciandolo solo al regno incontrovertibile - ampio e creativo - della fantasia umana.
Il primo post di Sgiompo afferma il carattere etico e antimeccanicista del marxismo come risulta dalla lettera di Engels. La replica all'iniziatore della discussione (chissà se la leggerà ...?) è opportuna per iniziare a sviluppare il mio discorso.
Citazione di: davintro il 08 Marzo 2018, 23:56:56 PM
Ciò che mi verrebbe ora da osservare è la possibilità di considerare come un interessante fattore, l'idea di come l'assunzione di un'accezione rigidamente materialista del marxismo, nella quale la struttura (economia) pare presentarsi come principio assoluto e autosufficiente degli eventi storici, vada contestualizzata nell'epoca in cui Marx ed Engles vissero, l'ottocento culturalmente dominato dall'egemonia filosofia del positivismo, con la sua visione della storia per la quale i fattori naturalistici, studiabili dulla base delle scienze utilizzanti il linguaggio quantitativo e matematizzante finiscono col determinare l'esistenza della dimensione qualitativa-spirituale, privata così di una effettiva autonomia. Sarebbe cioè possibile che alcune sfumature o modalità interpretative insite nel marxismo possano essere state motivate dal clima ideologico dell'epoca in cui sorse. Controprova di ciò potrebbe essere identificata nel fatto che nel secolo successivo, con la crisi del paradigma positivistico (anche sulla base dei nuovi indirizzi epistemologici, penso in particolare al falsificazionismo popperiano), sorsero letture del marxismo nelle quali, al di là delle varie differenze, tratto comune era il presentare la teoria come sempre più svincolata dall'appiattimento verso un rigido determinismo economicistico avente pretese di scientificità, e sempre maggiore ambiti di autonomia alla coscienza soggettiva e individuale venivano riconosciuti nell'opera di costruzione della dinamica storica (penso all'esistenzialismo sartriano, o alla scuola di Francoforte o a Gramsci che si rifacevano in larga misura a correnti filosofiche dalle premesse teoriche per certi aspetti antitetici al positivismo, come l'idealismo hegeliano o il neoidealismo gentiliano): insomma, un marxismo umanistico, che effettivamente sembra molto più in linea, con i chiarimenti, che qua in particolare Sgiombo ha portato. In questo senso si renderebbe ben maggiormente ragione di questa visione della storia nella quale gli interessi economici non determinano in modo meccanicistico la "sovrastruttura", ma dove lo "spirito", comprendente anche il senso morale individuale e l'idea di giustizia di ciascuno interagiscono attivamente con le dinamiche economiche, senza ridursi a effetto passivo di queste ultime.
Non solo, ma proprio la struttura stessa viene ricondotta alla sua occultata natura di relazione tra uomini, mistificata in relazione tra cose. L'oggettività della struttura è antropologicamente vincolante, ma metafisicamente/ontologicamente falsa, e la critica marxista riesce a destrutturarne la falsità oggettiva negli interessi soggettivi che l'hanno fondata. Tale falsificazione è inevitabile in qualsiasi società classista. Aristotele riteneva gli schiavi per loro natura degli oggetti animati perchè l'attributo umano nel bios-polis era la capacità di agire liberamente, ovviamente preclusa allo schiavo:
(Aristotele, Politica I, 4-5)
La dissimulazione ontologica prosegue, e si ingigantisce in quanto falsa coscienza sovrastrutturale, nella società liberal-borghese che, mentre proclamava il diritto alla felicità e si abbeverava a Rousseau, si faceva servire nei campi, officine e a letto da schiavi africani. Tale mistificazione idealistica continua nelle forme attuali del lavoro salariato (e dei mostrusi surrogati del globalismo finanziarizzato), dove tutta la soggettività del cittadino cessa nel momento in cui, timbrato il cartellino, diventa un oggetto tra i fattori della produzione e dell'accumulazione. Col vantaggio, che non facendo parte del capitale fisso, può essere sacrificato in qualsiasi momento senza alcuna perdita del valore aziendale. Come spiegò magistralmente Marlon Brando in Queimada, confrontando la moglie con la prostituta.
La critica marxista mostra nel suo pieno disvelarsi il collasso della funzione d'onda dell'ideologia liberal-borghese, scissa tra un'onda libertaria e una materia schiavistica, indeterminabili - alla Heisemberg - nello stesso istante. Questa divaricazione di falsa coscienza, di doppia verità, è quella che ancora regola i rapporti politico-economici della modernità.
In conclusione, ben lungi dal deificare la struttura, superati gli ultimi sprazzi di positivismo, la filosofia della prassi marxista la decostruisce nei suoi aspetti soggettivi di mera violenza e dominio di classe. A cui non risponde in termini di automatismi meccanicistici, che ci riporterebbero alla cattiva oggettivazione, ma attraverso la soggettività di un processo rivoluzionario delle classi subalterne, sempre cosificate dall'ideologia, filosofia e storia dominanti.
Il materialismo storico è lo strumento teorico di destrutturazione di struttura e sovrastruttura nel cui procedimento ermeneutico l'oggetto idealizzato (stato, proprietà, mercato, capitale) si annulla, disvelando la reale contrapposizione di soggetti portatori di interessi contrapposti.
Citazione di: davintro il 08 Marzo 2018, 23:56:56 PM
Connesso a tutto ciò sarebbe interessante lasciar emergere un'altra questione, cioè se l'impianto materialistico anche nel senso ontologico (ateismo e definizione della religione come "oppio dei popoli) possa cessare di essere visto come elemento necessario del marxismo, ma solo sua possibilità accidentale, mentre la sua necessità, sarebbe solo un'apparenza effetto del clima materialistico tipico dell'ottocento positivista (considerando per "religione" non necessariamente aderenza a una determinata confessione storica organizzata, ma anche un generico senso della trascendenza spirituale).
Nell'Introduzione alla "Critica della filosofia hegeliana del diritto pubblico" il giovane Marx scrive (1843)
Il fondamento della critica irreligiosa è: l'uomo fa la religione, e non la religione l'uomo. Infatti, la religione è la coscienza di sé e il sentimento di sé dell'uomo che non ha ancora conquistato o ha già di nuovo perduto se stesso. Ma l'uomo non è un essere astratto, posto fuori del mondo. L'uomo è il mondo dell'uomo, Stato, società. Questo Stato, questa società producono la religione, una coscienza capovolta del mondo, poiché essi sono un mondo capovolto. La religione è la teoria generale di questo mondo, il suo compendio enciclopedico, la sua logica in forma popolare, il suo point d'honneur spiritualistico, il suo entusiasmo, la sua sanzione morale, il suo solenne compimento, il suo universale fondamento di consolazione e di giustificazione. Essa è la realizzazione fantastica dell'essenza umana, poiché l'essenza umana non possiede una realtà vera. La lotta contro la religione è dunque mediatamente la lotta contro quel mondo, del quale la religione è l'aroma spirituale.
La miseria religiosa è insieme l'espressione della miseria reale e la protesta contro la miseria reale. La religione è il sospiro della creatura oppressa, il sentimento di un mondo senza cuore, così come è lo spirito di una condizione senza spirito. Essa è l'oppio del popolo.
Eliminare la religione in quanto illusoria felicità del popolo vuol dire esigerne la felicità reale. L'esigenza di abbandonare le illusioni sulla sua condizione è l'esigenza di abbandonare una condizione che ha bisogno di illusioni. La critica della religione, dunque, è, in germe, la critica della valle di lacrime, di cui la religione è l'aureola.
La critica ha strappato dalla catena i fiori immaginari, non perché l'uomo porti la catena spoglia e sconfortante, ma affinché egli getti via la catena e colga i fiori vivi. La critica della religione disinganna l'uomo affinché egli pensi, operi, configuri la sua realtà come un uomo disincantato e giunto alla ragione, affinché egli si muova intorno a se stesso e perciò, intorno al suo sole reale. La religione è soltanto il sole illusorio che si muove intorno all'uomo, fino a che questi non si muove intorno a se stesso.
E' dunque compito della storia, una volta scomparso l'al di là della verità, quello di ristabilire la verità dell'al di qua. E' innanzi tutto compito della filosofia, la quale sta al servizio della storia, una volta smascherata la figura sacra dell'autoestraneazione umana, quello di smascherare l'autoestraneazione nelle sue figure profane. La critica del cielo si trasforma così nella critica della terra, la critica della religione nella critica del diritto, la critica della teologia nella critica della politica.
Col senno di poi direi che l'oppio non può essere abolito per decreto, ma esso non è un gran problema: va legalizzato e tenuto sotto controllo perchè non faccia troppi danni, in attesa che la verità - ovvero la storia - ce ne liberi del tutto dalla sfera civile, lasciandolo solo al regno incontrovertibile - ampio e creativo - della fantasia umana.