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Messaggi - Phil

#796
Tematiche Filosofiche / Metafisica del coronavirus
08 Dicembre 2021, 17:52:16 PM
Per quei due spicci che vale la mia opinione, nell'accostare (o solo mettere nello stesso campo semantico) eugenetica nazista e vaccinazione, senza ricordare finalità dell'una e finalità dell'altra, metodi dell'una e metodi dell'altra, sperimentalità dell'una e sperimentalità dell'altra, etc. per me non si "onora" alcuna "vocazione filosofica" né si rispetta alcuna contestualizzazione storica, ma si trascende la fattualità di una discussione politica, prima che medica, per agitarsi (e far agitare) con lo spauracchio della "reincarnazione dei nemici dei tempi andati", quasi ci fosse la nostalgia di dover lottare contro mostri possenti per avere carne sostanziosa da mettere al fuoco nei propri discorsi.
Purtroppo, a dispetto del voler sbrigare la complessità facendo appelli alle emozioni, fuori da ogni inopportuna "reductio ad Hitlerum", le criticità e i dubbi sulla gestione del Covid, quelli legittimi e non pindarici, ci sono (magari a partire dal suo timido accenno alla bassa mortalità, ma il discorso sarebbe poi diventato pericolosamente molto meno ad populum, quindi meglio citare Levi...), criticità che richiedono una riflessione ben differente dall'assumere un tono laocoontico per ammonire i senatori con un velleitariamente profetico «ricordatevi del nazismo...». La "discriminazione" (parola che un filosofo dovrebbe potrebbe usare anche con accezione diversa da quella di un qualunque blogger allarmista) verso i "no-vax" andrebbe poi spiegata, se non fosse quasi dileggio, con la discriminazione verso i "no-casco" che vogliono guidare la loro moto come preferiscono (al grido «libertà!») perché «in fondo chi ha già il casco non deve temere nulla» (se si vede del nazismo in ogni regola che condiziona l'agire umano individuale in una società, diventa difficile pensare politicamente in democrazia, salvo considerare la polis solo un accordo passeggero sotto il motto "mal comune, mezzo gaudio"). Ogni "conseguente" (solo retoricamente, non certo logicamente) appello alla società, all'umanità, etc. perde automaticamente di credibilità se prima si sorvola gaiamente sulla differenza, non certo sottile, fra le politiche sanitarie in un lager e quelle in una democrazia, per quanto discutibili e criticabili (tuttavia non per questo si potrebbe affermare, seguendo il pendio della suddetta disinterpretazione della storia, che poiché nei lager si faceva la fila per la mensa, allora le attuali mense aziendali devono invece avere un cameriere, perché noi oggi dobbiamo esser mossi dall'anelito ad essere più "umani" dei nazisti).
#797
Attualità / Re:Studentessi, gonne e vecchi professori
04 Dicembre 2021, 17:31:47 PM
Non frequento direttamente il mondo di ragazzi e adolescenti, ma ho l'impressione che vivano (per connubio di malleabilità giovanile e sovrastimolazione mediatica) una dimensione "ipersemantica", in cui la manifestazione plateale, il gesto simbolico, il "messaggio forte", a volte prendono il sopravvento sulla valutazione della strategia comunicativa, sul considerare l'interlocutore, sulla pertinenza del "contenuto" del gesto, sull'impatto su ciò che si vuole concretamente ottenere, etc. tutti aspetti cruciali sui cui arrancano goffamente anche moltissimi adulti, ovviamente, sebbene anche per motivi differenti dalla fascinazione verso lo "statement".
In ogni gruppo di manifestanti, in generale, ci sono sempre "la pecora", il giocherellone, l'indeciso che "accompagna l'amico", l'approfittatore, quello che "ci crede veramente", etc. tuttavia per saggiarne le motivazioni reali basta solitamente parlarci (ossia "interrogarli", per dirla scolasticamente): quel docente ha magari perso un'occasione per un dialogo socratico sulle usanze contemporanee, fra "corruzione dei costumi" e "attivismo giovanile", o forse conosceva così bene il manipolo di manifestanti da sapere che sarebbe stato un dialogo sterile, o forse non voleva dare un seguito a quello che ha ritenuto un gesto inopportuno al contesto, preferendo opporvisi con fermezza (come ha dichiarato ufficialmente, se non sbaglio).

Secondo me una domanda da porsi è: sotto la gonna di quei ragazzi, sotto il "messaggio forte", c'è solo un gesto simbolico, un goliardico protagonismo, o anche una seria convinzione di quegli ideali che automaticamente (e retoricamente) vengono attribuiti a quel gesto? Nel primo caso, in fondo, non ci sarebbe niente di anomalo (vista l'età); nel secondo, il passo successivo è chiedersi quanto valga "pragmaticamente" un gesto del genere e se ci sia una conseguenza reale che vada oltre la ritualità simbolica di una determinata giornata dedicata a un tema/problema.
Su questa "sensibilizzazione semel in anno", credo che la «festa della donna» abbia già una storia piuttosto eloquente, al punto che gli sono poi state affiancate altre "date simboliche" come quella in questione... magari un domani oltre alle mimose per l'8 marzo, si venderanno anche le "gonne da uomo" per il 25 novembre, gonne che probabilmente dureranno meno di una mimosa e tanto quanto la loro ripercussione sociale, temo (non so quanti maschi violenti si siano ricreduti osservando scarpette rosse in piazza, forse le iniziative più efficaci in cui impegnarsi sono un po' più complicate e meno simboliche... e se consideriamo le dinamiche antropologiche di "espiazione sociale", esorcizzazione simbolica, "pinkwashing", etc. non è nemmeno ovvio che un gesto simbolico sia "comunque meglio di niente").
#798
Citazione di: Ipazia il 28 Novembre 2021, 16:48:46 PM
Nel post di Alexander io vedo una assegnazione forte di senso al segno che è condivisa e posta da tutta la tradizione teista fin da quando poneva gli dei sull'Olimpo o in un vulcano. Phil dice che tale assegnazione può essere confutata ma non falsificata. Io penso che quando si fa un'affermazione di tipo ontologico la falsificazione sia sempre possibile e i temerari che si avventurarono sull'Olimpo e non li trovarono non si limitarono a confutare l'esistenza degli dei. Da allora il teismo si è fatto più scaltro e per via metafisica ha assegnato alla divinità luoghi iperuranici difficilmente falsificabili con l'esperimento empirico, ma la metafisica ci ha offerto pure livelli di confutazione assai prossimi alla falsificazione. Il rasoio di Ockham ad esempio, e al seguito lo sviluppo del razionalismo filosofico e naturalistico.
Un'affermazione ontica (empirica) può essere sempre, almeno in teoria, falsificata; una ontologica non sempre (v. "prova" ontologica di Dio, di fatto infalsificabile, se se ne accettano gli assiomi); una "semantica" mai, non essendo l'assegnazione di "senso" un'operazione fondata sull'oggetto, ma sull'"attribuzione mentale" dell'assegnante (sempre se teniamo a fuoco la differenza fra fondarsi su qualcosa ed "elaborare" qualcosa, v. sopra).
Non a caso, andare a sbirciare sull'Olimpo e non trovare dèi (seppur «l'assenza di prove non è prova dell'assenza», come sa bene chi trova qualcosa solo cercandolo una seconda volta nel medesimo posto), falsifica l'esistenza locale di quegli dèi (come hai osservato, basta "traslocarli" dove non si può controllare, magari giustificandosi che la prima residenza fosse solo una metafora), tuttavia non falsifica il loro "senso". Ugualmente, il rasoio di Ockham e il razionalismo non falsificano, e nemmeno confutano, nulla di "semantico" (ovvero di esistenzial-spirituale): il primo, proprio riconoscendo l'infalsificabilità di alcuni concetti, li etichetta come "non necessari" (è dunque semmai un'epoché, non una falsificazione d'esistenza); il secondo, per definizione, non si occupa di ciò che è "semantico" e infalsificabile (e non occuparsene non significa confutarlo né falsificarlo; ritorniamo dunque alla differenza fondamentale fra ermeneutica ed epistemologia, scienza ed esistenzialismo, etc. al di là delle possibili confusioni che può fare chi le interpreta, restano "essenzialmente" distinte).
#799
Citazione di: Ipazia il 24 Novembre 2021, 22:37:07 PM
Un doppio binario che prima della rivoluzione illuministica, che ha rivoluzionato pure il senso del mondo, era impensabile.
Solo una puntigliosa osservazione: in realtà il doppio binario techné/theos, scienza/religione, conoscenza/"senso", etc. è vecchio almeno quanto Ippocrate, se non quanto l'addomesticamento del fuoco; comunque è esattamente la distinzione binaria che intendevo sottolineare.
#800
Citazione di: Ipazia il 24 Novembre 2021, 19:42:28 PM
pure il significato degli antichi testi sapienziali (religiosi o profani) cambia: da senso attuale a senso antiquario, da episteme a reperto storico.
L'onestà intellettuale mi spinge a spezzare una lancia in favore di quello che non è comunque il mio "partito": che i testi antichi religiosi siano forieri di un «senso antiquario» è una tua doxa (mutuata da Nietzsche?), che tuttavia viene fattualmente falsificata dai miliardi (non è esagerazione) di credenti che ci vedono un senso attuale (grazie ad alcune strategie esegetiche che propendono per l'interpretazione metaforica, confermando il monito di chi, senza fare nomi, vede nella metaforizzazione di alcuni concetti un gesto esegetico tanto potente quanto delicato). Questa falsificazione su scala planetaria dimostra una volta di più come l'attribuzione di un "senso esistenziale" individuale non sia falsificabile dall'altrui doxa e che dunque l'epistemologia, per quanta quota abbia preso nei secoli, non sia oggi concorrente competitiva nel medesimo campo dell'ermeneutica (e della religione), quello del "senso".
D'altronde, come si diceva qualche post addietro «Falsificare, chiaramente, non significa partire da differenti valori per svalutare quelli altrui (svalutare non è confutare), altrimenti non sarebbe una prassi che rientra nel paradigma scientifico»(autocit.), per cui la tua doxa sull'"antiquariato" del senso delle religioni diventa falsificabile (e non falsificante) nel momento in cui non è una doxa che afferma un senso, bensì che nega (o quantomeno sminuisce, se non ho frainteso) il senso alla doxa altrui, definendolo «antiquario» mentre, a riparo da ogni smentita, chi ci crede (ti) dimostra, con il suo solo crederci, che è invece ben attuale (anche fosse l'ultimo credente rimasto sul pianeta).
#801
@daniele22

L'infalsificabilità di un dio e l'infalsificabilità di alcune doxa sono forse i due estremi che racchiudono il campo del "senso" esistenziale: da un lato il Senso sommamente assoluto (sovrastorico, trascendente, etc.), dall'altro la "semantica" soggettivistica, contingente e potenzialmente mutevole. Su tale mutevolezza: concordo che non sia facile, in età adulta, mettere in questione le proprie doxa, perché ciò richiederebbe tempo ed energie mentali (e magari strumenti "da adulti", come la filosofia) che non sempre sono a disposizione. Lo dimostra la tendenza alla semplificazione, alla polarizzazione (come accennato prima), alla resistenza al cambiamento di prospettiva, la pulsione ad identificarsi con un "noi che la pensiamo così", etc. abbandonata la famiglia originaria, che dà regole e protezione, anche da adulti cerchiamo "clan", "branchi" e fazioni che ci diano regole e protezione a patto di condividerne i principi e l'identificazione; esattamente il contrario della situazione di rischio (esistenziale, psicologico, sociale, etc.) che richiederebbe una doxa esposta a continua autocritica (è più agevole "difendere" la propria prospettiva dall'interno piuttosto che collaborare a "collaudarla" con chi è all'esterno; d'altronde il comfort psicologico è un'esigenza, e lo dico senza sarcasmo alcuno, per cui una continua autoanalisi è un gioco che potrebbe non valere la candela, soprattutto se ci si incaglia in falsi problemi...).


@Ipazia

Per evitare di deviare troppo il discorso (covid, Marx, epochè, etc.), faccio solo notare che l'episteme produce conoscenza, conoscenza a cui poi viene assegnato un "senso" (psicologico, esistenziale, etc.); senza questo passaggio intermedio (quel «poi»), epistemologia ed ermeneutica diventano pericolosamente sinonimi (il fatto che dopo Copernico siano serenamente continuate le riflessioni teologiche, siano nate correnti come la neoscolastica/neotomismo, ci siano stati autori come Severino ed altri, spiega bene, e in concreto, la differenza fra epistemologia/ermeneutica e produrre-conoscenza/assegnare-"senso").
#802
Citazione di: Ipazia il 24 Novembre 2021, 08:33:58 AM
ad omologare doxa e visione del mondo di tizio, caio e sempronio ci pensano le condizioni materiali della loro esistenza e le elaborazioni ideologiche imposte. Ennesima verifica di ciò si  è avuta con la covidemia, per la gioia di chi si diletti di sociologia e psicologia di massa.
Nella realtà non avviene alcuna omologazione fra le doxa/"visioni del mondo" di Tizio, Caio e Sempronio: Tizio continua a comportarsi (non solo a ragionare) secondo i dettami della sua religione, Caio continua a gestire pragmaticamente la sua vita secondo criteri utilitaristici individuali, Sempronio continua a praticare comportamenti volti all'equilibrio esistenziale ponderato (e Philonio continua ad agire senza nemmeno porsi la questione del senso della storia/vita).
La questione Covid (di)mostra proprio come siano possibili differenti assegnazioni di "senso" al medesimo fenomeno, molteplicità di posizioni che, a ben vedere, sono anche più sfaccettate della radicale (bi)polarizzazione fra sì/no vaccino, sì/no green pass, etc.

Citazione di: Ipazia il 24 Novembre 2021, 09:52:59 AM
Nell'orizzonte ideologico di senso ci sta pure la scienza. Allo stato attuale della cui falsificabilità, il bigbang se la gioca alla pari col creazionismo teistico, marziani e sospensione di giudizio.
La sospensione di giudizio è su un altro piano rispetto a big bang, marziani e divinità, etc. che sono oggetto di giudizio: c'è il piano in cui si afferma o si sospende il giudizio (ad es. si può sospendere il giudizio sui marziani o affermare un giudizio sulla loro esistenza) e c'è il piano, derivato dall'altro, in cui ci sono i contenuti del giudizio (marziani, big bang, divinità, etc.) affermato o sospeso.

Citazione di: Ipazia il 24 Novembre 2021, 09:52:59 AM
Per cui concluderei che la storia, con o senza Dio, è piena di senso prodotto instancabilmente dalla psiche umana che trasforma ogni segno in significato, costruendoci sopra delle teorie che oltrepassano gli orizzonti falsificabili di senso, divenuti episteme: pur sempre provvisoria, ma fondamento di senso della vita e dell'evoluzione umana più consistente di altre soluzioni ideologiche.
Concordo sulla psiche (individuale) che produce (se «assegnare» proprio non piace) instancabilmente senso «costruendoci sopra delle teorie che oltrepassano gli orizzonti falsificabili»(cit.), ma non condivido la successiva contraddizione (sempre se non ho frainteso) per cui gli orizzonti falsificabili (quelli dell'episteme, non quelli del "senso" attribuito dalla psiche, v. l'infalsificabilità di Tizio & co.) diventano fondamento di senso della vita: se è la psiche a produrre instancabilmente senso costruendo teorie, è essa il fondamento del senso, non le teorie falsificabili della scienza, che in quanto tali sono il fondamento della conoscenza del mondo, non del suo "senso" psico-esistenziale (è ovvio che per poter dare un senso alla vita, la vita debba esserci, ma il senso che le assegniamo è, come dici poco sopra, prodotto dalla psiche individuale, è un senso proiettato sul mondo, "applicato" al mondo, non ontologicamente fondato in esso; altrimenti, sarebbe un "senso" a sua volta falsificabile e invece, come dimostrano quei tre... etc.).
A scanso di equivoci linguistici, provo a spiegare come intendo il fondamento: se un marziano (un computer o altro ente non dotato di psiche) iniziasse a studiare il mondo, suppongo scoprirebbe prima o poi le leggi fisiche che sono fondate sul mondo (magari userebbe un'altra matematica per descrivere i rapporti causali e le interazioni, ma non potrebbe un giorno non rilevarli); quello che invece non potrebbe mai scoprire, è ciò che non è fondato sul mondo (suo oggetto di studio), ma su altro. Se il marziano iniziasse invece a studiare la psiche umana, prima o poi si imbatterebbe in qualcosa di simile a ciò che noi chiamiamo metaforicamente "senso" (che egli magari chiamerebbe e classificherebbe diversamente); essendo tale "senso" fondato nella psiche, gli risulterebbe individuabile e riscontrabile come movente di alcune scelte, causa di alcune emozioni, etc. (tranne se il marziano si ritrovasse come cavia quel pedante di Philonio, che lo ammonirebbe di non usare troppe metafore teoretiche e chiamare «scopi» gli scopi, «valori» i valori, «speranze» le speranze, etc. lasciando il «senso» alla linguistica).
#803
Citazione di: Ipazia il 23 Novembre 2021, 23:16:14 PM
Se psiche e doxa fossero così arbitrarie, che senso avrebbero le scienze della psiche ?
La doxa è arbitraria per definizione, fermo restando che «arbitrario» non significa totalmente casuale o insensato (e nel caso delle doxa sul "senso della vita", se Tizio & co. non temono falsificazione allora siamo fuori da ogni scienza). La psiche non è arbitraria(?), ma ognuno ha indubbiamente la sua e le scienze della psiche, quando sono chiamate ad applicarsi in concreto, non possono esimersi dallo studiare il caso particolare del "paziente", il suo orizzonte di senso individuale (a dimostrazione di come accostare "senso della storia umana" a psiche non sia una mossa felice, mentre se accostiamo psiche a "senso della vita", pur confondendo i piani del discorso, ci si incaglia nel soggettivismo e nella doxa, che la psicologia può certamente indagare, ma pur sempre ragionando per casi individuali, poiché la doxa/"senso della vita" di Tizio non sono quelli di Caio).
#804
Citazione di: Ipazia il 23 Novembre 2021, 14:52:38 PM
Il "senso", inteso spiritualmente, ha un corrispettivo "laico" nella psiche, indagabile con strumenti razionali.
Direi che nel nostro discorso, eventualmente, il senso sta alla psiche come il significato sta alla sintassi (dunque due piani ben differenti). Comunque, la storia umana, non avendo un'unica psiche, non ha allora un unico "senso", quindi le doxa individuali di Tizio & co. restano l'unica forma di assegnazione di senso che sia sensata (dal "de gustibus" al "de pshichibus"?).
Per inciso, dubito che il succitato Marx approverebbe il binomio "senso (della storia)" e psiche, andando dunque ad aggiungersi con Tizio & co. alla schiera di coloro che non fanno dell'esistenzialismo un mero psicologismo.
Da considerare inoltre che la psiche "costruisce e proietta" un senso (v. imprinting), non lo "scopre" dopo speculativa e sperimentale ricerca, quindi ritorniamo al "senso" che è negli occhi (e nella psiche) di chi guarda, non nell'oggetto guardato, senza falsificazioni ed oggettività che possano dirimere(/redimere) quale sia il "vero" senso della storia e/o della vita, fuori dal soggettivismo (psicologico, esistenziale o altro).
Abbandonando il campo del "senso della storia", concludiamo almeno che il "senso della vita" è l'avere un psiche con annessi complessi e funzioni? Possibile, ma non abbastanza da falsificare ciò che ancora affermano Tizio & co. (e così magari si scopre che il "senso della storia/vita" è tutta una questione di doxa e che l'epistemologia non è applicabile all'esistenzialismo, che la psicologia è descrittiva e non "spiritualmente semantica", etc.).
#805
Citazione di: Ipazia il 22 Novembre 2021, 22:08:05 PM
tanto le scienze umane che quelle naturali possono usare le stesse metodologie epistemologiche per interrogare la realtà. Il responso in entrambi i casi è falsificabile (fino a prova contraria) e quindi in progress.
Se il focus del discorso-topic è sul "senso" (spiritual)esistenziale della storia (e/o della vita), bisogna osservare che le scienze umane che si occupano di tal "senso" (non linguistico, ma metaforico) non rientrano fra quelle falsificabili (tenendo sempre ben ferma la distinzione fra storiografia e filosofia della storia).
(Es)Semplificando: se Tizio dice che il senso della vita umana è guadagnarsi il paradiso vivendo religiosamente, Caio sostiene che il senso della vita è godere il più possibile sfruttando tutto ciò che si incontra (persone e risorse), Sempronio afferma che il senso della vita è un'invecchiare sobrio e moderato senza indulgere in speculazioni astruse (e ci sarebbe anche Philonio che suggerisce che il "senso della vita/storia" è un falso problema, ma lasciamolo perdere), come falsificare le loro incompatibili (ipo)tesi di senso?
Falsificare, chiaramente, non significa partire da differenti valori per svalutare quelli altrui (svalutare non è confutare), altrimenti non sarebbe una prassi che rientra nel paradigma scientifico.
#806
Dopo il "tirocinio" nell'altro topic, credo che se si vuole parlare "secondo la logica" di «senso», bisogna prima chiarirne almeno la definizione generale; la definizione stessa ci fornirà importanti indizi per proseguire nella connotazione peculiare del senso in questione (se è attinente alla vita o ad altro), evitando di sfocare troppo il discorso con ambiguità e confusione fra il "senso" delle guerre puniche, il "senso" dell'evoluzione dell'homo sapiens, il "senso" delle categorie freudiane, il senso di una formula matematica, il "senso" di un gesto estetico, il "senso" della morte, etc.

P.s.
Nell'altro topic ho già accennato a come, secondo me, «senso» non sia applicabile né a «vita» né a «storia», se non adottando quella vaghe espressioni metaforiche ereditate dalla nostra tradizione teoretica, quindi non sono in grado di collaborare a delineare definizioni del «senso umano della vita, secondo la logica» (soprattutto se per «logica» s'intende l'omonina disciplina che, se non erro, non si occupa del senso della vita...).
#807
@Ipazia

L'"oggettività" dei fatti storici (per quanto è possibile saperne a posteriori) non comporta la necessità dell'esistenza di un loro senso (almeno se si esclude quel Garante Trascendente a cui è intitolato il topic e che può, essendo esterno e "tangente" la storia, giustificarne il senso). Solo accettando il dogma culturale teoretico che i fatti storici debbano avere un senso (v. escatologia, etc.), si pone il problema di quale senso essi abbiano (avuto), di quale sia il senso più "correttamente dedotto" dalla storia, etc. Il trarre significati dalla storia non ha senso, poiché il senso/significato (fuori da ogni possibile metafora) è sempre in origine un'attribuzione, non una deduzione/induzione. Dalla storia si possono (es)trarre indubbiamente insegnamenti, esempi, scopi, moventi, dinamiche sociali, etc. ma il suo «senso», inteso come esistenziale, spirituale, etc. è solo negli occhi di chi guarda la storia, non nella storia stessa; altrimenti avremmo a che fare con un'oggettività, dunque un'epistemologia non un'ermeneutica (e, a seguire, un'etica ed un'estetica).
Totalmente diverso è il caso dello scienziato che studia e interpreta i fenomeni: il metodo scientifico, non scopre né assegna un senso esistenziale, spirituale, etc. la ricerca scientifica si occupa di rapporti causali, di quantificazioni, di interazioni, etc. non di sensi metafisici (attenzione a "non fare di tutti i sensi un fascio" per amor di metafora); non a caso la scienza produce teorie e spiegazioni falsificabili, ben ancorate al reale, non "sensi" da rimandare ai posteri o che diano un valore alla condizione dell'esistere o allo svolgersi della storia.
Ben vengano quindi le attribuzioni di senso storico-esistenziale (presenti, passate e future), ma con la consapevolezza ("negativa") che non si scopre, né si (es)trae, né si deduce nulla di oggettivo; piuttosto si (ri)trova nel secchio solo quello che ci si mette (se proprio ci si sente in dovere di metterci qualcosa) o che ci ha già (pre)messo una certa tradizione che ci ha preceduto (come da titolo del topic e da sezione del forum).
#808
@Alexander e @Ipazia

Per tirare le fila del mio discorso occorre coniugare la storiella del monaco alla metafora del secchio, ma sempre alla luce della constatazione, non a caso premessa alla questione del secchio, che il dover assegnare un senso alla storia, alla vita, etc. costituisce «una retorica senza dubbio utile individualmente e socialmente consolidante» (autocit.) e che «se così non fosse, se non fossimo affamati di senso, non saremmo "animali semantici", non ci sarebbero (state) "grandi narrazioni", non saremmo eredi di una storia culturale basata su valori e assoluti, etc.» (autocit.). Lungi da me dunque suggerire (come già accennato, mi interessa descrivere non prescrivere) contemplazioni di secchi dorati o l'abbandono dei secchi (infatti il monaco appeso non abbandona il ramo, non si lascia cadere, né tantomeno lo venera), bensì, come detto, è proprio in virtù della originaria vuotezza del secchio che ognuno può riempirlo come vuole (o anche non riempirlo). La conseguenza è che il chiedersi quale sia il senso è, per me, un falso problema, perché il senso è inevitabilmente quello che noi, più o meno consapevolmente, mettiamo nel secchio, non ce n'è uno già (im)posto dentro, da dover decifrare o scoprire.
Se poi slittiamo dal senso inteso esistenzialmente, al senso come scopo/fine, sino ad arrivare al senso come oggetto della pulsione dell'istinto (attaccamento alla vita, etc.), ovviamente usciamo dalle dinamiche filosofiche-teologiche (in cui ha senso parlare di dio, come da titolo del topic) per entrare in altri orizzonti (o in altri secchi-matrioska, per quanto la dinamica dell'assegnazione del senso resti sempre la medesima, se non la si confonde con l'"assegnazione" dell'istinto, l'"assegnazione" dell'imprinting culturale, etc.).
#809
@Ipazia

Il presunto "primitivista filosofico" dà un senso/significato a ciò per cui è pertinente (una traccia animale o altro) non ad una condizione che può averne infiniti ed infalsificabili (la vita) o ad un concetto (la storia); è la differenza cruciale fra un vero problema (cacciare, difendersi, etc.) ed un falso problema (che senso ha la vita, la storia, etc.?). Venerare il vulcano implica un Senso solo agli occhi dell'antropologo che usa a priori il senso come categoria, agli occhi dell'indigeno magari è solo una questione di presenza di una divinità ostile (che noi definiremmo ingenua).
Il dogma che l'assenza di senso sia assenza di vita, che sia "necessaria" una spiritualità, che ci sia possibilità di salvezza (redenzione, etc.) e che persino una fallacia sia un buon fondamento, sono altri sintomi della fede nel suddetto aut-aut fra Senso e caos, ataviche declinazioni dell'avversione per la "consapevolezza negativa" (v. la fame di pienezza per cui il secchio deve essere pieno e se non lo è un peccato; spesso si resta comunque figli della propria cultura locale, anche quando si rinnegano alcuni tratti dell'imprinting...).
#810
Citazione di: Alexander il 19 Novembre 2021, 21:06:19 PM
In questa disumanità la pietas piange ormai. Dio dov'è? Si chiede il credente. Continua a chiederselo da molto tempo. Ogni volta che vede ingiustizia, morte, sopraffazione e dominio uno sull'altro. Per il credente il sentimento della vanità della storia può essere ancora più penoso che per il non credente che in fondo, seppur sperando in un miglioramento, alla fine non si aspetta granché dalla vicenda umana. Moltissimi anzi si aspettano che il caos alla fine c'inghiotta tutti e si vestono di una maschera cinica, senza più una speranza.
Dio, se c'è, è nel suo unico posto possibile (senza volerne limitare l'eventuale onnipotenza), ovvero fuori dalla storia; anche quando si manifesta storicamente o, nel cristianesimo, "carnalmente", si tratta di un suo ingresso nella storia che non condensa esaustivamente la sua trascendenza, per questo si parla di trinità o di altre intermediazioni che rendono possibile un punto di contatto fra dio e storia, ma mai una sua completa partecipazione (guardare al "male" e chiedersi dov'è dio è il primo passo per dare un senso all'esistenza di un "dio liberale", che a sua volta dà un senso alla storia umana, in quanto rincuorante giudice che punirà il male, ma in un "posto" oltre la storia e oltre l'umana conoscenza). A prescindere dal fatto se il suo gesto creativo abbia dato inizio o meno alla storia, in quanto dio, non può che essere sovrastorico, o meglio, astorico, un'alterità rispetto alla storia, pur non essendone totalmente estraneo (v. religioni rivelate), proprio come il senso è un'alterità rispetto a ciò di cui è senso, pur non essendone totalmente avulso (v. dinamiche semantiche, più o meno metaforicamente intese).

Di sensi (della storia, della vita, etc.) ce ne sono (e ce ne potranno essere) sempre in abbondanza proprio perché la dinamica dell'assegnazione del senso presuppone che di fondamenti autentici ("oggettivi" si diceva) del senso non ce ne siano; in virtù dell'assenza, o meglio, del vuoto fondamentale di partenza è possibile riempiere di senso la vita individuale o quella di tutto il genere umano, senza alcun timore di smentita e confutazione (come dicevo alcuni post addietro). La riflessione potrebbe fare fenomenologicamente un passo indietro, per quanto perturbante, per indagare la presunta necessità del dare un senso, prima di chiedersi quale è il senso più condivisibile, più funzionale, etc. Tale necessità, come (di)mostrato anche da questa discussione, vede spesso credenti e non-credenti nella stessa barca, intenti a dover dare un senso (ciascuno nelle sue "possibilità prospettiche") alla storia, alla vita, etc. poiché entrambe le fazioni condividono la medesima eredità e, talvolta, la medesima velleità metafisico-semantica; a prescindere che pongano alla base della comune "necessità semantica" una divinità o la natura o la giustizia o una fallacia o altro. La matrice della narrazione che ha per oggetto il senso della vita, della storia, etc. ha precise origini genealogiche (teo-logiche), indagando criticamente le quali si ha ulteriore conferma di quanto si tratti di una retorica senza dubbio utile individualmente e socialmente consolidante, sebbene, appunto, dal fondamento vuoto (e sappiamo che sul vuoto e sull'assenza si possono costruire "castelli aerosi" che sfidano i secoli e muovono le moltitudini). In pratica è come avere un secchio vuoto, riempirlo di sabbia e poi affermare che il "giusto riempimento" di quel secchio è la sabbia, che "quel secchio è fatto per essere riempito di sabbia", come se non lo si potesse riempire anche di sassi, acqua o altro. Ci è stato insegnato che sarebbe un peccato se il secchio restasse vuoto, quindi deve essere pireno; eppure, curiosamente, in oriente alcuni hanno osservato il contrario, ovvero che il "senso" del secchio è nel suo esser essenzialmente vuoto (che è come dire, quasi con un koan, che il senso della vita è la sua assenza di senso). Sicuramente è sintomatica la tendenza, comune a credenti e non, a considerare una consapevolezza negativa, che svuota e disincanta, come qualcosa da sovvertire in pienezza (v. il dover combattere lo spauracchio del nichilismo), seppur tale pienezza risulti consapevolmente e deliberatamente posticcia e spuria.

Se abbiamo rilevato che la dinamica del senso si mostra decostruttrice di un senso della storia, più che sua costruttrice, davvero ascoltando le antiche sirene interiori consideriamo la ripresa di una ricerca del senso come un "superamento" della suddetta consapevolezza "oggettiva"? L'horror vacui interiore e il sognante aut-aut fra Senso metafisico e caos, ci spingono a riempire ciò che si è scoperto essere vuoto, ma con quale credibilità (ci) riproponiamo d'aver fiducia (se non fede) in un "pieno" che sappiamo essere un ologramma? La vanità, in entrambi i sensi, di questo gesto è a suo modo una dissonanza cognitiva, quasi una schizofrenia fra ciò che si sa e ciò che si vuole (solo avendo desiderato un senso per la storia, la realizzazione della sua assenza "oggettiva" può produrre vanità). Detto altrimenti: la vanità è tale solo se si parte dall'aspettativa di senso (la cui delusione ha poi per elegia il senso di vanità di cui al primo post), mentre se si guarda al senso come a qualcosa di non pertinente alla vita (v. esempio di moto pianeti o codice della strada anaerobio), non ne può derivare né senso di vanità né, tantomeno, il "dovere" di assegnarne uno a posteriori per poi eleggerlo a guida del proprio agire (che è un po' come scegliere di legare alla propria schiena il famoso bastone con appesa la carota e, al contempo, lamentarsi di quanto essa sia sfuggente pur vantandosi di averla individuata come "doveroso" punto di riferimento). Certo, se così non fosse, se non fossimo affamati di senso, non saremmo "animali semantici", non ci sarebbero (state) "grandi narrazioni", non saremmo eredi di una storia culturale basata su valori e assoluti, etc. eppure, a scanso di ogni "innatismo", scommetterei che da qualche parte, nel mondo, c'è ancora una popolazione in cui l'espressione «senso della storia» è un non-senso, o magari non ha nemmeno nelle sua lingua le parole per formulare tale espressione; questa popolazione, che magari venera un vulcano e ha paura del buio, vede la "realtà del senso" e il "senso della realtà" meno oggettivamente di quanto riusciamo a fare noi, con tutte le nostre sontuose impalcature teoretiche affianco ai nostri acceleratori di particelle, oppure un certo "privitivismo filosofico" è anche salvaguardia dall'impaludarsi in alcuni falsi problemi?