Per quei due spicci che vale la mia opinione, nell'accostare (o solo mettere nello stesso campo semantico) eugenetica nazista e vaccinazione, senza ricordare finalità dell'una e finalità dell'altra, metodi dell'una e metodi dell'altra, sperimentalità dell'una e sperimentalità dell'altra, etc. per me non si "onora" alcuna "vocazione filosofica" né si rispetta alcuna contestualizzazione storica, ma si trascende la fattualità di una discussione politica, prima che medica, per agitarsi (e far agitare) con lo spauracchio della "reincarnazione dei nemici dei tempi andati", quasi ci fosse la nostalgia di dover lottare contro mostri possenti per avere carne sostanziosa da mettere al fuoco nei propri discorsi.
Purtroppo, a dispetto del voler sbrigare la complessità facendo appelli alle emozioni, fuori da ogni inopportuna "reductio ad Hitlerum", le criticità e i dubbi sulla gestione del Covid, quelli legittimi e non pindarici, ci sono (magari a partire dal suo timido accenno alla bassa mortalità, ma il discorso sarebbe poi diventato pericolosamente molto meno ad populum, quindi meglio citare Levi...), criticità che richiedono una riflessione ben differente dall'assumere un tono laocoontico per ammonire i senatori con un velleitariamente profetico «ricordatevi del nazismo...». La "discriminazione" (parola che un filosofodovrebbe potrebbe usare anche con accezione diversa da quella di un qualunque blogger allarmista) verso i "no-vax" andrebbe poi spiegata, se non fosse quasi dileggio, con la discriminazione verso i "no-casco" che vogliono guidare la loro moto come preferiscono (al grido «libertà!») perché «in fondo chi ha già il casco non deve temere nulla» (se si vede del nazismo in ogni regola che condiziona l'agire umano individuale in una società, diventa difficile pensare politicamente in democrazia, salvo considerare la polis solo un accordo passeggero sotto il motto "mal comune, mezzo gaudio"). Ogni "conseguente" (solo retoricamente, non certo logicamente) appello alla società, all'umanità, etc. perde automaticamente di credibilità se prima si sorvola gaiamente sulla differenza, non certo sottile, fra le politiche sanitarie in un lager e quelle in una democrazia, per quanto discutibili e criticabili (tuttavia non per questo si potrebbe affermare, seguendo il pendio della suddetta disinterpretazione della storia, che poiché nei lager si faceva la fila per la mensa, allora le attuali mense aziendali devono invece avere un cameriere, perché noi oggi dobbiamo esser mossi dall'anelito ad essere più "umani" dei nazisti).
Purtroppo, a dispetto del voler sbrigare la complessità facendo appelli alle emozioni, fuori da ogni inopportuna "reductio ad Hitlerum", le criticità e i dubbi sulla gestione del Covid, quelli legittimi e non pindarici, ci sono (magari a partire dal suo timido accenno alla bassa mortalità, ma il discorso sarebbe poi diventato pericolosamente molto meno ad populum, quindi meglio citare Levi...), criticità che richiedono una riflessione ben differente dall'assumere un tono laocoontico per ammonire i senatori con un velleitariamente profetico «ricordatevi del nazismo...». La "discriminazione" (parola che un filosofo