Citazione di: sgiombo il 15 Aprile 2016, 09:18:31 AMNon so, può essere che il mio discorso dia questa impressione, ma il fatto che ricusi un'etica basata sui principi (perché la ritengo di fatto, soprattutto oggi impraticabile), non lo sento come un pessimismo disperato o una resa senza condizioni al nichilismo, come se rinunciando al valore dei principi etici non restasse niente a cui affidare una speranza.
Mi stupisce, Maral, questo tuo (attuale; che prima non mi avevi mai fatto questa impressione!) pessimismo disperato (così mi pare: una sorta di resa senza condizioni al nichilismo).
Trovo che abbia ragione paul11 quando scrive:
CitazioneHo visto persone poco più che alfabetizzate ottenere dei diritti perchè credevano nell'etica anche se non conoscevano la parola ,perchè la praticavano con dignità.Sussiste ancora un sentimento morale e non certo tra chi lavora sui massimi sistemi e al di sotto di ogni pensiero etico razionalmente pianificato, un sentimento morale che abita (forse come per una sorta di antiquata abitudine da cui non ci si può separare) nel proprio agire e che dà a volte ancora senso al proprio agire (scienziati compresi).
La razionalità calcola e soppesa, il sentimento no questo è il punto. La razionalità da sola è sterile e non può dare speranza, il sentimento da solo si disperde, suscita illusioni a cui si vuol credere, non speranze. Il punto è trovare l'equilibrio tra questi due fattori, senza fare di nessuno dei due un assoluto, e può non essere facile. Come Gramsci, quando vede il pessimismo della ragione critica e l'ottimismo della volontà dettata dal proprio sentire. La volontà è sempre ottimista, altrimenti non può sussistere, ma la ragione non può supinamente accettare questo ottimismo senza negarsi, la ragione deve costantemente essere critica verso l'ottimismo della volontà, perché è la ragione che filosoficamente istituisce il limite. Un limite che oggi non può che essere ascritto all'agire stesso, perché mai come prima nella storia umana, il poter fare ha di tanto oltrepassato ogni capacità di poter davvero comprendere quanto si può (e si deve) fare e dunque la volontà appare senza limiti, giacché sappiamo come fare, come restituire ogni cosa alla sua completa trasformabilità. Noi, che lo vogliamo o meno, comprendiamo ancora con categorie del pensiero pre industriale, anche se non valgono più e sentiamo che non valgono più.
Il pessimismo è il pessimismo del filosofo che, alla luce di una capacità critica, prende atto di quanto accade e non intende offrire, come Prometeo, vane e illimitate speranze e non perché esistono Dei che prefissano limiti per l'uomo, ma perché esiste l'uomo, con la sua umana necessità, con la sua coscienza che si rende cosciente del suo limite e se ne assume la piena responsabilità, rifiutando ogni sovrumana rivelazione e ogni infinita meravigliosa promessa (del mito o della tecnica fattasi mito poco importa).
E forse anche questa è una speranza, che spero non sia vana e illusoria. Ma in fondo, anche se lo fosse, sento che vale la pena di sperarci.