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Messaggi - maral

#796
Citazione di: sgiombo il 15 Aprile 2016, 09:18:31 AM
Mi stupisce, Maral, questo tuo (attuale; che prima non mi avevi mai fatto questa impressione!) pessimismo disperato (così mi pare: una sorta di resa senza condizioni al nichilismo).
Non so, può essere che il mio discorso dia questa impressione, ma il fatto che ricusi un'etica basata sui principi (perché la ritengo di fatto, soprattutto oggi impraticabile), non lo sento come un pessimismo disperato o una resa senza condizioni al nichilismo, come se rinunciando al valore dei principi etici non restasse niente a cui affidare una speranza.
Trovo che abbia ragione paul11 quando scrive:
CitazioneHo visto persone poco più che alfabetizzate ottenere dei diritti perchè credevano nell'etica  anche se non conoscevano la parola ,perchè la praticavano con dignità.
Sussiste ancora un sentimento morale e non certo tra chi lavora sui massimi sistemi e al di sotto di ogni pensiero etico razionalmente pianificato, un sentimento morale che abita (forse come per una sorta di antiquata abitudine da cui non ci si può separare) nel proprio agire e che dà a volte ancora senso al proprio agire (scienziati compresi).
La razionalità calcola e soppesa, il sentimento no questo è il punto. La razionalità da sola è sterile e non può dare speranza, il sentimento da solo si disperde, suscita illusioni a cui si vuol credere, non speranze. Il punto è trovare l'equilibrio tra questi due fattori, senza fare di nessuno dei due un assoluto, e può non essere facile. Come Gramsci, quando vede il pessimismo della ragione critica e l'ottimismo della volontà dettata dal proprio sentire. La volontà è sempre ottimista, altrimenti non può sussistere, ma la ragione non può supinamente accettare questo ottimismo senza negarsi, la ragione deve costantemente essere critica verso l'ottimismo della volontà, perché è la ragione che filosoficamente istituisce il limite. Un limite che oggi non può che essere ascritto all'agire stesso, perché mai come prima nella storia umana, il poter fare ha di tanto oltrepassato ogni capacità di poter davvero comprendere quanto si può (e si deve) fare e dunque la volontà appare senza limiti, giacché sappiamo come fare, come restituire ogni cosa alla sua completa trasformabilità. Noi, che lo vogliamo o meno, comprendiamo ancora con categorie del pensiero pre industriale, anche se non valgono più e sentiamo che non valgono più.
Il pessimismo è il pessimismo del filosofo che, alla luce di una capacità critica, prende atto di quanto accade e non intende offrire, come Prometeo, vane e illimitate speranze e non perché esistono Dei che prefissano limiti per l'uomo, ma perché esiste l'uomo, con la sua umana necessità, con la sua coscienza che si rende cosciente del suo limite e se ne assume la piena responsabilità, rifiutando ogni sovrumana rivelazione e ogni infinita meravigliosa promessa (del mito o della tecnica fattasi mito poco importa).
E forse anche questa è una speranza, che spero non sia vana e illusoria. Ma in fondo, anche se lo fosse, sento che vale la pena di sperarci.
#797
Citazione di: paul11 il 13 Aprile 2016, 23:29:00 PM
Se si è deboli sul concetto di etica come si pensa d influire o essere ascoltati dalle scienze in generale e quelle biologiche in particolare?
Va bene partire anche da "benessere dell'umanità", ma deve essere definito e ancorato a dei principi universali.
Con la globalizzazione o un principio è universalistico o si lascia gestire come vuole ogni "fetta" di mondo.
L'etica nasce dall'osservazione del mondo ma deve rientrare nelle coscienze umane e poi rientrare nella pratica del mondo,diversamente rimane un'astrazione

Maral non sono d'accordo, l'etica ha perso quando è caduta nella scienza, perdendo il principio ,il paradigma.
L'etica si è relativizzata nelle pratiche quando è entrata parallelamente dentro le teorie  economiche di convenienza e di principio edonistico ,molteplici etiche significa specificità senza una relazione fondamentale che le riunisca, e quì contano anche le influenze date anche pretestuosamente dalle  teorie dell'evoluzione.

Bisognerebbe prima definire una teoria della di vita .
Come si possono stabilire oggi dei principi universali Paul? Il problema per cui non si può più credere a un'etica dei principi sta tutta lì, non sono più possibili principi che, per essere universale, devono fondarsi su una trascendenza (logica, mitica, religiosa), non è più credibile come assoluta alcuna metafisica, se non, forse la metafisica del divenire, che però, in quanto tale non fonda alcuna morale stabile. La debolezza etica che attualmente constatiamo non è il frutto di una sorta di scelta che rivela sempre più la sua fallacia e da cui si potrebbe anche retrocedere e non è un errore da cui si possa tornare indietro per ritrovare i bei valori andati perduti. E' ormai un accadimento ineluttabile, sempre ammesso che i cosiddetti principi universali abbiano mai avuto effettivamente valore alcuno. Stavano lì come monumenti, più che altro utili a tranquillizzare gli ingenui.
Siamo sempre stati eticamente deboli, tanto da avere avuto bisogno di norme e leggi che un tempo, affinché venissero rispettate, si dovevano credere dettate da un Dio giudice supremo, poi l'uomo ha cominciato a credere nella propria razionalità, che è pur sempre il frutto di un pensiero calcolante, di un'economia e questa razionalità ha creato una scienza a cui si pensava di poter ascrivere l'etica, basandola su di essa, ma così non è stato e nemmeno si può pensare di poter tornare indietro, alle mitologie e filosofie dell'era agricola che potevano avere senso di verità solo in quei contesti che non ci sono più (o se ci sono sono episodi di nicchia che sussistono solo in funzione di una produzione di tecnologia industriale pervasiva).
Tu dici che bisognerebbe definire una teoria della vita: ma chi la definisce? Il biologo è assolutamente convinto che spetti solo a lui, è lui che studia la vita con la necessaria competenza, chi altri può riconoscerla senza ambiguità e confusione? Il teologo a questo si ribella, perché concepisce ancora la vita in termini di dono divino, dunque solo in virtù di una teologia che ne tratta il significato primo la si deve definire; il filosofo è forse l'unico che può intendere che una teoria della vita è impossibile e trarne le conseguenze etiche (magari tornando alle implicazioni derivanti dal socratico sapere di non sapere), ma per lo più si rassegna a un tecnicismo che aderisce al pragmatismo vincente.
Poi ovviamente una nuova metafisica è sempre possibile, la tecnica stessa ha una sua metafisica che può renderla assoluta. Il problema è se questa metafisica può lasciare ancora spazio all'umano o se in essa l'uomo si presenta così antiquato da essere già superato.

Faccio un esempio relativamente alle difficoltà che la ricerca biotecnologica potrebbe determinare nella preposizione morale per cui la vita dovrebbe essere considerata intoccabile e quindi in ogni caso non manipolabile. Dalle cellule toti o pluripotenti di quegli embrioni conservati oggi fino a scadenza, in frigorifero, il biologo potrebbe sviluppare cellule cerebrali utili a guarire il Parkinson e l'Alzheimer: è morale impedirglielo in nome della presunta vita naturale (che naturale non è per nulla) di quegli embrioni? In nome di cosa?
Ma non solo, ormai la biologia, in linea di principio, è in grado di far recedere una cellula somatica adulta al suo stato originario di totipotenza, può quindi farla diventare una cellula uovo e stimolarla a una partenogenosi, da questa cellula uovo potrebbe dunque per partenogenesi indotta nascere un individuo. Questo significa che da una cellula della pelle si potrebbe far nascere un individuo, senza nemmeno il bisogno di procedere con una tecnica di clonazione. E' tutto naturale, perché la partenogenosi è un processo naturale, sia pure non in atto nella specie umana che si riproduce per via sessuata. E la stessa sessualità in natura è qualcosa di assai più complesso della semplice ripartizione maschio-femmina, già a livello cromosomico (per non parlare a livello ormonale e psicologico). Possiamo, in nome del tipo di riproduzione a cui la nostra tradizione culturale ha assegnato un preciso significato di naturalità, imporre un limite a questo tipo di ricerche che sono comunque possibili dal punto di vista scientifico e pensare di far rispettare davvero tale limite in nome di un principio etico, quando nessun principio etico ha di fatto mai fermato nessuno, nemmeno quando lo si pensava dettato su tavole di pietra da Dio in persona o alla mente da una razionalità indefettibile? Una teoria della vita dovrebbe comprendere o escludere queste possibilità che le biotecnologie ci mostrano fattibili con tutte le possibilità di potenza che esse dischiudono nel bene (sanare i sofferenti e gli ammalati e soccorrere i bisognosi) e nel male (concepire l'esistente solo in ragione di ciò che di esso serve)?

 
#798
Citazione di: memento il 13 Aprile 2016, 18:57:24 PM
Condivido ,ho già espresso l'origine di questo "dislivello" nel mio primo post. La filosofia è ancora essenzialmente radicata nel pensiero religioso (basti pensare alla dialettica hegeliana),mentre la scienza,come ho avuto motivo di approfondire nell'altro thread,utilizza un metodo di matrice atea,esclude cioè qualsiasi teoria che non possa essere valutata empiricamente. Il contrasto perciò è molto forte. Collocare il Logos al di là del dato apparente,divinizzare la natura,è un pensiero che non può e non deve appartenere al fare scientifico. Ma quando smetteremo di guardarci indietro? Dio è morto e nessuno che tragga le conseguenze.
Non si può parlare di etica come se esistesse un'unica morale..si continua a reiterare nell'errore.
Il sapere scientifico ci mostra che gli usi che si possono fare delle forze naturali sono molteplici e svariati. Perciò dovrebbe essere chiaro che anche gli scopi per cui la scienza può e viene utilizzata sono tanti e disparati. Il "benessere dell'umanità" è un concetto arbitrario,filosoficamente antiquato. Ancora una volta la scienza dovrebbe riferirsi ad un dato totalmente trascendente per definire sé stessa? Dovrebbe andare alla ricerca di questo irraggiungibile Santo Graal?
Condivido  qui l'obiezione di Sgiombo: la filosofia non è per nulla ancora radicata nel pensiero religioso o metafisico. Hegel è stato l'ultimo grande filosofo epistemico che ha tentato con la dialettica di risolvere il problema della verità, ma dopo di lui... sono passati due secoli e non vi è dubbio che Nietzsche ha decretato il tramonto definitivo della filosofia classica. Peraltro oggi si può essere metafisici pur essendo ontologicamente atei, come Severino, o fare scienza egregiamente pur credendo in Dio (e mi verrebbero da citare i grandissimi scienziati che avevano preso gli ordini religiosi, basti ricordare Mendel per la biologia, se non altro a testimonianza della continuità profonda che sussiste tra il pensiero cristiano e quello scientifico).
Mi chiedo se il "benessere dell'umanità" è un concetto antiquato con cosa lo sostituiamo? con il malessere? O con la pretesa di una  indifferenza cognitiva amorale permessa da uno sguardo con pretese di collocarsi su quale sovrumana altura di assoluta oggettività pragmatica?
Le morali non possono che essere molteplici e contrastanti finché fanno riferimento a dei principi e per questo restano deboli e ininfluenti, l'unica possibilità è quella di una morale operativa in grado di farsi carico pieno della responsabilità a priori dell'agire, di qualsiasi agire, per quanto inconoscibili possano esserne gli esiti: si tratta della responsabilità che deriva dal sapere di non sapere di ogni essere davvero cosciente. L'alternativa è solo il nichilismo, nel senso peggiore (amorale) del termine.
#799
Paul non ho certo detto che il proprietario di un'industria che opera in campo biotecnologico (privato o pubblico che sia) debba considerarsi libero da responsabilità etiche, le ha eccome, enormi. Ho solo detto che lo scienziato non può presumersi libero da tale responsabilità adducendo come pretesto il fatto che lui sperimenta solo in vista di una pura conoscenza. La conoscenza pura nella scienza attuale non esiste (sempre ammesso che sia mai esistita), oggi la scienza è finalizzata comunque alla produzione di ciò che studia perché solo nel come produrre trova inveramento. E oggi la tecnoscienza è in grado di produrre su una scala incommensurabilmente maggiore di un tempo, con il rischio di esiti comunque inaspettati per quanto rigorosi siano i protocolli di verifica in contesti controllati quanto mai prima in passato. Nessuno scienziato può dichiarare la sua innocenza morale e la sua indifferenza etica.
Cosa poi debba fare potrà solo essere la sua coscienza a deciderlo, non sta a noi creare nuovi decaloghi morali, ma sta a tutti cercare di sensibilizzare il proprio sentire responsabile, nei limiti che a ciascuno competono, senza dichiararsene esenti in nome di un'asettica visione  della conoscenza "oggettiva". Che poi questo voler essere etici abbia un prezzo è evidente, ma per sentirsi liberi occorre avere il coraggio di pagare questo prezzo alla propria coscienza, anche fermandosi, senza addurre l'autogiustificazione di comodo (e in questo Sgiombo ha perfettamente ragione) che tanto ci saranno altri a farlo. Nessuna etica ha senso se non permette all'individuo di poter scegliere nei limiti che si riconosce, davanti alla propria coscienza, di fare o di non fare, l'etica ha per presupposto fondamentale la libertà che equivale alla responsabilità.
CVC ha ragione a dire che la scienza, a differenza della filosofia classica, utilizza un metodo induttivo (sia pure non in senso così puro come vorrebbe far credere: il dato da cui parte non è il dato di natura per come si presenta, è un dato già pre.interpretato alla luce di un metodo che prefissa il come considerarlo, quali aspetti di esso prendere in esame e quali no), ma non è questo il punto, non è un problema di grammatica gnoseologica: il punto è ciò che la tecno scienza con il suo metodo mostra di saper fare che va a intaccare il senso esistenziale più profondo di ciò che siamo, va a intaccare la dimensione più profonda del significato di noi stessi, presentandoci un mondo e un modo di essere al mondo in cui consciamente o inconsciamente, pur apparendo desiderabilissimo, stentiamo sempre più a riconoscerci, sia nella materia che nello spirito di questo mondo.
Tu dici che alterare il genoma umano è contro natura e con questo istituisci una linea di separazione tra l'essere umano e tutti gli altri esseri viventi (il cui genoma è stato tranquillamente alterato continuamente in passato, tant'è che non esiste più nulla di "naturale", ma di converso questo mondo alterato ha alterato noi stessi. anche se non ce ne siamo accorti per i tempi impiegati). Questa assunzione poteva (e può) trovare ragione alla luce di una visione che concepiva l'uomo come creatura privilegiata di un Dio che lo aveva creato a sua immagine e somiglianza, ma oggi la scienza ha completamente oltrepassato questa visione e non con la sua impostazione teorica (che ben pochi possono cogliere), ma proprio con il suo poter fare che tutti colgono. Il principio a cui ti appelli può solo essere imposto in nome di una fede che il mondo prodotto dalla rivoluzione industriale, che lo si voglia o meno, ha di fatto reso obsoleto con i suoi stessi prodotti. Non è più possibile imporre un tale principio simile, è troppo debole, troppo arbitrario, senza avere più la forza di sostenere la propria arbitrarietà.
Quando il biologo prevede un futuro in cui l'individuo, in cambio della sua salute continuamente monitorata, dovrà rinunciare alla proprietà del suo corpo, inteso come un insieme di dati a disposizione della ricerca, raccolti da multinazionali dell'informatica e suscettibili di proprietà brevettuale da parte di chi li acquisisce, li studia e li manipola (famoso il caso di Craig Venter, il discusso scienziato che, dopo aver voluto brevettare i segmenti del genoma umano da lui decifrati, è ora riuscito a produrre da un batterio un genoma minimale come base per costruire quello che si vuole, una perfetta macchina biologica modulabile a progetto), si presenta lo scenario di un mondo veramente diverso da quello in cui siamo abituati a esistere e a concepirci. Un mondo in cui ogni esistente è solo materia prima a disposizione della tecnologia progettante, uomo compreso (e ovviamente sempre per il suo bene, per il bene di tutti) e non c'è legislazione o principio trascendente che potrà impedire questa trasformazione, perché si può fare e qualcuno lo farà e l'essenziale sarà alla fine solo poterlo fare per primi.   


#800
Paul, ho fatto ricerca di base in sintesi chimica per diversi anni, anche all'università, e ti possa assicurare che di fatto non esiste una ricerca di base pura, anche quando la finalità proclamata è solo quella di una pura conoscenza teorica dei meccanismi di reazione o la possibilità del tutto neutra di sostituire una funzione chimica con un altra per conoscerne la reattività. La ricerca di base ha di fatto il compito fondamentale di fornire gli elementi per un processo di industrializzazione e questo significa che, per quanto possa fare comodo a tutti, la responsabilità del ricercatore non può fermarsi alla porta del suo laboratorio, proprio perché ciò che elabora trova scopo fuori da quella porta, per cui deve operare con coscienza umana e non solo professionale. Altrimenti si ripropone la logica estrema del funzionario del campo di sterminio che si sentiva del tutto innocente semplicemente perché eseguiva in modo tecnicamente impeccabile il suo compito procedurale lì dove gli era richiesto di svolgerlo: trovare il modo migliore di smistare e smaltire un certo carico giornaliero secondo procedura, poco importa se fosse un carico umano o di legname, la problematica dal punto di vista tecnico era esattamente la medesima. Smaltito il carico, smaltita ogni responsabilità.
Questo significa che lavorare alla costruzione di una bomba atomica o allo studio di un ceppo batterico virale per scopi di conoscenza non è la stessa cosa che fabbricare caramelle o studiarne il dosaggio dei gusti. Anche se pure le caramelle possono servire per compiere azioni moralmente assai riprovevoli, l'impatto della bomba non è in alcun modo comparabile (e non solo in termini fisici diretti, questo per dire a Sgiombo che in realtà la bomba atomica è già stata usata, nel solo modo in cui poteva essere usata, è stata infatti l'arma principale con cui si è combattuta la cosiddetta guerra fredda, persa dal blocco comunista).
Il discorso di porre a riferimento del diritto un ordine naturale, è assai problematico, poiché non è mai esistito nella storia di qualsiasi civiltà umana (nemmeno cristiana) un ordine naturale che non fosse il prodotto culturale di ciò che l'uomo poteva fare della natura. Poiché la natura dell'uomo è trasformare la natura. L'ordine naturale non è un ordine di natura, ma corrisponde da un lato ai contesti a cui abbiamo fatto abitudine, in cui troviamo casa e dall'altro a ciò che sentiamo di sbagliato, di impedente. La tecnica, quando funziona, serve a superare l'impedimento della natura, per farci trovare una nuova natura in cui riconoscerci e abitare. Il problema è che con l'industrializzazione, la tecnologia, con la potenza che mette in campo, non ha il tempo per farci acquisire questa abitudine, per consentirci un riconoscimento e meno che mai nel caso delle biotecnologie che pur proclamandosi capaci di sanare gli storpi, ridare la vista ai ciechi, sfamare gli affamati, mantenerci indefinitamente in salute e giovinezza, ci sconcertano e ci angosciano.  il biologo in buona o cattiva fede, fa finta di non capirne il motivo di questo sconcerto e propone definizioni funzionali che in realtà non tolgono minimamente di mezzo il problema, perché il problema è ciò a cui il biotecnologo non può assolutamente rinunciare: la rapidità di realizzare producendo.
Sicuramente, se il cambiamento avvenisse secondo tempi atti a conseguire il riconoscimento del significato di quanto si fa (qualche millennio), si svilupperebbe una nuova naturalità anche per le cose che più ci sconcertano e si troverebbero anche soluzioni di diritto appropriate. Ma il tempo non c'è più, parlare di millenni è da folli oggi, e questo è il problema.
#801
Citazione di: paul11 il 11 Aprile 2016, 14:41:22 PM
Chiedo scusa se utilizzo il rasoio di Ockam sulle vostre interessanti argomentazioni.
1)O l'etica diventa prassi in una legislazione e quindi diritto ,oppure è " legge della jungla"
Indubbiamente, ma ogni legislazione deve a mio avviso basarsi su un sentire morale ed è l'enorme potenza della tecno scienza odierna che rende problematica la questione. La morale precedente che poneva il principio di responsabilità in relazione a ciò che si può prevedere e conoscere non è più sufficiente: nessuno scienziato, politico o tecnico può prevedere con certezza ad esempio cosa succederà con un ceppo batterico di sintesi (sia pure testato mille volte in condizioni controllate) una volta introdotto in un ecosistema. Anzi, la garanzia di controllo che offre la sperimentazione in laboratorio tende a mio avviso a far sottovalutare il caso imprevisto.
Citazione2)Né la scienza ha certezze sulla natura umana, così come non ne ha la filosofia. Ma la pratica impone che la scienza "faccia" senza chiedersi cosa e come verranno applicate le sue scoperte e innovazioni, così come la legge esiste a prescindere dalla nostra sapienza o ignoranza.
Ripeto, il biologo si arroga il diritto di definire la natura umana stabilendo una definizione sperimentalmente verificabile: la natura umana è ciò che è definita da un DNA cellulare umano operativamente autonomo, ossia non dipendente dal genoma materno per la sua attività biochimica. Per dare questa definizione il biologo separa la natura dalla condizione umana, cosa che è a mio avviso discutibile. Come trovo discutibile che la conoscenza scientifica sia da perseguire da parte dello scienziato indipendentemente dalle sue applicazioni. Questa "innocenza" della conoscenza pura la trovo in ogni caso, ma soprattutto oggi in cui la scienza è fondamentalmente tecnica, quindi prassi operativa, del tutto inopportuna, ingenuamente astratta e altamente rischiosa, anche se operativamente facilitante.
Ad esempio lo studio di microrganismi altamente virulenti per fini solo di conoscenza, non può esimersi dal valutare il loro possibile impiego letale ed esserne moralmente condizionato. Resta una questione di coscienza che il biologo non può lasciare fuori dalla porta del suo laboratorio, anche se pensa di agire in nome della più disinteressata conoscenza.

CitazioneE' la dialettica fra libertà di fare e sicurezza sociale che le stesse legislazioni pongono in maniera ambigua; esempi banali, dal diritto d'autore di una innovazione procedurale genetica, alla privacy di utenti/pazienti.
3)Se le normative vigenti , e non mi riferisco solo allo Stato italiano, non si prendono carico delle proprie responsabilità di governo, sarà fra solo una generazione che il diritto di famiglia e delle successioni ereditarie porranno seri problemi  sul concetto e definizione di "embrione" inteso come definizione di un diritto.
Saranno i giudici che dovranno dirimere liti legali con giurisprudenze e soprattutto legislazioni anacronistiche.
Voglio vedere, ad esempio,  "madri in affitto" che camperanno diritti , o "banche del seme" anonime in un mondo dove anche le società off shore possono essere svelate.


Per quanto mi riguarda il diritto nasce con il concepimento naturale, altre manipolazioni non sono ammesse su embrioni.
[/quote]
Certamente la possibilità di procreazione che le biotecnologie rendono oggi possibili determinano una problematica legislativa quanto mai complessa. Ma il problema è anche definire in cosa consista un "concepimento naturale", che in realtà è sempre il risultato di una prospettiva culturale. Di fatto ad esempio la pratica dell'inseminazione artificiale è già molto estesa /perché non si dovrebbe considerarla naturale come consideriamo naturale il cibo di cui ci nutriamo o un paesaggio campestre, cose che naturali non lo sono per nulla), dovremmo forse considerare esseri umani non naturali i tanti bambini nati senza una fecondazione sessuale?
Per l'uomo, come dice Sini, la natura è sempre stata il risultato delle trasformazioni che lui stesso ha culturalmente determinato.
Cos'è naturale e cosa artificiale nel mondo in cui viviamo?
#802
Citazione di: sgiombo il 10 Aprile 2016, 21:32:19 PM
RISPOSTA DI SGIOMBO (ma come caspita funziona "tecnicamente - graficamente" questo nuovo forum?):
Ciao Sgiombo, segnalo a tutti che per eventuali problemi di utilizzo c'è nel forum una sezione apposita ove potranno essere più dettagliatamente segnalati e discussi. Si chiama "Problemi utilizzo forum" nella sezione off topic (v. indice)

CitazioneMa come puoi seriamente pensare che "si tratta di qualcosa che non può essere messo in discussione"? ? ?o che "discuterla sia un tabù e infrangerlo porti perenne disgrazia? O è scaduto il termine e le discussioni sono state chiuse? E da chi?"? ? ?
Ovviamente non c'è alcun tabù a discutere del significato dell'evoluzione per selezione naturale (anche se espone a rischi di polemiche a non finire), magari in un topic appositamente creato.   :)
#803
Citazione di: sgiombo il 10 Aprile 2016, 19:07:57 PM
Citazione di: Donalduck il 10 Aprile 2016, 17:40:41 PM
Il discorso sull'individualità assume rilevanza, per alcuni, a proposito di temi come l'aborto o le ricerche su cellule staminali. Ma, secondo me, si tratta di un brutto equivoco. Infatti si mischia etica e scienza in un modo confuso e fuorviante. Se ho interpretato bene, il fatto che 4 cellule possano determinare una "individualità" si suppone che debba dare queste 4 cellule uno status etico differente da quello di 3 cellule, che non determinano individualità. Ovviamente, per fare un'affermazione del genere, dobbiamo chiarire molto bene di quali principi etici stiamo parlando e quale sia il loro fondamento (o se siano dati come postulati). Ammesso che quello che dice il biologo risulti sufficientemente dimostrato, è comunque compito del tutto estraneo alla biologia decidere se questo attributo di "individualità" delle 4 cellule posso avere o no qualche rilevanza di carattere etico, e in che modo.

dove comincia e dove finisce la vita?

La vita in generale  quando é iniziata?
Alla comparsa delle prime sequenze di nucleotidi e/o delle prime proteine?
Delle prime membrane lipoproteiche?

E la vita individuale quando inizia?
(nel caso degli eucarioti pluricellulari) con lo zigote?
Con le prime due cellule embrionali?
Le prime quattro?
(Questo limite citato da Maral probabilmente si fonda sul fatto che dalle prime due possono ancora originarsi due distinti gemelli monoovulari, dunque nel caso umano due diverse persone, mentre non mi risulta che se ne siano mai originate quattro dalle prime quattro cellule embrionali).
...
Qualsiasi linea di confine non può che essere convenzionale, arbitraria.
Il motivo per cui Redi indica lo stadio delle 4 cellule nello sviluppo embrionale umano (per il topo sarebbe invece quello a 2 cellule) come punto di inizio di una forma vivente individuale è, ripeto, che a partire da questo stadio il DNA dell'embrione può esprimersi in modo indipendente da quello materno, ossia a quel punto il suo codice genetico (che per il biologo definisce la natura) è autonomo. Un embrione con 4 cellule non è individuo perché ha 4 cellule, ma perché, se la sua natura è umana, a quello stadio di sviluppo esprime un genoma funzionalmente autonomo. E questa, per il biologo, corrisponde a una definizione di natura la cui arbitrarietà è giustificata dalla sua competenza specialistica e su cui tutti possono e devono convenire a motivo di una chiarezza perfettamente verificabile che disambigua ogni problema sull'inizio di una forma vivente.  
Altro discorso è la condizione umana, in merito alla quale il biologo riconosce competenze diverse dalle sue e che coinvolgono i temi etici dell'aborto, dell'utilizzo degli embrioni di diverse settimane ecc. Su questo punto comunque il biologo fa appello alla necessità di un'etica strettamente operativa basata soprattutto su una non proprietà da parte del vivente dell'informazione contenuta nelle sue stesse cellule. In sostanza l'informazione delle cellule (e le cellule stesse al limite) non è di proprietà dell'individuo vivente, ma è un utilizzabile illimitatamente a disposizione da parte della bioscienza, e questa "disponibilità" è richiesta per motivi etici.
Non nascondo che questa posizione (che paradossalmente mi pare riecheggiare l'affermazione marxista della proprietà comune dei mezzi di produzione, ove qui i mezzi sono le stesse cellule) mi suona di una ipocrisia enorme.
#804
Anch'io ho appena finito di leggere "Genealogia della morale" e ci sto riflettendo ("ruminando") sopra. Senza dubbio tre saggi molto interessanti che offrono molti motivi di riflessione. Appena sarò riuscito a tirare le somme aggiungerò qualche mia osservazione in merito. :)
#805
Citazione di: Donalduck il 08 Aprile 2016, 01:21:20 AM
Quello che non mi risulta chiaro, è di quale concezione (o meglio di quali concezioni) della "natura umana" si parla. Perché, che io sappia, siamo ben lontani, biologia o no, dall'avere una visione comune e condivisa di questa "natura". E neppure risulta chiaro in quali aspetti e in che modo questa concezione (o queste concezioni) verrebbero messe in crisi.
E' chiaro che natura umana è qui quella che il biologo viene definendo sulla base della sua ricerca sperimentale condotta con metodologia scientifica. Per esempio, in merito all'utilizzabilità degli embrioni (la famosa domanda quando è che l'embrione è da considerarsi un individuo?), il biologo propone di identificare l'individualità con la formazione di un codice genetico indipendente da quello della madre, questo avviene per l'essere umano 2 giorni dopo la fecondazione (o dal formarsi dello zigote nei casi in cui questo avvenga senza fecondazione), ossia in presenza di uno stato embrionale a 4 cellule: la natura umana è quindi rappresentata da un qualsiasi vivente con codice genetico umano con più di 4 cellule, è una definizione semplicissima e senza ambiguità alcuna, basta saper contare al microscopio. Ci sono poi quegli embrioni con più di 4 cellule che sono conservati nei frigo dei laboratori per la fecondazione artificiale la cui utilizzabilità andrebbe comunque garantita, propria alla luce di un'etica operativa (l'alternativa sarebbe, fa notare il biologo, solo la loro eliminazione più o meno dilazionata nel tempo, uno spreco che   non si può accettare, quando le loro cellule pluri potenti garantirebbero enormi benefici e la partecipazione degli embrioni stessi a una sorta di vita cellulare diffusa).
Su tutto questo si può essere d'accordo, ma il punto su cui sento di dover sollevare obiezioni sta proprio nella separazione proposta dal biologo tra natura umana (di cui egli rivendica la totale competenza) e condizione umana (che invece lascia alle scienze sociali), come se potesse esistere una natura separabile dalla condizione, come se le due cose non si determinassero sempre reciprocamente, come se non fosse la condizione a definire la natura e la natura a definire la condizione, come se esistesse una natura incondizionata di cui solo il biologo può parlare e una condizione non naturata da lasciare al sociologo.

Per quanto riguarda l'etica della responsabilità personalmente non la intendo semplicemente come un farsi carico collettivo (il collettivo andrebbe quanto meno ben predefinito caso per caso per evitare la solita manfrina del "tutti responsabili, nessun responsabile") di rischi razionalmente prevedibili e misurabili, questo non è più sufficiente nel mondo della tecnologia odierna, con la potenza che mette in campo. La intendo invece come responsabilità anche per ciò che nemmeno ci si immagina, ma che può scatenarsi con il proprio agire. Responsabilità che deriva dal sapere di non sapere.
Un esempio può chiarire la questione. Se un laboratorio di bio ingegneria sviluppa dei nuovi batteri GM, in grado di nutrirsi di petrolio (esistono già peraltro, si tratterebbe solo di migliorarli) e, dopo averli testati secondo protocollo in ambiente controllato, li introduce in una zona oceanica in cui si è avuta una dispersione di petrolio e quei batteri, pur contenendo il rischio petrolio, provocano gravi e impreviste alterazioni dell'ecosistema, quei biologi restano comunque responsabili, non possono cavarsela giustificandosi con il fatto che la sperimentazione in condizioni controllate non lasciava intravedere alcun rischio. Questo non significa non fare, terrorizzati dal proprio non poter mai sapere tutto, ma fare assumendosi il carico di quello che si decide di fare, in ogni caso e in ragione della libertà di cui ci si sente capaci.
#806
Citazione di: Donalduck il 07 Aprile 2016, 20:38:37 PM
Francamente non capisco proprio in che modo "le biotecnologie, rendano tragicamente antiquato l'uomo nel suo modo di sentirsi e di pensarsi, di stabilire un'etica".
A me sembra che le scoperte della biologia non intacchino in alcun modo il pensiero filosofico, tantomeno quello etico in generale e non ne influenzino neppure le prospettive.
Tutt'al più, forse, possono mettere in crisi ALCUNE posizioni filosofiche.
Sarebbe forse il caso di spiegare meglio...
Ciò che viene messo in discussione dall'ingegneria genetica è il concetto di natura del vivente e in particolar modo il concetto di natura umana, nonché l'idea di individualità tramite processi di clonazione (realizzabili da cellule embrionali - con tutti i problemi etici sull'uso di embrioni- o anche a partire da nuclei di cellule somatiche introdotti in un oocita denucleato); di partenogenesi (la filiazione a partire dal solo oocita femminile), di ritrasformazione di cellule somatiche in cellule pluri o totipotenti o delle stesse in cellule sessuali, la selezione in laboratorio di una doppia elica genomica originaria da riprodurre indefinitivamente senza i fenomeni degenerativi dell'invecchiamento, la fabbricazione di OGM e cibridi (organismi con DNA misto di specie diverse), la possibilità di realizzare raccolte dati in continuo su tutti gli esseri umani tramite banche dati elettroniche (Google, Yahoo ecc.). Tutto questo solleva ovviamente un grosso problema etico che il biologo (e su questo sono d'accordo) propone di risolvere pragmaticamente sulla base di un'etica operativa della responsabilità, anziché sulle vecchie etiche facenti perno su controversi principi morali.

Riporto un passo di un articolo di C.A. Redi e M. Monti ("Clonazione e cellule staminali") che forse può chiarire meglio la questione dal punto di vista del biologo. Scrivono gli autori (le sottolineature e le evidenziazioni sono mie):
CitazioneL'enorme quantità di conoscenze che in modo rapidissimo la ricerca biologica va accumulando sta cambiando profondamente persino la nostra concezione di cosa sia l'essere umano, della salute e della malattia con accesi dibattiti in merito a se, come e quanto utilizzare questo patrimonio di conoscenze per modificare aspetti della vita umana che potrebbero contribuire ad un miglioramento della qualità della vita stessa, in particolare dei senescenti (stante l'attuale tasso demografico occidentale), delle nuove generazioni (grazie alle tecniche di diagnosi prenatale) e dell'ambiente (grazie alle biotecnologie ambientali ed alimentari). Purtroppo siamo dinnanzi ad una generale profonda ignoranza del sapere scientifico, in particolare di quello biologico, da parte dei testimoni più rilevanti della società civile (decisori politici, magistrati, operatori dei media) con un sistema autoreferenziale di ispirazione pseudofilosofica che ben si presta a creare una confusione di ruoli inaccettabile: politici, filosofi, teologi e pensatori di varia estrazione che si occupano di natura umana (cosa che dovrebbe competere al solo biologo) e non, come dovrebbero, della sola condizione umana; con la grave conseguenza che i cittadini tutti finiscono con il recepire come fatto naturale, cosa normale, la produzione di significanti alieni alla Biologia (es. il concepito, la persona) da parte di costoro.
Nello stesso articolo si entra in polemica con la tesi di Habermas (ultimo esponente della famosa "Scuola di Francoforte") il quale nel suo libro "Il futuro della natura umana (i rischi di una genetica liberale)" mette in guardia dalle biotecnologie e "suggerisce di smetterla di pasticciare con il genoma umano, anzi col genoma di tutti gli esseri viventi"
#807
Citazione di: Garbino il 05 Aprile 2016, 20:10:17 PM
Sinceramente sono dell' opinione che sia tutto un grave errore. Intervenire sulla biologia degli organismi significa purtroppo rendere molto più difficile qualsiasi futuro per la specie umana...
Ma un filosofo che voglia ritenersi tale dovrebbe comunque conoscere anche la tecnologia in tutti i suoi risvolti. Non è che non è possibile che ciò avvenga, è che filosofi attualmente proprio non ve ne sono.
Ricambio il tuo cordiale saluto Garbino, benvenuto nel nuovo forum.

Preciso che è proprio con lo scopo di creare una transdisciplinarietà tra filosofia e scienze biologiche che il gruppo culturale Mechrì ha promosso a Milano un seminario di biologia-filosofia, che conta della partecipazione come figure di spicco di Carlo Alberto Redi (illustre biologo, accademico e saggista) e Carlo Sini (il famoso filosofo). Lo scopo degli incontri è da una parte creare un linguaggio comune sulla base del quale intendersi e dall'altro mostrare le nuove possibilità delle biotecnologie per assicurare salute e benessere, i problemi che sollevano e le resistenze che incontrano. Ho partecipato al seminario e sono rimasto impressionato sia dalle possibilità che la biotecnologia mette in campo soprattutto per la bio medicina, sia della portata dei problemi filosofici che solleva e scompiglia: cos'è la vita, se ha ancora senso parlare di naturale e artificiale, in cosa potrà consistere la sessualità e la procreazione in un futuro già presente in cui le due cose appaiono sempre più disgiunte, il senso antiquato di appartenenza del proprio corpo, gli effetti sull'ambiente e così via, tutto questo in ragione delle conoscenze genomiche andate maturate negli ultimi anni a partire dalla scoperta di LUCA (Living Unit Common Ancestor, corrispondente al DNA originario, fonte prima della vita).
A fronte dell'enorme gap che si è creato tra ciò che si può fare e il suo significato, il biologo rivendica al suo poter fare la base per istituire ogni significato in merito ai temi basilari per l'esistenza, ricusando ogni tentativo filosofico (o religioso) di rallentare o porre limiti alla capacità tecnica acquisita, al massimo è disposto a concedere al filosofo un ruolo di aiuto specialistico per costruire una semantica efficace per il "mondo nuovo" che egli sa tecnologicamente costruire.
Sini parte dalla concezione che è sempre stato il lavoro dell'uomo, gli strumenti materiali che egli è venuto usando a determinare la visione del mondo e di se stessi, ma sottolinea sempre come questo riconoscimento è sempre culturale e dunque, per l'essere umano, la natura, fondamentalmente riflessa dal lavoro umano, resta il prodotto di situazioni culturali. Questa è una posizione che pur andando incontro alle esigenze del biologo, non pare lo soddisfi, perché forse avverte in essa una resistenza a quel concetto di oggettività scientifica basata sull'evidenza sperimentale incontrovertibile del funzionare.
Il problema allora è: possiamo essere sicuri che un mondo il cui significato resta dettato dalle biotecnologie, funzioni davvero?

     
 
#808
Citazione di: albert il 05 Aprile 2016, 07:47:35 AM
Non sono del tutto d'accordo con la premessa. La filosofia può e deve comprendere qualsiasi sviluppo scientifico, come quelli delle biotecnologie. Come lo possa fare non lo sappiamo, ma secondo me è inevitabile che prima o poi ci riesca
La premessa è ciò che l'attuale biologia mostra di saper fare sul vivente, che mette in discussione il senso di individualità umana con tutte le dicotomie che parevano poter prestabilire delle mappature di riferimento sensato: vivente-non vivente, naturale-artificiale, sessuato- asessuato ecc.). E' in relazione a questo poter fare sempre crescente e alla necessità di farlo che, a fronte della manifesta impotenza della filosofia a stare al passo del progresso biotecnologico, il biologo rivendica a sé il diritto e dovere di stabilire la propria filosofia, proprio sulla sulla base di ciò che sa fare: una filosofia che, nei significati che stabilisce, non sia altro che un'emanazione della capacità e della prospettiva tecnologica.
Sicuramente la rivoluzione tecnologica del prossimo futuro riguarderà proprio la biologia (basti pensare a quello che si può fare con le cellule staminali, alle modifiche che si possono introdurre nelle cellule somatiche, agli sviluppi della biomedicina e della diagnostica biomedica), il problema è che questa rivoluzione viene ben più di quelle che l'hanno preceduta, a interessare direttamente il senso dell'essere vivente umano, dunque il senso profondo di ciò che siamo.
#809
Le frontiere che le biotecnolgie stanno aprendo sembrano sempre più venire a sfidare la concezione che abbiamo dell'individuo vivente. Appare evidente che ciò che il biotecnologo sa di poter fare travalica di gran lunga il significato di quello che possiamo comprendere e  quanto, soprattutto le biotecnologie, rendano tragicamente antiquato l'uomo nel suo modo di sentirsi e di pensarsi, di stabilire un'etica.
La questione che qui pongo alla vostra attenzione è quale rimedio si può porre a questo "dislivello prometeico" (secondo la felice espressione di Gunther Anders) e quindi se la filosofia può ancora dire qualcosa in merito o non le resta che affidarsi alla biologia, lasciando alla sua capacità di fare (e che comunque farà) il compito di istituirsi come unica filosofia possibile.