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Messaggi - Apeiron

#796
epicurus,
quello che volevo dire io è che: chi prende sul serio la vita filosofa (non il contrario...). Io mi faccio sempre questa domanda: "sto veramente prendendo la mia vita seriamente o il tempo passa e io cazzeggio?". La risposta ovviamente è: "non prendo abbastanza sul serio la vita...". Anzi ritengo che se veramente vivessi la mia vita seriamente probabilmente sarei un "serio felice" come dice anche paul11.

Secondo me la filosofia non è "quella cosa" che si studia al liceo o all'università, non è quella cosa che si studia dai libri dei filosofi. Ossia la filosofia non è un bagaglio di conoscenze, così come la scienza non lo è. Entrambe sono attività.

Nel caso della filosofia secondo me poi abbiamo due definizioni incompatibili che ci causano un fraintendimento. Per me e Wittgenstein, Adam Smith, Platone, Marx, Plotino (per fare degli esempi) erano tutti filosofi eppure le loro dottrine riguardano ambiti differenti. Proprio per questo secondo me non ha senso dire "in questo ambito della vita o in questo argomento di studio la filosofia non c'è". No, la filosofia è un metodo, un modo di prendere la vita.

P.S. Wittgenstein considerava la filosofia come "analisi del linguaggio". Ma questa d'altronde era la sua definizione e non la mia. Secondo me la filosofia è "analisi delle attività umane" (e quindi essa stessa è un'attività). D'altronde era anche una persona che cerava sempre di fare la "vita giusta". Se vogliamo era ossessionato proprio dall'etica anche se l'etica non compare molto nei suoi scritti.
#797
@epicurus,

tranquillo era per esser sicuro (concordo con te sul limite della comunicazione scritta) :) comunque "questa frase è vera/falsa" è valida (così come è valida A=A). Per questo motivo può essere usata dai calcolatori....
Quello che non riesco a capire è la sensatezza di tali frasi. Cosa c'è di "vero" (o di "falso") in "questa frase è vera?". Che informazione dovrei ottenere? Idem ma ancora peggio in un certo senso per "questa frase è sensata" (che è valida...). Che cosa mi vuole comunicare?
Se queste frasi non hanno senso, non si può parlare di verità o di falsità.

P.S. Perdona il ritardo nella risposta, ma non mi andava il PC per tre giorni la settimana scorsa e poi non mi sono accorto fino ad oggi che avevi continuato la discussione.
#798
Tematiche Spirituali / Re:La mèta è camminare
10 Luglio 2017, 08:41:45 AM
@Phil, il Nirvana in tutto il buddismo (non solo lo zen) non è considerato un posto. Piuttosto è considerato uno stato ma...
""Questa Illuminazione è piacevole, amici. Questa Illuminazione è piacevole."
Detto questo, il Ven. Udayin disse al Ven. Sariputta: "Qual è il piacere, mio amico, dove vi è il nulla?"
"Solo quello è il piacere, mio amico: dove vi è il nulla."" http://www.canonepali.net/an-9-34-nibbana-sutta-illuminazione/
Traduzioni in inglese riportano "nessuna sensazione" anziché "nulla". In ogni caso il Nirvana (o piuttosto il Parinirvana, il nirvana dopo la morte) è la fine del samsara, il congelamento del processo della creazione e distruzione degli esseri. Quindi l'obbiettivo del "cammino" pare proprio essere la fine del cammino. Su cosa poi possa essere il Nirvana le opinioni divergono: alcuni dicono la semplice "assenza" (il Nulla), altri lo descrivono come uno stato "al di là del linguaggio", altri come una mente totalmente diversa da quella ordinaria (una mente che è andata oltre/fuori il tempo e lo spazio). Mi pare poi che le tradizioni che parlino delle "terre pure" (simili per certi versi al Paradiso) ritengano comunque anche quello stato impermanente, prima della Liberazione (ossia del "raffreddamento"/congelamento delle sensazioni).
Per quanto riguarda il nichilismo concordo con te è utile, ma come stato temporaneo. Ossia il nichilismo è un processo in cui si "tirano via" tutte le false conoscenze che si crede di avere, i pregiudizi ecc. Fa anch'esso parte del cammino, pur non essendo l'obbiettivo.

@Correggo poi l'espressione usata da me sul "libro della Vita". Non è che siamo "personaggi necessari" in senso ontologico ma per una accurata descrizione della vita siamo "necessari" perchè si deve parlare di noi. Ovviamente mi rendo conto che tutto questo è poesia e che in realtà a livello ultimo il tutto è indescrivibile. Però a mio giudizio una visione come la mia da la possibilità sia di avere la prospettiva "sub specie aeternitatis" (in modo da "elevare" la nostra prospettiva di vita) sia la prospettiva del presente (in modo da non cadere in una sorta di nichilismo).
#799
Tematiche Spirituali / Re:La mèta è camminare
09 Luglio 2017, 09:42:55 AM
@Sariputra: "Trenta raggi si uniscono in un solo mozzonel suo non-essere si ha l'utilità del carro, impasta l'argilla per fare un vaso nel suo non-essere si ha l'utilità del vaso, aprono porte e finestre per fare una casa nel suo non-essere si ha l'utilità della casa. Perciò l'essere costituisce l'oggetto il non-essere costituisce l'utilità." (Tao Te Ching, 11) Mi hai ricordato queste parole del Tao Te Ching. In sostanza si potrebbe dire che "Giorgio"="manifestazione temporanea della Vita" e in questo senso si trova il valore di "Giorgio". E in questo modo si trova il valore di Giorgio: quale "incarnazione" (mi perdonino i cristiani di questo forum, non sapevo che parola migliore utilizzare  ;D ) della Vita stessa (ammettendo che coincida col Bene). In questo modo abbiamo che posso amare, rispettare ecc "Giorgio" perchè innanzitutto amo la "Vita" e quindi posso amare anche "Giorgio" quale sua "manifestazione", considerando però il corpo, la coscienza... (i cinque "skhandas") come contenitori "vuoti" del "processo vitale". Adesso capisco perchè taoismo e buddismo vengono considerati simili. E questa visione d'altronde è simile alla citazione Zen che ha trovato Angelo.

@Angelo Cannata: sì ti posso capire che il mio pensiero ti sembra un "miscuglio" di varie prospettive. Però a mio giudizio è in realtà importante anche farsi questa domanda in ogni visione "filosofica" che comprende una visione convenzionale e una visione ultima. Se la visione "ultima" è l'anatta, l'inesistenza di ogni persona ecc puoi capire che attenendosi a questa visione anche nella natura etica si va a finire in un "nichilismo" abbastanza pericoloso, nel quale "trascendi" tutto il mondo e "te ne sbatti" (perdona il termine) di tutti gli esseri, che tanto sono mere illusioni.  Oppure divieni pietoso e "aiuti l'altro" pensando: "povero pirla, se sapesse che il suo "io" è una mera illusione non starebbe qua a lagnare e invece NO è qua ad ostacolare il mio cammino verso l'illuminazione". Per evitare il conflitto propongo questa "visione": la Vita è una rete di nodi (i soggetti)o un "concerto" con molti musicisti (e ogni musicista è un io). Ogni soggetto per quanto "impermanente" egli sia ha valore ed è chiamato a dare il suo contributo nella "musica cosmica". Fare del male significa "rovinare" l'armonia.

@Angelo: purtroppo quello che dici tu sulla visione "beatifica" puoi estenderlo a molte altre tradizioni, non solo quelle che contemplano la visione beatifica. Nel buddismo il Parinirvana (il completo nirvana dopo la morte) è descritto come "il raffreddamento" del processo vitale. Quindi in un certo senso la Vita se si "liberano" tutti gli esseri si "raffredda", si "congela", il samsara termina. Nel taoismo si parla di "raggiungere la massima tranquillità" (ad esempio nella pratica dello zuowang ci si "siede e si dimentica"). In alcune scuole indù l'obbiettivo è il raggiungimento dell'unione con Brahman, massima quiete ecc. Ergo: nelle religioni sembra proprio che sia la fine del processo l'obbiettivo, non il suo continuare. Il cammino viene visto come una sorta di "incapacità di riposare" e per raggiungere il "riposo", la calma ecc devi rinunciare a te stesso, al desiderio personale ecc. Nella mia visione invece (ossia della "rete con i nodi") do importanza anche alla vita individuale, quale espressione limitata della "Vita Eterna" (se la possiamo chiamare così). Il cammino e la vita non è una cosa dalla quale fuggire, non è una cosa da "bloccare" ma è importante camminare trovando l'armonia. In questo modo do importanza sia al cammino individuale che a quello "cosmico": siamo per così dire personaggi necessari nella "trama" del Libro della Vita (non so come mi sia uscita). Quindi va bene l'anatta, va bene considerarsi parte dell'Io cosmico o una manifestazione del Tao ma allo stesso tempo è importante valorizzare il cammino degli individui e non cercare solo "il raffreddamento, il termine, la fine del processo".  Una cosa come questa secondo me è la "via di mezzo" tra una visione ultima (in cui i vari "io" sono temporanei e in un certo senso "illusori") e una visione "concreta".   
#800
Tematiche Spirituali / Re:La mèta è camminare
08 Luglio 2017, 14:52:16 PM
Citazione di: Angelo Cannata il 08 Luglio 2017, 10:14:39 AMHo la vaga impressione che forse non fai distinzione tra le prospettive e quindi, piuttosto che confrontarle in un dialogo tra di esse ben organizzato, le mescoli, oppure ne usi ora una ora un'altra, senza renderti conto di questa cosa che fai. Ovviamente anche la mia è solo una prospettiva. Prendiamo per esempio la prima cosa che hai scritto: se ad esempio io "amo X" non posso al contempo pensare che "X" è un concetto illusorio dato ad una "cosa composta" Mi sembra che questa frase evidenzi bene ciò che ho detto: essa contiene il miscuglio di due prospettive non organizzate. Nella seconda parte della frase, in cui parli di concetto illusorio e di cosa composta, adotti una prospettiva analitica, cioè una visione della realtà che scende nei minimi particolari fino ad interpretare ogni cosa come il risultato di microelementi; insomma, è come un'analisi chimica della realtà, in cui si spiega che tante cose che vediamo non sono altro che il risultato di atomi e molecole che interagiscono. A questo fa pensare il parlare di "cosa composta". Anche quando parli di concetto illusorio, mi sembra che siamo ancora in una prospettiva di analisi chimica, che poi non è altro che la critica filosofica: la critica filosofica sminuzza ogni componente del discorso e delle idee, fino a metterne a nudo la profonda criticabilità. Invece dire "amo X" non è un discorso analitico, chimico, di indagine fine: esso è un discorso sintetico perché il verbo amare è un concentrato di significati ed esprime piuttosto l'istinto umano, i sentimenti; quando parliamo di umano parliamo di sintesi, perché stiamo parlando di come le cose vengono considerate dal nostro DNA, cioè dalle nostre emozioni, il nostro modo di essere, considerato globalmente. Le due prospettive messe insieme in un'unica frase ti portano ad individuare una difficoltà, un'inconciliabilità. A questo punto mi pare che il motivo sia chiaro: l'inconciliabilità è dovuta alla giustapposizione disorganizzata dei due punti di vista che ho descritto. Lo stesso vale per la questione centralità/illusione dell'identità: dire illusione significa fare critica filosofica, ridurre l'identità alle sue componenti chimico-fisiche. Dire centralità significa invece considerare l'identità dal punto di vista sintetico della sensazione globale che ne proviamo come esseri umani. A questo punto si potrebbero fare lunghi discorsi su come gestire o far dialogare queste due prospettive che ho descritto, ma ciò che conta è anzitutto accorgerci di queste cose che stiamo facendo con la mente quando ci mettiamo a riflettere o a parlare.

Non ti posso dar torto su quanto dici, però volevo semplicemente far notare il paradosso in questione. Il punto è che quello che sto cercando di ottenere è una "teoria" (non una verità, ma un modello...se vuoi provvisiorio) che riesca a conciliare le due visioni. Se ritengo che "Giorgio" (nome di una persona a caso) sia un semplice "ente convenzionale" nella mia testa "Giorgio" è una semplice illusione. E il punto è che nella filosofia orientale (meglio dire: quelle filosofie orientali che ho citato) questo discorso non è pura speculazione accademica come da noi ma è la "corretta" visione delle cose. D'altro canto nelle stesse filosofie i "realizzati" sono descritti come persone compassionevoli (compassione non intesa come "pietà"), rispettose ecc. Ma ad esempio il "rispetto" per quello che intendo io ritiene che "Giorgio" sia "reale", anzi "ben più reale" delle "parti" di cui è composto. Proprio grazie a questo io posso "rispettare" "Giorgio". Le filosofie orientali che ho citato invece suggeriscono che non solo le cose materiali siano "enti illusori" ma le persone stesse!

Quindi abbiamo da un lato un'analisi ontologica della realtà che con le sue ragioni vede "Giorgio" come una "non-entità" mentre dall'altro abbiamo l'etica che ha senso solo ponendo "Giorgio" come una "entità" - anzi dal punto di vista etico le "persone" sono l'entità fondamentale. A mio giudizio la cosa non si risolve solamente dicendo: "sono due discorsi diversi". La cosa si risolve semmai capendo come queste due "verità" possano conciliarsi l'una con l'altra (in occidente se vuoi è analogo al problema etica-scienza: l'etica non può essere derivata dalla scienza...). Una possibile soluzione potrebbe essere la seguente: tutto il discorso del "non-sé" (o simili) in realtà è una sorta di "esercizio della mente" di modo da liberarla dall'avversione, dall'odio, dall'egosimo ecc. In questo modo hai che la "retta visione" di filosofie come il buddismo in realtà si riferisce non alla realtà ma al rapporto che il praticante ha con la realtà stessa. In questo modo puoi ancora rispettare/amare "Giorgio" in quanto "Giorgio" (e non in quanto "essere convenzionale"). In questo caso ti liberi anche della metafisica stessa e eviti di "pensare di aver conosciuto la realtà". D'altronde il Dhammapada dice "evitare il male, fare il bene, purificare la mente: questo è l'insegnamento dei Buddha". Ergo potrebbe essere che questo tipo di filosofie non indaghi l'esistenza o meno del sé ma semplicemente cercano il "miglior modo di vivere". In sostanza sarebbe pragmatismo puro che rinuncia a fare affermazioni sulla realtà. In ogni caso secondo me la contraddizione è evidente se entrambe le "visioni" vengono prese come "affermazioni sulla realtà". In tal caso sarebbero come dici tu "due prospettive" che non creano conflitto perchè non pretendono di fare una "teoria sulla realtà".

Si può poi pensare che la realtà sia suddivisa in livelli... ci sto pensando però non riesco a trovare una soluzione convincente in questo senso.
#801
Tematiche Spirituali / Re:La mèta è camminare
08 Luglio 2017, 00:07:25 AM
Più o meno Angelo la vedo come te.

Sull'esistenza dell'anima intendo dire che se ad esempio io "amo X" non posso al contempo pensare che "X" è un concetto illusorio dato ad una "cosa composta". Secondo me questo è un problema abbastanza grosso del buddismo (ma non solo, di tutte le dottrine che negano un'anima personale, ad esempio Advaita Vedanta - esiste solo l'Io divino - e Taoismo). Viceversa chi ritiene che esiste un'anima "totalmente separata" alla Cartesio ovviamente non spiega niente dell'evidente dipendenza empirica tra "anima" (o supposta tale) e corpo. L'esistenza dell'anima (intesa come un qualcosa "di valore") è una sorta di "postulato etico" che ci costringe ad agire verso una persona in modo da rispettare la sua dignità. A mio giudizio è proprio la ricerca del Valore dell'esistenza (umana e non, ma soprattutto umana e quindi delle "anime umane"...) a slanciare l'uomo verso l'Eternità (e quindi in ultima analisi ad una qualche Realtà Suprema). Il buddismo a mio giudizio, lo vedo come un tentativo coraggioso e rispettabilissimo di trovare il Sommum Bonum senza considerare una sorta di "anima", però purtroppo non mi convince (e ahimé un po' mi scoccia visto che se non fosse per questo mio desiderio "eternalista" sarei probabilmente un seguace del buddismo... pardon Sari  ;D ). Buddismo ed Eternità a parte noi possiamo però solo porci obbiettivi provvisori proprio perchè l'Eternità per noi è "fuori dal nostro campo d'azione" a causa della nostra finitezza e fallibilità :)

Proprio per questo sono anche d'accordo con te sul fatto che una dimenticanza completa sia impossibile, ma una temporanea sia invece "necessaria" per condurre una vita eticamente appagabile. E hai anche ragione sulla parabola.

Sulla centralità/illusione dell'identità ho come la sensazione che in qualche modo siano entrambe vere. Ma non saprei dire in che senso :( penso che ci perderò la testa per un po' di tempo (con poche speranze di successo)
#802
Tematiche Filosofiche / Re:Buddhismo
07 Luglio 2017, 23:51:26 PM
***Precisazione***

Per essere davvero completo: segnalo https://dhammawiki.com/index.php?title=Nibbana . Ad un certo punto c'è scritto: "
A number of teachers have argued that the person does not exist, the being, no matter how great, including the Buddha, cannot be contacted. They argue that there is no soul, no permanent self and that Nibbana is the extinguishment of all defilements, all craving, all suffering, all becoming. They argue that it is not annihilation since there was no being, no soul to begin with." In sostanza visto che non c'era un "io" in partenza alla morte del Realizzato finisce un processo e quindi non rimane niente. Secondo me questa visione delle cose è una visione di un nichilista sconfitto, di un disperato che ha preso in odio la vita. E non credo che Buddha era così. Dire che non è "annientamento" perchè non c'era niente in partenza non si salva dal nichilismo. Chi la pensa così a mio giudizio è incapace di cogliere il "Valore" della vita.
#803
Tematiche Spirituali / Re:La mèta è camminare
07 Luglio 2017, 17:41:16 PM
Citazione di: Angelo Cannata il 07 Luglio 2017, 12:40:33 PMDimenticare se stessi mi sa di spersonalizzazione. Spesso ho notato che l'orante dei Salmi, che furono anche la preghiera abituale di Gesù, non si preoccupa affatto né di concentrarsi, né di dimenticarsi; al contrario, spesso presenta a Dio le proprie preoccupazioni, gli dice che ci sono persone odiose che gli rendono la vita difficile, a volte protesta anche contro Dio stesso, e poi conclude facendo capire di sentirsi rasserenato. In questo senso molti Salmi mi somigliano a delle sedute psicologiche, in cui il paziente si sfoga, si racconta e in questo raccontarsi si reinterpreta, si riconsidera, specialmente sapendo che c'è un altro che lo sta ascoltando; poi alla fine si sente rasserenato, proprio grazie a quest'esperienza di aver tirato fuori i problemi, averli raccontati, riletti, e avendo vissuto nel contempo un'esperienza di sentirsi ascoltato da qualcuno. In questo senso trovo armonia tra l'esperienza espressa nei Salmi e quella elaborata dalla ricerca scientifica in psicologia. Da prete ogni tanto qualche persona mi esprimeva la sua difficoltà a pregare, perché la sua mente a un certo punto perdeva la concentrazione, cominciava a vagare. Io rispondevo che non c'era niente di preoccupante: il pregare cristiano non è concentrazione, ma al contrario, piena assunzione della propria esistenza per quella che è. Una delle preghiere più alte, più sublimi della tradizione cristiana fu quella vissuta da Gesù nel Getsemani prima di essere condannato e crocifisso: ma quella fu una preghiera disturbata, nervosa, andava e veniva dai suoi apostoli, li trovava addormentati, una volta dice loro di riposare, ma un attimo dopo dice di alzarsi e andare. Eppure non ci sono dubbi che quella fu autentica preghiera, altissima esperienza spirituale. Una volta mi accadde di partecipare ad un ritiro spirituale guidato da un altro prete; la prima cosa che disse fu: "Adesso cercate di dimenticare tutto, lasciate a casa le vostre preoccupazioni, non pensate a niente". Istantaneamente mi dissi, tra me e me: "Comiciamo male!". Ci sarebbe tanto da dire sulla tradizione ebraica come memoria, memoria dell'essere stati liberati dall'Egitto, la Pasqua che è un fare memoria, Gesù che dice "Fate questo in memoria di me", la memoria dell'Olocausto. Anche il perdonare non può essere inteso come un dimenticare le offese, ma piuttosto come un reinterpretare in maniera diversa ciò che è successo. Tutto ciò mi ha creato un habitus mentale che dà enorme importanza al non dimenticare, al fare memoria, raccontare. Ovviamente le memorie vanno organizzate, ordinate, altrimenti ci si sperde nella loro moltitudine, ci ritroviamo nel problema che diceva prima Sariputra, il puro accatastare senza armonizzare. Tutto questo mi fa essere quanto meno perplesso quando sento inviti a dimenticare o dimenticarsi.

Ecco uno dei motivi per cui non ho ancora abbandonato l'idea che possediamo un'anima (in un certo senso eterna o comunque in relazione con qualcosa di eterno...) è questa: come si può dare valore alla persona X se la sua identità è illusoria? Per il resto il discorso calza alla perfezione.

Dimenticarsi di se stessi non signfica dimenticarsi delle offese, delle responsabilità ecc. Non a caso le tradizioni che hanno questo tipo di obbiettivo spesso invitano alla meditazione, che aiuta invece a stare saldamente ancorati alla realtà, ai suoi problemi ecc (non a caso il buddismo è un'attività molto introspettiva e di studio della mente...).

Quello che intendevo era del tipo: quando ho imparato a camminare (fisicamente) ho fatto fatica e ho provato dolore e fatica per imparare. Ma oggi il tutto mi viene naturale, in automatico. Allo stesso modo il cammino spirituale forse all'inizio è duro, faticoso, doloroso ecc. Quando veramente lo impariamo ci verrà naturale "camminare" anche in questo senso, saremo liberi dalla paura, liberi dall'odio e così via. Quando realmente saremo esperti saremo "liberi" e sarà come se ci "dimentichiamo" di camminare. Il camminare diventa una "non-azione" (wu-wei...) https://it.wikipedia.org/wiki/Wu_wei...

Comunque ad esempio facendo un esempio biblico il buon samaritano ha dovuto "dimenticarsi" dei propri impegni e delle proprie paure per soccorrere l'altro (un completo sconosciuto). Se penso a situazioni di questo tipo dico: quanto vorrei dimenticarmi di "me" a volte :)

Comunque a mio giudizio un camminare "spirituale" dovrebbe almeno avere obbiettivi provvisori se non definitivi - per evitare la spiacevole sensazione di sentirsi "persi", di camminare alla cieca o di girare in tondo senza accorgersene. Ritengo personalmente che ogni uomo abbia il "bisogno" di verità, di libertà, di pace ecc. Per questo motivo ad esempio conosce ("cammina" per trovare la (le) verità)... Per questo discutiamo su questo forum ecc 

Abbiamo due tendenze diverse in oriente e in occidente: da una parte si tende a vedere l'identità come "illusoria", dall'altra come "centrale". Eppure l'etica è tremendamente simile e ha senso in entrambe le visioni. Mi chiedo (molto probabilmente è fuori tema, quindi si può lasciare lì la domanda e pensarci più avanti): è possibile trovare un punto di incontro tra queste tendenze? :)
#804
Tematiche Filosofiche / Re:Buddhismo
07 Luglio 2017, 11:41:34 AM
Sariputra, sono d'accordissimo con te. D'altrondei il Nibbana deve essere il "Completamente Altro" rispetto al samsara. Nel samsara ci sono distinzioni tra io e mio, ragionamenti per merito/demerito... Il Nirvana è tutt'altro. Non è nemmeno né esistenza né non-esistenza perchè esistenza e non-esistenza  sono sempre legati al nostro modo di vivere "samsarico". In un certo senso si può dire che è una "non-esistenza" perchè è la Cessazione del samasara (e dei concetti relativi al samsara). Ed è una "esistenza" perchè non è il nulla che capiamo noi "esseri colti dal delirio dell'io". La cosa che mi preoccupa è che il "buddismo secolare" e certe sotto-sette Theravada (e forse anche sotto-sette Zen) arrivano con "prove" logiche ad affermare che Nirvana=Nulla. Quindi qui abbiamo monaci che dicono che Nirvana=Nulla e questo lo ritengono giusto perchè in un certo senso è meglio la Morte rispetto alla vita samsarica.

A mio giudizio invece, leggendo anche i tuoi commenti e quelli di altra gente mi sembra di vedere che Nibbana=Vita. Come dici tu ci si libera dalla morte: non si muore perchè dopotutto nel senso ultimo morte, vita ecc sono tutte illusioni. Dopo questa perla però rimango nel mio samsara. Ultimamente mi stanno affascinando le filosofie dello Dzogchen e della scuola Yogacara.

In ogni caso secondo me il buddismo è anch'esso incompleto, seppur a mio giudizio la più sviluppata e "demitologizzata" delle religioni. In ogni caso il Nibbana mi sembra "simile" al Tao, perchè d'altronde il Tao "non crea, non possiede...". Probabilmente la "verità" è proprio in mezzo a queste posizioni.

Edit: avevo messo questo link https://sujato.wordpress.com/2011/05/13/vinna%E1%B9%87a-is-not-nibbana-really-it-just-isn%E2%80%99t/ come esempio di "Nirvana=Nulla". Ricordavo male. L'autore non fa questa conclusione...
#805
Tematiche Spirituali / Re:La mèta è camminare
07 Luglio 2017, 11:26:48 AM
"Studiare il Buddhismo è studiare se stessi. Studiare se stessi è dimenticare se stessi" (Dogen, maestro zen)
Potremo dire che in questo caso si può dire: "dobbiamo camminare per imparare di dimenticarci di camminare".
#806
Il cuoco Ding è intento a smembrare un bue per il principe Wenhui: afferra la bestia con la mano, la spinge con la spalla e, tenendosi ben saldo sui piedi, la regge con le ginocchia. Si odono le ossa dell'animale scricchiolare da ogni parte e la lama penetrare nelle carni a ritmo di musica.


«Bravo!» esclamò il principe «come hai potuto raggiungere un'arte così perfetta?».

Il cuoco Ding posò il coltello e rispose: «Il vostro servo cerca quanto vi è di meglio, ossia il Dao, e si è lasciato alle spalle la mera tecnica. All'inizio, quando ho cominciato questo lavoro, non vedevo che buoi; nel giro di tre anni, non vedevo più il bue. Ora non vedo più l'animale con gli occhi, ma lo percepisco con lo spirito. Il mio coltello si affida alle linee della conformazione naturale: taglia lungo i grandi interstizi, si lascia guidare dalle cavità principali, non sfiora mani nervi o tendini, né mai scalfisce le ossa. Un cuoco normale consuma un coltello al mese, un buon cuoco consuma un coltello all'anno: il coltello del vostro servo è stato usato per diciannove anni, ha squartato migliaia di buoi, ma la sua lama è come nuova.

Detto questo, ogni volta che arrivo ad una articolazione complessa, prima osservo dove è la difficoltà e mi preparo con cura. Il mio sguardo si fissa, i miei gesti rallentano: si vede appena il movimento della lama e, d'un colpo solo, la giuntura è recisa. E io reso con il coltello in mano, mi guardo attorno soddisfatto, poi lo ripulisco e lo ripongo nella sua custodia.

«Magnifico!» esclamò il principe «dopo avere udito le parole del cuoco Ding, so come nutrire il principio vitale»

http://iltaodilao.blogspot.it/2010/11/la-metafora-del-cuoco-ding.html

Oppure se leggi lo "Zen e l'arte della manutenzione della motocicletta" vedi esempi simili.

Il motivo per cui secondo me "non filosofare" (qualunque cosa voglia dire "filosofare") è una filosofia sbagliata è perchè secondo me c'è sempre una scelta. Uno sceglie di non domandarsi niente, di non farsi problemi, di non prendere le cose seriamente ecc. Spero di aver chiarito cosa intendo :) a volte mi sembra di balbettare frasi incomprensibili (e magari insensate)  ;D
#807
epicurus cerco di riponderti in poche ma concise righe,

Intellettualismo significa (per esempio) pensare al PM o all'esistenza di Dio in modo "distaccato", quasi fosse un dovere. "Filosofeggiare" lo vedo più come una sorta di attività in cui ci metti la "passione", ci metti tutto te stesso. Poi ognuno chiaramente pensa a ciò che gli viene meglio pensare: un appassionato di filosofia della matematica penserà a quell'ambito, un ricercatore di Dio penserà a Dio. Ma è anche vero che un'attività "manuale" può essere fatta con questo tipo di ricerca "interiore". Pensa alla storia, se ti è familiare, del cuoco Ding nel Chaung-Tzu.

Sul discorso del non pensare... a mio giudizio se uno prende la vita con serietà filosofa. Forse "filosofare=prendere la vita seriamente"...

Su Wittgenstein: anche io maledico la filosofia a volte quando sono depresso. Però come me Wittgenstein alla fine tornava sempre a filosofare :)

P.S. Per un problema al PC non ho scritto nulla per tre giorni... pardon per il ritardo
#808
Tematiche Filosofiche / Re:Buddhismo
06 Luglio 2017, 19:53:36 PM
Citazione di: Sariputra il 03 Luglio 2017, 01:17:01 AMLa Cessazione non è annullamento. E' molto importante comprendere questa differenza. La cessazione è la fine naturale di tutto ciò che sorge. Non è perciò un desiderio o qualcosa di nuovo che si crea nella mente, ma è semplicemente la fine di ciò che è cominciato, la sua morte, la morte di ciò che è nato. La Cessazione non ha un sé, non viene dalla volontà di "sbarazzarsi di qualcosa", ma è il permettere che ciò che è sorto, cessi. Per far questo bisogna risolversi ad abbandonare la brama d'esistere, lasciarla andare! Abbandonare significa lasciar andar via, nel buddhismo, non cacciare o rifiutare. Con la Cessazione si sperimenta Nibbana. Quando abbiamo permesso di andare ad una cosa , di lasciarci, di cessare, allora si sperimenta la pace. Questa è una pace che si può sperimentare nella meditazione quando, nella consapevolezza, lasciamo sorgere e cessare le cose, rendiamo palesi alla coscienza tutte le sofferenze che vivono nel nostro inconscio e che determinano gran parte del nostro agire e rapportarci all'esistenza. Quando ce ne siamo resi consapevoli, permettiamo loro di lasciarci, di andar via, di cessare; non le alimentiamo più con la nostra paura o con la nostra brama egoistica. Questo è realizzare la Terza Nobile Verità, la Verità della Cessazione. Se non lasciamo andare, permettendo che si attui questo cessare, rischiamo di partire da degli assunti che noi stessi ci costruiamo, senza nemmeno renderci conto di quello che stiamo facendo. Per esempio, solo con la meditazione mi sono reso consapevole che molte paure e sfiducie nascono nell'infanzia ( e nella mia in relazione anche a certe tribolazioni...). Le ho "viste" e ho permesso loro di lasciarmi, di cessare . La mente razionale si rende conto che è assurdo e ridicolo farsi influenzare dagli eventi spiacevoli occorsi, magari nell'infanzia, ma se non permetti loro di lasciarti, e lo puoi fare nella consapevolezza del loro sorgere e svanire, continueranno a salire dall'inconscio e a condizionare il rapporto che abbiamo con la realtà. Ovviamente continuamente se ne ricreano nella mente ( il "lavoro" non si ferma mai... :) ) in relazione a quanto forti sono in noi le radici dell'attaccamento all'esistenza ( tanha). E' corretto riferirsi al Nibbana (Nirodha) definendo ciò che non è (non nato- non divenuto-non composto-ecc.) e anche la sua funzione : dare pace. Una Presenza, una possibilità di pace.

Sono molto d'accordo con te e credo che anche Arthur lo era (non a caso parla di un nulla "relativo"... secondo me è stato male interpretato, di certo il suo disprezzo per la vita che aveva non ha aiutato nessuno... te possino Arthur). L'unica cosa su cui potrei non essere d'accordo è la completa ostinazione dei buddisti a "non ammettere" che Nirvana/Nirodha potrebbe essere "qualcosa di reale". Chiaramente sarebbe uno "stato" senza referimenti all'io e al non-io, senza desideri ecc (d'altronde la Pace (con la "P" maiuscola) richiede completezza) ma questo non significa che il Nirvana sia il nulla. Visto che "è la cessazione della nascita" me lo immagino come un oceano in calma piatta, senza onde (l'esistenza condizionata). Questo non è panteismo perchè il panteismo ha ancora un'attaccamento all'io. Però non è il Nulla perchè l'assoluta calma, il "raffreddamento" di tutti i processi non è necessariamente il nulla:) Anzi ritengo che la positività del Nirvana sia molto importante (non a caso il Buddha era compassionevole e felice, non era "distaccato" ma "non-attaccato" ecc).
#809
Tematiche Filosofiche / Re:Buddhismo
02 Luglio 2017, 23:35:13 PM
Faccio risorgere il dibattito sul rapporto Schopenhauer-buddismo...

"il concetto del nulla è essenzialmente relativo, e si
riferisce sempre ad alcunché di determinato, ch'esso
nega. Codesta relatività fu attribuita (specie da Kant)
soltanto al nihil privativum, indicato col segno – in opposizione
al segno +; il qual segno –, capovolgendo il
punto di vista, poteva diventare +; e in contrasto con
quel nihil privativum, si stabilì un nihil negativum, che
fosse il nulla sotto tutti i rapporti, per esempio, del quale
si cita la contraddizione logica, distruggente se stessa.
Ma, guardando più da vicino, un nulla assoluto, un vero
e proprio nihil negativum non si può neppure immaginare:
ogni nihil negativum, guardato più dall'alto o sussunto
ad un più ampio concetto, rimane pur sempre un nihil
privativum....Noi vogliamo piuttosto liberamente
dichiarare: quel che rimane dopo la soppressione
completa della volontà è invero, per tutti coloro che della
volontà ancora son pieni, il nulla. Ma viceversa per
gli altri, in cui la volontà si è rivolta da se stessa e rinnegata,
questo nostro universo tanto reale, con tutti i suoi
soli e le sue vie lattee, è – il nulla.
" (Arthur Schopenhauer)

"E qual è la proprietà del Nibbana senza nutrimento residuo ? In questo caso un monaco è un arahant i cui influssi impuri sono distrutti, che ha raggiunto il compimento, raggiunto lo scopo, deposto il fardello, raggiunto la meta suprema, distrutto il vincolo del divenire, ed è libero attraverso la perfetta conoscenza. Per lui, tutto ciò che è sperimentato, essendo senza piacere, si estinguerà durante la sua esistenza. Questa è chiamata la proprietà del Nibbana senza nutrimento residuo." (Canone Pali http://www.canonepali.net/itivuttaka-la-sezione-delle-coppie/)

"Questo è stato detto dal Beato, è stato detto dall'Arahant, e così ho sentito: "Vi è, monaci, un non-nato — non-divenuto — non-creato — non-formato. Se non ci fosse il non-nato — non-divenuto — non-creato — non-formato, non ci sarebbe alcuna conoscenza della liberazione da ciò che è nato— divenuto — creato — formato. Ma poiché vi è un non-nato — non-divenuto — non-creato — non-formato, vi è la conoscenza della liberazione da ciò che è nato— divenuto — creato — formato." (idem come sopra)

"Vi è quella dimensione dove non c'è terra, né acqua, né fuoco, né vento; non vi è la dimensione dell'infinità dello spazio, né la dimensione dell'infinità della coscienza, né la dimensione del nulla, né la dimensione di 'né-percezione-né-non-percezione'; non vi è questo mondo, né un altro mondo, né sole, né luna. E lì, io dico, non vi è giungere, né andare, né rimanere; né scomparire né sorgere: non è fisso, né si evolve, senza sostegno (oggetti mentali). Questa, solo questa, è la fine della sofferenza." (Udana 8.1 http://www.canonepali.net/udana-8-1-nibbana-sutta-la-completa-liberazione-1/)

Solo io vedo somiglianze? In entrambi i casi non si parla di "annientamento" ma di "nulla relativo" (qualcosa di completamente diverso dal Samsara). E se quella vecchia volpe di Arthur ci avesse visto giusto?  ;D Io sinceramente ci vedo una fortissima somiglianza: la noluntas di Schop non è il "nulla" (la completa "cessazione" dell'esistenza). Tuttavia se vogliamo essere intellettualmente onesti non possiamo dire nient'altro che termini negativi. Il Nirvana non ha termini di paragone con l'esistenza comune, ergo è "oltre il linguaggio". In ambo i casi la descrizione negativa è chiarissima ma è unilaterale. Per non sciviolare nel Nulla, bisogna dunque anche fare una descrizione positiva. Ma vista la completa "diversità" del Nirvana, la descrizione positiva è poetica e quindi in fin dei conti "insensata"...
#810
Come sempre finisco per "infervorarmi" e spararle grosse (anche involontaramente)  ;D  in particolare vorrei correggere il tiro su un paio di osservazioni.

il "perfino" usato nella frase "concezione che era presente nel mondo ellenistico e perfino tra i primi filosofi cristiani tipo Boezio" non vuole dare discredito alla filosofia/tradizione cristiana. In realtà quel "perfino" significa: anche se a noi oggi dopo i tempi bui dell'inquisizione vediamo come nemiche religione e filosofia dobbiamo renderci conto che non è sempre stato così (e oggi sembra che stiamo tornado a quei tempi o almeno è questa l'impressione che mi sono fatto parlando con due teologi).  Perarltro ci sono ottimi filosofi cristiani anche nel medioevo (Niccolò Cusano, Occam, per certi versi anche Tommaso ecc).

L'altro punto su cui vorrei puntualizzare è il seguente: se per filosofia intendiamo "amore per la saggezza" allora vediamo che un uomo saggio che non conosce quasi nulla è in un senso importante un miglior "filosofo" di un professore di filosofia. La concezione moderna della filosofia come un "sapere" come la scienza o la storia ecc si dimentica che la filosofia è sempre stata un'attività nella quale si è sempre riconosciuto il limite delle nostre facoltà intellettuali. Dunque non è di certo all'Onniscenza che gli antichi maestri volevano portarci. In verità mi sembra che volevano portarci ad una sorta di "purificazione e perfezione della mente". Quindi sotto questo aspetto un uomo saggio "ignorante" può avere una mente "migliore" di un altro più acculturato. Gli antichi lo sapevano bene: il punto della filosofia è quello di lavorare su se stessi, sull'unica cosa che possiamo davvero influenzare con una certa possibilità di successo, la nostra stessa mente. Purtroppo è una concezione che si è persa.