Rispetto alle dispute religiose trovo illuminante questa pagina di F.Nietzsche tratta da Ecce Homo (neretto mio):
Perché sono così accorto
1.
- Perché ne so un po' di più? Perché, in generale, sono così accorto? Non ho mai riflettuto su problemi che non fossero tali, - non mi sono mai sprecato. - Ad esempio, non conosco per esperienza le vere e proprie difficoltà religiose. Mi è completamente sfuggito in che senso dovrei essere «peccatore». - Allo stesso modo mi manca un criterio valido su cosa sia un rimorso: da ciò che se ne sente dire un rimorso non mi sembra nulla di notevole... Non vorrei piantare in asso un'azione per quel che ne è stato dopo, preferirei lasciare completamente fuori da un giudizio di valore l'esito negativo, le conseguenze. In presenza di un esito negativo si perde persino troppo facilmente la giusta visione di ciò che si è fatto: un rimorso mi sembra una sorta di «malocchio». Tenere tanto più in considerazione qualcosa che è fallito, proprio perché è fallito - questo piuttosto appartiene alla mia morale. - «Dio», «immortalità dell'anima», «redenzione», «al di là», tutti concetti ai quali, anche da bambino, non ho dedicato nessuna attenzione, e neppure il mio tempo - forse non sono mai stato abbastanza infantile per questo? - Non conosco affatto l'ateismo come risultato, ancor meno come avvenimento: esso mi è congeniale per istinto. Sono troppo curioso, troppo problematico, troppo irriverente, per accontentarmi di una risposta così piattamente grossolana. Dio è una risposta piattamente grossolana, un'indelicatezza verso noi pensatori -, in fondo, persino un grossolano divieto nei nostri confronti: non dovete pensare!... In modo ben diverso mi sta a cuore un problema dal quale, molto più che da una qualsiasi curiosità da teologi, dipende la «salvezza dell'umanità»: il problema dell'alimentazione...
Perché sono così accorto
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- Perché ne so un po' di più? Perché, in generale, sono così accorto? Non ho mai riflettuto su problemi che non fossero tali, - non mi sono mai sprecato. - Ad esempio, non conosco per esperienza le vere e proprie difficoltà religiose. Mi è completamente sfuggito in che senso dovrei essere «peccatore». - Allo stesso modo mi manca un criterio valido su cosa sia un rimorso: da ciò che se ne sente dire un rimorso non mi sembra nulla di notevole... Non vorrei piantare in asso un'azione per quel che ne è stato dopo, preferirei lasciare completamente fuori da un giudizio di valore l'esito negativo, le conseguenze. In presenza di un esito negativo si perde persino troppo facilmente la giusta visione di ciò che si è fatto: un rimorso mi sembra una sorta di «malocchio». Tenere tanto più in considerazione qualcosa che è fallito, proprio perché è fallito - questo piuttosto appartiene alla mia morale. - «Dio», «immortalità dell'anima», «redenzione», «al di là», tutti concetti ai quali, anche da bambino, non ho dedicato nessuna attenzione, e neppure il mio tempo - forse non sono mai stato abbastanza infantile per questo? - Non conosco affatto l'ateismo come risultato, ancor meno come avvenimento: esso mi è congeniale per istinto. Sono troppo curioso, troppo problematico, troppo irriverente, per accontentarmi di una risposta così piattamente grossolana. Dio è una risposta piattamente grossolana, un'indelicatezza verso noi pensatori -, in fondo, persino un grossolano divieto nei nostri confronti: non dovete pensare!... In modo ben diverso mi sta a cuore un problema dal quale, molto più che da una qualsiasi curiosità da teologi, dipende la «salvezza dell'umanità»: il problema dell'alimentazione...