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Messaggi - Phil

#811
Citazione di: viator il 14 Novembre 2021, 13:30:51 PM
una volta che trovi attorno a sè un ambiente favorevole alla propria crescita........................per inesorabile legge di natura tenderà ad espandersi in esso, occupandolo fin dove e fin quando materialemente e biologicamente possibile.
L'autolimitazione spaziale della specie umana si concretizza nei parchi (grandi e piccoli), nelle riserve protette, nelle oasi naturalistiche, etc.; tutti spazi che potrebbero essere facilmente occupati e "civilizzati", ma invece si è scelto di limitarne l'utilizzo (concedendo magari "incursioni turistiche", ma non la stanzialità e l'urbanizzazione, che sicuramente renderebbero economicamente di più...).

Citazione di: viator il 14 Novembre 2021, 13:30:51 PM
E' quindi impensabile che una specie "decida" oppure "risulti programmata" per cessare di riprodursi e di espandersi una volta raggiunta una certa qual soglia.
La specie in sé non prende decisioni (perché in realtà non esiste, è solo il nome collettivo assegnato da una classificazione), sono i singoli umani, presi a coppie (senza scendere nei dettagli), a decidere se riprodursi o meno e l'individuo può da tempo scegliere se cessare di moltiplicarsi (e con un po' d'attenzione e con l'ausilio di apposite "tecnologie", senza nemmeno scomodare le quaglie, nel 99% circa dei casi riesce nel suo intento).
#812
Tematiche Culturali e Sociali / La riverenza
13 Novembre 2021, 20:18:52 PM
@viator
Per la tematica inerente la schwa puoi trovare una breve spiegazione contestuale qui.
#813
Tematiche Culturali e Sociali / La riverenza
13 Novembre 2021, 18:05:47 PM
Non so se nella Bibbia greca e poi in quella latina fossero presenti letteralmente forme differenti dal «tu» (ma scommetto sul «no»); credo comunque, come anthonyi, che forme di cortesia reverenziale si addicano poco allo "spirito" della preghiera cattolica (e ignoro cosa si usi nelle altre religioni).
Attualmente, più che su l'uso ossequioso dei pronomi, il dibattito linguistico pare concentrato su forme "inclusive" e non discriminanti di "desinenze di genere" (come dimostra il caso della «schwa», ə).
#814
Citazione di: Alexander il 07 Novembre 2021, 18:16:01 PMCome posso dimostrare che il senso di una porta è quello di aprire o chiudere un vano, dovrei poter trovare il significato della storia umana, ossia per qual motivo essa esiste.Io semplicemente sostengo che questo significato, in assenza di un autore, non si trova.
Sulla scia di quanto scritto in precedenza, direi che non lo si trova e inoltre non c'è modo di attribuirlo soggettivamente senza (poter) essere consapevoli che si tratta di un'attribuzione convenzionale, non di un rilevamento "oggettivo" di un nesso storia/senso. Le ricadute di tale aporia del senso (che non è essenzialmente "sensato" ma non può confessare di non esserlo) comporta che vacillino le fondamenta, sebbene non le costruzioni, di tutte le sotto-attribuzioni di senso. Ad esempio, in altro topic, ci si chiede come gestire l'inquinamento, concentrandosi/decentrandosi sul futuro (il cosa/come fare per...); tuttavia, non solo giocando con le parole, il senso del futuro non è forse il futuro del senso? Detto in soldoni: se non c'è un senso nella storia come (e perché) progettare il futuro dell'umanità? La retorica del "dover lasciare un mondo migliore ai nostri figli" o il "non uccidere la natura" sono comandamenti che si basano su un senso ritenuto forte (almeno a parole, nelle prassi economiche altri sensi si dimostrano ben più predominanti), sono i dogmi di una visione della vita (piuttosto condivisa, ma sappiamo che la condivisione non comporta affatto "oggettività") che presuppone comunque un (meta)senso, altrimenti tali imperativi non avrebbero a loro volta un senso derivato (l'impegno per lasciare alle generazioni future un mondo con meno Co2 ha senso solo se ha senso fare il possibile per la proliferazione dell'umanità, che ha senso solo se si ritiene che ciò sia un bene, dovere morale o altro, che ha senso solo se si crede in tale bene/morale/altro, etc.).
Pur sapendo che la morte (se non l'estinzione) fa parte della vita, etc. si fa fatica, esistenzialmente, ad accettare che la propria specie, in virtù della sua vantata intelligenza, abbia prodotto strumenti e dinamiche sociali che ne stanno minacciando la sussistenza (con ironica tensione verso il suicidio/eutanasia); minaccia che comunque non è imminente per le generazioni attuali quindi, se non ci fosse un "senso del futuro" come "futuro del senso", per dirlo bruscamente (come non si dovrebbe fare) in fondo non si porrebbe nemmeno il problema del "futuro anteriore". Se si fosse coerenti con una visione "semanticamente" povera di valori "universali", ereditati sommessamente dalle religioni, ovvero se non si considerasse davvero l'uomo come "affittuario della vigna" o come "creatura che non deve estinguersi perché Dio l'ha creata per vivere e moltiplicarsi", se si considerasse che l'istinto di sopravvivenza e uno di quegli istinti che riguarda l'individuo (e solo divinizzando/umanizzando la natura lo si estende alla Specie elevata ad Essere vivente), il senso del futuro sarebbe più scialbo e risveglierebbe meno impegno ecologico e sociale, nella consapevolezza (non fatalistica, ma storico-scientifica) che se e quando non sarà possibile adattarsi evolvendosi accadrà ciò che è sempre accaduto in natura (il che, con riferimento a quanto osserva InVerno nell'altro topic, non significa essere bramosi di morte o di apocalissi, ma soltanto essere consapevoli di dinamiche sovra-umane senza che il "senso" di tali dinamiche sia che tanto vale distruggere tutto o andarsi ad impiccare, come ben raffigurato dalla nota storiella del monaco caparbiamente aggrappato al caduco ramo sopra le tigri, intento a gustarsi la fragola che ha trovato vicino al medesimo ramo: suggerire al monaco di buttarsi perché ormai tutto è perduto significherebbe non aver capito quanto gli piacciano le fragole...).
In un orizzonte senza un dio, l'uomo dà un senso alla sua presenza nel mondo assecondando i propri istinti (sopravvivenza, riproduzione, etc.) sublimandoli in discorsi di senso che, toccando le corde biologiche comuni a tutti gli umani, risuonano ragionevoli in tutte le culture; eppure, proprio come per l'etica, il campo d'applicazione di un concetto/senso non dovrebbe essere (a rigor di logica) il suo fondamento, e se accade tale coincidenza si è in un circolo vizioso (in cui quel senso si autofonda, si autodimostra, etc. come da petitio principii, fallacia naturalistica e altre amene circolarità meta-fisiche e teologiche), autoreferenzialità che non ha solidità epistemica "oggettiva", ma è nondimeno avvertita socialmente come una necessità strutturale (e strutturante), almeno allo stato attuale della generica prospettiva umana nella sua estensione più trasversale e interculturale. Siamo dunque tutti sulla stessa barca/pianeta rassicurandoci a vicenda che la sua rotta abbia come minimo un senso (ma davvero le orbite planetarie hanno un senso?), sebbene in pratica, proprio come ciascuno può attribuire un "senso personalizzato" alla sua permanenza, ci si può anche render conto che a tutti i sensi (salvo appunto la fede in un'indimostrabile divinità, che allarga il discorso oltre l'immanenza) manca, inevitabilmente e strutturalmente, un solido aggancio fondante con la realtà (a prescindere dalle conseguenze a posteriori del senso); sebbene le narrazioni storiche di cui siamo autori, credendo di esserne solo protagonisti, hanno il senso "merito" di farci sentire... sensati.

P.s.
Posto questo messaggio qui e non nell'altro topic sull'inquinamento perché mi interessa mettere l'accento sulle dinamiche del senso (e sulle sue ricadute nell'esempio proposto), per cercare di descriverle piuttosto che prescrivere quali siano i valori da tener ben saldi o le azioni da compiere per sostenere il senso (o i sensi) che finora si è assegnato alla storia umana.
#815
Il capro espiatorio (sia esso animale, umano, concettuale o spirituale) è uno degli ingranaggi messi in moto dalla dinamica del senso (una volta che questa sia innescata, innesco tramite mano/mente umana che dimostra ulteriormente come tale dinamica non sia una necessità trascendentale "oggettiva"): che cosa espia il capro? Una colpa. Di chi? Non sua. Come? Tramite un'investitura/attribuzione di... senso, appunto. Il senso del sacrificio del capro è assegnato dal sacrificante (nel caso di Cristo si ha coincidenza fra sacrificante e sacrificato, ma è un'altra storia), di per sé il capro non ha colpa (né la sua morte naturale avrebbe un senso), ma alla sua morte indotta viene assegnato un senso convenzionalmente (seppur ritualmente e nessun rito si autopresenta come mera convezione), senso che chiaramente esula dall'immanenza del perire della vittima sacri-ficale (fatta sacra, non nata sacra né necessariamente sacra; siamo sempre nell'attribuzione umana di un senso trascendente ad un'immanenza priva di senso innato).
La stessa dinamica semantica di attribuzione soteriologica può essere applicata sociologicamente, esistenzialmente, etc. la caccia al colpevole si ripiega spesso in una inconsapevole caccia al capro espiatorio, soprattutto quando c'è di mezzo sofferenza o morte a cui sentiamo il bisogno di dover (v. sopra) attribuire un senso, poiché l'insensatezza ha in sé l'ombra di un'insensibilità in cui magari non ritroviamo la nostra visione del mondo (l'attuale situazione sanitaria fornisce abbondanti esempi di come la ricerca del capro espiatorio faccia spesso, metaforicamente, affilare le spade e le lingue mentre si socchiudono gli occhi di fronte ai fatti oggettivi; è solo un esempio e non voglio deviare il discorso, per quanto sia facile prevedere che ognuno ci vedrà il senso che vorrà vederci, decidendo chi è il capro espiatorio di quale colpa, assegnando i ruoli tramite la suddetta "investitura apotropaica").
#816
Tematiche Filosofiche / accettazione del dolore
03 Novembre 2021, 11:38:03 AM
Per me il dolore, come il suo contrario, è la reazione (di durata variabile a seconda del soggetto) che separa un evento dalla sua accettazione, intesa come "digestione" (come suggerisce Jacopus). La prima reazione spontanea (psicologica, fisiologica, etc.) ad un evento negativo è il dolore, tuttavia ad esso può seguire l'accettazione, non del dolore stesso (che è un'esperienza che non si può controllare a piacimento), ma dell'evento che l'ha causato. Una volta metabolizzato l'evento, l'effetto domino sarà il venir meno della intensità del dolore che da quell'evento scaturisce; fermo restando che non si resterà indifferenti al ricordo dell'evento spiacevole, la cui accettazione non significa rimozione dalla memoria (ripensare a quell'evento produrrà magari inizialmente solo dispiacere, forma attenuata di dolore, poi gradualmente diventerà una reazione sgradevole sempre più tenue, ovviamente senza mai diventare assoluto distacco emotivo). Ad esempio, accettare l'assenza irrimediabile di un defunto è secondo me il primo passo per attenuare il dolore che ne deriva: finché non accetto che quella persona "non c'è più" (e vorrei invece ci fosse), non posso non provare dolore. In questo caso, come ci suggeriscono da oriente (ma non solo), conviene concentrare i propri "sforzi mentali" sulla causa, piuttosto che sull'effetto indesiderato: più che cercare di accettare il dolore, rendendolo un logorante compagno di viaggio, conviene accettare ciò che l'ha causato (la morte, l'assenza) che è di fatto un compagno di viaggio che non possiamo non avere (essendo l'assenza di quella persona irreversibile) e che dunque, volenti o nolenti, non ci resta che accettare, a prescindere dal dolore che vi si associa.
Lo stesso meccanismo di metabolizzazione avviene (più spontaneamente) con la felicità: se qualcosa mi rende felice, non posso agire direttamente sulla felicità, per aumentarla o diminuirla; tuttavia quando ho metabolizzato ciò (l'evento, la condizione, la novità, etc.) che mi rende felice, a sua volta la felicità andrà scemando; se accetto come compagno di viaggio la presenza di una persona cara (ad esempio nel rapporto di coppia), la felicità di tale presenza andrà solitamente attenuandosi man mano che tale presenza viene metabolizzata, salvo avere delle "vampate di felicità" quando tale presenza innesca o partecipa ad eventi felici, eventi la cui metabolizzazione ridurrà con il tempo la felicità causata dall'evento (portando alla sua accettazione, e così via...).
#817
Citazione di: Alexander il 02 Novembre 2021, 16:04:42 PM
Quindi concordi con me che la storia umana non ha alcun senso? cit.:"perché la condizione di possibilità del dare senso è che non ci sia senso da scoprire, ma solo uno (o molti) da inventare/attribuire. "
Tanti sensi soggettivi inventati non fanno un senso condiviso. La domanda si pone sul senso oggettivo della storia, non su quello soggettivo. In mancanza di un senso oggettivo sorge il sentimento di vanità (soggettivo.Perché ovviamente un sentimento non può che essere soggettivo) della storia umana.
Un «senso oggettivo» non credo possa esserci, né nella storia né in altro, poiché il senso per sua "natura", è sempre il risultato di un'attribuzione, sia essa soggettiva o collettiva. Possiamo certo dire che ci sono sensi "oggettivi" se visti dall'interno dei rispettivi paradigmi, sebbene, come detto, allargando lo sguardo al loro esterno ci siano altri sensi, altre "(pseudo)oggettività" che quindi rivelano l'assenza di senso come autentico punto di partenza (partendo dal quale sono nate nella storia differenti e divergenti culture, pensieri politici ed estetici, etc.). Il problema del senso credo sia costitutivamente estraneo a quello dell'oggettività (almeno se intesa epistemologicamente), se non per il fatto che "oggettivamente" il senso (inteso genericamente come valore-significato) è un'alterità contingente e astratta rispetto all'oggetto immanente a cui viene riferita/attribuita.
L'esser vana della storia umana è come l'esser vano del moto dei pianeti o l'essere vano di uno scambio di elettroni: può esser sensato definirli «vani» solo se ci si aspettava che dovessero/potessero avere un senso, altrimenti si sta solo applicando una predicazione (quella dell'aver o no «senso») non pertinente (come se dicessi che il codice della strada è anaerobio: non essendo qualcosa di biologicamente vivo, non ha molto senso osservare come quel codice non necessiti di ossigeno... per quanto questa sia a suo modo un'affermazione comunque vera).
#818
Il senso si dà («si» impersonale, non riflessivo) a ciò che è intrinsicamente, essenzialmente, privo di senso: se possiamo assegnare un senso a qualcosa (la vita, la storia, etc.) senza timore di venir smentiti dai fatti, senza che tale senso venga falsificato, è perché la condizione di possibilità del dare senso è che non ci sia un senso da scoprire, ma solo uno (o molti) da inventare/attribuire. La possibilità dell'assegnazione di sensi multipli, anche contraddittori ed autoescludenti, ma nondimeno coesistenti, è un non-senso solo assumendo la singola prospettiva di uno dei sensi, tuttavia non c'è, ovviamente, immanenza che possa risolvere la questione di quale sia il senso trascendente e già il chiedersi «quale sia il senso» significa aver dimenticato l'assenza di partenza per entrare nel gioco social-esistenziale dell'assegnazione, del riempimento, della semantizzazione, etc. con attitudine spesso monologica (autoreferenziale), monoteistica (quindi monoculturale) e monosemantica (perché la polisemia è insidia che rende il senso perturbante).
Se si parte dal presupposto che «deve esserci un senso», basterebbe indagare a fondo quel «deve», per svelarci se stiamo parlando di un dover-esserci ontologico o etico o esistenziale o altro; eppure, allargando lo sguardo alla "comunità globale", il passaggio dall'assenza di senso alla poli-semia, al poli-teismo, alla poli-trascendenza è un passo breve, per quanto tenda talvolta a rinnegare retroattivamente il vuoto da cui proviene, altrimenti non potrebbe presentarsi come indagine di un senso credibile.
Affermare che togliendo il garante del senso che abbiamo assegnato alla storia umana (come collettività) essa risulterebbe priva di senso, è praticamente una tautologia (se non si vuole implodere nel senso soggettivistico) ed è anche un modo archéologico per ricordare (forse involontariamente) quanto sia arbitraria l'assegnazione del senso a qualcosa che arbitrario non è, come la storia, la vita umana, etc. se tale assegnazione non fosse arbitraria potremmo costruirci sopra un'"epistemologia del senso" che non ricada nelle circolarità fallaci tipiche dell'autofondazione di alcuni paradigmi, più o meno "spirituali".
La dimensione semantica, la "semantomania", è sicuramente atavico marchio dell'humanitas nella sua lettura del mondo, marchio che dà valore convenzionale e trascendente all'immanente (tanto quanto è convenzionale e "trascendente" il valore della moneta, che pure regola e scandisce gran parte delle dinamiche immanenti umane); tale valore organizza e muove gli individui così come le regole del gioco organizzano e "muovono" i giocatori, tuttavia passare dalla verità (riscontrabile e "sostanziale") del movimento dei giocatori alla "verità" (formale) delle regole del gioco è legittimo solo per chi ha accettato di giocare (ad esempio, ovviamente per un credente cristiano è innegabile che se non ci fosse il dio cristiano la storia non avrebbe un senso cristiano). Chi è fuori dal gioco osserverà invece come altri giochi prevedrebbero altre regole e altri movimenti per i medesimi giocatori (banalizzando all'ennesima potenza: è "vero" che Ronaldo non può toccare la palla con le mani finché gioca a calcio, ma quando Ronaldo gioca a pallavolo con gli amici è "vero" che può toccarla con le mani; allora qual è la "vera" regola per usare la palla? Posta così, decontestualizzata in astratto, la domanda non ha senso, se non si chiarisce di quale gioco stiamo parlando; ugualmente, se non si chiarisce di quale prospettiva di senso stiamo parlando, non sappiamo a quale tautologia possiamo aporeticamente affidarci...).
#819
Percorsi ed Esperienze / La Grotta
30 Ottobre 2021, 21:42:57 PM
Citazione di: Jacopus il 29 Ottobre 2021, 23:02:24 PM
è questa "virtualizzazione" dei messaggi ad essere impressionante e a far sorgere la certezza della cristallizzazione delle strutture sociali dominanti, a causa dell'impossibilità di ogni critica "reale", perché ogni critica reale viene assorbita da una macchina virtuale che intrattiene ed incassa, divaricando così ogni nesso fra opera del pensiero ed azione politica.
La distanza che intravvedo fra arte e prassi di (reale) impegno sociale, passando per le dinamiche di comunicazione autorali, è quella fra due strade che magari si incrociano ma hanno essenzialmente destinazioni differenti, ovvero l'impegno sociale può essere pragmatico ma per farlo non può che prendere le distanze dalla strada dell'arte che, in quanto tale, ispira ma non agisce, con il rischio potenziale che troppa ispirazione inibisca l'azione. Secondo me c'è infatti poca "distanza logica" fra i famigerati "laureati in virologia su facebook" e "i laureati in politologia/sociologia al cinema": se una volta l'arte figurativa narrava le storie della Bibbia agli analfabeti, oggi forse ci si augura che il cinema spieghi le dinamiche sociali anche agli analfabeti funzionali, per quanto in entrambi i casi si tratti di una scadente scorciatoia per riparare ad una carenza di alfabetizzazione (e lo scrive un analfabeta di geopolitica, economia, etc.). Nel momento in cui si è in grado di leggere, reperire fonti (e, oggi più che mai, filtrarle), approfondire, etc. il plus-valore (cognitivo, prima che pragmatico) di un film sulle ingiustizie sociali tende allo zero, così come se si è stati attenti quando a scuola si parlava delle persecuzioni naziste agli ebrei, guardare "Schindler's list" dovrebbe risultare poco più di un appello alle emozioni (se invece si è stati distratti, quel film può magari essere una lezione di recupero, uno strumento "di sostegno", per chi si è perso quella spiegazione). Se l'arte fa intrattenimento (edonismo, come dicevo sopra), se l'arte fa l'arte, senza sostituirsi al giornale o al saggio di approfondimento, senza dare ripetizioni di sociologia o politica, secondo me può persino essere un modo per indirizzare chi ha sinceri interessi socio-politici verso fonti più serie (e noiose, certo, ma la ricerca e il ragionamento approfondito su certe questioni non sono compatibili con il sollazzo dei sensi) e al contempo ridurre le possibilità che l'attivismo di certi "militanti socialmente impegnati" inizi con l'entrare al cinema e finisca con lo scrivere un post di commento post-film su un social. Un recente esempio, per quanto infelice nei contenuti, di come non serva la "sensibilizzazione e promozione artistica" per (s)muovere le folle, può essere quanto successo al Congresso americano all'uscita di scena di Trump: invasione farcita da selfie e volgarità varie, con toni grotteschi degni di un film trash, ma che, pur nella sua gravità istituzionale, è stato un evento che incarna, suo malgrado, la "spirito" della famosa tesi di Feuerbach sul "agire trasformativo" che scalza il pensoso interpretare dei filosofi (anche se a tale evento non mi risulta siano seguite grosse trasformazioni, è stato comunque un gesto collettivo decisamente pragmatico; come dire: mentre qualcuno è in sala, che sia per un "cinepanettone" o un docufilm socialmente impegnato, altri sono in strada e non importa quanto è critico della società il film che è in proiezione, la storia, grande e piccola, si scrive fuori dal cinema).

Va anche detto che oggi non è tutta una "società dello spettacolo": ci sono testi, documentari, inchieste, etc. in cui il messaggio non è certo il medium (anche se non siamo al livello dei vangeli o de "Il capitale" ed è inevitabile che non si possa esserlo), ma esso è l'insieme di contenuti e il taglio interpretativo (magari opinabile) con cui questi sono "confezionati"; tuttavia tali produzioni sono solitamente carenti d'arte proprio perché devono fare i conti con la realtà e con il loro voler dire qualcosa di informativo, di stimolante per la riflessione, senza essere ambiguamente metaforici o allusivi. L'opera di intrattenimento può invece concentrarsi sull'estetica a scapito del valore veritativo e della trasparenza espositiva (per cui la stessa opera può prestarsi a più interpretazioni, mentre, ad esempio, il senso di "the social dilemma" è piuttosto univoco). Tornando a quanto accennato sopra, direi che resta importante distinguere chiaramente, nella triangolazione autore-opera-senso, che tipo di relazione è in gioco con la realtà: si tratta di cronaca, di proposta di come il mondo dovrebbe essere (secondo l'autore), di intrattenimento o altro?
Per quanto nella contemporaneità il ritmo di eventi ed opinioni possa essere frastornante, credo sia comunque possibile fare una "reale critica del reale" senza passare per l'irrealtà (e la "semplificazione per amor di metafora") della narrazione artistica, lasciando ovviamente che l'arte strizzi pure l'occhio a tematiche sociali e serie, ma (per me) non è in quell'occhio che troveremo la trave da togliere per costruire un'impalcatura sociale più consona ai nostri desiderata, mentre con la pagliuzza che potremmo eventualmente rinvenirci possiamo al massimo accendere la pipa delle nostre riflessioni (perché a fumar la pagliuzza, essendo minuta, si consumerebbe troppo presto...).
#820
Percorsi ed Esperienze / La Grotta
29 Ottobre 2021, 22:11:05 PM
Citazione di: InVerno il 29 Ottobre 2021, 20:48:24 PM
Come minimo "vogliono dire" di essere degli apostoli, o perlomeno dei testimoni oculari [...] le descrizioni dei luoghi che arrivano fino alla flora vorrebbero dare ad intendere che sono testimoni oculari [...] E infatti per parecchio tempo si è pensato che questo fossero. Non necessariamente degli apostoli, anche se  logicamente servirebbe che lo fossero per descrivere alcuni momenti in cui nessun altro era presente, ma questo va oltre a quelli che erano i canoni storiografici  probabili del tempo [...]
In secondo luogo "vogliono dire" molto, perchè sono dei mitografi, non storici
Il "voler dire" degli apostoli (o presunti tali) dipende da come ci poniamo; se, come detto, adottiamo la «"migliore" delle ipotesi (teologicamente parlando)»(cit.) o «il peggiore dei casi (filologicamente parlando)»(cit.). Nel primo caso (v. tuo «come minimo...»), gli apostoli non vogliono dire nulla nel senso che la loro intenzione comunicativa (e forse anche lo stile narrativo, ma qui mi sbilancio troppo con la memoria) è quella del cronista, che vuole certamente raccontare ma non può mettere il suo "voler dire" semantico nel testo, non può spiegare il suo testo con «quello che ho voluto dire con il mio vangelo è che...» alludendo ad un significato che in quanto autore ha deciso di comunicare e di cui il testo è significante (alludo ancora, implicitamente, all'autore di "Squid game" quando esplicita cosa voleva dire con la sua serie). Se ci poniamo nel «peggiore dei casi (filologicamente parlando)» (v. tuo «in secondo luogo...») il loro testo, non essendo descrittivo della realtà, non essendo una cronaca, può voler dire qualcosa come qualunque opera di fantasia o liberamente ispirata alla realtà, ma "non vuol dire nulla" nel momento in cui si (auto)presenta come testo religioso veritativo e viene poi dimostrato filologicamente che non può esserlo (e qui sfondi una porta divelta, ma non volevo metterla troppo sul religioso; diciamo che sarebbe come, ritornando sempre a "Squid game", se il regista esordisse con «ecco come sono andate le cose nel 2010 nei sobborghi di Taiwan..." per poi narrare fatti che evidentemente non sono episodi realmente avvenuti ma perlopiù parto della sua fantasia o quantomeno rivisitati con molte "licenze poetiche"; come comunicazione di cronaca "non vorrebbe dir nulla", non avrebbe valore veritativo, e come narrazione sarebbe azzoppata dall'incoerenza di date, luoghi, nomi che sono già stati "riempiti ed occupati" dalla storia reale).
#821
Attualità / Mai dire "sì"...soprattutto al telefono!
28 Ottobre 2021, 15:16:02 PM
Quel decreto legislativo all'art. 51 comma 6 recita (corsivo mio): «Quando  un  contratto  a  distanza  deve  essere  concluso  per telefono, il professionista deve confermare l'offerta al consumatore, il quale e' vincolato solo dopo aver firmato l'offerta o dopo averla accettata per iscritto; in tali casi il  documento  informatico  puo' essere sottoscritto con firma elettronica ai sensi  dell'articolo  21 del  decreto  legislativo  7  marzo  2005,  n.   82,   e   successive modificazioni. Dette  conferme  possono  essere  effettuate,  se  il consumatore acconsente, anche su un supporto durevole.». Quindi, se non ho frainteso, se non c'è conferma dell'accettazione del contratto su supporto durevole, il contratto non è valido (non credo che con «supporto durevole» ci si riferisca ad un file audio).
#822
Attualità / Mai dire "sì"...soprattutto al telefono!
28 Ottobre 2021, 13:53:37 PM
A rigor di logica per intestare un contratto, soprattutto se riferito ad un'utenza di energia o altro, non bastano nome, cognome ed un «sì», serviranno almeno l'indirizzo dell'utenza, il codice fiscale, etc. dati che il famigerato call center potrebbe anche non avere. Pare comunque che ci sia una legge che impedisce la stipula di contratti a voce (fonte).
#823
Percorsi ed Esperienze / La Grotta
27 Ottobre 2021, 22:06:19 PM
Citazione di: InVerno il 27 Ottobre 2021, 13:25:11 PM
Nel caso di NT la differenza è diametrale, l'autore è completamente sconosciuto e rimanere solo il contesto generico, ma ipotizziamo che fossero davvero Marco o Luca gli autori, come affronteremmo il testo? Li affronteremo probabilmente non come "individui", ma li astrarremo a deus ex machina, a manifestazione del logos, a strateghi.
L'esempio del Nuovo Testamento è, come detto, un caso sui generis se vogliamo triangolare autore-testo-senso: nella "migliore" delle ipotesi (teologicamente parlando) gli evangelisti non vogliono dire nulla, non hanno la "mano libera", ma si limitano a raccontare/descrivere, ad essere cronisti, autori in senso letterale ma non letterario; nel "peggiore" dei casi (filologicamente parlando) hanno romanzato, se non inventato, episodi (in)verosimili proponendoli come fatti veri (quindi, giocando ad "attualizzare", la resurrezione di Lazzaro sarebbe una fake news e l'account twitter di Giovanni verrebbe censurato, spingendolo a cercare rifugio in "Truth" o altri social "indipendenti"). Se i fatti narrati nei Vangeli sono veri, non importa se l'autore si chiami Tizio o Marco, se siano quattro o cento (cosi come non importa chi sia l'autore della "stele di Rosetta"), poiché, trattandosi della biografia e delle parole di Cristo, ciò che conta è che la descrizione sia attendibile (dopo tale verifica, l'autore più che morto è irrilevante); se invece si tratta di leggende o "mezze verità", che essendo false non sono attendibili come biografia (con tutte le annesse conseguenze), anche in questo caso non conta chi le abbia scritte (come non conta chi sia l'autore di una fake news una volta accertata che sia fake, salvo volerne diffidare in futuro, ma non può essere questo il caso, trattandosi di autori che non scriveranno nulla di nuovo essendo morti, e non in senso metaforico). Diverso è il caso del Corano dove c'è un presunto autore (divino), uno scrittore (umano), un testo e un significato da indagare; in questo caso, non trattandosi di mera biografia, ma di precetti piuttosto "importanti", chi sia l'autore (divino o umano) fa molta differenza... e il suo eventuale voler dire è ciò a cui si rivolge l'esegesi coranica. Chiaramente, sia la veridicità delle narrazioni apostoliche che la dettatura del Corano da parte di un dio sono infalsificabili e, non a caso, oggetto di fede molto prima che di esegesi.
Nei film/serie come "Squid game", a differenza dei Vangeli e del Corano, la verità intesa come "oggetto" di narrazione/descrizione/documentario/inchiesta/etc. è assente (essendo dichiaratamente un'opera di fantasia, distopia, etc.), la realtà fa "solo" da musa per una trama il cui senso è in ciò che l'autore espone e, come giustamente osservi, nella strategia con cui lo espone; non si tratta di descrivere la realtà bensì di dargli (dare, non scoprire) un senso tramite una sua trasfigurazione, puntandogli contro una luce prospettica (con le inevitabili ombre che ne conseguono), proprio come avviene nella differenza fra fotografia e pittura (anche se la fotografia come arte espressiva è a cavallo fra le due, ma credo che il senso a cui alludo sia comunque chiaro).
#824
Percorsi ed Esperienze / La Grotta
27 Ottobre 2021, 11:54:34 AM
Citazione di: InVerno il 25 Ottobre 2021, 21:23:15 PM
Sempre per dirla con Eco, l'autore di un testo non è la persona fisica, ma è la strategia testuale usata..
Se abbracciamo questa visione deumanizzata dell'autore, della firma, etc. allora il rapporto fra Esopo e i megafoni degli opinionisti (che diventano tali solo perché hanno il megafono, non per "merito") è un falso problema; se non si passa dalla strategia testuale alla mano che la dirige e dalla mano alla volontà di comunicare (che talvolta si concretizza nella voce che verbalizza la strategia usata), ci si ritrova a contemplare un "rorschach" (come dico spesso). In fondo, il megafono in sé non è un affronto all'intenzione comunicativa dell'autore, ma l'opinionista che vi sta dietro potrebbe diventarlo, come nel caso del bacio di Biancaneve, palesemente non consensuale e diseducativo, o in molte altre favole malviste o "riadattate" per ammortizzare discriminazione di genere, sesso, etc. e un giorno magari si arriverà a bandire Esopo (e potrebbe già essere successo) perché qualche bimbo poco dotato di cognizione metaforica e senso della realtà potrebbe dedurne che gli animali parlino davvero, o qualcuno noterà che umanizzare gli animali lede la loro dignità, che non è affatto vero che il lupo è "cattivo", etc.
Concordo che molta della fertilità di un'opera, testuale o meno, passi per meccanismi di "attualizzazione sociologica", tuttavia, secondo me, non bisogna considerare l'opera come una tabula tendenzialmente rasa quasi "sporcata" da tratti autorali, geroglifici da interpretare ad libitum: fintanto che l'opera viene associata ad un autore umano, credo che l'auto-interpretazione dell'autore, il suo esplicitare ciò che voleva dire, dovrebbe avere un peso maggiore dell'«io ci vedo questo, tu quest'altro, non conta cosa voleva dire l'autore».
A scanso di equivoci dichiaro esplicitamente (in quanto autore di questo post...) che non sono un integralista del senso autorale: i paletti che confinano i "sensi possibili" di un'opera non possono ristringersi solo all'intenzione originaria dell'autore, poiché, come detto, è inevitabile (e proficuo) che nascano interpretazioni anche divergenti (soprattutto in opere allusive, con impliciti riferimenti ad altro, simbolismi ed allegorie, etc.), ma è comunque sensato, per me, che dei paletti ci siano, altrimenti viene meno (l'ombra de) il gesto creativo dell'autore che producendo un'opera voleva pur dire qualcosa (e se non voleva dire "sokalianamente" nulla, anche quello è un voler-dire), non solo produrre qualcosa di ambiguo a cui gli altri avrebbero dato comunque un senso, o meglio, molti sensi, anche divergenti.
Tempo fa affrontai questo discorso (i confini della legittimità esegetica) con Eutidemo a proposito della Bibbia, testo indubbiamente sui generis poiché non ha un unico autore e un'unica fase di redazione, che ha secoli di storia esegetica sedimentata sulle sue pagine, etc. e che venendo letto molto dopo la sua stesura presta il fianco ad interpretazioni metaforiche che possono metterlo in discussione dalla prima pagina all'ultima, per amor di metafora o per volerci vedere ciò che preferiamo; per cui, ad esempio, il miracolo di resuscitare Lazzaro, che oggi appare piuttosto improponibile, diventa una metafora che allude ad una nuova vita grazie a Cristo, che a sua volta potrebbe non essersi "fatto uomo" in senso letterale ma potrebbe essere inteso metaforicamente come la parte buona della nostra anima che conosce il bene e tende a ritornare a Dio, che a sua volta potrebbe essere una metafora della natura, che a sua volta potrebbe essere la metafora con cui indichiamo un insieme di leggi deterministiche, che a loro volta, metaforicamente, rappresentano... e così via, di metafora in metafora fino a fare della Bibbia un caleidoscopio di sensi (e controsensi) sempre pronti ad essere attualizzati e riformulati per far quadrare i conti (non mi riferisco qui ad Eutidemo). Se ci fosse invece il suo autore a dirci cosa intendeva dire, cosa va preso alla lettera perché è stato osservato e cosa invece è una metafora perché "i tempi non erano maturi" (o altro), ostinarsi a contraddire l'autore per volerci vedere comunque altro sarebbe non esegesi, ma ibridazione, rivisitazione, etc. tutte fertili categorie tipiche dell'attualità culturale occidentale (e forse anche orientale).
Alla fine, a farla breve, per me si tratta di distinguere il "voler significare" dal "poter significare", non perché uno sia il "senso giusto" e l'altro sia quello "sbagliato", ma perché hanno di fatto una matrice differente: il voler significare è l'input originario ed originale di un'opera, il poter significare è la risorsa di senso (metaforico e non) che l'opera mette a disposizione del fruitore (dotato o meno di megafono) per lo sviluppo di ulteriori significati. Ad esempio, "Squid game" vuole plausibilmente significare ciò che ne dice l'autore (se ci si fida delle sue dichiarazioni), ma può significare anche ciò che ne dice la critica che lo contraddice; oppure, con altro esempio, la scena di Fantozzi crocifisso in sala mensa può significare il martirio della classe impiegatizia da parte dei padroni, l'abuso di simbologia religiosa in ambiti non religiosi, l'emblematico sacrificio del protagonista rinnegato dei suoi simili, etc. ma l'autore cosa avrà voluto davvero dire, ammesso e non concesso che non si trattasse solo di una gag che voleva risultare comica senza troppe metafore da (sovra)interpretare? In altre epoche tale scena sarebbe stata censurata e condannata, proprio come oggi viene censurato (seppur con ripercussioni meno violente) "Squid game" in Cina e, forse, anche molto più vicino (dove dubito sarà la voce diretta dell'autore a sovrastare i megafoni, sebbene a volte basterebbe "la voce del buon senso", qualunque cosa significhi...).
#825
Percorsi ed Esperienze / La Grotta
25 Ottobre 2021, 15:51:07 PM
Citazione di: InVerno il 25 Ottobre 2021, 10:20:21 AM
CitazioneColpa, discriminazione e approvazione, tre categorie indubbiamente sociali, che possono talvolta anche spaziare dal messaggio pre-film al  contenuto dei film di critica sociale; tuttavia, si può ribaltare il significato/rappresentazione della critica leggendoci addirittura un  compiacimento dello status quo (giocando a fare i critici della critica)?
Se intendi critica come polemica si, critica in senso esteso può anche essere un elogio ad un opera, perciò se una "opera di critica" non può essere criticata o si sostiene che sia un operazione che stride, non se ne può neanche dire bene, cioè non se ne può parlare.  Perchè non ho la possibilità  né letterale, nè astratta, di poter "ribaltare un opera", mi rimane la critica, il fatto incidentale che l'opera stessa sia a sua volta una critica, genera un buffo effetto matrioska...
L'ambiguità delle concetto di «critica» mi pare riassumere alla perfezione uno dei suddetti interrogativi: opere come "Squid game" sono di critica sociale perché descrivono ciò che non va nella società, o sono di critica sociale nel senso che analizzano come va la società, senza che il sotteso giudizio di valore sia necessariamente negativo (un critico d'arte non è tale perché "boccia" ogni forma d'arte, ma perché l'analizza e ne rileva il valore, positivo o negativo)?
Qualcuno ha "accusato" il regista di non aver capito il senso del proprio film, sebbene il regista stesso lo abbia dichiarato esplicitamente (entrambe le informazioni tratte da qui), il che esemplifica alla perfezione il riferimento alla cartolina spedita che ognuno interpreta come vuole e come può, coniugando teoria del sospetto e post-verità (per quanto ci sia l'ombra lunga di una realtà non fittizia), non tanto perché "l'autore è morto", ma perché l'opera, in un mondo di "opinionisti col megafono" (v. Eco), è sempre più un "messaggio" che sfugge al controllo dell'autore, tanto quanto Pinocchio sfugge al controllo di Geppetto prima di trasformarsi in bambino. A proposito di trasformazioni:
Citazione di: InVerno il 25 Ottobre 2021, 10:20:21 AM
è parso evidente quanto il film si regga su un equilibrio molto, molto simile a quello del Vangelo, compreso il fatto che il protagonista termina "risorgendo" e con un corpo trasmutato (non letteralmente), che penso possa essere considerata la cosidetta "pistola fumante". E questo lascia un pò straniti perchè in realtà secondo me le persone spesso non si ricordano quanto certi temi, interpretati da attori asiatici, abbiano una connotazione che stride fortemente con un modo di pensare invece che è il non plus ultra occidentale.
La 29ma funzione di Propp è "trasfigurazione dell'eroe - l'eroe assume nuove sembianze"; sarebbe interessante leggere i testi sacri come fossero trame narrative architettate da uno scrittore che attinge a dinamiche e stilemi che si confermeranno in seguito, piuttosto trasversalmente a tempi e culture. La corrispondenza cambiamento esteriore/interiore credo sia un archetipo che spazia dai cambi di look adolescenziali alla dimensione fortemente estetica e caratterizzata delle religioni passando per le narrazioni in cui l'eroe subisce/decide un mutamento esteriore per incarnare un mutamento interiore, espediente narrativo che (potrei sbagliarmi essendo ignorante in materia) forse è più tipico della cultura orientale che di quella occidentale (a memoria, poco attendibile, non ricordo emblematici cambiamenti esteriori nei "soliti noti" dell'immaginario collettivo nostrano: se non erro, Dante entra ed esce dal suo viaggio tale e quale, Ulisse invecchiato ma non trasformato, etc. mentre nelle poche letture orientali mi pare sia un tema più ricorrente, pur non potendo citare nomi a memoria, ma potrei facilmente sbagliarmi e non voglio ricamarci sopra il solito dualismo fra "rocciosità" occidentale e "stagionalità" orientale).