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Messaggi - 0xdeadbeef

#811
Citazione di: Lou il 16 Luglio 2018, 19:45:41 PM

Trovo il concetto di volontà di potenza estremamente polivalente e questo punto di vista lo trovo interessante per una serie di ragioni, però ho una domanda, anzi più d'una: questo perseguimento di "ciò che piace e che è utile" come è conciliabile con l'assenza di scopi e fini verso cui è diretta suddetta vdp, se non sè stessa ovviamente? Il "bene" verso cui è "diretta o persegue" (uso un linguaggio improprio), non è forse l'aumento della propria potenza? Ma come "è" allora il primo motore immobile, potenza di potenza? arriviamo a Spinoza?

Più di una domanda ma, se me lo consenti, non poste in maniera chiarissima...
Non certo "per me" (che continuo a dichiararmi kantiano, caro Giulio...), ma per la filosofia anglosassone il Bene è il
perseguimento del proprio piacere, o utile che dir si voglia.
E perchè ciò rappresenta il Bene?
Perchè per gli anglosassoni (non certo per tutti ma questa tesi è prevalente nella loro cultura), interviene il "grande
orologiaio", per dirla con Leibniz; la "mano invisibile" per Smith; e tutto "magicamente aggiusta", cioè fa si che
l'utile individuale corrisponda all'utile collettivo (come accennavo questa è la base su cui si regge fra l'altro
tutta l'impalcatura dell'economia neoclassica, oggi dominante).
Chiaramente, come ben dici, Spinoza fa parte a pieno titolo di questa "visione delle cose".
Ora, chiaramente Nietzsche fa letteralmente a pezzi questa storia dell'orologiaio e del Bene come fine. Dunque cosa resta?
Resta appunto la ricerca del piacere e dell'utile individuale come "sostrato"; come agente primo.
Ma è davvero essa, la ricerca del piacere e dell'utile individuale assimilabile alla volontà di potenza?
Per me potrebbe esserlo, se a quel termine (volontà di potenza) dessimo il significato che cerco di spiegare
lungo le risposte a questo post (un significato che lo stesso Nietzsche mistifica, come accenno nella mia risposta a Kobayashi).
Per quel che riguarda una volontà di potenza/mezzo che ha come suo scopo l'aumento indefinito di se stessa (anch'io
condivido questa tesi) non vedo alcun problema di conciliabilità. La ricerca del piacere e dell'utile è
anch'essa un mezzo che serve a soddisfare se stessa, senza scopo alcuno; perchè una volta soddisfatta sarà diretta
a ricercare sempre qualcosa di nuovo che la soddisfi ancora.
saluti
#812
I grandi maestri giapponesi del bonsai (un'altra delle mie passioni...) dicono che prima bisogna conoscere le regole,
poi esse possono essere tragredite...
Quindi in riferimento alla risposta di Sgiombo dico che, certo, la violazione delle norme morali c'è sempre stata, solo
che adesso sembra proprio che la norma morale stessa venga a mancare (quindi nemmeno si può parlare più di violazione)...
Nei miei interventi, e rispondo a Phil, dico che qualcosa di innato c'è eccome, ma non è la morale bensì l'impulso,
conscio o meno, di perseguire sempre e comunque il proprio piacere e utile (la tesi di fondo di questo mio post è
appunto quella che propone l'equiparazione di questo fondamento della filosofia anglosassone con la volontà di potenza
nietzscheiana).
Tanto per venire all'interessante intervento di Kobayashi, nella mia seconda risposta parlavo appunto (rifacendomi agli
studi dello psicologo nietzscheiano A.Adler) di una volontà di potenza presente "persino" nel masochismo, nel suicidio
e nella malattia psichica in genere.
Quindi certo, sono in linea di massima d'accordo con Deleuze. Senonchè mi sembrerebbe però alquanto discutibile la sua
distinzione fra forze "attive" ("che tendono alla propria affermazione") e "passive" (forze "dominate" che presumibilmente
NON tendono alla propria affermazione).
Voglio dire che se c'è volontà di potenza sia nella forza attiva che in quella passiva, come mi pare affermi Deleuze, allora
sia le forze attive che quelle reattive tendono alla propria affermazione (come del resto vi tendono necessariamente nella
mia tesi, visto che sostengo la natura innata ed universale della ricerca del piacere e dell'utile).
Da questo punto di vista il proposito di Nietzsche di un "oltreuomo" nel quale le forze "attive" ("vitali"; "nobili") si
liberano (e non possono che liberarsi dalle forze reattive...) in un'opera "creativa" mi appare come un residuo
idealistico se non proprio metafisico.
Un saluto a tutti voi
#813
Scusate ma voi dove la vedete tutta questa bontà e tutta questa innatezza?
Vogliamo chiederlo, tanto per stare alla strettissima attualità, ai profughi africani i quali, per fame o per guerra
che sia, cercano una miglior fortuna nella "civilissima" Europa?
Come fate a vedere questa "legge norale dentro l'uomo" (e Kant, Giulio, sapeva bene dove "riposasse" quel sentimento...)?
Io, viceversa, non vedo nessuna bontà e nessuna cattiveria innate; vedo soltanto dei condizionamenti sovra E strutturali.
E gli imperativi della religione sono tra i più "potenti" di questi condizionamenti.
Lo si voglia o meno, l'uomo ragiona "anche" (ma avrei voglia di dire "soprattutto") nei termini che la religione ha posto
(basti guardare alla concezione del tempo lineare, al mito del progresso, o appunto ai valori "umani").
La religione, dice E.Durkheim, E' la comunità (il "sacro" non è altro che l'ipostasi assolutizzata delle necessità insite
in una comunità umana).
Da qui, ritengo (anzi temo...), la "sympatheia" greca, il "karuna" buddista o la "coscienza" cristiana...
Concetti nobilissimi, che però perdono inevitabilmente di senso nel momento in cui l'individuo emerge prepotente,
e la comunità si eclissa (e CON la comunità si eclissa la sua ipostasi: Dio).
Per questo, penso, Dostoevskij (attraverso la bocca di Ivan Karamazov) ha sommamente ragione laddove afferma: "se Dio
non esiste, allora tutto è lecito".
Dal canto suo, Nietzsche ci dice allora semplicemente: "visto che Dio non esiste, tutto è effettivamente lecito".
saluti
#814
A Giulio (Sgiombo) come a tutti.
A scanso di equivoci e per farla breve sono convinto, come Nietzsche, che il valore morale non possa avere altro fondamento
se non la divinità.
Sì, anche per coloro che lo sentono "dentro di sè", e allo stesso tempo dichiarano di non credere, il valore morale altro
non è se non una "religiosità inconscia". Perchè quella del valore morale non può essere altro che una metafisica.
La scimmia che digrigna i denti nel tentativo di emettere la prima parola (nella sua trasformazione in essere umano) e che
dice gutturalmente: "io sono il creatore" (non mi ricordo mai in quale opera di Nietzsche si trovi...), potrebbe
indifferentemente dire di amare il prossimo come di odiarlo.
Sarebbe appunto totalmente e definitivamente indifferente che si pronunci per l'una o per l'altra cosa, e laddove noi
"osassimo" pronunciarsi per un qualcosa che fondi un'affermazione piuttosto che l'altra non faremmo che pronunciare un
articolo di fede (certo, anche se ci si pronunciasse per il "male" e per l'odio sarebbe la medesima cosa).
Ritengo sia questo che Nietzsche vuol dirci quando ci parla di un "aldilà del bene e del male". La ricerca del proprio
utile e piacere come "essere" dell'uomo; come sua "sostanza unitaria nella sua molteplicità"; non ammette considerazioni
sulla bontà o sulla malvagità di questa stessa ricerca.
Probabilmente sono io ad essere eccessivamente affascinato (ma farei meglio ad usare il termine "atterrito"...) da questa
riflessione, che non trovo quindi per nulla banale.
Certo che c'è un appiattimento fra aspirazioni altruistiche ed egoistiche: come fai a non vederlo (o come faccio io a vederlo)?
"Non uccidere" (non rubare; non sfruttare etc.): e chi l'ha detto?
L'ha forse detto la scimmia nel suo diventare uomo quando nella sua ricerca del piacere e dell'utile ha stabilito cos'è "sacro"?
E che mi importa di quello che ha detto: io cercherò, seguendo il mio utile e il mio piacere, di essere più potente di lui, e
sovvertirò quel che lui ha detto.
saluti
PS
Ti ho risposto su quella cosa della conoscenza, forse ti è sfuggito
#815
Tematiche Filosofiche / Re:Kant e il Principio.
15 Luglio 2018, 11:30:05 AM
A Davintro (come a tutti)
In Aristotele, la causa "efficiente" è la causa "motrice"; la causa da cui proviene la "spinta iniziale".
Kant, come noto, sposta questo concetto dal, chiamiamolo, mondo degli oggetti a quello dei soggetti, ma
ne mantiene inalterate tutte le caratteristiche (e, in primis, quella di "necessità", cioè quello di un
rigoroso determinismo che sussiste(rebbe) fra la causa e l'effetto).
Tutto ciò è evidente frutto di una tesi che non mette in discussione le basi della meccanica newtoniana e
della scienza (di allora), ma le considera come "a-priori", indiscutibili, certissime.
Ciò può essere senz'altro visto come "individuazione di principi", ma principi come dicevo fondati sul dato
empirico, scientifico (come allora inteso), non su un'idea come quella della "cosa in sè" che Carlo Pierini dà
ad intendere si ponga in Kant come "Principio" ("su cosa basa Kant la sua convinzione che sia impossibile
conoscere il Principio?", questa era la sua domanda).
Sappiamo bene che per Kant la "cosa in sè" non ha e non può avere nessuna rilevanza scientifica. Quindi è
da escludersi categoricamente che egli pensi quel termine, Principio, SE NON come elemento di riferimento per
l'eleborazione innanzitutto della sua teoria sulla morale e sul diritto.
Sarà Carnap (mi par di ricordare, vado a naso...) ad affermare che la relatività, nel momento in cui confuta
le teorie kantiane basate sull'a-priorismo (e allora sembrava che TUTTO Kant ne fosse confutato), in realtà
ne rafforza e consolida la tesi forse più importante, quella della "cosa in sè".
E' semmai da questo punto che la "cosa in sè" assume un interesse che può essere in qualche modo anche scientifico;
ma non prima, non per Kant stesso (troppo condizionato dal clima empiristico della sua epoca, come ben dici).
Ora, dire: "l'idea dell'albero che nel mio vissuto coscienziale riconosco consiste dunque nell'essenza della cosa"
è un'affermazione che Kant non avrebbe credo mai ammesso.
Cosa vuol dire "essenza"? Si intende tal termine nel senso aristotelico di "sostanza" o in altro modo?
Se confrontiamo un attimo questa affermazione con ciò che dice Einstein, e che spesso mi piace citare ("è la
teoria a decidere cosa possimo osservare"), vediamo che il termine "essenza" può assumere due significati
fondamentali. Il primo è nel senso di una "essenzialità" riferita ad una presunta "efficacia" all'interno di
una specifica teoria (che mi pare il senso più autenticamente scientifico di essa). Il secondo invece non può
essere riferito che ad una visione più "larga" e metafisica, per cui "essenza" è il Vero che una presunta (e
privilegiata) teoria può arrivare a scoprire.
Ma l'autentico dilemma a questo punto consiste a mio parere nel dire se la teoria di un pazzo "vale" la teoria
di un uomo assennato. Cioè nel dire quanto ed in che misura il fenomeno può avvicinarsi alla "cosa in sè".
Si tratta allora di vedere se è possibile stabilire almeno una, chiamiamola, "direzione di verità". Di vedere
cioè se la celebre "montagna coperta dalle nubi" di Popper sia "in quella direzione o nell'altra".
Quali elementi possediamo per stabilire se la cima della montagna si trovi "più o meno" da quella parte ma non
certo dalla parte opposta (dò per scontato tu conosca quella metafora...)?
Da questo punto di vista sia le tesi della meccanica quantistica sia quanto letto di U.Eco a proposito del "realismo negativo"
(il post era "La verità è ciò che si dice") mi sembrerebbe piuttosto plausibile e convincente.
Cosi' come non del tutto peregrino mi sembra il tuo riferimento alle cause "formali". Cioè quel tipo di causalità
NON che, a parer mio, individua l'essenza della cosa in questione, ma che individua appunto la "direzione".
In definitiva rimane a mio avviso in piedi la contrapposizione kantiana fra fenomeno e noumeno. Una contrapposizione
certo non "forte" così come lo era in Kant (ma poi lo era veramente?); ma una contrapposizione che rimane comunque
"salda".
saluti
#816
Citazione di: Carlo Pierini il 14 Luglio 2018, 14:12:04 PM
CARLO
Non hai risposto alla mia domanda, come sempre.
Quando avrai risposto, parleremo della relatività e del perché essa NON CONTRADDICE la teoria newtoniana, ma ne limita il dominio di validità.


Ho risposto eccome (solo che tu, immerso nel sonno, non te ne sei accorto...).
Ti ho detto che per la scienza così come è oggi intesa non c'è una teoria VERA, ma solo una MIGLIORE (ove "migliore" è
necessariamente inteso come "più rispondente al punto di vista dell'osservatore").
Se così non fosse, non è a me che devi rispondere ma ad Einstein ("è la teoria a decidere cosa possiamo osservare").
saluti (e ancora sogni d'oro)
#817
Se posso portare la mia testimonianza di abitante di un luogo (un paesino di campagna fra l'Umbria e la Toscana) dove
senz'altro si bestemmia molto (più che molto direi continuamente, con la bestemmia "elevata" a usuale intercalare
dicorsivo) e dove la bestemmia assume quelle "bizzarre elaborazioni linguistiche" di cui parla Kobayashi, direi davvero
che la bestemmia così come da noi intesa tutto è fuorchè "cattiva", anzi...
Molti bestemmiatori "seriali" (quelli che in una frase di 20 parole ci infilano 10 bestemmie) sono anzi persone davvero
dolcissime; personaggi così tipici, esilaranti e caratteristici di tutta una cultura che le persone di città o di altri
luoghi ove non si bestemmia neppure possono immaginare.
Ove dovesse scomparire (Dio ce ne scampi) questa vera e propria "cultura della bestemmia" sarebbe davvero una gravissima
ed irreparabile perdita.
Per quanto mi riguarda, io ci vedo una specie di "spirito dionisiaco", che sorge in ambienti segnati dalla dura fatica
quotidiana dei campi, e dove con la divinità è istituito un rapporto del tutto particolare (con la divinità si parla, e
magari la si ritiene responsabile di quando le cose non vanno bene), così come spiegato mirabilmente dall'autore di
questo articolo http://nonciclopedia.wikia.com/wiki/Nonno_Fiorucci, dove si celebra la scomparsa di uno di questi
personaggi caratteristici (si astengano dalla lettura gli "stomaci delicati"...)
saluti
#818
Citazione di: Carlo Pierini il 13 Luglio 2018, 19:06:45 PM
Citazione di: sgiombo il 13 Luglio 2018, 17:44:32 PM
Citazione di: Carlo Pierini il 13 Luglio 2018, 16:20:52 PMAltrimenti dovresti spiegarmi PERCHE' il punto di vista geocentrico si è rivelato FALSO, mentre il punto di vista eliocentrico è VERO, pur essendo entrambi solo dei punti di vista soggettivi?
Se non rispondi alla mia domanda cruciale (che ho marcato in grassetto) che si riferisce a un esempio concreto, giochiamo inutilmente con le parole. E io non ho tempo.


Se la meccanica newtoniana fosse stata "vera" nel senso che tu dai a questo termine (senso che, oltre che tuo, era anche
quello di Kant...), cioè vera oggettivamente, indiscutibilmente e definitivamente (avverbio che ricorre spesso nei tuoi
interventi...), semplicemente, non ci sarebbe stata la teoria della relatività.
Allo stesso identico modo, se la teoria geocentrica, che era scientifica nel senso proprio del termine, fosse stata
oggettivamente, indiscutibilmente e definitivamente vera, la teoria eliocentrica neppure sarebbe stata presa in
considerazione.
E la stessa cosa vale per miriadi di altri esempi (se i salassi con le sanguisughe fossero stati il rimedio definitivo
alle malattie non ci sarebbe la medicina moderna, tanto per farne un altro, di esempi).
La verità è che stai dormendo un "sonno dogmatico" (come ebbe a dire Kant di se stesso quando, su ispirazione di Hume,
cominciò a cambiare prospettiva), e non ne sei consapevole, altro che "domanda cruciale".
Secondo tutta la epistemologia moderna  ("epistemologia", bada bene...) una teoria è scientifica quando è falsificabile,
ovvero quando si presenta già di partenza come confutabile da una teoria ritenuta migliore (più efficace, più "vera" etc.).
Le cose "definitive", continuano gli epistemologi, sono proprie delle Fedi.
saluti (e sogni d'oro)
#819
Citazione di: sgiombo il 13 Luglio 2018, 08:33:38 AM




"Esse est percipi" non significa affatto <<Non esistono le cose, ma solo le idee (le opinioni) che ci facciamo delle cose>> (questo é casomai pessimo relativismo o nichilismo putrefatto a là Nietzche, tutt' altra cosa che l' empirismo di Berkeley e Hume!), bensì significa "le cose che percepiamo sono costituite solo ed esclusivamente da (insiemi e successioni di) percezioni (percezioni reali, non opinioni sulle percezioni! Anche se)" reali unicamente in quanto tali e non indipendentemente dall' accadere reale delle percezioni, non quando queste non accadono (e non affatto: indipendentemente dall' accadere o meno delle opinioni sulle percezioni!).

Non sono affatto illusioni (quando realmente accadono), ma realissimi fenomeni (=insieme di apparenze sensibili); dunque non sono nemmeno cose in sé esistenti indipendentemente dall' accadere delle sensazioni stesse, dalle quali solo e unicamente sono costituiti, che li costituiscono integralmente ed esaustivamente.

La moquette del tuo studio é realissima anche se esiste solo e unicamente in quanto tale (insieme di sensazioni o fenomeni) e solo e unicamente allorché la vedi e/o tocchi: e se, come credo essendo indimostrabile  tantomeno mostrabile, esiste anche una cosa in sé ad essa corrispondente e reale anche allorché essa (la moquette) non é reale (=non esistono realmente le sensazioni visive e/o tattili di cui solo e  unicamente é costituita), allora questo "qualcosa" non é costituito da tali o da altre sensazioni visive e/o tattili (sarebbe una spettacolarissima contraddizione pretenderlo!), ma da qualcosa di diverso da esse (esistente anche quando esse non esistono), qualcosa di non sensibilmente apparente (dal greco e a la Kant: fenomeno) ma solo congetturabile (dal greco e a là Kant: noumeno).
Allora, vediamo di capirci qualcosa (non facile non per tua colpa ma perchè probabilmente sono io a "muovermi"
male in questo genere di argomenti).
"Esse est percipi": ""le cose che percepiamo sono costituite solo ed esclusivamente da (insiemi e successioni di)
percezioni (percezioni reali, non opinioni sulle percezioni!".
Poi: "reali unicamente in quanto tali e non indipendentemente dall' accadere reale delle percezioni".
Poi ancora: "Non sono affatto illusioni (quando realmente accadono), ma realissimi fenomeni (=insieme di apparenze
sensibili); dunque non sono nemmeno cose in sé esistenti indipendentemente dall' accadere delle sensazioni stesse,
dalle quali solo e unicamente sono costituiti, che li costituiscono integralmente ed esaustivamente".
Vuoi dire che qualsiasi pensiero è "reale"? Naturalmente parlo del contenuto di un pensiero, non della mera
attività cerebrale.
Cioè vuoi dire che anche il pensiero dell'ippogrifo è "reale" (oltre il contenuto concreto dei neuroni che si
muovono a seguito di tale pensiero: cioè come pensiero stesso DELL'ippogrifo)?
Bah, non lo so se si possa o meno chiamare "realtà" quella del pensiero dell'ippogrifo, Sotto certi aspetti lo è
senz'altro.
La cosa mi richiama alla mente Platone, il quale diceva ("La battaglia dei giganti"): "cosa c'è di comune fra
un pensiero e una cosa reale, visto che di entrambe si dice che "sono"?
Se questa mia interpretazione fosse nella, diciamo, giusta direzione, allora si aprirebbe non "un", ma "il"
problema per eccellenza di tutta la filosofia: quello dell'Essere (d in effetti, per Berkeley, l'essere è essere-percepito (appunto "esse est percipi").

saluti
(ti pregherei, per mia chiarezza, di procedere per singoli punti)
#820
Ma è lecito equiparare la ricerca del piacere con l'egoismo?
Mi pare Leibniz disse, a proposito del concetto di "Bene" anglosassone: "la ricerca del proprio piacere e utile è
bene a meno che non vada a ledere il piacere e l'utile altrui" (le parole magari non sono proprio queste ma lo è
senz'altro il senso).
Il senso di ciò che voglio dire con questo post è che SE la ricerca del proprio piacere e utile è assimilabile
alla volontà di potenza, allora la volontà di potenza si presenta proprio come impulso primordiale e universale;
appunto come: "ciò che c'è di unitario nel molteplice".
Ma allora, si dirà, che cosa ha mai scoperto Nietzsche che già non fosse stato detto dalla filosofia anglosassone?
E beh, magari potrebbe aver detto/aggiunto che non vi è alcun valore morale che un "grande orologiaio" ha posto a
fondamento di quell'utilitarismo...
Potrebbe aver detto che la ricerca del proprio piacere e utile è SEMPRE bene, a prescindere che vada o meno a ledere
il piacere e l'utile altrui...
Non mi sembrerebbero aggiunte da poco.
Perchè, ed è evidentissimo, quell'"a meno" (che non vada a ledere etc.) leibnitziano è fondato sul valore morale (che
nessuno che non sia il "grande orologiaio" può fondare).
Su questo punto il concetto nietzschiano mi sembra dirompente. La volontà di potenza (che coincide, se la mia tesi fosse
plausibile, con la ricerca del proprio piacere e utile) come impulso primitivo ed universale non è da considerare né Bene
né Male (ma è appunto: "al di là del Bene e del Male"). Perchè il Bene e il Male sono concetti morali che, semmai, SONO
fondati dalla volontà di potenza; non essa, la volontà di potenza come ricerca dell'utile e del piacere, fondata SUI
valori morali com'è nella filosofia anglosassone.
salut
#821
Dal punto di vista che cerco di illustrare ciò che procura il piacere, un utile, o un dolore si pone ad un livello
che abbraccia anche i bisogni e le necessità (basti pensare ad un digiunatore per scelta spirituale, o ad un
masochista così come il masochismo viene illustrato dallo psicologo nietzschiano Alfred Adler).
Basti pensare a quello che è l'atto del suicidio, che va senza dubbio contro ogni istinto di sopravvivenza (in un
suicida il dolore di vivere è tale che la morte viene vista come unico rimedio, risultandone così un piacere, un
utile).
Io credo in sostanza che, se la volontà di potenza equivale alla ricerca del piacere o dell'utile (che è la tesi
che sostengo in questo post), ciò vada ad  abbracciare questioni che solo apparentemente ne rimangono fuori.
Ora, è pensabile che in un nevrotico, in un malato psichico qualsiasi, in un sucida o in un digiunatore vi sia
volontà di potenza? Io lo credo. Magari, certo, non ad un livello conscio, ma nell'inconscio sicuramente (e su
questo punto mi richiamerei ancora ad Adler).
La volontà di potenza, dunque, come "motore primo" di QUALSIASI agire o pensare umano; come ciò che vi è di unitario
nel molteplice, in definitiva come vera e propria "sostanza" o "essere" (per usare una terminologia classica della
metafisica).
A me sembra un'ipotesi da non escludere (una ipotesi che, fra le altre cose, va per così dire ad
armonizzarsi con l'ipotesi heideggeriana dell'essere come "physis" (chiaramente dopo la cosiddetta "svolta").
La volontà di potenza è dunque l'Essere che la filosofia cerca da millenni? Non lo so, ma mi sembra affascinante...
saluti
#822
Vorrei provare a ragionare e far ragionare sulla "volontà di potenza", di cui molto si è scritto e molto spesso
nei soliti termini (forza, sopraffazione etc.), vista da una prospettiva diversa.
E' vero che Nietzsche spesso la descrive egli stesso in quei termini, ma è altrettanto vero che egli la intende
essenzialmente come il, diciamo, "motore primo" di ogni agire umano.
Da questo punto di vista dicevo provocatoriamente che forse persino S.Francesco e Madre Teresa erano animati da
volontà di potenza. Perchè appunto il loro "motore primo" era la volontà che le loro idee e i loro principi
morali avvessero a "primeggiare", ad "imporsi", su quelli che essi ritenevano "dis-valori" (dal punto di vista
religioso Dio "vince" il demonio).
Sappiamo bene che per la filosofia anglosassone, fin almeno da Hobbes, il "Bene" è ciò che viene desiderato e che
piace all'individuo.
Dunque per gli Anglosassoni l'utile individuale, che è "motore primo" dell'agire umano (l'uomo agisce sulla base
di ciò che gli procura piacere o dolore) è anche ritenuto sommo "Bene" (in quanto, nel sostrato metafisico alla
base di questa visione, vi è un "grande orologiaio" che fa sì che l'utile dell'individuo corrisponda all'utile
della collettività, cioè che si configuri come "Bene" in assoluto).
Io trovo che nella volontà di potenza Nietzsche recuperi in qualche modo la concezione anglosassone, ma per così
dire la "depuri" dal grossolano elemento metafisico in essa presente (ed ancora presentissimo in certe sfumature
della contemporaneità, basti guardare alle teorie economiche neoclassiche).
L'uomo agisce sulla base di ciò che gli procura piacere o dolore, chiaramente perseguendo il primo termine e
cercando di evitare il secondo. E visto che piacevole è senz'altro il primeggiare (delle proprie idee e principi
ma anche di se stessi), ecco allora che vero ed autentico Motore Primo diventa una volontà di potenza che va
ad obliare e a succedere al Motore Primo aristotelicamente (poi religiosamente) inteso.
Credo in definitiva che buona parte delle ragioni della visione filosofica nietzscheiana vadano ricercate proprio
nella filosofia anglosassone e nel suo concetto di "Bene".
La volontà di potenza, dunque, come volontà di perseguire ciò che piace e che è utile. Senza "orologiai" o
infingimenti che ne ammantino ipocritamente la cruda realtà.
saluti
#823
A Carlo Petrini
Quelle cose non le ho scritte io, quindi chiedine conto a qualcun'altro.
Piuttosto, hai notato che su questo post contraddico Nietzsche e il detto di Eco ("la verità è ciò che si dice")?
O devo fartelo notare io?
saluti, buontempone....
#824
Attualità / Re:La penale da un miliardo di euro
12 Luglio 2018, 20:59:43 PM
Citazione di: Jacopus il 03 Luglio 2018, 19:43:44 PM
La notizia che apprendo con costernazione è che la Juventus pagherà al Real Madrid una penale da un miliardo di euro per avere Ronaldo prima della fine naturale del suo contratto. Ciò è stato reso possibile perchè Ronaldo diverrà lo sponsor speciale di FCA. Ovviamente oltre alla penale Ronaldo avrà un contratto da 120 milioni di euro all'anno. Lasciamo perdere il contratto annuale. E' nell'ordine dei contratti di calciatori di quel livello. Ma la penale che sta per essere pagata è uno schiaffo all'intelligenza umana. Vedremo accostata la faccia di Ronaldo a vari modelli di automobili con la concreta possibilità che quelle auto aumentino le vendite. Ma se invece di dare un miliardo di euro al Real, quei soldi fossero stati investiti in scuole, case popolari, borse di studio, percorsi di integrazione per i profughi, fondi per il sostentamento dei cassaintegrati o altre cose socialmente utili, non avrebbe avuto un altro significato, ben più civile? Non si sarebbe potuto usare un tipo di sponsor "etico"?
Eppure come società siamo ipnotizzati da questo modello del "successo" e non da una società "armoniosa". Quando vedrò uno sponsor fatto di progetti per il miglioramento della società, allora potrò dire di vivere in un mondo più civile.
Sarò pure un romantico privo della giusta dose di cinismo ma a me sembra che l'elite al comando si diverta a tirare sempre più la corda per vedere fino a che punto possono tirarla, visto che gli stessi soggetti che sono strozzati da quella corda, continuano a dire "tirate...tirate....". E' letteralmente sconvolgente.


Beh, le cifre non sono queste ma non importa....
"E' il mercato, bellezza", direbbe qualcuno.
A molti piace (il mercato)...
saluti (amari)
#825
Citazione di: Carlo Pierini il 12 Luglio 2018, 16:01:19 PM
CARLO
La scienza si occupa di grandezze materiali misurabili, non di esperienze spirituali. Su Dio non ha assolutamente niente da dire.

Ma non eri tu che imputavi a Kant la scissione fra fede e ragione?

"Un vero mercante truffatore mascherato da filosofo. L'iniziatore della frattura inconciliabile e cruenta tra scienza e fede"
Riconosci queste parole, vero?