Citazione di: baylham il 30 Ottobre 2018, 15:10:25 PM
I capitalisti spostano i capitali, non il lavoro.
Precisazione importante perché contrasta la teoria del valore lavoro.
Col solo lavoro non si ottiene la produzione di un carciofo o di un computer.
In una economia capitalistica, spostando i capitali si sposta automaticamente anche il lavoro. Come ben sanno gli operai delocalizzati. In una economia socialista gli operai rimarrebbero lì, insieme alla fabbrica e al lavoro. Per la produzione servono i fattori della produzione (locali, materie prime, attrezzi, macchine, forza lavoro) che possono anche non essere in forma-capitale.
Citazione di: Oxdeadbeef
Sulla produttività, beh, si dice sempre che il nostro paese abbia una produttività molto bassa (ed è vero).
Però, se per "produttività" intendessimo solo quella del valore-lavoro daremmo ragione a chi la dà ad intendere come:
"i lavoratori italiani non sono fulmini di guerra" (perchè questo intendono...). Ma così non è.
La produttività si gioca innanzitutto sul "valore aggiunto", cioè su quella parte di valore che è, appunto, "aggiunto".
Aggiunto da cosa? Ad esempio dal "brand", tanto per dirne una (e guarda caso il nostro paese sta perdendo tutti i suoi
"brands"...).
Parlavo tempo fa con un allevatore di bestiame (Chianina). Mi diceva che gli pagavano la bestia viva 9 euro al kg, e che lui con quel prezzo non ci ripagava nemmeno le spese. Certo, mi dico fra me, perchè quel prezzo "di mercato" è calcolato sul piano internazionale del valore-lavoro (e su quel piano vincono gli allevatori olandesi...).
Chiaramente, bisognerebbe valorizzare l'"aggiunto" che quell'allevatore mette sui capi venduti (il fatto che siano allo stato brado, che siano di razza Chianina etc.), ma per far questo bisogna avere le "infrastrutture" necessarie.
Dunque, voglio dire, non è che questo valore di scambio sia un prodotto orrorifico del turbocapitalismo come qualcuno la darebbe ad intendere. E' un parametro nuovo (si fa per dire, "nuovo": c'è sempre stato ma non così come adesso andrebbe considerato) di cui tenere conto.
Del resto, a me sembra che con la globalizzazione, mantenendo fermo il valore di un bene economico come valore-lavoro, gli unici ad esserne avvantaggiati sono coloro che producono al costo più basso (come i Cinesi o gli allevatori olandesi...).
Il valore aggiunto, secondo dottrina marxista, è quello della forza-lavoro alle materie prime lavorate. E' evidente che dove la retribuzione della forza lavoro costa meno, costerà meno il suo valore aggiunto e quindi anche la merce (valore di scambio). L'unica alternativa per chi ha un costo della forza-lavoro più elevato è diminuire la quota del suo valore aggiunto per unità di prodotto. Questa è la produttività a cui ci spronano. Intendere il brand come valore aggiunto è un vezzo tardocapitalistico che ne rivela la natura mistica. Misticismo che funziona benissimo, per carità. come in tante altre religioni. E che può avere un suo valore commerciale, come la religione. Ma non è il fondamento del valore di una merce (valore di scambio) e tende a ridursi a zero con grande facilità, a differenza del valore intrinseco di un valore d'uso divenuto, nel mercato, valore di scambio. Che il mercato sia un luogo mistico lo dimostra la superbamente ironica merda d'artista di Piero Manzoni, archetipo di tutti i brand. Ma che essa possa reggere una qualche economia non credo proprio. Semmai è la ciliegina da ricchi sulla torta di merda del capitalismo.


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