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Messaggi - Ipazia

#8221
Io non ho mai detto nei miei post che la scienza possa invadere l'ambito filosofico, ma che la filosofia insiste a voler dire la sua su un ambito ontologico scientifico, toppando miseramente, e non sa più fare bene il mestiere nel suo ambito proprio. Ormai per una decente epistemologia e critica del pensiero scientifico bisogna essere scienziati-filosofi. Capirci davvero di relatività, quantistica, biologia molecolare, genetica è essenziale per non cadere in quelle teorie cosmicomiche che, da occidente ad oriente, si avventano sulle trasposizioni variamente immaginifiche della scienza fondamentale, rianimando favolistiche che parevano estinte, e ottenendo al fine il risultato canonico: dalla tragedia alla farsa.

La differenza sociopolitica abissale tra Marx e Nietzsche non è altrettanto mostruosa quando si tratta di rifondare la filosofia su una episteme filosofica esente da numi e succedanei moderni. E di ciò anche un marxista - e molti più preparati di noi l'hanno fatto -  tiene conto, rendendo al folle ateo l'onore delle armi teoriche. Tanto in Marx che in Nietzsche, vi è una costante e ossessiva critica degli elementi di alienazione della modernità. Centrata sul lavoro e l'accumulazione capitalistica quella di Marx e sull'ideologia quella di Nietzsche. Con tutte le contraddizioni della sua appartenenza di classe e formazione umana, che ne limitano la critica e il suo esito, ma su una cosa ci azzecca più di qualsiasi critico marxista: la fenomenologia dell'ultimo uomo. Da lì deve ripartire continuamente la filosofia se vuole scardinare la barbarie che avanza; su un terreno ontologico d'elezione per il suo armamentario teorico.
#8222
La precettistica mosaica la trovi anche tra gli aborigeni australiani e i nativi americani. Pur in assenza di tavole della legge e con numi assai diversi da quelli della tradizione biblica. Nessuna comunità umana può essere fondata su omicidio, furto e menzogna. Non si tratta del Bene come idea innata dei filosofi, ma del bene come necessità esistenziale all'interno della comunità. Le cui regole non valevano di certo rispetto a comunità straniere ostilmente interessate al suo territorio e ai suoi beni. Non a causa del Male innato dei filosofi, ma per una naturale competizione tra branchi diversi sulle stesse risorse. 

Diventando i branchi, clan, tribù, nazioni, imperi, la competizione si è raffinata e sublimata in forme politiche. Tale evoluzione "progressista" è reale e con essa si è evoluta anche l'idea di bene. Ritengo più per merito della potenza distruttiva crescente degli armamenti che per l'evoluzione del concetto di Bene di preti e filosofi. Anche se le due cose vanno di pari passo, mentre anche il concetto di Male dei politici, spesso ispirati da preti, filosofi e scienziati, non se ne stava certo a guardare. Sia come sia, oggi l'idea di una comunità umana globale è il campo di gioco da cui non si può prescindere. Per cui, anche senza i numi e il Bene innato o catechisticamente imposto, bisogna provvedere.
#8223
Citazione di: 0xdeadbeef il 16 Ottobre 2018, 19:52:51 PM
A Ipazia
...
Il tuo discorso mi sembra inficiato "in nuce" da un concetto che permea nel profondo la nostra cultura (e che proviene essenzialmente dalla sfera religiosa): quello di "progresso".
Io non vedo alcun "progresso" morale (diverso discorso, naturalmente, va fatto per la scienza e per la tecnologia); vedo altresì "mutamenti", che possono essere verso il "bene" come verso il "male" (sempre assolutamente intesi...).
Non dandosi progresso morale, l'innatezza di cui parlate sia tu che l'amico Sgiombo rimame legata a quell'"empatia" di cui parlavo nel precedente intervento, e che come dicevo non può per me essere identificata con la morale (essendo empatia verso un particolare gruppo umano - e di conseguenza escludente verso altri).

Bisogna sempre partire da qualche archè. Nel caso specifico è il forte legame affettivo e protettivo che si instaura in un branco di animali sociali. Da lì parte l'etica umana. Che poi viene razionalizzata producendo diritto, filosofia, politica. Il passaggio dal branco familiare al branco globale non è poi così ideologico, appena la ragione prenda atto che la casa di questo branco è l'intero pianeta e, tanto per fare un esempio, che la plastica finita in mare non conosce confine alcuno e ci avvelena tutti. Nessuna etica di successo può partire dall'ideologia, ma deve essere profondamente radicata nel corpo sociale vivente, nella sua natura, prima biologica, poi sociale, poi razionale. Dalle tavole mosaiche possono scomparire i numi, ma non la precettistica che anche oggi è alla base del nostro diritto universale, proprio perchè saldamente radicata nella natura umana. Non mi interessano le etichette: progressismo, utilitarismo, ... Mi interessa la sostanza, ed è quella che ho detto.

Nell'ethos ci sta pure il Male dei filosofi ? E allora dovremmo stracciarci le vesti ? Ma anche no. Preso atto che il branco si è dilatato a dismisura e l'ethos con esso, si lavora per un'etica, che rammento è tecnica della gestione della casa comune, soddisfacente, sfruttando la razionalità che ha fatto sì che questo accadesse. Non è un passaggio ideologico, idealistico o materialistico, ma è pura necessità evolutiva. Etica o barbarie. In questo dilemma, e nella sua soluzione, la filosofia può riprendere a volare.
#8224
Citazione di: sgiombo il 16 Ottobre 2018, 20:08:09 PM

Non vedo come lo sviluppo della scienza possa porre problemi o costringere a "rincorse col fiato corto" la filosofia (l' ontologia generale, compresi i suoi eventuali "contenuti od oggetti metafisici"), per lo meno per quel che riguarda le filosofie razionalistiche
(quanto alle poi religioni e alle filosofie irrazionalistiche non solo la scienza, ma anche una sana filosofia metafisica può ben contribuire a superarle).
Anzi, probabilmente meglio perché non si limitano ad estendere i confini dello scientificamente conosciuto, ma vanno a snidare religioni e filosofie irrazionalistiche anche dei loro "rifugi metafisici" inaccessibili alla scienza.

Se anche si sapesse tutto dell' universo fisico, un religioso potrebbe sempre dire che l' inesistenza di Dio non é confutabile.
E non la scienza ma la filosofia potrebbe ribattere che inconfutabile é ' esistenza di un Dio umanamente insignificante, una specie di "Superman" completamente trascendente il mondo fisico - materiale e che se ne frega dei destini umani (lo sforzo di credere indmostrabilmente-inconfutabilmente nel quale non varrebbe di certo la pena), ma quella di un Dio provvidente, immensamente buono e onnipotente é assurda data l' evidente esistenza del male.

La stessa impossibilità dei "miracoli" (interventi divini, o anche diabolici, in natura) non può essere scientificamente dimostrata, ma soltanto filosoficamente si può dimostrare che la possibilità di miracoli  é contraddittoria  con la credenza nella conoscenza scientifica, la quale necessita come conditio sine qua non (indimostrabile) del divenire materiale ordinato secondo regole o leggi universali e costanti, le quali devono necessariamente essere pensate ineccepibili per poterne parlare sensatamente, non autocontraddittoriamente: questa é gnoseologia, o come preferiscono dire gli anglosassoni, epistemologia, cioé una branca della filosofia.

La metafisica è ancora lì a cercare la cosa in sè, quando non solo la scienza ce la presenta in maniera più convincente (in tal senso l'ontologia corre sulle sue ali), ma è arrivata perfino a capire che l'ineffabilità della cosa in sè è una vecchia paturnia filosofica di cui possiamo tranquillamente fare a meno, contando solo la cosa-per-noi su cui la scienza compie quotidianamente i suoi miracoli.

E' pur vero che la metafisica atea può snidare gli ultimi rifugi di dio, mica ci vuole tanto, bastava Voltaire. Ma dopo Nietzsche si è entrati in una fase di ritirata strategica di tipo spiritualista fino alla cupezza di un essere-per-la-morte che si sposa col peggio della politica novecentesca, lasciando varchi imponenti al ritorno della superstizione.

Nella traiettoria da Schopenauer a Nietzsche passando per Marx ci sarà pure una sfumatura di positivismo, ma c'è un elemento essenziale per intervenire efficacemente sulla realtà propria del sapere filosofico che Marx sintetizza fin dall'undicesima tesi su Feuerbach: «I filosofi hanno finora interpretato il mondo in modi diversi; si tratta ora di trasformarlo.». Filosofia della prassi, elaborata diversamente da Nietzsche, ma sempre su proprie ali che oggi non volano più. E stancamente si rivive l'antica storia dell'ancella di altri saperi, inclusa una rediviva religione. Oppure svolazzamenti nella gabbia dei tempi eroici: Parmenide, Platone, Aristotele, Kant,... con le loro minestre ontologiche riscaldate sempre rigorosamente con la maiuscola davanti. Buona notte Filosofia. Che il risveglio ti sia lieve e arrivi presto.
#8225
edit
#8226
CARLO

...Ma un risultato pratico non è una rappresentazione.

IPAZIA

L'ho detto io per prima, e l'hai pure nerettato

CARLO

Insomma, fammi un esempio di "pratica tecnica delle rappresentazioni" altrimenti non ci capiamo.

IPAZIA

il pc, la bicicletta,...
#8227
Citazione di: 0xdeadbeef il 16 Ottobre 2018, 15:18:59 PM
A Ipazia e Sgiombo
Si parlava, se non erro, di innatezza della morale...
In un precedente intervento, dicevo che l'empatia verso l'"altro" scema man mano che ci si allontana da se stessi. Quindi se
stessi, la propria famiglia, la propria cerchia di amici e parenti, quella dei conoscenti, e così via fino ad arrivare agli
sconosciuti che vivono in paesi a noi lontani sia geograficamente che culturalmente.
Sulla base di ciò, mi chiedo se la definizione di "morale", e di "bene", di Ipazia ("L'etica è qualcosa di molto concreto,
finalizzato alla sopravvivenza di una comunità umana con aspetti egoistici e altruistici equamente ripartiti") e Sgiombo
("ciò che è utile alla sopravvivenza e riproduzione di individui e specie") "dica" la moralità o dica qualcos'altro...
Sicuramente la morale così come da loro intesa è un qualcosa di innato; ma è davvero ancora definibile come "morale"?

Sì, perchè è adeguata all'evoluzione dei costumi (mores) di una comunità. Pensi davvero che questo esempio:

Citazione di: 0xdeadbeef il 16 Ottobre 2018, 15:18:59 PM
Su una tale base, come è possibile, ad esempio, reputare immorale l'intenzione nazista di cancellare la "razza" (...)
ebraica? Non era forse, essa, vista dai nazisti come un pericolo per la sopravvivenza della razza ariana?

lo sia ? O non sia stata piuttosto un'operazione politica oscenamente strumentale, la cui falsità era percepibile da chiunque avesse un pur minimo livello etico/culturale consono ai livelli di civiltà europea di quell'epoca, tedeschi compresi.

Citazione di: 0xdeadbeef

E allora? Lasciamo forse che sia il "nomos" umano a dirimere su ciò che è degno di sopravvivere e riprodursi e ciò che non
lo è (come del resto nell'esempio degli Hindi riportato da Jacopus)?
Ah sì, nei fatti non possiamo che agire in tal modo, d'accordo; ma, appunto, se reputiamo come "fondata" una morale che
fa NON della sopravvivenza e riproduzione dell'INTERO genere umano, ma della sopravvivenza e della riproduzione di un
particolare gruppo umano la propria sostanza, allora siamo in tutto e per tutto dentro la definizione utilitaristica della
filosofia anglosassone. Naturalmente con quel che ne consegue. E cioè con l'impossibilità di "dire" la moralità e l'immoralità al di fuori di una certa specificità (cioè al di fuori di un certo "contesto"). Che vuol dire l'impossibilità "ultima" di giudicare alcunchè
("non puoi giudicarmi", dice infatti la casalinga oggetto originario di questo post).
Non credo esista un "dato evolutivo reale" che possa confortarci circa una possibilità concreta di superare "oggettivamente"
questa impossibilità di "dire" la moralità e l'immoralità (se c'è, io non lo conosco...).
Mi tengo allora la definizione "continentale". Pur se "senza sbocchi" (Ipazia);

Non mi ispira l'utilitarismo ideologico che postula le comunità e gli individui eternamente immobili in loro stessi, tipico della metafisica anglosassone, ma un'evoluzione etica che rifonda continuamente il significato di comunità e di individuo al suo interno. La dichiarazione universale dei diritti umani ha contenuti che corrispondono al ceck di quello che intendo per evoluzione etica e mi pare che postuli l'intera umanità come soggetto di tali diritti.

Citazione di: 0xdeadbeef
pur se, giustamente, a rigor di logica dovrei pormi il problema della bistecca di manzo e della carota;

Essì, altrimenti postuliamo un Bene a mezzo servizio, specista, anziché razzista. Relativista a sua insaputa.

Citazione di: 0xdeadbeef
essa mi dà però un riferimento che l'altra non può darmi.
Ma quale riferimento? Non certo quello di un articolo di fede...
Essa mi indica non tanto una oggettività "possibile" (altrimenti ci sarebbe uno sbocco...), quanto appunto la necessaria
mancanza di ogni riferimento nell'altra, sulla quale è appunto impossibile la formulazione di qualsiasi giudizio di valore,
o morale che dir si voglia.
saluti

Sull'utilitarismo anglosassone e la sua progenie darwinista sociale, concordo. Sulla necessità di calare l'innata pulsione morale, ancorata fin da subito al valore "vita umana", in un processo evolutivo, non credo vi siano alternative di sbocco. Siamo già coinvolti in questioni etiche da Io robot di Asimov e tra poco rischiamo seriamente di finire in quelle poste da 2001 Odissea nello spazio e Blade runner. Senza tralasciare quelle già emerse aspeciste.
saluti
#8228
Il suo risultato pratico, no. E' un artefatto, un prodotto materiale.
#8229
Citazione di: Carlo Pierini il 16 Ottobre 2018, 13:26:02 PM
IPAZIA
c'è la rappresentazione (del mondo) e c'è la pratica di questa rappresentazione. E ciò comporta che la pratica delle rappresentazioni non è essa stessa una nuova rappresentazione.

CARLO
Non è esattamente così: anche la pratica delle rappresentazioni è oggetto di rappresentazione. Ti faccio un esempio: l'uso di equazioni matematiche per esprimere delle leggi fisiche è una "pratica delle rappresentazioni". Eppure esistono due rappresentazioni diverse e inconciliabili di questa "pratica": quella di Hume-...Sgiombo, secondo cui l'immutabilità-eternità della logica matematica non garantisce l'immutabilità-eternità delle leggi fisiche che essa esprime, e quella di Pitagora-Platone-Galilei-Leibniz-Spinoza-...Pierini che, invece, concepisce i numeri come gli eterni archetipi del creato, cioè i modelli immutabili sui quali sono plasmate le leggi immutabili-deterministiche del mondo.

Mi riferivo alla pratica tecnica delle rappresentazioni non al metalinguaggio logico-matematico che le rende universalmente fruibili e realizzabili. Sul linguaggio della Natura non mi pronuncio. Sicuramente è un linguaggio sulla natura di quella parte della natura che è l'homo sapiens. Dire di più sarebbe violare il 7.mo e ultimo punto del Tractatus.
#8230
Salve viator, premetto che sono una estimatrice del tuo rigore metafisico al quale mi inchino. Mi permetto di intervenire solo dopo una premessa "anche restando nel limitato ambito umano ...". Sussunzione è termine non colloquiale per comprendere, nel senso di includere, non di capire. Includere in senso logico, non nel senso metafisico che ti è congegnale. Sistemata la semantica, se non è troppo umano, gradirei una critica alla mia idea tanatologica di inclusione. Contraccambio i saluti.
#8231
Tematiche Filosofiche / Re:Scienza e scientismo
16 Ottobre 2018, 13:20:02 PM
Citazione di: Carlo Pierini il 10 Settembre 2018, 21:03:04 PM
Citazione di: Lou il 10 Settembre 2018, 20:35:43 PM
Non penso sia così "tutto qui", Carlo, o meglio, il rapporto appare invertito: la scienza rincorre le applicazioni cretative e tenta di descriverne i fenomeni a cui dan corso. In un certo senso è è la tecnica che apre scenari inediti alla scienza, volendomi mantenere nella distinzione che poni, in modo, diciamo di trend genealogico.
CARLO
Certo. L'applicazione creativa del sapere scientifico si riflette anche in un potenziamento degli strumenti di osservazione e di ricerca della scienza stessa (dal cannocchiale, al microscopio, ai telescopi in orbita, alle telecamere inviate su Marte, ecc.).
Non solo: è il potenziamento degli strumenti tecnoscientifici a rendere possibile nuova scienza. Quindi Lou ha perfettamente ragione.

Far dipendere la conoscenza (episteme) dalla tecnica, dopo che la tecnica si è già appropriata di tutti gli aspetti della nostra sopravvivenza, ha sicuramente risvolti inquietanti. Se poi aggiungiamo che sta proliferando pure una filosofia ad hoc, lo scientismo, che sovrastruttura, urbi et orbi, questo dato strutturale della nostra evoluzione, non posso che condividere la tesi iniziale della discussione. Con una postilla: Big Science è molto più intrusiva, ubiquitaria e potente degli antichi Numi.
#8232
Citazione di: viator il 07 Settembre 2018, 12:52:32 PM

L'amore - anche restando nel limitato ambito umano - ho già detto che è la pulsione ad includere (essere inclusi) e/o a capire (essere capiti).

L'incapacità di provare amore (la quale include quindi la capacità di odiare) non è altro che l'incapacità di capire a fondo.

Se qualcuno si trovasse a poter capire tutto ciò che incontra, ti assicuro che non potrebbe fare a meno di amare tutto ciò che incontra.


Restando nel limitato ambito umano risulta piuttosto che la pulsione ad includere abbia generato odio, sia da parte di coloro che non volevano essere inclusi, che da parte, come giustificazione, degli inclusori. Escludo pure che ci fosse dell'incapacità a capire a fondo, perchè inclusi e inclusori capivano benissimo cosa stava accadendo e cosa frullava nelle rispettive teste. E, mutati i rapporti di forza, mutavano le inclusioni, ma non l'odio da esse generato.

La sussunzione del reale Tutto sotto il segno di Eros è difficilmente praticabile in un universo biologico costretto a ricorrere a Thanatos per includere l'Altro.
#8233
La scienza, attraverso la falsificazione, è la prima maestra nella critica dell'esperienza percettiva e affossatrice di teorie sul "reale". Sempre pronta ad aggiornare i propri modelli rappresentativi appena compare una nuova scoperta agli occhi, non della propria consapevole limitatissima percezione sensoriale della realtà, ma di protesi artificiali la cui "percezione" ne dilata i confini.

La filosofia fa bene a presidiare le pretese volgarmente egemoniche dello scientismo, ma c'è la rappresentazione (del mondo) e c'è la pratica di questa rappresentazione. E ciò comporta che la pratica delle rappresentazioni non è essa stessa una nuova rappresentazione. E poichè la mente/coscienza si porta sul piano della consapevolezza critica e non su quello delle rappresentazioni, sa perfettamente distinguere una pratica che funziona da una che non funziona, traendo le ovvie conclusioni sulle rappresentazioni teoriche che le sottendono.

Tanto l'aumentata "percezione" delle macchine sempre più intelligenti che l'importanza e dimensione crescente della cosa per noi sulla cosa in sè , rendono problematica e bisognosa di aggiornamenti la risposta metafisica. L'ontologia corre e la metafisica ha il fiato grosso.
#8234
Citazione di: 0xdeadbeef il 15 Ottobre 2018, 21:10:10 PM
Ciao Sgiombo
A parer mio ancor prima del "dove" (è la morale), è il caso di stabilire il "cosa" (è la morale). Perchè la definizione
di essa non è univoca, ed è su questa non-univocità che, per così dire, si gioca la partita.
Ti propongo la seguente definizione: la morale (o etica che dir si voglia) è la condotta rivolta al bene. La qual
definizione, come ovvio; ci rimanda allo stabilire un'altra definizione; quella di "bene" (e qui la facciamo finita con
questo gioco di scatole cinesi...).
Quindi: cos'è il "bene"?
Ti cito il Dizionario Filosofico di N.Abbagnano: "l'analisi della nozione di "bene" mostra subito l'ambiguità che essa
cela: giacchè il bene può significare o ciò che è - per il fatto che è - o ciò che è oggetto di desiderio, di
aspirazione etc".
Mi sembra che la tua definizione di "bene" ("ciò che è utile alla sopravvivenza e riproduzione di individui e specie")
rientri nella prima di quelle due categorie (infatti tu non dici che quello è ciò che desideri, ma che è quello che è).
Questo ti porta a squalificare come immorali quei comportamenti non conformi all'"essere" che affermi (senza, naturalmente,
tener conto che quei comportamenti potrebbero essere stati dettati da un desiderio ben preciso - magari di vivere meglio io
piuttosto che altri, o magari proprio vivere io piuttosto che altri...).
Torno sul dilemma filosofico di cui dicevo in un precedente intervento: cosa saremmo disposti a fare per evitare la morte
di uno sconosciuto che vive in un paese sconosciuto, a migliaia di kilometri da noi?
Saremmo disposti a donare una grossa somma di denaro, tutto ciò che possediamo o la stessa vita di un nostro familiare?
Certo, sacrificheremmo forse un figlio per evitare la morte di migliaia di persone a noi sconosciute? Non sembrino queste
cose poi così assurde (anche se in un certo qual modo lo sono). Perchè la loro presunta assurdità ci mette davanti alla
domanda: cosa faccio io per gli altri, e cosa sarei disposto a fare?
Quante volte abbiamo anteposto il NOSTRO interesse personale o l'interesse di una ristretta cerchia a quello di un non ben
definito "interesse generale"? Quante volte abbiamo tacitato la coscienza con gli argomenti più disparati per non ammettere,
ecco che torna il punto, che il "bene" da noi preferito è stato quello che è oggetto di desiderio e di aspirazione (non
quello che è)?
La filosofia anglosassone (per la quale il "bene" è l'utile individuale, quindi è ciò che è oggetto di desiderio) se la
cava troppo facilmente: c'è Dio che interviene a regolare per il meglio le volizioni individuali (un concetto che in
economia si traduce con il vero fondamento di tutto il liberismo, e cioè la "mano invisibile" di A.Smith), ma per
quanto riguarda la filosofia "continentale", la nostra?
Per la "nostra" (ho qualche dubbio su questo aggettivo possessivo, visto che ormai la mentalità anglosassone sta dilagando)
filosofia il "bene" è ciò che è; e che lo è "assolutamente", cioè a prescindere dalla volizione soggettiva.
La nostra è dunque una posizione molto più scomoda di quella anglosassone; una posizione che, se presa seriamente (cioè alla
lettera), ci obbligherebbe a scelte morali pesantissime: persino a sacrificare noi stessi o la nostra famiglia sull'altare
della sopravvivenza e riproduzione degli altri.
saluti
Trovo questa impostazione del problema etico non abbia sbocco proprio per la sua impostazione idealistica, imperniata su una concezione platonica del Bene (ancorata implicitamente al valore Vita, cosa su cui invece, materialisticamente, concordo). L'etica è qualcosa di molto concreto, finalizzato alla sopravvivenza di una comunità umana con aspetti egoistici e altruistici equamente ripartiti. Ma le comunità umane sono molte e differenziate per condizioni oggettive, prima che soggettive. E spesso confliggenti tra loro. L'idea di un Bene universale è pura ideologia: nel deserto è Male sprecare l'acqua, in Irlanda, no. Gli esempi qui riportati sulle carestie indiane illustrano alla perfezione il concetto. Quello che a noi di tradizione "cattolico-romana" pare assolutamente inaccettabile, è più che accettato non solo dalle caste indiane superiori, com'è logico, ma pure da quelle inferiori che hanno subito un male concreto, che però non è considerato Male nel loro orizzonte etico. Tutt'al più si consoleranno pensando che nella prossima reincarnazione, se rispettano il loro Karma, potranno rinascere in una casta superiore.

Quindi va bene così; ognuno con la sua etica ? No, esistono etiche più datate che vanno seppellite e forme di convivenza umana più adatte all'ampliamento del concetto di comunità umana, che, fatta la tara degli slanci pindarici dell'idealismo dei trattati, è un dato evolutivo reale. Ma il fatto che se muore uno della mia famiglia, o comunque che conosco, mi coinvolga di più della morte di un perfetto sconosciuto è l'ultimo problema che mi pongo in termini etici e lo trovo assolutamente naturale. Come naturale, nel limite delle possibilità materiali mie e della mia comunità, darmi da fare per le "magnifiche e progressive sorti dell'intera umanità".

Infine, un'etica idealistica rigorosa dovrebbe risolvere anche il problema della bistecca di manzo e della vita contenuta in una carota. Perchè non lo fa ?
#8235
Tematiche Filosofiche / Re:Tutto bene e niente male
15 Ottobre 2018, 19:58:32 PM
@sgiombo
;), lasciamo spazio al bene e al male. Se ne riparlerà nelle appropriate discussioni.