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Messaggi - 0xdeadbeef

#826
Citazione di: Apeiron il 12 Luglio 2018, 09:23:34 AM
Ad ogni modo, Nietzsche è un pensatore vario e inconsistente e come ho già detto ci sono varie cose che dice su cui sono d'accordo. Ma non capisco tutta questa lode al pensatore tedesco. Ci sono certamente vari temi su cui posso essere d'accordo, come la volontà di autosuperarsi, l'importanza che dà alla creatività artistica, all'indipendenza del pensiero, alla curiosità, al pensiero critico ecc. Ma ci sono troppi elementi della sua filosofia che sono disturbanti, che non sono condivisibili ecc. Per esempio molti si sforzano ad interpretare la volontà di potenza solo come creatività artistica. Purtroppo, queste interpretazioni secondo me non vogliono vedere citazioni come quelle che ho riportato. Qui, anzi, secondo me si vede benissimo l'importanza di riconoscere una "legge giusta" da obbedire  ;)


Ciao Apeiron
No, la volontà di potenza non è "solo" (...) creazione artistica, ci mancherebbe. Essa è, innanzitutto, volontà di
primeggiare, di far sì che la propria volontà sopravanzi quella di altri (e su questo punto mi pare cada a fagiolo
l'esempio di Kobayashi sulla tribù indigena e le sue "barbare usanze").
Da questo punto di vista, dicevo provocatoriamente, che forse persino S.Francesco e Madre Teresa erano mossi da
volontà di potenza...
Non è che non si vogliano vedere certe affermazioni di Nietzsche. Pur ammirandolo, non ho alcun problema a dire
che certe cose da lui dette sono, semplicemente, mostruose. Ma non è tanto questo il punto (pur senza voler sminuire,
intendiamoci).
L'aspetto forse principale della filosofia di Nietzsche è la "genealogia dei valori". Egli per primo (pur se con
importanti anticipazioni) ha detto che il valore morale è stato istituito dall'uomo in virtù della sua potenza,
e che dunque non era da ricercare in null'altro. Che la volontà di acquisire potenza è il "motore primo", che muove
l'uomo in ogni suo agire.
Tutto il resto della sua filosofia è forse solo una, come dire, "appendice" a questo fondamento.
Sarebbe tuttavia gravemente errato pensare che Nietzsche, solo, abbia avuto tali torbidi pensieri e con questi abbia
per così dire "avvelenato" le generazioni a lui contemporanee e successive.
Assolutamente no. Nietzsche non "crea" nulla dal nulla, e la sua è una interpretazione di un "sentire" già molto
comune nel suo tempo; un "sentire" che nessuno però ha osato proferire con tanta tremenda chiarezza.
Egli, come quel bambino, ha semplicemente gridato: "guardate, il Re è nudo!", squarciando uno spesso velo di
ipocrisia che, allora come ancora oggi, ammanta il nostro "vivere comune".
Come ho già avuto modo di dire, le Guerre mondiali, l'avvento dei totalitarismi e degli orrori del 900 non possono
essere in alcun modo imputati a Nietzsche.
saluti
#827
Però, scusate, a me sembra che in troppi interventi si tenda ad assimilare il nichilismo cone le, diciamo, "crisi
esistenziali".
Fra le due cose vi è indubbiamente un nesso, ma questo non esausce di certo la tematica del nichilismo.
Lo stesso Leopardi, dicevo, prima di arrivare ad "invidiare solo i morti", era colui che pensava al successo
letterario ed alla fama come antidoto a quella che lui riteneva la "insopportabilità della vita".
Chedeva Kobayashi: "una persona che passa realmente attraverso la devastazione del pessimismo cosmico di Leopardi o
del nichilismo della morte di ogni valore morale ha ancora una potenza e una volontà?"
Beh, bisogna vedere fino a che punto. Sicuramente il Leopardi che "invidia solo i morti" ha, se più ce l'ha, una potenza
e una volontà del tutto particolari. Ma il Leopardi che cerca la fama letteraria ha certamente una volontà di
potenza più, per così dire, "canonicamente intesa".
E comunque, io credo, il nichilismo va guardato "anche" dal punto di vista di chi i morti non li invidia proprio,
tutt'altro. Dal punto di vista, cioè, di chi pur non avendo nessun valore morale "vive"; e "vive" molto spesso
di edonismo e di egoismo.
Trovo non sia necessario, per essere nichilisti, l'invidiare i morti. Basta e avanza il vivere bramando la "bella
vita"; naturalmente per se, visto che degli altri a chi non ha valori morali non importa un fico secco.
Poi, come spesso accade, quando arrivano i momenti duri (ad esempio la malattia, la morte di qualche familiare)
ci si rifugia nelle "braccia compassionevoli di Santa Madre Chiesa"...
Non sono pochi i casi in cui il nichilismo va a braccetto con la volontà di potenza. Anzi direi che sono la
maggioranza dei casi. Un nichilismo dovuto al "pessimismo cosmico" o alla riflessione sull'eclissi del valore
morale è pertinenza delle anime sensibili, e queste sono assai poche.
I più, come dicevo, "vivono" o quantomeno si sforzano di "vivere" (edonisticamente ed egoisticamente), e sono
perfettamente consapevoli di essere nichilisti (magari non nel termine in sè ma certamente nella sostanza), senza che
questo vada minimamente ad intaccare quella volontà di primeggiare e di avere successo che Nietzsche chiamava "di
potenza".
Del resto lo stesso Dostoevskij, nei "Karamazov" ci offre una limpida illustrazione di come i più ragionano: "come
un condannato a morte nel carro verso il patibolo; esso si avvicina sempre più, ma manca ancora tanto..."
saluti
#828
Vorrei modestamente suggerire a chi parla (non a torto) di un Nietzsche "esagerato" di provare a leggere le opere
della gioventù ("La nascita della tragedia", "Verità e menzogna", "La filosofia nell'età tragica dei Greci"),
opere nelle quali Nietzsche appare sicuramente molto meno "estremo" ed ancora legato ad approfondire il concetto
di "volontà" così come esso si è configurato in Schopenhauer.
Le opere della maturità, ed in particolare quelle prossime all'età della follia, sono opere "per iniziati", come
ha giustamente detto qualche critico.
saluti
#829
Citazione di: Carlo Pierini il 11 Luglio 2018, 17:44:33 PMCARLO
...E chi l'ha detto che il punto di vista soggettivo - combinato con la "capacita oggettivante" che ha il soggetto umano - non sia il punto di vista privilegiato?
Cosa intendo con "capacità oggettivante"? Quella, per esempio, che ci ha permesso di stabilire che il geocentrismo derivava da un punto di vista soggettivo e che, invece, l'eliocentrismo è il punto di vista DEFINITIVAMENTE oggettivo. In altre parole è la nostra capacità di studiare COMPARATIVAMENTE i fenomeni da diversi punti di vista soggettivi che ci permette di pervenire all'oggettività (la perfetta complementarità tra la legge gravitazionale di Newton e le tre leggi di Keplero).
Infatti, oggi siamo assolutamente sicuri che l'eliocentrismo è il paradigma DEFINITIVO dei moti planetari


Dimentichi un particolare...
Quando io dico che la filosofia di Kant è "sublime" e il tuo punto di vista sbagliato, io rivendico eccome per la mia
affermazione un valore veritativo (cioè le rivendico "oggettività").
Tu invece, fraintendendo, stai attribuendomi un pensiero siffatto: "io penso che la filosofia di Kant sia sublime e
il punto di vista di Carlo Petrini sbagliato, ma siccome un punto di vista vale un altro i nostri, di me e di Carlo
Petrini, punti di vista si equivalgono" (e a questo punto potrei evitare anche di dire quel che penso, visto che non
potrei pensarlo su nessuna base logica o conoscitiva).
Non è così, e con ogni evidenza. Semplicemente, quell'"io penso", dal punto di vista kantiano io lo dico in quanto
sono consapevole della natura di interpretazione della mia affermazione, cioè sono consapevole che esiste la
possibilità (remota o meno che sia) che io mi possa sbagliare.
Questo enunciato dell'"io penso" ha un'importanza X per quel che riguarda la scienza, certamente ne ha una enorme per
quanto riguarda i problemi della morale, quindi di conseguenza per quanto riguarda ogni aspetto del vivere (politica,
economia, diritto etc.).
Gli avverbi ed aggettivi che usi (definitivamente, definitivo) possono essere semplicemente sbagliati per quel che
riguarda la scienza; certamente sono TRAGICAMENTE SBAGLIATI per quanto riguarda altri aspetti del vivere (come quelli
da me sopra citati).
Perchè? Semplicemente perchè essi individuano un'altro aggettivo/sostantivo molto più diretto ed esplicito di essi:
l'"ab-solutum", il "libero da qualsiasi vincolo o limite", una parola che in termini morali si traduce in un modo solo:
ASSOLUTISMO.
Quindi prova ad alzare lo sguardo: non c'è solo la scienza...
saluti
#830
Citazione di: sgiombo il 11 Luglio 2018, 08:24:52 AM
Insisterei sulla differenza fra le questioni dell' "inseità" (o meno) nel senso del sentito (percepito sensibilmente) e nel senso del pensato (esistente per lo meno come intensione o connotazione di concetti pensati; o pensabili; essendo i pensieri insiemi e successioni di percezioni coscienti o sensazioni, di tipo mentale).

. Mentre invece il noumeno o cosa in sé (se reale, cosa non constatabile né dimostrabile) é per l' appunto "in sé" nel senso di "indipendentemente dall' essere sentito (da un soggetto di sensazione)":


Si certo (immaginavo questa tua nota), un pensiero esiste in quanto "trasmissione di dati neuronali fra le sinapsi del
cervello" (o qualcosa di simile; capirai bene che questo non è proprio il mio campo...), ma non esiste come contenuto.
Dunque esiste la "cosa in sè" che sottostà al pensiero dell'ippogrifo (e che interpretiamo come trasmissione neuronale),
non esiste l'ippogrifo in quanto contenuto di quella trasmissione.
Mi pare (scusami se mi riferisco ad esempi concreti, ma ho delle difficoltà a seguire il tuo ragionamento) che tu
distingua fra il Cedro del Libano nel momento in cui lo vedi presente e nel momento in cui esso è oggetto di un "ricordo".
Dal mio punto di vista (ma credo proprio di poter dire "dal punto di vista di Kant") questa distinzione non pone alcun
"problema".
La tua distinzione fra "sentito" e "pensato" trovo non abbia attinenza con i concetti di "cosa in sè" e di "fenomeno".
Il "sentito- cedro" (ad esempio quando vedi o tocchi il cedro) è "fenomeno" in quanto chiamato "cedro", ritenuto "magnifico"
etc. Ed è "cosa in sè" come "sostrato" dell'oggetto cui attribuiamo le qualità di "cedro", "magnifico" etc.
Il "pensato-cedro" (quando solo lo ricordi) è "fenomeno" in quanto tale pensiero è chiamato "pensiero del cedro"; pensiero
che sia magnifico etc. Ed è cosa in sè sempre come sostrato dell'oggetto-pensiero che chiamiamo "attività neuronale".
Non bisogna pensare alla "cosa in sè" come ad un qualcosa di "indipendente dall'essere sentito" (ho l'impressione che proprio
questo sia il punto "cruciale").
La "cosa in sè" è un concetto logico. Siccome è impossibile osservare gli oggetti da un punto di vista privilegiato, cioè
non relativo al soggetto che li osserva, si assume ipoteticamente l'impossibile, cioè che sia possibile osservare gli
oggetti da un punto di vista privilegiato. Gli oggetti in tal modo osservati (un modo impossibile) sono le "cose in se
stesse", e sono inconoscibili appunto perchè il modo di osservarle è impossibile.
Questo vuol dire che quel che è in questione è sempre e solo un "oggetto", sia esso un cedro o una attività neuronale.
Mai un "contenuto" di un pensiero ("Dio non è più reale dell'idea che io abbia cento talleri in tasca", dice Kant - che
sempre, sembra, fu alle prese con problemi economici...).
In questo senso non c'è differenza fra l'idea di un cavallo e quella di un ippogrifo: entrambe, dal punto di vista che qui
ci interessa, sono dovute ad una oggettiva attività neuronale (i talleri sono reali, ma l'idea, come contenuto, non come attività neuronale, che essi siano nella tasca di Kant
non è più reale dell'idea di Dio - sempre come contenuto).
saluti
#831
A Carlo Pierini
Sto arrivando (non ti "conoscevo") alla consapevolezza che tu non sia in grado di elaborare un ragionamento
filosofico (cioè un ragionamento che FORSE PRIMA DI TUTTO ricerca le relazioni, le connessioni fra i saperi e SU
ESSE si mette poi nella condizione di fornire un, per così dire, "quadro generale").
I tuoi ragionamenti, esclusivamente basati su singoli aforismi, su dettagli estrapolati da un contesto, tutto sono
fuorchè filosofia.
Cosa altro credi possano essere, per un "kantiano" come me, quelle frasi di Nietzsche se non "ignobili" (per usare
la tua stessa definizione)? Come pensi possa giudicare quelle affermazioni uno che come me crede negli "imperativi
categorici" della morale? Che pensa possibile e ricerca una "Pace perpetua"?
E adesso, se ne sei capace, chiediti il perchè uno come me (mi tiro in ballo solo per chiarezza espositiva, intendiamoci)
prova così tanta ammirazione per un simile "mostro", per del "letame", in definitiva per un povero pazzo (queste alcune
definizioni che tu ed altri avete affibbiato a Nietzsche)?
Dov'è Nietzsche come termine della filosofia ottocentesca? Dov'è uno dei massimi e forse il massimo esponente di quella
corrente letteraria che ai tempi in cui andavo a scuola veniva chiamato "Decadentismo"? Dov'è il massimo e definitivo
"cantore" della volontà schopenaueriana? Dov'è, forse soprattutto, la teoria sulla genesi del valore morale?
Perchè Nietzsche, come ogni altro grande filosofo (e della sua statura io li conto sulle dita di una mano...) non
ha certo CREATO l'ignominia contenuta in quegli aforismi. Egli ha solo INTERPRETATO il suo tempo, con i suoi sentimenti
e le sue percezioni (leggiti qualche buon romanzo di metà o fine 800, e vedi come certe tematiche nietzscheiane
vi siano già tutte contenute - seppur velatissime).
Le Guerre Mondiali e l'orrore del 900 non ci sono certo stati perchè Nietzsche ha scritto quelle cose...
Perchè il filosofo (e questo non tutti lo sanno, e soprattutto non lo sai tu, in quanto immerso in un idealismo probabilmente
inconscio) non crea proprio un ben niente. Bensì interpreta, "svela", con grande preveggenza e sensibilità, ciò che già
"è", ciò che è già "dato" (e se tu fossi capace di comprendere Kant questo lo capiresti al volo...).
E adesso continua pure con il giochino dell'estrapolazione di qualche singola frase o parola. Per quanto mi riguarda non
proseguirò una discussione sterile e per nulla formativa (che non può che risolversi in un inutile battibecco, come ha
giustamente detto qualcuno in una precedente risposta).
saluti
#832
Citazione di: Socrate78 il 10 Luglio 2018, 19:07:52 PM
  Di conseguenza l'esaltazione della lotta presente in Nietzsche ha almeno a mio avviso molto di vero, e trovo molto più vera una posizione del genere di mille utopie pacifiste, basate solo su astrazioni filosofiche prive di fondamento nel reale. Anzi, se c'è un pensatore a cui io mi senta di applicare la frase di apertura del post "Se lo conosci lo eviti" quello per me sarebbe Kant. non Nietzsche, il suo imperativo categorico etico secondo me fa acqua da tutte le parti.



Se leggi gli interventi precedenti al tuo ti accorgerai che tutti, meno i miei, sono non di critica (che sarebbe più
che legittima), ma di autentica denigrazione del pensiero di Nietzsche (anzi DI Nietzsche stesso, visto che del
pensiero non se ne è parlato...).
Insomma, i soli interventi in cui si dichiara ammirazione per il grande filosofo tedesco sono i miei, quelli di un
"kantiano"...
Paradosso? Forse, è che io, come dicevo, vedo in Nietzsche un grande avversario; ma un avversario cui non posso non
rendere l'"onore delle armi".
La verità è che io "spero" che Kant abbia ragione, ma al tempo stesso "temo" ce l'abbia Nietzsche...
L'imperativo categorico non fa acqua da tutte le parti. Esso, semplicemente, si fonda sulla speranza che esista un
"qualcosa" (Dio) su cui etica e morale possano basarsi. Chiaramente molto diversa è la filosofia di Nietzsche, il quale
afferma invece che il valore morale si fonda sulla volontà di potenza.
Una volontà di potenza che (e qui solo apparentemente si va oltre Nietzsche) non è solo e necessariamente ostilità,
violenza e sopraffazione, come una lettura superficiale di Nietzsche indurrebbe a credere. Ma è, semplicemente,
la volontà di "primeggiare".
Io trovo che anche chi cerca e vuole l'amicizia, la pace e la solidarietà sia animato da volontà di potenza. Perchè
cerca e vuole che quei valori siano i valori di tutti, che siano "universali", cioè che "primeggino" sui valori (o
dis-valori) opposti.
Credo, in sostanza, che persino S.Francesco o Madre Teresa siano stati animati dalla ricerca del proprio utile, cioè
siano stati animati da "volontà di potenza" (perlomeno non lo escludo, via...).
Tutto Nietzsche è in fondo racchiuso nell'episodio della scimmia che, digrignando i denti nello sforzo di emettere la prima
parola dice: "io sono il creatore".
Cioè sono io ad aver "creato" Dio (non il contrario); è la mia volontà (di potenza) ad aver creato ciò che è sacro e ciò
che è tabù (quindi sono io ad aver creato anche l'idea di ciò che gli uomini chiamano "morale").
saluti
#833
Citazione di: Carlo Pierini il 10 Luglio 2018, 19:17:43 PM
CARLO
Quale sarebbe la "lezione relativista"? Quella secondo cui tutte le verità sono relative TRANNE quelle predicate dai relativisti? Questa è una lezione da tenere al cottolengo, non in un ambito filosofico.



Tu sei troppo bravo a fare domande, molto meno a dare risposte...
Dicevo: "Si cominci a "dire" qual'è l'origine del valore morale, e poi e solo poi potremo cominciare a ragionare (seriamente)
di Nietzsche...".
Quindi prima dai tu la risposta, visto che la mia richiesta anticipa la tua...
Coglionerie a parte (le mie sulla precedenza), trovo molto banale estrapolare una singola frase o parola da un contesto
(è una cosa in gran voga fra i politici). Uno dei punti salienti, se non il maggiore, della filosofia di Nietzsche è
la "genealogia - o archeologia - dei valori" (come messo giustamente in luce dalla cosiddetta "Nietzsche reinassance"
francese).
Quindi ci si occupi di questo, se si vuol parlare "seriamente" di Nietzsche, non dei dettagli.
saluti
#834
Tematiche Filosofiche / Re:Kant e il Principio.
10 Luglio 2018, 19:54:48 PM
Citazione di: Carlo Pierini il 09 Luglio 2018, 22:44:38 PM
Citazione di: 0xdeadbeef il 09 Luglio 2018, 20:09:21 PM
Citazione di: Carlo Pierini il 09 Luglio 2018, 11:44:59 AM
Ma se, invece, credi davvero che sia un grande filosofo, prova a rispondere alle mie poche e semplici domande.

La risposta alle tue domande è semplicissima: la "cosa in sè", da un punto di vista scientifico, è irrilevante.
Cos'altro potrebbe risponderti uno che, come dicevo, è convinto che Einstein abbia ragione da vendere quando
afferma: "è la teoria a decidere cosa possiamo osservare"?


CARLO
No, sulla "cosa in sé ho detto tutto quello che c'era da dire (vedi il mio ultimo breve intervento riassuntivo su "L'elettrone in sé"). Intendevo le tre domande che ho posto nel post d'apertura di questo 3d:

1 - Su cosa basa Kant la sua convinzione che sia impossibile conoscere il Principio?  
2 - Per quale ragione, cioè, un Principio che governa-modella il mondo dovrebbe essere <<pensabile soltanto dall'intelletto puro>> e non desumibile dall'osservazione del mondo?
3 - Il principio di gravitazione è stato solo un pensiero puro di Newton, oppure Newton ne ha desunto l'esistenza e la "forma" (F=GmM/r^2) dall'osservazione dei moti planetari?


Beh, credo proprio di aver già risposto dicendo che la "cosa in sè" da un punto di vista scientifico è irrilevante,
non credi?
Credo in altre parole che quella risposta contempli altre risposte che potrei dare...
Ma così, per divertirci, proviamo a rispondere nel dettaglio.
1) Il "Principio" intendendo con questo la "cosa in sè" (intenzione sbagliata)? Bah, è impossibile conoscere la "cosa
in sè" perchè è impossibile osservare gli oggetti da un punto di vista privilegiato, cioè non relativo al soggetto
che li osserva. Se poi tu chiami "Principio" (con tanto di maiuscola...) questa cosa qui, beh, potrebbe aprirsi un,
come dire, "oceano"...
2) Ah, ecco spiegato il "Principio"...
No no, "governa e modella il mondo" è una terminologia idealista che non mi appartiene (né credo proprio sarebbe
appartenuta a Kant). Per Kant (e per me che ne sono "devoto discepolo") cioè che "governa e modella il mondo"
è il dato empirico, cioè il dato ricavato dall'osservazione e dalla conoscenza del "fenomeno".
Tale dato è semmai "attenuato" dalla consapevolezza che il "fenomeno" non esaurisce tutto il sapere (come nella
tesi riguardante il rapporto fra moralità e legalità).
3) Qui rischio di dire sciocchezze. Presumo abbia osservato i moti planetari (come ha osservato e esperito la celebre
mela che gli è caduta in testa). Mi sembrerebbe strano che Kant, il quale aveva grande stima di Newton, ammirasse
così tanto uno scienziato che non si basa sul dato empirico.
saluti
#835
Allora, premetto che trovo assai curioso che proprio io, che considero Kant il più grande filosofo, mi trovi a
difendere Nietzsche da tutta una schiera di denigratori.
Diciamo che io vedo Nietzsche come un grande, grandissimo avversario, al quale, come si suol dire, non posso che
offrire l'"onore delle armi"...
Per me Nietzsche è il termine ultimo dell'Idealismo (l'ultimo degli idealisti o il primo dei post-idealisti,
non mi fossilizzerei in tali definizioni), sebbene preceduto da insigni filosofi-letterati, come Leopardi o
Dostoevskij, o forse anche Kierkegaard).
La disgregazione delle (grottesche) tesi idealistiche non può che produrre queste conseguenze. Discutibili quanto
si vuole, "mostruose" forse ed addirittura, ma "inevitabili" ove viste nell'ottica di una "decomposizione" del
grandioso (grandioso non certo in sè - semmai ridicolo - ma in relazione alla vastità e capacità di penetrazione
nella società e nelle menti) sistema filosofico hegeliano.
Dunque ha ragione Jung, laddove afferma: "l'800, alla fine, doveva produrre un Nietzsche".
Tuttavia l'Idealismo, e proprio grazie alla sua "grandiosità" (nel senso visto sopra), è duro ma morire, e non
è bastato Nietzsche.
Dopo Nietzsche sono arrivati infatti i Gentile, i Croce, e tutta la schiera di "epistemologi" che pensano alla scienza
come ad una "filosofia prima", rendendola di fatto e in tutto identica alla metafisica tradizionale (e in ciò
dimenticando allegramente la "lezione relativista").
Che pensano la "episteme" come "sophia" (esempi lampanti di ciò ne abbiamo a bizzeffe su questo stesso forum...).
Insomma, tanto per non tirarla per le lunghe è da questo ritorno prepotente dell'Idealismo che Nietzsche comincia
ad essere visto come "letame", come una specie di "mostro"; in definitiva squalificato come semplicemente pazzo.
Si cominci a "dire" qual'è l'origine del valore morale, e poi e solo poi potremo cominciare a ragionare (seriamente)
di Nietzsche...
saluti
#836
Citazione di: sgiombo il 08 Luglio 2018, 15:14:40 PM
Dunque credo che Se pensare è già "segnare", cioè è inserire l'oggetto pensato in un preciso riferimento interpretativo, non necessariamente deve comunque esistere realmente (indipendentemente dall' eventuale realtà pure del pensiero di esso) un "qualcosa" originario cui quel pensiero si è riferito.
Necessariamente, per definizione, deve esistere una connotazione o intensione (meramente concettuale, "cogitativa") del concetto pensato (la sua arbitraria, di fatto più o meno convenzionale definizione), ma non una sua estensione o denotazione reale (può esistere per esempio nel caso del pensiero di un cavallo, non in quello del pensiero di un da me amatissimo ippogrifo (ma che nostalgia delle discussioni con l' ottimo Maral in proposito!).

Salutoni!


Sulla questione del "giudizio sintetico a posteriori" concordo con te. In effetti quella tesi ritengo faccia
parte di quella "frattura" (che dicevo, non so se l'hai letto) fra Ragion Pura e Pratica che molti hanno
rilevato.
E concordo anche sulla successiva affermazione per cui si danno solo "giudizi analitici a priori", cioè non
"sintetici". Il "problema", se così vogliamo chiamarlo, è che Kant dà per certissime le tesi della scienza
e della meccanica newtoniana in particolare (certezza che è smentita dalla fisica relativistica - ma questo,
come giustamente rileva Carnap, paradossalmente non fa che rafforzare la tesi di fondo di Kant, cioè quella
della "cosa in sè").
Credo sia in ogni caso indispensabile definire il significato del termine "esistenza".
Per me è valida la definizione etimologica: "esistere" vuol dire "stare saldamente fuori", cioè stare al
di fuori di ogni interpretazione soggettiva, esistere "in sè", "saldamente", sulla roccia e non sulle sabbie
delle interpretazioni.
Ora, è chiaro che secondo questa definizione un pensiero non può esistere. Un pensiero, foss'anche quello
dell'ippogrifo, "c'è" ma non "esiste", come del resto qualunque altro pensiero (di cosa reale o immaginifica).
L'"esistenza", da questo punto di vista, è dunque solo degli oggetti "concreti"; ma essendo per noi gli oggetti
"pensati", cioè interpretati (e già dire "oggetti" li fa rientrare in questa categoria), ciò non può che risolversi
che nella "esistenza" della sola "cosa in sè" (da questo punto di vista, ad esempio, per Kant Dio non può esistere
in quanto mero pensiero - contro certe interpretazioni precedenti che volevano una esistenza "fisica" sulla base
del pensiero).
Allo stesso modo, l'ippogrifo non può in ogni caso "esistere", in quanto di esso non esiste un riferimento reale, tangibile.
saluti (ci ho preso?)
#837
Senonchè questi "giudizi di valore" (sì, penso anch'io che in fondo lo siano) di Nietzsche non vengono
da eterne, assolute, infinite etc. divinità ma dalla volontà di potenza, vero e proprio "motore nascosto"
dell'uomo.
Perchè quella di Nietzsche è innanzitutto una "genealogia dei valori".
Trovo semplicistico, oltre che ingiusto, tentare di ridurre Nietzsche al contenuto di quelle frasi (fra
l'altro di uno stile letterario). Così facendo si finisce, e qualcuno lo ha fatto, per addossargli
persino le colpe del nazismo.
No, la grandezza di Nietzsche risiede, per così dire, non nelle righe ma fra le righe...
Ed è una grandezza indiscutibile; una grandezza che appunto si fonda sulla teorizzazione dell'origine del
valore (si sia d'accordo o meno - e io, moralmente, non lo sono).
Piuttosto credo l'opposto del titolo di questo post: "Nietzsche: più lo conosci e più ti avvicini".
Evitare Nietzsche vuol dire evitare il più grande filosofo degli ultimi 200 anni, un vero delitto contro
la stessa filosofia.
saluti
#838
Citazione di: Kobayashi il 09 Luglio 2018, 08:44:52 AM
Faccio una considerazione antropologica: una persona che passa realmente attraverso la devastazione del pessimismo cosmico di Leopardi o del nichilismo della morte di ogni valore morale ha ancora una potenza e una volontà? Passarci attraverso non significa leggere dei libri nel tempo libero continuando poi a fare la vita di sempre, significa fare per esempio come Raskolnikov o Ivan Karamazov.

Mi ricorda il gesto di San Francesco con i lebbrosi senza però il suo fanatismo cristiano. Anche Francesco avrebbe forse fatto la stessa cosa anche se non avesse mai conosciuto la figura di Cristo, chissà.


Beh certo, riconosco che la tua è una considerazione davvero profonda e per molti versi condivisibile.
Tuttavia proprio da Leopardi ci viene in questo senso un suggerimento. Non è infatti ignoto che egli
abbia perseguito il successo letterario, il successo "nel mondo" come antidoto al profondo pessimismo
che lo pervadeva (su questo tema egli scrive molto proprio nelle "Operette Morali").
Così come del resto Nietzsche, il quale afferma che bisogna aver vissuto il nichilismo fino in fondo
prima di rinascere nell'"oltreuomo".
E' però pur vero che né l'ultimo Leopardi (che dice: "invidio solo i morti") né Nietzsche (che mai
rinacque nell'"oltreuomo") mantennero fede alle loro intenzioni...
Ma vorrei concludere con una domanda (da un estimatore del grande maestro russo ad un altro, sembra...):
secondo te, Francesco avrebbe potuto mai dire (come ne "I Demoni"): "se anche Cristo non fosse verità,
preferirei stare col Cristo piuttosto che con la verità"?
saluti
#839
Tematiche Filosofiche / Re:Kant e il Principio.
09 Luglio 2018, 20:09:21 PM
Citazione di: Carlo Pierini il 09 Luglio 2018, 11:44:59 AM
Ma se, invece, credi davvero che sia un grande filosofo, prova a rispondere alle mie poche e semplici domande.




La risposta alle tue domande è semplicissima: la "cosa in sè", da un punto di vista scientifico, è irrilevante.
Cos'altro potrebbe risponderti uno che, come dicevo, è convinto che Einstein abbia ragione da vendere quando
afferma: "è la teoria a decidere cosa possiamo osservare"?
E del resto, come può la scienza valutare come rilevante un qualcosa assunto come inconoscibile?
Però (c'è un però, ed è grande come una montagna...), questa risposta è valida solo dal punto di vista
scientifico, cioè è valida solo per una parte del sapere, non certo per ciò che cerca, ambisce, di
essere "tutto" il sapere.
La mia contro-domanda è quindi la seguente: cosa rappresenta, da un punto di vista filosofico, la "cosa
in sè"?
Probabilmente dirai: "ugualmente l'irrilevanza". Beh, ti dirò che da uno che parla di "armonie spinoziane",
di sintesi soggetto-oggetto e di magnifiche e progressive sorti dell'umanità (cioè da parte di un idealista)
non mi aspetto risposta diversa.
Se poi tu avessi un'altra risposta sono tutt'orecchi...
saluti
PS
Ti resta in teoria anche l'opzione positivista (cioè scientista) ma mi hai dimostrato già di non appartenere
a quella, diciamo, "schiera". Difficile tu abbia una terza via (come giustamente sottolinea anche Paul11
nell'intervento precedente).
#840
Citazione di: sgiombo il 08 Luglio 2018, 22:46:09 PM
Nè impediscono il riconoscimento di valori morali e di giustizia che, pur non essendo dettati da alcun Dio su alcuna pietra, né essendo dimostrabili razionalmente (Hume), pur non essendo "universalmente veri di diritto" tuttavia sono di fatto (e secondo me per ben comprensibili ragioni naturali, ben chiarite dalla moderna biologia "di origine darwiniana"; se correttamente intesa, e non "a là Dawkuins, "darwinismo soicale, "sociobiologia" e così via farneticando antiscientificamente) per lo meno in parte universalmente avvertiti (e in parte socialmente condizionati, come dimostrato da Engels e da Marx).



"Morte di Dio" come metafora, perchè l'autentico significato di tale espressione è "morte del valore", così
come assunto, e cioè "assolutamente".
Del resto, la cosiddetta "Nietzsche reinassance" francese parla, e a mio parere giustamente, della filosofia
di Nietzsche come "genealogia del valore".
"Se Dio non esiste bisognerebbe inventarlo", fa dire Dostoevskij al piccolo Kolja (mi pare lui, se ben ricordo).
Ora, inventato o esistente realmente (non è qui che ci interessa), Dio come metafora dell'assoluto, quindi di
un valore morale assunto assolutamente (non in maniera relativa, cioè).
Può forse essere diversamente? Tu se ben più di me avvezzo alle cose della scienza, quindi saprai meglio di
me quanto la scienza sostiene a proposito del valore morale e di giustizia. Però ti chiedo: può la scienza
imporci come assoluto un qualcosa che è senz'altro relativo?
La "Legge" (che per sua stessa definizione è assoluta in quanto "uguale per tutti") ci impone delle cose, ad
esempio di non uccidere o di non rubare, e ce le impone assolutamente, cioè in una maniera che è la perfetta
e speculare immagine di Dio (non a caso è Dio che dà le Tavole a Mosè). Beh, con quale diritto potrà
continuare ad imporre nel momento in cui non, semplicemente, "Dio", ma lo stesso concetto di valore come "assoluto"
viene demolito dal "sottosuolo filosofico degli ultimi 200 anni"?
Certo, le imporrà, magari, sulla base di un "consenso democraticamente stabilito", ma dove risiede l'"autorità" di
quella base? Insomma, quale fondamento di sabbia, per usare ancora una metafora religiosa...
saluti Giulio.