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Messaggi - Socrate78

#841
Eppure io resto dell'idea che ci sia una distinzione fondamentale tra mente e cervello: a mio avviso esiste qualcosa che si può definire come "anima". La scienza, analizzando il cervello, ha notato come i nostri comportamenti siano causati da determinati neurotrasmettitori che provocano in noi determinate reazioni (paura, amore, rifiuto, accoglienza, ecc.). La scienza però studia e analizza il COME, non ci dice nulla sul PERCHE'. Se si sposta il discorso sul perché accade ciò che descrivo sopra, secondo me si deve ipotizzare l'esistenza di una specie di "regista intelligente" dietro le quinte che già sa come controllare il corpo per produrre una reazione funzionale all'ambiente e alle sue variazioni: una molecola di per sé infatti non è dotata di coscienza e intelligenza, eppure agisce come se lo fosse, visto che determina una reazione intelligente all'ambiente. O mi sfugge qualcosa?
#842
Tuttavia secondo me il problema non è del tutto risolto. Infatti se io con la mia ragione comprendo che dietro a determinati meccanismi corporei vi è della razionalità e può essere ravvisabile un finalismo, si può forse escludere che dietro ci sia anche una "mente", una specie di Dio immanente che ha orchestrato il tutto e che quindi riflette davvero? Come per un computer, esso viene creato da una mente (l'uomo) programmandolo per determinate funzioni, allo stesso modo un'Intelligenza superiore può aver creato un sistema (l'organismo) pensato per agire secondo un fine preciso.
#843
Secondo voi è possibile che la maggior parte delle nostre valutazioni e ragionamenti sia inconscia e solo una piccola parte consapevole? In realtà la nostra mente governa e controlla molti meccanismi del nostro corpo senza che noi ne siamo consapevoli della valutazione che c'è dietro: ad esempio se ci viene la febbre è perché il nostro cervello produce determinate sostanze (nell'ipotalamo) che fanno alzare la temperatura corporea per stimolare il sistema immunitario, quindi è come se la nostra mente facesse una valutazione, dicesse: "Devo aumentare la temperatura per sconfiggere il batterio", ma noi in quel momento non ne siamo consapevoli.
Lo stesso accade quando tendiamo ad evitare una persona o alcune persone senza che siamo consapevoli dei motivi della nostra antipatia: infatti la psicoterapia, anche attraverso l'ipnosi, mostra come dietro determinati comportamenti-problema ci siano delle valutazioni precise che però non raggiungevano mai la soglia della consapevolezza. Di conseguenza la consapevolezza governa solo una minima parte delle nostre decisioni ed il resto sfugge al nostro stesso controllo? L'Io non è padrone in casa propria ma è sopraffatto dalla mente inconscia, giusto?
#844
Come mai in genere si ritiene (molto spesso anche nella filosofia....) che la felicità come stato permanente di "beatitudine" sia la cosa più importante in assoluto? A ben guardare, anche se istintivamente verrebbe da dire che è ovvio, secondo me non è affatto così. Infatti ciò che rende l'uomo un essere mentalmente evoluto non è il grado di felicità, ma il livello di consapevolezza della realtà in cui vive: la consapevolezza, di per sé, presuppone anche un certo grado di sofferenza, quando ci si rende conto che la realtà in cui vivi è negativa, non corrisponde a ciò che giustamente tu desideri. In quanto persona ritengo di essere evoluto in quanto consapevole, non in quanto più felice. Si può fare un esempio lampante: un drogato nel momento in cui è sotto l'effetto dello stupefacente sta bene, prova sensazioni piacevoli, ma vista obiettivamente la sua è una miserevole condizione in cui egli distrugge intelligenza e consapevolezza in nome di un paradiso artificiale. Addirittura si può dire che mettere al primo posto la felicità porta a disumanizzazione e che sia un'idiozia pericolosa ricercarla a tutti i costi sempre.  Infatti se io voglio a tutti i costi inseguire un ideale di fredda serenità spacciandola per felicità, ecco che rischio di disumanizzarmi: infatti è chiaro che se io ipoteticamente giungessi a non dare più nessuna importanza alle persone non mi aspetto nulla da loro e quindi posso anche vivere più sereno, ma divento anaffettivo, arido e la mia scelta si paga con la perdita dell'umanità. La filosofia stoica, con il suo ideale di accettazione di tutto in nome della felicità, a mio avviso è un inno all'anaffettività,  all'idea del saggio come persona fredda ed indifferente a qualsiasi legame emotivo. Inoltre quando la persona inizia a maturare? Quando impara dai suoi errori, ma anche questo presuppone la capacità anche di soffrire: se l'esperienza in cui ho errato mi ha fatto star male, io giustamente non la ripeto, ma se io sono incapace di provare questo tipo di emozione ecco che l'errore non si imprime nella mia mente e io non apprendo! L'uomo nella storia ha cambiato le cose in positivo proprio quando ha provato sentimenti che etichettiamo negativi, come la rabbia e l'astio verso chi lo opprimeva, se avesse accettato tutto beatamente sarebbe rimasto schiavo L'esperienza del tormento interiore, inoltre, ha permesso che grandi poeti ed artisti producessero le loro opere migliori che ancora oggi leggiamo, apprezziamo, quindi si può dire che il loro dolore li ha resi creativi, è probabile che se fossero stati felici non avrebbero raggiunto tali traguardi. Di conseguenza si può dire che assolutizzare la felicità sia un pericoloso errore?
#845
#Il dubbio: Di grazia, come fa la cellula/pensiero ad isolarsi da tutto il resto? Se io scelgo fragola, è perché la fragola esercita su di me un senso di piacere, di attrazione che il limone non mi dà, quindi anche qui la fragola DETERMINA la scelta. Per agire come tu descrivi, in modo svincolato dai condizionamenti, sarebbe necessario che mi "buttassi" a dire fragola mettendo tra parentesi il piacere che la fragola mi dà, ma è impossibile o estremamente arduo, non trovi? Ciò sarebbe possibile solo se fragola e limone fossero per me opzioni indifferenti, quindi sostanzialmente per te la libertà consiste in una sorta di superiore distacco dal mondo, giusto?
#846
Il problema resta però il fatto che "buono" e "malvagio" non sono categorie assolute, infatti bisogna sempre chiedersi in rapporto a chi si è buoni e a chi si è malvagi .L'eroe ad esempio che sacrifica la propria vita per un ideale è buono o è malvagio? Per la collettività è sicuramente un eroe, ma per se stesso è malvagio visto che si priva del bene più grande, cioè della propria vita, quindi può esserci male più grande fatto a se stessi? All'opposto chi antepone il proprio interesse a quello altrui, sarà cattivo per coloro che obiettivamente sono danneggiati dal suo agire, ma per se stesso è buono visto che persegue la propria convenienza.
#847
Però è anche possibile che esista un mondo impalpabile che la scienza non riesce a sondare, eppure sia esistente,: la fisica quantistica dice ad esempio che, a livelli dell'infinitamente piccolo (quanti di energia) le leggi deterministiche della materia non valgono più o meglio sono inadeguate a descrivere il comportamento di quel tipo di realtà, dando luogo al principio di indeterminazione, l'opposto della prevedibilità delle leggi materiali. Quindi ciò conduce a sospettare che la libertà possa esistere, giusto?
#848
Il giusto e lo sbagliato derivano innazitutto dalla natura, infatti fondano la loro ragion d'essere nell'istinto di conservazione, che fa sì che ogni persona (o anche animale in maniera più primitiva...) voglia e desideri ciò che la conserva in vita e rifiuti ciò che può danneggiarla, ucciderla o anche solo privarla di beni importanti.
Ovviamente se quest'istinto non ci fosse, non ci sarebbe nemmeno l'etica, che deriva solo dall'intervento della ragione su qualcosa che è già innato, connaturato alla persona.
#849
E' comunque secondo me abbastanza evidente un fatto: la "libertà" o almeno una parvenza di essa deriva dal pensiero critico, non certo dall'istinto o dal sentimento.
Mi spiego: se io mi trovo in una situazione problematica da cui non so come uscire, ad esempio ho perso il lavoro , se io mi lascio prendere dai sentimenti negativi di fallimento, di frustrazione, è chiaro che non faccio altro che essere succube della situazione: se invece inizio a pensare a trovare una soluzione, lasciando da parte la frustrazione, è possibile che le cose migliorino davvero. Quindi è come se noi avessimo sostanzialmente due parti diverse nella nostra mente/cervello: una, basata sull'analisi critica delle situazioni, ci avvicina alla libertà, l'altra invece, quella reattiva e impulsiva, ci rende più schiavi, più simili ad automi che obbediscono ad impulsi esterni.
#850
Secondo voi si può parlare veramente e pienamente di responsabilità dell'uomo per le azioni che compie? In una parola, siamo liberi almeno in qualche misura? Mettendo tra parentesi le situazioni estreme in cui si configura un'incapacità di intendere e volere, ormai sembra che le neuroscienze stiano sempre più andando nella direzione di individuare dietro pensieri e sentimenti determinate sostanze chimiche (dopamina, serotonina, glutammato, per citarne alcune....) che a loro volta provocano precisi comportamenti attraverso la connessione tra i neuroni. Quindi è come se l'intero cervello obbedisca ad un codice come il software di un computer, per cui ad una certa concentrazione di un neurotrasmettitore corrisponde un sentimento o un atteggiamento.
Ora, un individuo con comportamento violento, antisociale, refrattario alla morale, sarebbe veramente colpevole dei danni che causa? La sua tendenza a non rispettare le esigenze altrui potrebbe essere data ad esempio da un mancato collegamento tra alcuni tipi di neuroni (quelli dell'empatia, per esempio o dei lobi frontali...) oppure da una concentrazione carente o eccessiva di un certo ormone o neurotrasmettitore.
Se le cose stanno così, io deduco che la responsabilità individuale sia molto meno forte di quanto si pensi e prevalga un notevole condizionamento genetico e biologico nella nostra condotta. Quali sono le vostre opinioni sul rapporto tra struttura genetica/chimica e libertà?
#851
@Elia: Ammetto che la tua risposta, almeno in parte, mi ha interessato, tuttavia non hai risposto ad alcune cose fondamentali, come i miei rilievi su alcune contraddizioni dell'insegnamento di Gesù.Tuttavia ti chiedo, come mai NON viene mai detto in ambito cattolico e nelle catechesi che il significato di "amare il tuo nemico" significa essere razionali ,non essere degli esseri che reagiscono automaticamente, elevarsi al di sopra degli istinti con la ragione e controllare le proprie emozioni? Mai, e sottolineo mai, ho sentito dire questo quando da bambino/ragazzino frequentavo il catechismo, poiché provengo da una famiglia cattolica. Nelle prediche l'aspetto razionale dell'uomo non veniva MAI nominato e si faceva solo riferimento alla dimensione emotiva dell'uomo. Al contrario ho sentito dire spesso che "amare il proprio nemico" vuol dire sforzarsi di provare determinati sentimenti, cercare di essere quasi per forza come "amici di tutti" o non rispondere al male ricevuto per non creare altri conflitti, quindi detto così diventa quasi un invito a sottomettersi, a forzare la propria natura che può anche legittimamente avere determinate reazioni.
Inoltre, ritornando all'Islam, in effetti molte storture non nascono dalla religione, ma dal contesto sociale e da circostanze contingenti: perché è nata ad esempio l'ISIS? In realtà non è come ce la raccontano, essa è nata a causa del fatto che quando gli Stati Uniti hanno invaso l'Iraq hanno agito in modo miope e spietato, hanno anche messo ad arte gli sciiti contro i sunniti,hanno introdotto la tortura a Guantanamo, hanno fomentato le divisioni per dominare il popolo e hanno licenziato in massa l'esercito iracheno negandogli qualsiasi trattamento previdenziale e pensionistico! Dalla scellerata invasione dell'Iraq ecco che si sono create radicalizzazioni, terrorismo, e via dicendo. Ora, non è un trattamento inumano questo? Naturale che poi si crei dall'altra parte l'astio contro l'Occidente, che viene solo aggravato da certe interpretazioni religiose, ma attenzione NON causato. E' da allora che è nata l'ISIS, da quella guerra scellerata basata su menzogne fatta dall'Occidente e soprattutto dagli USA, è l'Occidente ad aver creato i presupposti per la nascita di tali storture e in più gli USA, nel loro cinismo politico unito a stoltezza, hanno finanziato l'ISIS cercando di usarla anche qui contro gli sciiti alleati dell'Iran, da sempre nemico degli States! Peggio di così non si poteva fare quindi.
Nel Corano il termine "Jihad" non significa annientare i non credenti, ma vuol dire innazitutto lotta contro il male che è presente nell'uomo, contro il peccato e solo in secondo luogo obbligo a cercare di convertire i non credenti, ma attraverso il dialogo: nessuna differenza con il cristianesimo, visto che anch'esso prescrive il proselitismo, come quasi tutte le religioni tranne l'ebraismo.
Le Crociate come esercizio di legittima difesa? Ma le Crociate furono tutte, e sottolineo tutte, guerre di aggressione dell'Occidente contro l'Islam, furono fatte per canalizzare la violenza dei cavalieri medievali e la loro avidità verso un nemico esterno, per assecondare l'avidità di denaro delle repubbliche marinare, gli infedeli erano solo la scusa per dominare, e poi i crociati massacrarono non solo musulmani ma anche ebrei a migliaia, le Crociate sono solo una conferma di quanto grondi di sangue il cristianesimo, come del resto affermavo nel post sopra.
Ed ancora, ti chiedo un'altra cosa: secondo te l'obbligo del velo integrale o del semplice velo alle donne deriva dall'Islam? La risposta è NO, nel Corano non ci sono assolutamente tracce di una tale prescrizione, si tratta solo di interpretazioni arbitrarie degli Ulema, che forzando o traducendo in maniera distorta l'hanno introdotta. Comunque se non vuoi rispondermi non fa niente, ma ti invito a riflettere sul fatto che le informazioni che noi riceviamo su di una determinata realtà (l'Islam in questo caso) possono essere anche false o non pienamente rispondenti al vero, io non mi fido affatto di ciò che i media divulgano soprattutto su realtà che non fanno parte del mondo occidentale, quindi sto ben alla larga dalla TV e dalla maggior parte dei giornali asserviti al potere, meglio andare su altre fonti per l'informazione.
#852
Ora, vorrei farti una domanda e rispondimi sinceramente: "Storicamente l'impero ottomano (esistito per quattro secoli) ha visto dentro di sé un crogiolo di religioni, dominante quella islamica, ma c'erano anche cristiani, ebrei, alcuni anche in posizione di potere all'interno della società. Se era così terribile l'Islam, non avrebbero cacciato via tutti gli altri non islamici?"; invece gli spagnoli cristianissimi massacrarono, torturarono e cacciarono dopo la Reconquista quasi tutti gli ebrei e gli islamici, fecero altrettanti massacri contro Incas, Aztechi, maya, li DISTRUSSERO come popolo, facendo a conti fatti molto ma molto peggio di quanto l'Islam ha fatto durante tutta la sua storia. Dici che il cristianesimo è apprezzato da tutti, anche dagli atei, io so benissimo che è vero, eppure io ti dico che per me è in assoluto la PEGGIORE delle fedi, la più tirannica, la più falsa in assoluto: infatti se ci pensi che cosa c'è di più tirannico di dire "Tu DEVI AMARE?" L'imposizione dell'amore è la negazione dell'amore stesso, i sentimenti non possono essere imposti, e quando li si impone si prescrive per definizione l'ipocrisia e la falsità!. Lo diceva anche Hume, quando affermava che il difetto maggiore del cristianesimo è proprio l'imposizione degli stati d'animo. Che cosa c'è di più assurdo del precetto "Ama i tuoi nemici?"; è un'imposizione che non tiene conto assolutamente di ciò che l'uomo naturalmente è, significa di fatto andare contro natura e, di fatto, una concezione simile propone e favorisce una società in cui gli oppressi non devono ribellarsi ai soprusi dei più potenti, basta solo "amarli" e pregare per la loro "conversione". Infatti anche l'odio è un sentimento che può essere giusto, può portare a ribellarsi a chi ti fa del male, ti rovina, ti inganna, era giusto l'odio di chi si ribellava, durante la rivoluzione francese, all'egoismo mostruoso dei re assoluti, era giusto l'odio di chi, durante la rivoluzione russa, decise di abbattere un regime oppressivo e tirannico. Quindi a mio avviso tutta quest'insistenza della mentalità cristiana sul concetto di "amore" come valore assoluto è errata, anzi, si può dire che a conti fatti l'uomo ha progredito nella storia più attraverso l'odio e il rifiuto di ciò che lo opprimeva (in senso lato) che attraverso l'atteggiamento accogliente.
A questo proposito ti posso citare le parole del filosofo Nietzsche che affermava come il cristianesimo, imponendo l'amore per i nemici, commetteva un "delitto capitale contro la vita", secondo te che cosa significa? Ma è evidente, significa che una tale prescrizione è innaturale e va contro l'istinto di conservazione dell'uomo e dei viventi, su cui si fonda appunto la vita stessa.
E poi scusami tanto, ma secondo me Gesù non è affatto quel modello di perfezione morale che molti, anche non cristiani, dicono che fosse stato: stando alla lettera del Vangelo egli ha detto più volte "Chi non è con me è contro di me....", ora, non è imposizione e tirannia questa? E' come dire ad una persona che se non la pensa come te allora è automaticamente un tuo nemico, non è un messaggio di pace, ma semmai di conflitto. Inoltre Gesù ha detto testualmente nel Vangelo secondo Matteo: "Non predicate ai gentili (non-ebrei), ma solo alle pecore smarrite della casa d'Israele", ti sembra un messaggio ecumenico questo? non lo è per niente, è un muoversi secondo le logiche rigidissime della Bibbia secondo cui gli ebrei sono il popolo eletto, quindi gli unici degni di acquisire la verità e gli altri devono esserne tenuti all'oscuro, altroché amore e favole simili! Io, sinceramente, i duemila anni di cristianesimo li cancellerei all'istante se potrei, secondo me sono tutto un cumulo di menzogne, giochi di potere, ipocrisia, fraintendimenti al massimo grado.......
#853
Tematiche Filosofiche / La realtà è illusione?
07 Novembre 2017, 19:39:20 PM
Secondo voi è possibile che, in buona misura, la realtà che noi vediamo e su cui formuliamo giudizi anche netti sia illusoria? Già Cartesio, nelle sue Meditazioni, nota come alcune proprietà degli oggetti siano in effetti illusorie, ad esempio noi percepiamo i colori come facenti parte integrante dell'ente, ma in realtà sono solo una costruzione del nostro occhio (e del cervello che interpreta i dati...) che entra in contatto con la luce. Il filosofo infatti riduceva tutto a pensiero ed estensione, è come ammettere che un buon 80% della realtà percepita è illusione. Lo stesso può dirsi dei sapori, del dolore e del piacere, derivano da un'interpretazione di qualcos'altro e quindi sono soggettivi. Non solo, ancora più radicalmente le teorie della fisica quantistica affermano che la vera realtà è costituita da quanti di energia: quest'energia, entrando in contatto con la nostra mente, forma l'illusione della solidità, ma in realtà si tratterebbe solo di vibrazioni energetiche. 
Il problema di fondo è questo: se le cose stanno così, allora la stessa conoscenza è qualcosa di costruito e non di oggettivo? Possiamo dire di essere tutti ignoranti in fondo ed anzi più si crede di sapere più di fatto si ignora e ci si illude?
#854
Tematiche Filosofiche / Re:Sari il barbiere
07 Novembre 2017, 15:44:08 PM
Il barbiere in realtà è la trasposizione dell'insieme di tutti gli insiemi che NON appartengono a se stessi.  Un insieme di tal genere appartiene a se stesso? Per logica verrebbe da rispondere affermativamente (è pur sempre un gruppo, un insieme), ma se lo inserisco nella categoria ecco che necessariamente lo devo cacciar via, visto che viene meno il requisito fondamentale (la non appartenenza a se stessi). Ma se l'insieme NON appartiene a se stesso allora sì che paradossalmente viene inserito nel gruppo! Quindi ne deduco che il barbiere non può esistere, visto che in qualunque gruppo venga messo (quelli che si radono da soli o meno) si cade in contraddizione.
#855
Mi chiedo se la conoscenza, cioè l'insieme di tutti i concetti che la mente umana ha creato per comprendere la realtà, non sia nata da un pregiudizio del pensiero, e cioè l'aver dato molta importanza alle somiglianze tra gli oggetti a discapito delle differenze. Infatti il concetto di "albero" come tutti gli altri concetti astratti deriva sostanzialmente dal mettere da parte tutte le differenze esistenti tra i singoli enti accomunati nell'insieme "ALBERO": siccome gli enti hanno molti aspetti in comune ecco che li si mette tutti nel medesimo calderone. Tuttavia dietro a questo meccanismo vi è un pregiudizio della mente, è come se si dicesse: "Non è importante ciò che differenzia questi oggetti, ma ciò che li accomuna", ma a ben guardare niente garantisce che dietro tali somiglianze vi sia un'essenza comune e che al contrario le differenze non siano sostanziali, non nascondano un'essenza diversa dell'oggetto esaminato. Sembra quasi una sorta di pigrizia della mente, secondo cui focalizzarsi sulle differenze sarebbe troppo faticoso e dispendioso, e si preferisce ripiegare su ciò che unisce.
Ne deduco che la visione del filosofo Hobbes, secondo cui i concetti sono solo dei nomi (nominalismo), delle convenzioni che non hanno rapporto con l'essenza del reale, sia valida. Secondo voi è corretta la mia analisi?