Menu principale
Menu

Mostra messaggi

Questa sezione ti permette di visualizzare tutti i messaggi inviati da questo utente. Nota: puoi vedere solo i messaggi inviati nelle aree dove hai l'accesso.

Mostra messaggi Menu

Messaggi - 0xdeadbeef

#841
Tematiche Filosofiche / Re:Kant e il Principio.
09 Luglio 2018, 10:17:06 AM
Allora guarda, premettendoti che certi termini che usi (altrove), semplicemente, non stanno bene nella bocca di
un signore di 68 anni (così leggo) che si vorrebbe almeno pacato, se non proprio saggio (e fanno di te una specie
di Sgarbi, patetico personaggio del quale non sentiamo assolutamente la mancanza), ti invito a giudicare l'opera
di Kant nella sua portata filosofica, e non solo riduttivamente in quella epistemologica.
Ti ripeto, da grande ammiratore del filosofo tedesco, che io reputo il più grande di tutti, che sia l'intera
filosofia che l'epistemologia di Kant è criticabile sotto diversi aspetti.
Ad esempio, a me pare (e non solo a me) che vi sia una profonda "frattura" fra la Ragion Pura e quella Pratica,
ove l'agire sotteso alla seconda non trova fondamento negli enunciati della prima.
Eppure, e il tuo continuo postare sull'argomento ne è testimonianza, Kant è stato se non il più grande (come
io lo reputo) almeno uno dei più grandi. Perchè non si parla tanto e così a lungo di uno che "spara cazzate".
Il concetto di "cosa in sè" è usato da Kant per fondare un intero sistema filosofico; un sistema che abbraccia
ogni aspetto, da quello propriamente epistemico a quello, direi soprattutto, morale (quindi di seguito politico
e giuridico, fino ad arrivare a quello religioso).
Ci si chieda, almeno per una volta e sia pur di sfuggita, visto che il "furore" epistemologico imperversa ovunque
ed anche su questo forum, QUALE sistema è fondato dalla scienza propriamente detta (visto che scienza e tecnologia
sono MEZZI, quindi strumenti che necessitano di un "qualcuno" che li adopera...).
La "cosa in sè" è un concetto filosofico che "serve" a Kant per fondare la sua tesi circa il "limite". Mai potrebbe
istituire quel "tribunale della ragione", che avversa la ragione assoluta degli Illuministi, senza quel concetto.
Mai potrebbe fondare le sue tesi politiche e giuridiche che vanno decisamente contro l'assolutismo precedente e
il totalitarismo a lui successivo.
Chiaramente, come ogni filosofo che si rispetti, cerca di dare un fondamento razionale a quella tesi di base.
Ci riesce? Beh, con luci ed ombre, come del resto fa notare intelligentemente Davintro.
Davanti ad un albero che un indigeno della Nuova Guinea valuterà magari sulla base di certe caratteristiche per
farne una piroga, mentre un mobiliere occidentale sulla base delle venature del legno onde ottenerne un mobile
di qualità, Kant ipotizza un "albero in sè", un mero ed astratto concetto che gli serve ad evitare di appiattirsi
su definizioni e valutazioni di chiaro sapore etnocentrico.
E' un errore terribile valutare la "cosa in sè" limitandosi ai soli aspetti epistemici.
saluti
#842
Citazione di: Kobayashi il 08 Luglio 2018, 17:26:04 PMQuindi la vera domanda è un'altra: compiuta quest'opera di smantellamento, rimane veramente solo il nulla?




Beh, diciamo che compiuta questa opera di smantellamento potrebbe rimanere solo la piena coscienza di una
volontà di potenza come termine originario ed ultimo; come al tempo stesso mezzo e scopo di ogni umana
"attività", non credi?
In questo senso il nichilismo è ancora, eccome, la "battaglia dell'uomo del nostro tempo".
Se, come ben dice Severino, il "sottosuolo filosofico degli ultimi 200 anni" ha mostrato, e lo ha mostrato
in maniera definitiva (io non sarei troppo d'accordo, ma questo è il pensiero, comunque profondo, di
Severino), che ogni "limite" morale ed etico è abolito (e questo è il senso proprio della "morte di Dio"),
allora la volontà di potenza ha davvero il DIRITTO di esplicarsi senza remora alcuna.
Questo perchè, come dice Nietzsche (e prima di lui Dostoevskij, e prima ancora Leopardi), la "morte di Dio"
è innanzitutto la morte del valore morale (solo gli ingenui possono credere che la "morte di Dio" rappresenti
soltanto l'eclissarsi del valore religioso).
Quindi costruiamola, sì, questa "fenomenologia della disperazione", ma prendiamo atto che, forse, essa è già
stata costruita da colui che disse : "il filosofo è colui che dice: così dev'essere" (naturalmente sto
parlando di Nietzsche).
Credo allora che la domanda che dovremmo porci sia piuttosto la seguente: può l'"oltreuomo" nietzschiano
essere considerato il termine definitivo della filosofia? Possiamo davvero, con esso, chiudere definitivamente
un libro aperto da millenni?
saluti
#843
Ah però, un punto di vista curioso, poco considerato ma direi molto interessante...
Si, forse ci sta anche quello ma credo proprio non esaurisca certo il discorso (Camus, ad esempio, sembra fosse
un donnaiolo; ha ricevuto un Nobel, eppure...).
No, credo sia una questione di sensibilità (oltre che di intelligenza). Lo stesso Camus che citavo ci parla di
un "Sisifo contento nel momento in cui discende la china per andare a recuperare il masso che risospingerà con
grande fatica su per la salita" (ecco il donnaiolo contento, dirai...).
Dunque, beh, non è che questi "pensatori tristi" siano stati sempre e solo tristi (Sartre che ne: "La nausea"
trova conforto in un motivetto musicale; certi momenti ironici dello stesso Leopardi; Tolstoy che trova gioia
nella fede religiosa - così come pure, seppur in maniera più problematica, Dostoevskij).
No, credo davvero vi sia qualcosa di più profondo; qualcosa che riguarda l'uomo occidentale in particolare.
Severino afferma, e io sono "quasi" d'accordo, che il "destino" dell'occidente è il nichilismo. Ma cos'è,
davvero, il nichilismo?
Io, in parziale disaccordo con Severino (e forse proprio per il fatto di essere solo "quasi" d'accordo sul
nichilismo come "destino"), credo che il nichilismo sia la consapevolezza della nullità sostanziale di
qualsiasi "eterno", ed in particolare mi riferisco a quegli "eterni" che chiamiamo "Dio" e "valore morale".
La sostanziale nullità degli "eterni" è ciò che, ad esempio, porta Lev Tolstoj a decretare la speculare
e sostanziale nullità di ogni essente (e Severino è su questa linea per quanto riguarda il meccanismo
mentale che porta al nichilismo).
Egli, con un'orrida immagine, vede i propri figli "nella tomba, coperti di vermi", e vede nel suicidio
la sola via d'uscita da tanto orrore (recupererà la propria vita nella Fede, come ho già accennato -
nota che Toltoj era ricchissimo, un gran donnaiolo etc.).
Dunque sì, ci sta quel che dici, ma c'è anche un qualcosa di più profondo...
saluti (e grazie per il "ragazzo")
#844
Citazione di: Jacopus il 08 Luglio 2018, 13:36:44 PM
La vita e' dolore. La conoscenza puo' arrecare piu'dolore di quanto ve ne sarebbe senza conoscenza? Credo di no. Con tutto il rispetto per Leopardi il " venite parvulos" e' solo un tentativo di lasciare l'uomo nel suo stato di minorita' imputabile a se' stesso.




Mah guarda, personalmente sono d'accordo con Severino, quando afferma la statura filosofica di Leopardi ed il
fatto che egli sia, a tutti gli effetti, uno dei pochi abitatori del "sottosuolo filosofico degli ultimi 200
anni" (con Nietzsche, Gentile e pochi altri, dice Severino).
Inoltre, vedo molte analogie fra il "filosofo" Ivan Karamazov (nell'omonima opera di Dostoevskij) e, appunto,
Leopardi.
In questi filosofi il nichilismo è radicale. E deriva dalla consapevolezza che, nella "morte di Dio", cioè
nell'estinguersi del sentimento religioso, è racchiusa anche la morte di qualsiasi "valore" moralmente e/o
eticamente inteso.
Le "verità che sono la sostanza di tutta la filosofia", come si esprime Leopardi, sarebbero dunque la totale
nullità di ogni cosa che "è" (per Severino l'essenza del nichilismo è appunto il credere che l'essente,
proveniendo dal nulla ed al nulla essendo destinato a tornare, sia intrinsecamente nulla), quindi l'assoluta
irrilevanza di un "valore" morale che solo gli ingenui o i "semplici" possono pensare di fondare sull'uomo
(Ne: "I fratelli Karamazov" il positivista Rakitin, che appunto pensa di fondare il valore morale su una
non ben definita "umanità", viene squalificato come addirittura più "sporco" del nichilista Ivan Karamazov).
Ora: "la conoscenza può arrecare più dolore di quanto ve ne sarebbe senza?"
Non lo so, non mi sento, come dire, completamente adagiato sul pensiero di Leopardi. Credo però che la
conoscenza non offra, davvero, nessun rimedio al dolore esistenziale (e la radice di ogni tentativo di
conoscenza, compresa quella scientifica, è appunto il cercare di rimediarvi...).
Quel che io penso è che in definitiva tutti, colti ed incolti, siamo alle prese con un dolore che viene dal
nostro stesso "essere"; con il dolore che proviene, per usare un'espressione di Camus, dal tendere all'infinito
da parte di esseri finiti.
saluti
#845
Citazione di: Phil il 08 Luglio 2018, 10:42:50 AMPossiamo affermare che "è veramente una "v"!" e che funziona da "v", solo a causa della nostra interpretazione soggettiva (culturale, etc.) di quei pixel che non distinguiamo, ma di cui vediamo solo l'insieme superficiale.

Secondo me, la verità al livello dei fenomeni è la verità dell'osservazione, dello studio e, soprattutto, della significazione (oltre che segnificazione) dell'aspetto fenomenico della realtà (e delle relazioni fra fenomeni), che è ciò che fa la scienza. Se "sotto" i fenomeni c'è la "cosa in sé", e sotto "la cosa in sé" c'è altro, e poi ancora altri livelli a noi ignoti, resta comunque quasi insignificante per l'uomo


Insomma il classico dilemma che pose Whitehead: "l'oggetto su cui siedo è una sedia o una danza di elettroni"?
Comprendo bene come la verità al livello dei fenomeni sia, soprattutto, la verità della significazione e della
segnificazione. In proposito dovremmo a mio parere guardare meglio a ciò che dice l'epistemologia a proposito
dei "paradigmi" (oltre che al detto di Einstein che citavo: "è la teoria a decidere cosa possiamo osservare"),
ma non voglio divagare.
Tornando, per così dire, a bomba su Kant mi sento di non essere troppo d'accordo laddove affermi la "quasi
insignificanza" della "cosa in sè".
Da un punto di vista gnoseologico sì, effettivamente la "cosa in sè" ha anche per me un valore sostanzialmente
metodologico (che ha però una sua indubbia importanza, non foss'altro che per aver "aperto gli occhi" su di
un oggetto fin'allora considerato "svelabile" nella sua fissità). Non però da un punto di vista più generale
e "filosofico tout court", visto che quel concetto serve a Kant come fondamento della sua dottrina morale.
Come potrebbe, ad esempio, Kant istituire il "tribunale della ragione" senza quel fondamento? O come potrebbe,
più in generale, teorizzare quella "filosofia del limite e della finitezza" senza quell'elemento che circoscrive
le possibilità dell'essere umano (e che l'Idealismo rimuoverà con le note conseguenze)?
Non dimentichiamo, insomma, che Kant è stato filosofo a tutto tondo, e che la sua filosofia non è solo gnosi o
episteme...
saluti
#846
"Quelle verità che sono la sostanza di tutta la filosofia, si debbono occultare alla maggior parte degli uomini; e credo che
facilmente consentireste che debbano essere ignorate o dimenticate da tutti: perchè sapute, e ritenute nell'animo, non
possono altro che nuocere. Il che è quanto dire che la filosofia si debba estirpare dal mondo.
Io non ignoro che l'ultima conclusione che si ricava dalla filosofia vera e perfetta, si è, che non bisogna filosofare.
Dal che si inferisce che la filosofia primieramente è inutile, perchè a questo effetto di non filosofare non fa di
bisogno essere filosofo; secondariamente è dannosissima..."
Giacono Leopardi - Operette morali

Sono, personalmente, d'accordissimo con Leopardi.
Non certo perchè io sia diventato, all'improvviso, un denigratore del pensiero filosofico. Ma, anzi, proprio perchè un, diciamo,
"certo punto di vista filosofico" (che sento a me vicino) non può che portare a questa, coerentissima, conclusione.
Certo, perchè Leopardi è in ciò filosofo a tutti gli effetti, e solo una mente non abituata alla filosofia potrebbe credere che
questa sia una invettiva CONTRO la filosofia.
Del resto, già nella Bibbia si avverte che il sapere è dolore...
 
#847
A Davintro (come a tutti gli altri)
Ora, come ho spesso ripetuto, la filosofia di Kant dal punto di vista gnoseologico può essere
discussa e criticata sotto vari aspetti (mai però dicendo sciocchezze come quelle troppe volte lette in questo
post).
Ma trovo sarebbe oltremodo esagerato, ed ingiusto verso il filosofo, fare un discorso in cui sembra
presupposta la tesi per cui Kant debba essere considerato, diciamo, il filosofo "definitivo".
No, ripeto, da un certo punto di vista l'enorme importanza che per la filosofia rivestono i concetti di
"fenomeno" e di "cosa in sè" risiede nel fatto che, per la prima volta, è il soggetto ad assumere un ruolo
"centrale" in quello che, prima di Kant, era un mondo in cui invece la centralità era dell'oggetto (e mi
sembra che su questo punto anche Davintro sia d'accordo - pur precisando, e giustamente, che vi erano state delle
importanti anticipazioni, soprattutto nel pensiero di Cartesio).
La questione, che Davintro acutamente pone, e cioè se non si possa conoscere che fenomeni oppure se non si
possa conoscere che tramite i fenomeni trovo sia ancora aperta (ed ormai secoli dopo Kant...).
Del resto a me sembra che Kant, pur non certo "risolvendo" il problema, da questo punto di vista abbia comunque
detto qualcosa di "importante". E lo ha detto nel concetto di "trascendentalità".
Se il "trascendente" è la proprietà che tutte le cose hanno in comune (in quanto trascendono la diversità),
allora qualcosa di simile è da ricercare nel rapporto fra "fenomeno" e "cosa in sè". Perchè da un certo
punto di vista la "cosa in sè" è quella cosa che "trascende" la diversità dei "fenomeni" con cui la "cosa
in sè" si presenta ai vari soggetti che la interpretano.
Ora, chiaramente Kant definisce "trascendentale": "ogni conoscenza che si occupa non degli oggetti, ma del
nostro modo di conoscere gli oggetti". Quindi, diciamo, sembrerebbe ad un primo sguardo che poco o nulla cambi
nello "status ontologico", per così dire, di una "cosa in sè" che rimane, apparentemente in maniera irrimediabile,
"fuori" dalla possibilità di una conoscenza che sia "in sè" da parte del soggetto che la interpreta.
Tuttavia, Kant prosegue nel suo discorso sostenendo la possibilità A PRIORI del nostro modo di conoscere gli
oggetti, che altro non vuol dire se non la possibilità (certa o esperibile, su questo punto Kant non sembra
essere molto chiaro) della conoscenza degli oggetti e delle cose in se stesse.
Molto altro in proposito ci sarebbe da dire, come Davintro giustamente suggerisce, sugli sviluppi di questo discorso
nei campi della Fenonenologia (e io vi aggiungerei anche dell'Idealismo...).
saluti
#848
Dunque mi par di capire tu propenda per un "falsificazionismo" alla Popper, insomma?
Sì, devo dire che la cosa mi appare plausibile. Senonchè, penso, siamo costretti ad assumere una certa cosa
per "vera" (anche se "fino a prova contraria"), ed in questo ritengo consista quell'assolutezza del
linguaggio di cui dicevo (Kant afferma che l'"io penso" sia l'"unità originaria dell'appercezione", ma mai
discorreremmo sempre premettendolo - aggiungo io).
Altrettanto plausibile mi sembra il riferimento a verità, o falsità, "forti o deboli" (il discorso sul "realismo
negativo" di Eco mi appare assai convincente).
Mi sembra resti assai poco da dire. Per quanto mi riguarda adesso vedo quelle affermazioni di Severino sotto
una luce diversa, e non posso più dire di essere "assolutamente" d'accordo...
Concludo ringraziandoti nuovamente e complimentandomi con te.
saluti
#849
Citazione di: Carlo Pierini il 07 Luglio 2018, 11:00:59 AM


CARLO
A me invece fa pensare alla Scienza, laddove il concetto di "legge della fisica" (ordo et connexio rerum ac ordo et connexio ...numerorum) rappresenta un grado superiore di conoscenza (rispetto alla conoscenza pre-scientifica) dal momento che la scoperta di alcune (poche) leggi riguardanti il mondo fisico ci ha permesso di realizzare cose che solo quattro o cinque secoli fa si sarebbero chiamate "magìe" (volare, andare sulla luna, comunicare in tempo reale da distanze enormi, guarire quasi tutte le malattie che affliggono gli uomini e gli animali, ...e le altre migliaia di conquiste della conoscenza).
Di fronte a tutto ciò, l'inconoscibilità della "cosa in sé" di Kant fa ridere i polli.


CARLO
Se si avesse UN MINIMO di buon senso, si capirebbe che, se è impossibile conoscere "l'oggetto in sé", sarà A MAGGIOR RAGIONE impossibile conoscere "in sé" <<il nostro modo di conoscere gli oggetti>>.
Solo delle seghe di filosofi come Kant non si rendono conto che predicando dei limiti DI PRINCIPIO alla conoscenza e alla verità si pongono GLI STESSI limiti alla verità di ciò che si predica, cioè, che si taglia il ramo su cui si è seduti.


Beh, direi che mi confermi appieno quanto sospettavo, e cioè che ragioni in termini idealistici.
O più precisamente, che hai della scienza una visione idealistica (la vedi cioè come una specie di
"spirito del mondo").
Dimentichi cioè, e colpevolmente, che la scienza è SOLO una branca specifica di quel sapere che
la filosofia abbraccia nella sua interezza; e di cui essa cerca le "relazioni" che intercorrono
fra le specificità.
Sarebbe, a tal proposito, interessante sapere come tu ti rapporti, "scientificamente", ai problemi
della politica, della morale o di quant'altro (informandoti preventivamente che la "cosa in sè"
kantiana vi si rapporta eccome).
In realtà il tuo modo di vedere le cose, il tuo "ordo", è ben conosciuto. Si chiama "scientismo".
Ed è appunto l'estensione indebita di una branca della filosofia, appunto la scienza, all'intera
filosofia in modo del tutto analogo a quanto l'Idealismo fa con un "io" che a se riduce l'intero
universo.
Chiaramente non sei solo a ragionare in questo modo, tutt'altro.
Oggi tutto è scienza, e CON la scienza si pretenderebbe di rispondere a qualsiasi interrogativo.
"Magari morirete", dice l'alter ego ad Ivan Karamazov nell'immortale capolavoro di Dostoevskij,
"ma almeno saprete con esattezza la malattia che vi sta uccidendo".
Non che, per carità, la filosofia abbia mai avuto una risposta consolatoria verso il pensiero della
morte, ma almeno ha avuto verso di essa un atteggiamento "serio", non come quello di certi scientisti
che, ultimamenti, parlano allegramente di vita fino a 120 e più (quando non addirittura fanno trapelare
l'idea della possibilità dell'immortalità).
Ma non divaghiamo.
Ciò che mi rende difficile il dialogo con te, Carlo Pierini, non è tanto il fatto che tu abbia una
opinione difforme dalla mia (che sarebbe cosa sacrosanta), quanto che ti rifiuti di ragionare in
termini filosofici (cioè in termini che presuppongono, sempre, una visione più "larga").
Hai dapprima detto un mucchio di sciocchezze sull'"idea" platonica (che hai allegramente accomunato
alla cosa in sè di Kant) poi su molto altro (e quando te lo si fa notare semplicemente fai finta di nulla
e cambi discorso - del resto anche altri hanno notato come, spesso, non contro-argomenti).
Non che io pensi tu sia uno sciocco, intendiamoci. Ma penso tu abbia una posizione filosofica (forse
tuo malgrado) ben precisa, che è appunto quella scientista.
La quale ti porta ad avere un atteggiamento da conservatore (così come il conservatore è descritto
da Platone); un atteggiamento per cui si abbandona il dialogo quando esso mette in discussione le
proprie radicate convinzioni.
A mio modo di vedere, semplicemente, sei convinto di sapere (ovvero non sai di non sapere).
La stessa terminologia che usi, in verità piuttosto volgarotta, ne è dimostrazione.
Eppure, dicevo, proprio la fisica relativistica dovrebbe indurti a grande cautela prima di esprimere certe
certezze assolute, o riproporre pari pari certi assiomi della meccanica newtoniana (che fra l'altro
Kant dava per certissimi).
Non era certo Kant, ma quella "sega di scienziato" di Einstein, a dire: "è la teoria a decidere cosa possiamo osservare". E che
altro vuol dire questo se non che è il soggetto ad essere "centrale"?

saluti (senza alcuna acredine)
#850
Citazione di: sgiombo il 06 Luglio 2018, 18:49:48 PM
Citazione di: 0xdeadbeef il 06 Luglio 2018, 17:02:22 PMDunque la cosa fisica "magnifico Cedro del Libano" é un fenomeno (o insieme-successone di fenomeni) mentre il noumeno (intuibile solo nella sua presenza) non lo è; ma anche la cosa mentale "miei pensieri, sentimenti ecc." sono fenomeni (però mentali e non fisici - materiali), mentre il noumeno che esiste anche quando non sento pensieri o sentimenti (l' "io"; me stesso) non é fenomeno (apparenza sensibile cosciente (mentale in quest' ultimo caso): se pretendessi che lo fosse, cioé che esistesse in quando pensieri, sentimenti ecc., anche quando pensieri, sentimenti, ecc. non ci sono, mi contraddirei platealmente!
Perdonami Sgiombo ma ancora credo di non ever capito (capirai bene che l'età avanza...)
Stai dicendo che anche il concetto di "noumeno" è un fenomeno? Certo che lo è, ci mancherebbe.
Il "noumeno", in quanto espresso dal soggetto interpretante Immanuel Kant, è indubitabilmente un fenomeno.
Aggiungerei anzi che persino il pensare (un certo oggetto o un certo concetto), prima ancora che il nominare,
"inserisce" quell'oggetto (con il termine "oggetto" ci si può riferire sia alla "res cogitans" che a quella
"extensa") all'interno di una precisa catena segnica, come afferma acutamente C.S.Peirce.
Questo vuol dire che QUALSIASI pensiero è fenomeno, quindi lo è anche il pensiero del noumeno.
Tuttavia, dice Kant, il noumeno come, diciamo, non-fenomeno è "intuibile" (ed ecco il perchè egli chiama
"noumeno" la cosa in sè).
Trovo che la semiotica abbia in seguito spiegato perfettamente il motivo di questa "intuibilità".
Se pensare è già "segnare", cioè è inserire l'oggetto pensato in un preciso riferimento interpretativo,
deve comunque esistere un "qualcosa" originario cui quel pensiero si è riferito.
La semiotica chiama in vari modi questo "qualcosa originario" ("evento", "primum" etc.). Ed esso è
solo e soltanto "intuibile" (come "assenza" dice la semiotica non del tutto a sproposito - anche se personalmente non sono del tutto d'accordo) appunto perchè già il solo pensarlo ne cambia radicalmente il riferimento.
Boh, spero di averci preso...
saluti
#851
Citazione di: Carlo Pierini il 06 Luglio 2018, 18:33:50 PM

La "rivoluzione copernicana" di Kant è un ennesimo estremismo; un estremismo uguale e contrario a quello che si vuol superare: se quello sacrificava il soggetto sull'altare dell'oggetto, Kant sacrifica l'oggetto sull'altare del soggetto. Due estremismi ugualmente squilibrati, laddove la conoscenza è, invece, la corrispondenza tra due realtà opposte – soggetto e oggetto – di pari dignità ontologica: 1) il fenomeno oggettivo che esiste in sé sul piano FISICO e 2) il paradigma di un soggetto che esiste anch'esso in sé, ma sul piano METAFISICO; quando si realizza una compiuta corrispondenza-complementarità tra le due realtà, esse si confermano reciprocamente e si unificano in un grado superiore di conoscenza,

OXDEADBEEF
Kant, attraverso il metodo detto "trascendentale" (che nulla ha a che vedere con la trascendenza)

CARLO
Certo, il "trascendent-ale"!! Un aggettivo che significa "riferito al trascendente", ma che con il trascendente non ha niente a che vedere! Un capolavoro concettuale, che, insieme al "soggetto", è altresì privo di una sua sostanzialità ontologica.  
...Mirabile filosofia, o insensata ciarlataneria?


No, tutt'altro. Kant non "sacrifica nessun oggetto sull'altare del soggetto" (l'oggetto è mantenuto,
pur nell'inconoscibilità ultima, nella cosa in sè). Lo farà semmai l'Idealismo, che in pratica
teorizza un soggetto creatore (dell'oggetto).
E, cosa importante, lo farà tutto il pensiero post-idealistico fino ai nostri giorni (che io reputo
gravemente infetti del mortale veleno idealista).
Ma diciamo anche che, a tal proposito, sarebbe oltremodo interessante conoscere a quali pensatori
moderni il pensiero di Carlo Pierini si avvicina...
Lo dico perchè quella tesi per cui soggetto e oggetto: "si unificano in un grado superiore di
conoscenza" mi fa proprio pensare all'Idealismo; un Idealismo perlomeno nella sua versione "post",
del tipo di quella "ircocervica" di Croce, tanto per intenderci.
Certo che, da un tal punto di vista, sarebbe davvero paradossale quell'accusa a Kant...
Per quanto riguarda il "trascendentale" trovo davvero grottesco e semplicistico che si usi un tal giudizio
per le parole e la terminologia in genere di un uomo del XVIII secolo senza VOLER capire a fondo
il significato, per lui, di tali termini.
Se si avesse UN MINIMO di conoscenza del pensiero di Kant si saprebbe infatti molto bene che quel
termine è da lui inteso in tal modo: "chiamo trascendentale ogni conoscenza che si occupa non degli
oggetti, ma del nostro modo di conoscere gli oggetti".
saluti
#852
Citazione di: sgiombo il 02 Luglio 2018, 17:49:19 PM
Citazione di: 0xdeadbeef il 01 Luglio 2018, 20:35:33 PM



Per poterci intendere io distinguerei fra denotazione o estensione reale (quando c'é; non sempre necessariamente, contrariamente al significato inteso come connotazione o intensione teorica, mentale) di un concetto da una parte e noumeno o cosa in sé dall' altra.

Comunemente le denotazioni o intensioni reali dei concetti sono "oggetti (enti o eventi) fenomenici".
Oggetti fenomenici materiali (res extensa) come per esempio un cavallo realmente esistente (denotazione o estensione reale del concetto di "cavallo" la cui connotazione o intensione é la definizione " grosso mammifero erbivoro con testa lunga, collo diritto rivestito di criniera coda corta con peli lunghissimi, orecchie corte e diritte, arti con un solo dito coperto dallo zoccolo"; mentre invece per esempio il concetto di "ippogrifo" non ha alcuna denotazione o estensione reale ma solo la connotazione o intensione "cavallo alato").
Oppure oggetti fenomenici mentali (res cogitans) come per esempio un sentimento (odio, amore, ecc. che realmente si provino, denotazioni o estensioni reali dei rispettivi concetti), un immaginazione (il fatto di realmente pensare a un ippogrifo, denotazione o estensione reale del concetto di "pensiero o immaginazione fantastica di un ippogrifo, ovvero di un cavallo alato"), un concetto o una qualità astratta (la denotazione o estensione reale -per quanto stratta- del concetto di "mammifero" o di quello di "intelligenza"; mentre i concetti di "mammiferi a sangue freddo" o di "cavallo alato" o di "angelo" non hanno denotazioni o estensioni reali), un predicato (l' affermazione o pensiero -reale, se accade realmente- "esiste un cavallo", denotazione o estensione reale del concetto di "predicazione dell' esistenza reale di un cavallo"), ecc.

Ma esiste anche il concetto di "cose in sé" o "noumeno", di cui non é possibile dimostrare, né men che meno (per definizione!) mostrare empiricamente, che esistano e nemmeno che non esistano denotazioni o estensioni reali, oltre al significato nel senso di connotazione o estensione: "ciò che é reale indipendentemente dal fatto che sia pure realmente oggetto di sensazioni fenomeniche; ovvero dal fatto che siano reali anche le corrispondenti sensazioni fenomeniche".
Per esempio ciò che continua ad esistere -se realmente esiste, e non é come gli ippogrifi o gli angeli- anche allorché non vedo il magnifico cedro del Libano nel giardino del mio vicino di casa e che fa sì che ogni volta che mi colloco nella giusta posizione e guardo dalla parte giusta (oppure semplicemente riapro gli occhi dopo averli chiusi) puntualmente (ri-) vedo lo splendido albero (=torna puntualmente ad esistere quell' insieme di sensazioni fenomeniche -verde fogliame, tronco e rami marroni, stormire del vento fra la fronde, odore di resina, ecc.- che costituisce quel cedro del Libano e che quando avevo gli occhi e gli orecchi e il naso chiusi o ero altrove non esisteva punto realmente; tutt' al più potevo immaginare esistesse, ovvero poteva esistere il mero pensiero di esso: ben altra cosa!).


Francamente Sgiombo ho capito ben poco di quel che vuoi dire.
Perchè mai tirare in ballo questa cosa della distinzione fra "res cogitans" e "res extensa"? Sembra quasi
tu voglia dire, alla maniera di Carlo Pierini, che il fenomeno è una cosa fisica (res extensa) e il
noumeno un concetto (res cogitans)...
Quel magnifico Cedro del Libano che vedi nel giardino del tuo vicino è "fenomeno" nel tuo vederlo magnifico,
nel tuo nominarlo "Cedro del Libano" etc. Ma esso è ANCHE noumeno, nel senso che è un qualcosa di
indipendente dalle tue sensazioni (ad esempio, da appassionato di giardini ti potrei dire che i Giapponesi
hanno un senso estetico delle piante assai diverso dal nostro - per cui, che so, magari non lo vedrebbero poi
tanto magnifico) e dalle tue denominazioni.
Cioè voglio dire, non è che il fenomeno "magnifico Cedro del Libano" sia una cosa fisica mentre il
noumeno (intuibile solo nella sua presenza - la semiotica parla addirittura di assenza) non lo è.
Insomma, questo ho capito ma può darsi io abbia capito male...
saluti
PS
In altre parole il noumeno kantiano non è altro che una straordinaria anticipazione di quel concetto
di "relativo" a noi ormai tanto familiare.
E' da tener ben presente che fino a Kant il mondo era un mondo di oggetti "dati". Per cui, che so, un
quadro era bello "in sè", e non in relazione a chi lo osservava.
Kant, per primo, disse che non l'oggetto era "in sè", ma piuttosto lo era il soggetto, il quale
interpretava l'oggetto che A LUI si "dava" in un certo modo, secondo quelle che erano le sue
sensazioni, le sue idee e i suoi gusti particolari.
#853
Ciò che nel nostro discorso è in questione non è tanto, dicevo, la discutibilità e la criticabilità
della filosofia di Kant in generale e del concetto di "cosa in sè", quanto il fatto che tu sostieni
che Kant abbia effettuato una "fusione" fra una cosa fisica, il "fenomeno", ed una metafisica, la
"cosa in sè" (e che su questo tu abbia parlato di "truffa filosofica", di scopo di lucro etc.).
Ciò che io sostengo, ma non tanto io quanto i fatti, è invece che in Kant la "cosa in sè" sia da
intendersi come cosa fisica allo stesso modo del fenomeno (perchè di fatto sono la medesima cosa).
Per venire alla tua ultima risposta, no. La conoscenza PRIMA di Kant e per tutta l'antichità era
una conoscenza di oggetti "dati" ai soggetti (i quali li "svelavano" nella loro indiscutibile e
ferma "oggettività").
Kant invece intuisce, in maniera assolutamente mirabile, che l'oggetto "conosciuto" non è semplicemente
"dato" al soggetto "conoscente"; ma che questo soggetto assume un "ruolo" che va ad incidere non solo
nella conoscenza, ma nella stessa "essenza" (dico così per comodità) dell'oggetto stesso.
Tale processo è la cosiddetta "rivoluzione copernicana del pensiero" (per evidente analogia con la
tesi di Copernico).
Proprio l'esistenza della "cosa in sè", e vengo alla tua seconda risposta/domanda, rappresenta un
argine contro quel relativismo che, indirettamente, viene introdotto dall'Idealismo (e che trova
nel celebre detto di Nietzsche: "non ci sono fatti ma solo interpretazioni" una delle sue
formulazioni più estreme e coerenti).
Kant, attraverso il metodo detto "trascendentale" (che nulla ha a che vedere con la trascendenza)
intravede una via verso una conoscenza "certa"; una conoscenza che, proprio per aver mantenuto saldo
il concetto di "fatto" (pur inconoscibile nella "cosa in sè"), non si arrende alla mera interpretatività
del relativismo.
Ma non divaghiamo oltre, perchè sarebbe oltremodo fuori luogo tirare in ballo Kant per gli sviluppi nei
secoli seguenti alla sua vita ed alla sua filosofia (non dimentichiamo che stiamo parlando di un uomo
del 700).
Quanto agli studenti delle facoltà scientifiche, che parlano di pippe mentali, flatus vocis, fantasmi
concettuali etc, io non so che farci se non posseggono profondità di pensiero a sufficienza per
comprendere certi concetti.
Del resto, lo stesso Wittgenstein che da giovane diceva quella cosa lì da più maturo si accorse che
"ciò di cui non si può parlare" era l'unica cosa che veramente contava...
saluti
#854
Citazione di: Carlo Pierini il 03 Luglio 2018, 20:29:18 PM

Andiamo al concreto, senza impiccarci con circonvoluzioni verbali.
Nella realtà fisica chiamiamo "cosa" (p. es.: "elettrone") una bella "X" incognita che desumiamo sia la CAUSA di un insieme di fenomeni - osservabili e misurabili - riconducibili ad essa. Pertanto la "cosa" e la "cosa in sé" si riferiscono entrambe a quella "X",  cioè, sono SINONIMI (l'"in sé" aggiunto alla "cosa" non è che una ridondanza verbale).
Domanda: si tratta di una "X" assolutamente e totalmente inconoscibile?
Risposta: se per "conoscenza" di una "cosa" intendiamo la conoscenza delle sue proprietà osservabili, allora quella "X" è *conoscibile*; se invece per "conoscenza" intendiamo l'ONNISCIENZA (cioè la conoscenza di TUTTE le sue proprietà), allora potremmo parlare di *inconoscibilità*, ma SOLO SE fossimo certi che il numero delle sue proprietà sia infinito. Tuttavia, questa certezza non ce l'abbiamo, quindi non si può escludere a-priori nemmeno l'onniscienza.
Ergo, è del tutto arbitrario sentenziare l'inconoscibilità della "cosa in sé".




E' chiarissimo che Kant, con la teoria della "cosa in sè", anticipa la teoria della relatività, ed in
particolare quel principio di indeterminazione, di Heisemberg, che così in sostanza recita: "l'osservato
dipende dall'osservatore".
E' cioè chiarissimo che quell'"osservato", senza l'interpretazione che ad esso dà l'osservatore, non
può che rimanere un concetto meramente "intuibile", ovvero una "cosa in sè".
E allora ripeto: il concetto della cosa in sè, come del resto tutta la filosofia di Kant, può essere
discusso e criticato sotto vari aspetti; ma di esso NON SI POTRA' MAI DIRE che rappresenta la "fusione"
di una cosa fisica (il fenomeno) e di una metafisica (la cosa in sè).
"Conoscere" la cosa in sè vorrebbe semplicemente dire che l'osservato è conoscibile da un punto di vista
privilegiato, "oggettivo" nel senso che a questo termine veniva dato prima della "rivoluzione copernicana"
operata da Kant, che pone "al centro" non più l'oggetto ma il soggetto.
Con questo, la pretesa di tale conoscenza si porrebbe, essa, in un piano metafisico, non il contrario.
Per cui, tanto per: "andare al concreto senza impiccarci con circonvoluzioni verbali", l'oggetto X
NON E' AFFATTO "totalmente ed assolutamente inconoscibile"; MA LO E' nella sua "veste" di oggetto
"ab-soluto", cioè che si pone "saldamente fuori" dall'interpretazione di un soggetto/osservatore
(chiaramente qui il termine "ab-soluto" è usato come aggettivo, non come sostantivo).
Non comprendere questo, prima ancora della filosofia di Kant, vuol innanzitutto dire non comprendere
la fisica relativistica (come acutamente evidenziava Carnap).
saluti
#855
Citazione di: davintro il 01 Luglio 2018, 13:58:31 PM

uscendo probabilmente per un attimo dal seminato del topic, mi interesserebbe chiarire che secondo me la coincidenza fenomenologica fra essenza e fenomeno non ha a che fare con un idealismo soggettivista per cui la realtà oggettiva diverrebbe una proiezione del pensiero soggettivo, nel quale "la verità per me" finirebbe col coincidere con "la verità in assoluto".
Ciao Davintro (piacere di fare la tua conoscenza)
No, per carità, non intendevo davvero tracciare paralleli impropri fra la Fenomenologia e l'Idealismo.
(riconosco del resto di averle, in quelle due righe, impropriamente e troppo accomunate).
Ti confesso in ogni caso di non aver mai troppo capito la Fenomenologia (certamente per un mio limite;
o forse semplicemente, spero, per non averla mai approfondita adeguatamente).
Non so, mi sembra quasi che "alla fine dei giochi" essa si accosti "pericolosamente" all'Idealismo
(soprattutto in Heidegger e nella sua concezione dell'"essere" - almeno fino alla "svolta" -, che
io trovo confusa nel suo, dell'"essere", darsi e non darsi, apparire e non apparire).
O nella stessa "epoché", con quel non ben definito atteggiamento contemplativo nel quale "può
rivelarsi" (...) l'essenza stessa delle cose - fino ad arrivare a quel, per me, enigmatico ma quasi
idealistico concetto di "ego assoluto".
Insomma, ci sarà senz'altro modo di parlare di queste cose in un post magari più inerente (mi farebbe
del resto molto piacere e mi aiuterebbe a capire meglio).
saluti