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Messaggi - Phil

#856
Citazione di: Jean il 30 Luglio 2021, 21:48:02 PM
Ma un'altra notizia "non confortante" giunge dall'Islanda, dove tutta la popolazione (dai 16 annni in su) è stata vaccinata:
"Islanda, boom esponenziale di casi nell'isola dove TUTTI sono vaccinati: tornano coprifuoco e restrizioni. L'epidemiologo Gudnason: "vaccini non funzionano come pensavamo, pandemia può durare 15 anni"

https://www.meteoweb.eu/2021/07/islanda-boom-di-casi-dove-sono-tutti-vaccinati-parla-lepidemiologo-gudnason/1710102/

Addirittura il capo epidemiologo del Paese, Thorolfur Gudnason, parla di un FORSE 60% di efficacia vaccinale... ma l'articolo o alcune parti, potrebbe essere una "butac", fake o come dir si voglia
La notizia è rimbalzata mutatis mutandis anche altrove (come qui e qui).
Traducendo (nel bene e nel male) con google translator da questa fonte in lingua originale, questo è un passo di sintesi sul passaggio dall'aver "domato" il Covid al ponderare nuove misure restrittive:
«Þórólfur ha ricordato che quasi un mese fa, il 27 giugno, è stato deciso di revocare tutte le restrizioni nazionali. Tali azioni pubbliche erano in corso dal 13 marzo dello scorso anno. Il primo luglio sono state revocate varie restrizioni alle frontiere e quelli con un certificato di vaccinazione e precedenti infezioni, così come i bambini, non sono stati più controllati. Lo screening delle frontiere, in un modo o nell'altro, era in corso dal 15 giugno dello scorso anno. L'esperienza ha anche dimostrato che l'infezione tra i passeggeri completamente vaccinati era molto bassa, pari a circa lo 0,03%. Þórólfur ha anche affermato che i risultati della ricerca straniera hanno dimostrato che la vaccinazione ha fornito circa il 50-60 percento di protezione contro l'infezione con la variante delta e circa il 90 percento contro i ricoveri».
Pare dunque che si tratti di non confondere (nei dati e nelle considerazioni, mediche, mediatiche, etc.) il Covid pre-delta (e i vaccini su di esso basati) con la variante delta del virus, che essendo estremamente recente pare aver resettato i tempi e i dati di osservazione (diffusione, impatto vaccinale, etc.), elementi da (ri)calibrare ad hoc sulla variante ("tempi tecnici" che, al di là di legittime considerazioni sulla sintomaticità, mortalità, etc. del virus, erano forse ancora piuttosto acerbi già per il Covid di "prima generazione").
#857
Tematiche Filosofiche / Esistono le cose?
21 Luglio 2021, 13:47:43 PM
Citazione di: Ipazia il 19 Luglio 2021, 21:14:47 PM
LW sta facendo ontologia filosofica applicata al linguaggio e al suo spazio logico.
Da quel che so sul Tractatus, mi pare sia l'inverso: l'autore fa palesemente un'indagine di filosofia del linguaggio (formalismo logico, isomorfismo, tavole verità, etc.) appoggiandosi inizialmente a quel minimo inevitabile di ontologia presunta («cose», «oggetti», «sostanza», etc.) per poter dare al linguaggio un necessario referente mondano, ma evitando disquisizioni essenzialmente ontologiche. Indicativo che il "secondo" Wittgenstein proceda sempre sul filone del linguaggio, sottomettendo ulteriormente l'ontologia alla semantica.
D'altronde è difficile fare ontologia, almeno in senso classico, senza coinvolgere nell'analsi la "cosa-uomo", che mi pare (ma potrei sbagliarmi) non sia affrontata ontologicamente da Wittgenstein, che preferisce piuttosto considerare l'uomo come parlante e non come ente (al pari di coloro che nella distinzione soggetto/oggetto non considerano l'altro uomo anche come oggetto onto-logico, prima che come altro-soggetto etico; per questo ho "provocatoriamente" proposto di mutare la domanda «esistono le cose?» nella sua forma parziale ed implicita «esistono gli esseri umani?»).
#858
Tematiche Filosofiche / Esistono le cose?
18 Luglio 2021, 18:40:13 PM
Citazione di: iano il 18 Luglio 2021, 00:35:15 AM
Quindi secondo voi le palle da biliardo esistono davvero?
Sicuramente le palle da biliardo sono una parte della realtà: identificata dal nostro linguaggio (ne stiamo infatti parlando), compatibile con la nostra percezione di base (possiamo sentirla chiaramente piombare in testa senza bisogno di alcun ausilio) e scindibile in sottoinsiemi o accomunabile in sovrainsiemi a seconda della "messa a fuoco" che le rivolgiamo (la palla può essere scomposta in atomi o essere parte indistinta di ciò che pure la comprende e che chiamiamo «partita di biliardo»).
La palla da biliardo esiste dunque perché la individuiamo come tale, e se tirandola in testa a qualcuno affermiamo che è un oggetto fisicamente distinto e separato dagli altri, è solo perché le nostre dimensioni fisiche ci permettono di relazionarci come agenti (e analisti) solo in un determinato intervallo di dimensioni (lo stesso che ci impedisce di giocare a biliardo con gli atomi o con i pianeti... almeno senza usare strumentazioni tecnologiche).
Se assolutizziamo questo intervallo fisico di individuazione d'esistenza (quello della percezione umana), potremmo pensare che la palla di biliardo abbia un'esistenza "principale" rispetto a quella dei suoi atomi, solo perché tale intervallo è quello di partenza, di "default": nel dire che la palla è fatta di atomi o che la palla fa parte di un set di palle da biliardo, tenderemo comunque a considerare come "grado di esistenza principale" quello della palla.

Per saggiare la radicalità della domanda del topic, potremmo riciclare la questione su un altro oggetto, potremmo ad esempio chiedere «gli uomini esistono davvero?». Ovviamente il singolo essere umano in quanto "cosa" (senza voler scomodare metafisiche cartesiane d'antan), proprio come la palla da biliardo, è fatto di atomi (e molto altro) e concorre ad una totalità che lo comprende (il genere umano). Applicando la categoria di esistenza alla "cosa umana" (il Tractatus non è infatti un testo di ontologia; vedi proposizioni: 2.021, 2.024, 2.031, etc.), credo possiamo concludere che, a seconda della "messa a fuoco", esistono le identità (materiali o meno) di gruppi di cose in quanto insiemi, sottoinsiemi, sovrainsiemi, etc. senza che l'esistenza della parte infici o escluda l'esistenza del tutto e senza che la parte non possa poi a sua volta essere considerata un tutto divisibile in sottoparti (si pensi al solito esempio per cui, anche se non è fisicamente staccata ed autonoma dal corpo, la mano esiste, così come esistono i suoi atomi ed esiste l'essere umano di cui fa parte; sempre stando dentro la logica umana basata sul famigerato a=a, che lega l'identificazione alle predicazione di esistenza, prima ancora che alla causalità, alla relazione, e alle altre categorie, aristoteliche o non, che presuppongono appunto l'esistenza in quanto identità, più o meno "focalizzata" o "sfocata").
#859
Attualità / Il valore della libertà
06 Luglio 2021, 15:31:14 PM
Sulla scia di quanto scritto da InVerno, farei notare la differenza fra il decidere di essere in minoranza, reagendo a priori da "bastian contrario" con la stessa rigidità (seppur in veste oppositiva) del pensiero unico, e invece il ritrovarsi in minoranza, perché pensando autonomamente si ottiene una visione differente da quella più diffusa (senza che tale essere in minoranza sia stato premeditato o scelto "per principio"). Si tratta di due differenti modalità di essere in minoranza, non sto qui giudicando quale sia meglio o peggio, giusta o sbagliata.
Tornando al caso concreto in questione: se i dati di uno studio farmaceutico segnalano che senza vaccino si ha lo 0,77% di rischio di ammalarsi, mentre i dati di un osservatorio indipendente parlano di un lungo periodo in cui i ricoverati con sintomi sono stati fra il 3% e il 5,5%, di quali dati ci si può fidare? Anzi, ancora più a monte, si è davvero costretti a fidarsi di uno dei due gruppi di dati (di schierarsi con il mainstram o la minoranza, si potrebbe dire) oppure, ragionando senza badare a ciò che porterebbe acqua al proprio mulino (no pun intended), si può anche concludere che entrambi i dati, ancor più se incrociati con altri studi, concordano nel dimostrare solo l'aleatorietà del calcolo delle possibilità di contagio? Personalmente mi sono già sbilanciato in merito: «se non si considerano le coordinate spazio-temporali e altri fattori contestuali, quello 0,77% può trarre in inganno» (autocit.), il che non significa, con rigidità dualistica, che allora mi fidi ciecamente dei dati che parlano del passato (3-5,5%), ma sicuramente avere dati attendibili sul presente (o sul futuro) non può basarsi solo su uno studio come quello da cui deriva il famigerato 0,77% (liquidando gli altri studi e gli altri dati semplicemente come «non attendibili»).
Ci sarebbe infatti, ancora più a monte, la questione dell'inverificabilità assoluta dei dati che si reperiscono (online o altrove): posso diffidare di quel che leggo, ma non posso verificare fuori da ogni dubbio i dati di una "fonte alternativa". Farne una questione di quante fonti concordino fra loro o di quanto sia stata attendibile in passato una determinata fonte, sono, nonostante le buone intenzioni,  i primi passi verso l'ingenuità metodologica. Purtroppo, anche il pensiero critico ha i suoi limiti: se è debole la verificabilità dei dati a cui si rivolge in cerca di "sostanza" (e il conflitto fra fonti divergenti non aiuta), bisogna conseguentemente accettare che siano altrettanto deboli le conclusioni, di maggioranza o minoranza che siano, a cui si perviene (che poi l'incertezza sia scomoda e spinga, per esigenze pragmatiche, comunque a schierarsi o scegliere fra le differenti opzioni, non dovrebbe, secondo me, essere giustificazione "di comodo" per rinnegare l'eventuale irrigidimento del proprio pensiero o una selezione faziosa di ciò a cui credere; parlo in generale senza riferirmi ad alcun utente in particolare).
#860
Citazione di: iano il 06 Luglio 2021, 06:27:55 AM
Se non si possono sostenere cause ed effetti senza l'essere, potrebbe essere vero anche il contrario.
Come già osservato da Donalduck, se non si postula l'essere (inteso come condizione di avere esistenza, di "risultare-presente" nei sensi già chiariti nel post #7) non si può parlare né di un oggetto del discorso, né del soggetto parlante, né di cause, né di effetti, etc. perché tutto ciò, se non si parte dal concetto di essere, non è e non può essere trattato. Per parlare di qualcosa, anche solo ipoteticamente o per gioco, bisogna prima identificarlo (magari con una descrizione prolissa o solo con un nome provvisorio), e nell'identificarlo esso è (fosse anche solo concettualmente o astrattamente) oggetto di discorsi, speculazioni, etc.
L'assioma/principio di identità (a=a) pone l'essere (potremmo infatti scriverlo anche con il quantificatore esistenziale: x: x=x) ed è non a caso il fondamento di ogni logica (causa/effetto invece presuppongono già l'essere da interpretare come causa e/o effetto,  per quanto l'essere non si riduca a risultare necessariamente causa/effetto, v. precedente esempio del sasso).
#861
Tematiche Filosofiche / Zen zero
06 Luglio 2021, 11:39:47 AM
La scienza guarda ai fatti per comprenderli, parametrarli, tradurli in formule, "usarli", etc. sicuramente è uno sguardo differente da quello zen per finalità. Si può studiare e praticare chimica o fisica con un'attitudine zen? Probabilmente sì, ma ovviamente non è lo zen a spiegarci le leggi fisiche o quelle chimiche, si tratta di un ambito dell'umano differente. Lo zen nel suo azzerare (azzennare?) non inibisce l'azione: il contadino ara, il poeta compone haiku, l'arciere scocca la freccia, etc. tuttavia, secondo me, lo zen è una questione di inclinazione prospettica verso il mondo, più che una questione di contenuti, di problem solving, etc. a suo modo, lo sguardo zen è forse come riuscire a vedere lo schermo del pc in quanto schermo, "sfocando" le immagini che esso contiene e che ci attraggono/distraggono, ci fanno scrivere sul forum, comprare oggetti online, magari compiere azioni rilevanti come prenotare una visita medica, etc. (certo, vedere lo schermo per ciò che è, è più facile quando lo schermo è spento, ma il nostro schermo mentale, in condizioni di veglia, quando è davvero spento? E quando lo è, non rivolgiamo forse la nostra attenzione a ciò che stiamo facendo "all'esterno" di tale schermo?).
#862
Tematiche Filosofiche / Zen zero
05 Luglio 2021, 23:55:13 PM
Tralasciando il povero nichilismo, che nelle sue peripezie esegetiche si è ritrovato sbattuto (non mi riferisco a te) sino all'estremo oriente, sempre come capro espiatorio degli ontologismi all'occidentale (sebbene spesso il nulla di cui parlano ad Oriente, vedi "scuola di Kyoto", non sia affatto il nulla di cui parla la tradizione occidentale), credo ci sia molta affinità fra lo zen e lo zero. Quello che lo zen in generale propone mi pare sia infatti un certo "grado zero" dello sguardo sul mondo, che non è assenza di giudizio o sensazioni, ma retrocessione del/dal pregiudizio verso una visione meno discriminante, meno sovraccarica di preconcetti e di senso. Facile quindi intuire come si tratti di una prospettiva controintuitiva, difficile da focalizzare, contraria a quanto ci viene insegnato sin dalla nascita e decisamente poco confacente alla vita standard in una tipica società contemporanea.
La semplicità, l'equilibrio, la serena elaborazione del cambiamento, la presenza mentale come carenza di sovraelaborazioni linguistiche, l'efficacia come azione consapevole e concentrata, etc. sono tutti elementi rintracciabili all'interno delle arti fiorite ispirandosi allo zen, e sono anche pratiche di un'attitudine zen che ha la sua difficoltà nella povertà di complicazioni, di attribuzione di valore, di intellettualismi, etc. una povertà che, per quanto possa sembrare paradossale (se si pensa che sia facile essere poveri di complicazioni), è molto ardua da installare in una mentalità complessa, giudicante, iperattiva e iperstimolata, come quella dell'uomo contemporaneo (occidentale e non). Giocando con gli stereotipi (per quel che valgono): può essere facile essere zen mentre si ara pazientemente un campo guidando un trattore, concentrati su ciò che si sta facendo (sul qui ed ora), ma è più difficile esserlo mentre si compila una intricata pratica burocratica, con il vicino di scrivania che parla al telefono e un'agenda colma di appuntamenti che richiamano la nostra attenzione, le nostre emozioni e il nostro tempo («più difficile» non significa tuttavia impossibile).
Citazione di: iano il 05 Luglio 2021, 18:04:38 PM
e se la nostra percezione non fosse altro  che qualcosa che si è costruita nel tempo come un accumulo di pregiudizi condivisi?
Con tutta l'ammirazione che ho per lo Zen, il mio intento vorrebbe essere quello di un elogio del pregiudizio, perché, per quanto esso tenda a persistere, non è però mai eterno.
Esso è fatto di parole, ma non perciò indistruttibile, destinato ad essere sostituito da un nuovo pregiudizio, fatto sempre di parole.
Se eliminiamo le parole eliminiamo davvero il pregiudizio?
Certamente quello esprimibile in forma verbale.
Ma è l'unico possibile?
Non è che scavando al fondo della nostra coscienza , andando al di là' delle parole, come invita a fare lo Zen, non ci troveremo altro che pregiudizi sedimentati in diversa forma, fatti di non parole?
Svalutare e sospendere i (pre)giudizi (epochè, per dirla alla greca) che abbiamo assimilato, può aiutare ad ottenere quel "grado zero" di sguardo sul mondo (sebbene, secondo me, non convenga rimuoverli del tutto per non ritrovarsi troppo "alienati" dal contesto che solitamente ci circonda); quanto è difficile guardare un oggetto (o una persona) e vederlo per ciò che è, senza che si inneschino subito (pre)giudizi sulle sue qualità, sulle sue fattezze, sul desiderarlo (o meno), su come lo si potrebbe usare, etc. o magari anche ricordi, idee o ispirazioni. Guardare qualcosa/qualcuno e vederlo per come, o meglio, cosa è al di sotto di tutte le strutture e sovrastrutture sociali, di senso, di pulsioni, etc. può essere un'impresa non facile, ma è quello che accomuna lo zen allo zero (inteso come assenza di "valore"/valutazione), sotto forma di traccia della consapevolezza di quanto siamo noi a "costruire" molti aspetti della realtà, proiettandovi ciò che abbiamo vissuto ed elaborato secondo schemi e modelli appresi dalla società che ci circonda (dai genitori ai mass media, passando per osservazioni estemporanee recepite o elaborate nei vari vissuti). Persino il proprio "io" potrebbe, secondo lo zen, essere guardato con lo stesso "grado zero". per scorgerne l'insussistenza, quello che i buddisti chiamano il "non-sè" (anatman), che oggi potremmo, all'occidentale, chiamare "flusso di coscienza" inteso come impermanenza dei contenuti della propria attività mentale (anche per evitare che il «non» di «non-sé» ritiri in ballo il solito spauracchio del tanto bistrattato nichilismo).

P.s.
Chiaramente, tutto questo mio dissertare sullo zen è buon esempio di cosa non è zen, di cosa non è il "grado zero" di osservazione del mondo, essendo tale "grado zero" un'esperienza diretta, che, in quanto tale, mal si presta a chiacchiere (detto altrimenti: il parlare dell'aratura non ara il campo).
#863
Attualità / Il valore della libertà
05 Luglio 2021, 15:32:55 PM
Citazione di: Andrea Molino il 04 Luglio 2021, 23:15:37 PM
Calcoliamo ora il "vantaggio" vaccinale:
Probabilità di ammalarsi se non vaccinati: 162/21000 % = 0,77%
Probabilità di ammalarsi se vaccinati: 8/21000 % = 0,03%

Ergo se non mi vaccino ho il 99,23% di non ammalarmi...

Ho alcune perplessità (senza polemica) riguardo l'attendibilità della probabilità di contagio: se i non vaccinati hanno circa lo 0,77% di possibilità di ammalarsi, come incrociare questo dato con i tassi della pandemia che, nonostante mascherine, distanziamento, etc. vedevano prima del vaccino percentuali di contagiati (non tutti sintomatici) ben superiori? Lo scostamento fra i numeri dello studio e i numeri dei media può essere spiegato soppesando i falsi positivi e la percentuale di asintomatici?
Sembra comunque che i ricoverati con sintomi da inizio novembre e fine aprile siano oscillati fra il 3% e il 5,5% della popolazione italiana (fonte); come valutare dunque la stima dello 0,77% di possibilità di ammalarsi di Covid senza vaccino, se è stato possibile avere quelle percentuali di ricoveri? Forse se non si considerano le coordinate spazio-temporali e altri fattori contestuali, quello 0,77% può trarre in inganno: fuori dalla casistica da laboratorio, è stato adeguatamente verificato che il Covid infetta con sintomi solo lo 0,77% delle persone potenzialmente esposte, fra cui i «participants who, in the judgment of the investigator, are at risk for acquiring COVID-19»(cit.), oppure si tratta di una casistica circoscritta e da confrontare con altre (meta)analisi?   

P.s.
Riguardo al "nuovo battesimo", direi che è forse un ulteriore battesimo, se è vero che entro i 6 anni d'età sono già obbligatori una dozzina di vaccini (fonte).
#864
Citazione di: niko il 19 Giugno 2021, 15:27:38 PM
Costanzo Preve su nichilismo e marxismo I (kelebekler.com), ( il link rimanda al punto 1, poi si dovrebbe poter sfogliare fino alla fine)
Dopo una prima lettura del testo, vi ho rintracciato una connotazione del nichilismo troppo affine a quella del divenire (come da distopia parmenidea in salsa severiniana), soprattutto se tale nichilismo è chiamato a dialogare con fenomeni storici e politici facendo appello ad un'ontologia (tener distinte, e all'occorrenza anche separate, la "semantica del vivere" dall'ontologia costituisce uno degli spunti del novecento, tanto facoltativo quanto futuribile; l'implicito aut aut ontologia/nichilismo mi sembrerebbe, se fosse davvero proposto, già più inattuale).

Per quanto riguarda il richiamo a Sartre: «Il filosofo Jean-Paul Sartre ha dato nel 1960 una formulazione filosofica sostanzialmente insuperata a questa natura progettuale dell'essere compagni, attraverso la sua teoria del cosiddetto gruppo-in-fusione che persegue una finalità-progetto, a sua volta sempre minacciata dalla serializzazione e dalla inevitabile burocratizzazione, denominate da Sartre il pratico-inerte. In questo modo, secondo Sartre, si è compagni soprattutto se si ha un progetto comune da compiere insieme. È il progetto che costituisce antropologicamente i compagni. Senza progetto, nessun compagno.» chiedo (da analfabeta di marxismo militante): si può declinare tale progettualità in un progetto personale, come pare proporre Preve, ammiccando all'ideale di libertà, seppur guardandosi tanto dal liberismo quanto dall'anarchismo, senza confidare che sia poi (almeno) una propizia eterogenesi dei fini ad inverare gli ideali marxisti? Oppure la portata veritativa, onto-logica, dei presupposti dell'analisi marxista farà da garante che tali ideali non vengano disattesi, a prescindere dalle combinazioni e incastri dei vari progetti personali? In sintesi (hegeliana): quale dialettica fra libertà del progetto personale (su cui mi pare Preve metta l'accento) e, se non "profezia onto-logica in corso di inveramento" almeno "legittimazione dell'ideale comune per il futuro"?
Da quel che mi sembra, la storia umana ha sbrogliato finora (ma non è detto sia per sempre) tale dialettica con il capitalismo (ora in versione globalizzata e finanziaria), a discapito degli ideali e delle "ontologie" non nichilistiche, dando sicuramente un senso al finale ottimisticamente sconsolato del testo di Preve; dove rintracciare la possibilità di una dialettica differente, a parte la fiducia di Preve nel clinamen che porterà alla "parusia senza escatologia" dei super-giovani (più che super-uomini)?

«Ciò che non vuole diventare filosofia, perché sceglie il nichilismo, è poi costretto a diventare religione, ma una religione depotenziata ed indebolita perché non dice nulla sulla malattia a sulla morte, ed abbandona la vita quotidiana ai contenuti della modernizzazione industriale e tecnologica» (cit.). Un progetto umano (politico, sociale, etc.), se non umanistico, che non cerchi legittimazioni metafisiche o ontologiche da mettere nel suo pedigree, ma ha l'onestà filosofica di proporsi come progetto pensato da alcuni uomini per tutti gli uomini (essenza della visione politica in generale, almeno agli occhi di chi non ha ideologia), può essere una possibile forma di filosofia politica che non diventa religione e si tiene a distanza di sicurezza dal nichilismo (come probabilmente è scritto fra le righe della logologia della Cassin, citata da Preve e "liquidata" come visione parziale in quanto complementare, senza colpo di scena, alla "ontologia della verità", per dirla in sintesi).

«Sociologismo (il quarto lato del nichilismo, dopo l'umanesimo, lo storicismo e l'economicismo)» (cit.); non è questo il quadrato fondamentale del materialismo (prima di voler ammiccare all'ontologia, come insiste Preve), più che del nichilismo? Ogni cultura e società non trova forse la sua quadratura, il suo contenuto (non il suo nulla) proprio nella sua idea di uomo, nella sua storia, nei suoi rapporti economici e nelle sue connotazioni sociologiche? Quale nichilismo è quello fondato in ciò che rende una(/ogni) cultura tale? Se in questo quadrato si lascia la finestra aperta, non si finisce con il farvi rientrare quella "religiosità" (seppur in veste di "messianismo politico") che era stata già accompagnata fuori dalla porta, rea di aver alienato proprio da quell'ontologia che ora, ironicamente, non soddisfa più e fa sorgere nostalgia dell'Onto(teo)logia unificatrice e redentiva? Detto altrimenti: se proprio necessario, il superamento del nichilismo (quello dei valori, non del tempo ontologico del divenire), può essere solo un distogliere lo sguardo da ciò su cui il nichilismo ha fatto (sgradevolmente?) luce, un ritornare alla visione pre-nichilistica, ma con meno altari e il cielo vuoto (di dei, ma ancora pieno di ideali politici in dissimulata ricerca di fondamento forte), oppure (nonostante Preve) il nichilismo può essere il sintomo della necessità filosofica di ripensare l'ontologia fuori da programmi e ideali politici universalizzanti (dunque a partire dall'epistemologia e dall'ermeneutica non politicizzate, senza cercare leve ontologiche per fazioni ontiche)?
#865
Citazione di: Jean il 28 Giugno 2021, 11:06:25 AM
Se qualcuno potesse controllare se sia vera o fake l'affermazione:
(esame di Igiene del 1º anno di medicina) NON si deve vaccinare in corso di epidemia
Provando a documentarmi ho trovato un'opinione in merito (datata marzo '21), da parte del dott. P. Garavelli, primario della Divisione di Malattie Infettive:
«In questa situazione, a non essere normale è una cosa che si impara al primo anno di specializzazione. Ovvero, non si vaccina mai durante una epidemia. Perché il virus reagirà mutando, producendo varianti e sarà sempre più veloce di noi. Con un virus RNA o si trova un denominatore comune su cui montare il vaccino o, facendo vaccini contro le spike che mutano, non hai speranza di arrivare prima di lui. Lo ricorreremo sempre, ripeto, tende a mutare velocemente» (fonte)
Per par condicio, segnalo anche una raccolta di altre fonti (articolo troppo lungo per essere postato) che pare ridimensionare l'inadeguatezza del vaccinare durante un'epidemia/pandemia (link).
Da profano in materia, suppongo che l'idea di base sia che durante un'epidemia, essendo alto il numero di contagiati ed essendo ogni contagiato un potenziale "laboratorio ambulante" in cui il virus può elaborare la sua mutazione, vaccinare dia più opportunità quantitative al virus di sviluppare una variante che metta in difficoltà il vaccino (se il virus si scontra con il vaccino in 1000 casi o in 100000 casi, cambia la conseguente probabilità che ne derivi la nascita di una variante più resistente). D'altro canto, più la popolazione è vaccinata più viene circoscritta la diffusione del virus e, soprattutto se il vaccino limita la trasmissibilità (e non solo la sintomatologia), ciò porta alla riduzione di "laboratori ambulanti" in cui il virus può mutare.
Forse allora la questione del "vaccinare durante la pandemia" può basarsi su un calcolo delle probabilità che coniughi il numero di contagiati "disponibili" al virus e il "quorum" stimato per la potenziale nascita e diffusione di una mutazione "incattivita". Va poi preso in considerazione anche il rapporto dialettico (perdonate il "filosofismo") che, se ho ben capito, lega la relazione fra soglia di immunità di gregge ed R0 (fonte; nella tabella l'immunità di gregge per il Covid standard  è quella sotto la colonna «Colpire», in originale è la sigla «HIT») con fattori oscillanti e imprevedibili come le mutazioni, comportamenti sociali, casualità, etc.

P.s.
Ora che la percentuale di contagiati è piuttosto ridotta (almeno in Italia, almeno rispetto a qualche mese fa), diventa sempre più statisticamente rilevante considerare la "fallacia del tasso base"), salvo i tamponi attuali non producano mai falsi positivi (me non so se sia possibile).
#866
Tematiche Filosofiche / Re:Lo starec Zosima
26 Giugno 2021, 20:06:26 PM
@paul11

- daniele22 ti ha chiesto: «Secondo te il male è un ente?»(cit.)
- hai risposto: «Sì, il male è un ente ed essente (ente vivente, esistente ) in quanto facente parte nel mondo, persistente a cui l'uomo deve fare i conti»(cit.)
- ho chiesto: «se il male è un ente, una volta rimossolo ci saremo liberati hic et nunc dal male o si rigenererebbe seguendo una legge di riproduzione degli enti? Può essere descritto, ed individuato, secondo le categorie proprie degli altri enti? Si tratta di un «ente vivente» di vita propria o in senso metaforico?»(cit.)
Ad incuriosirmi non era dunque il tuo commento ai passi che ho postato (su cui non ti ho fatto domande, né richiesto tue "compiute critiche"), quanto piuttosto le risposte alla domande che ho esplicitamente formulato. Se hai già risposto a quelle stesse domande parlando con Lou, puoi non ripeterti: andrò a cercare la risposta nei post precedenti (chiaramente, se avessi già letto le risposte, non avrei domandato).
Passando alla tua domanda:
Citazione di: paul11 il 26 Giugno 2021, 17:31:02 PM
perché hai postato queste citazioni e non altre?
ho postato quelle citazioni perché sono pertinenti all'affermazione «il male è un ente», mi sono sembrate calzanti e degne di essere condivise sul forum (non le ho postate perché fossi impaziente di commentarle: come già scritto, voleva essere «"legna da ardere" per eventuali sviluppi del discorso, non necessariamente svolti da me»).
#867
Tematiche Filosofiche / Lo starec Zosima
26 Giugno 2021, 13:22:11 PM
@paul11

Ovviamente (spero) non ho postato quelle citazioni perché fossero la Verità, tantomeno per innescare una patetica gara di citazioni, ma solo come possibile assist, altra "legna da ardere" per eventuali sviluppi del discorso (non necessariamente svolti da me: credo che in un forum si possa contribuire anche senza fare per forza sempre l'opinionista).
La mia personale curiosità mi pare sia ben rappresentata dalle tre (inevase) domande che ho proposto (in fondo, se non si fanno domande nella sezione filosofia, quale posto migliore?).
#868
Citazione di: Eutidemo il 26 Giugno 2021, 06:06:56 AM
Tu, non di rado, usi la tecnica dialettica del "fin de non recevoir", cioè, invece di entrare nel merito delle mie argomentazioni -per accettarle o per contestarle argomentativamente- "le salti a piè pari", come se io non le avessi mai scritte; e poi  continui a ripetere pervicacemente i tuoi concetti originari, senza tenere nel minimo conto quello che io ho già argomentato al riguardo (giusto o sbagliato che esso sia).
***
Ed infatti, ad esempio, tu inizi scrivendo "in sintesi: il Dio cristiano può "creare il mondo", fare miracoli, etc", senza tenere nel minimo conto quanto io avevo scritto al riguardo.
Non mi pare di aver ignorato quello che hai scritto, tuttavia parlando del «Dio cristiano» che crea il mondo, fa miracoli, etc. non posso confonderlo con il "dio secondo Eutidemo" (tratto dal "vangelo secondo Eutidemo") che è (quasi?) consustanziale al mondo e all'uomo, posizione di cui ho accennato le possibili ricadute dottrinali (e chi quindi non è stata affatto ignorata). D'altronde, tutto il mio discorso sul cristianesimo che rischierebbe di perdere di credibilità come religione rivelata (se Dio ispira ma non parla), che vedrebbe sbriciolati alcuni dei suoi pilastri, sulla differenza ontologica, etc. è riferito comunque alla tua posizione (mi spiace che tu l'abbia considerato un "saltarla a piè pari", per quanto, come già detto, si tratta forse solo di un fraintendimento circa i confini dell'approccio esegetico e il ruolo della possibile portata veritativa, che può attirare troppo fuori dall'esegesi pertinente, almeno secondo me).
#869
Tematiche Filosofiche / Re:Lo starec Zosima
25 Giugno 2021, 21:24:13 PM
Citazione di: paul11 il 25 Giugno 2021, 15:03:57 PM
Sì, il male è un ente ed essente (ente vivente, esistente ) in quanto facente parte nel mondo, persistente a cui l'uomo deve fare i conti.
Incuriosito da questa affermazione (se il male è un ente, una volta rimossolo ci saremo liberati hic et nunc dal male o si rigenererebbe seguendo una legge di riproduzione degli enti? Può essere descritto, ed individuato, secondo le categorie proprie degli altri enti? Si tratta di un «ente vivente» di vita propria o in senso metaforico?) propongo alcuni frammenti (di età e "fazione" adeguata alla questione dell'"ontologia del male"):
«Dunque il male è un ente, e una certa natura. [5] Inoltre, alla perfezione della totalità delle cose non appartiene se non ciò che è un ente e una certa natura. Ora, il male appartiene alla perfezione della totalità delle cose: infatti, Agostino dice che l'ammirabile bellezza dell'universo è costituita dall'insieme di tutte le cose, sicché in essa anche ciò che si dice «male», bene ordinato e posto al suo luogo, fa risaltare più eminentemente i beni. Dunque il male è una certa natura. Rispondo dicendo che degli opposti, uno si conosce tramite l altro, come per la luce le tenebre. Perciò anche cosa sia il male bisogna prenderlo dalla ragione di bene. Abbiamo detto sopra che il bene è tutto ciò che è appetibile, e così, siccome ogni natura desidera il suo esse e la sua perfezione, è necessario dire che l'esse e la perfezione di qualsiasi natura ha ragione di bontà. Perciò non è possibile che il male significhi un certo esse, o una certa forma ovvero natura. Resta dunque che con il nome di male si significa una certa assenza di bene. E per tanto si dice che il male non è né esistente né buono, perché siccome l'ente, in quanto tale, è buono, eliminato l'uno si elimina l'altro.»
Tommaso d'Aquino (fonte)

«Bisogna distinguere, e tenere fermo alla distinzione fra ordine ontologico e ordine morale (che è dove più sentitamente si pone il problema). L'ordine ontologico è l ordine della realtà «fisica», «fattica», «ontica», appunto; l'ordine morale è un ordine di ragione, secondo la convenienza o meno dell'oggetto morale alla natura dell uomo. Il male, ontologicamente, non è niente se non privazione. Nell'ambito ontologico, propriamente parlando, c'è l'ens con le sue determinazioni. Ora, è chiaro e evidente che l'ens, in tutto ciò che ha di entità, quindi di attualità e di essere, dipende da Dio come dalla causa prima. Pertanto, anche un'azione cattiva, in ciò che ha di azione, e pertanto di ens, è da ricondursi, in questo senso, alla causalità della prima causa. Invece, in ciò che ha di mancanza e di privazione, in ciò che ha di disordine morale, l'azione morale cattiva non si può ricondurre alla causa prima» Tommaso d'Aquino (ibidem)

«In altri termini, quel che Spinoza nega al bene e al male è la sostanzialità in senso tecnico aristotelico: ciò significa che il bene e il male non sono enti reali, ma enti di un'altra specie. Essi «sono questo: nient'altro che modi di pensare e non delle realtà o qualcosa che abbia esistenza» [...] Il male è un ente di ragione che si dice di qualcosa che viene paragonato a qualcos'altro dalla mente umana [...] il male e il peccato non sono enti reali determinati da Dio, ma soltanto enti di ragione esistenti unicamente nell'intelletto umano» (saggio su Spinoza)
#870
Citazione di: Eutidemo il 25 Giugno 2021, 13:34:30 PM
Però non riesco proprio a capire come fai a dire di non essere un sostenitore dell'interpretazione letterale delle scritture, quando poi, invece, dalle tue affermazioni si evince molto chiaramente che lo sei; ed anche in modo molto rigido, "formalistico" e "fondamentalistico".
Chiaramente, il fatto che ritenga opportuno attenermi talvolta al significato letterale, non per preferenze personali, ma per motivi dottrinali, di coerenza concettuale, di corrispondenza con altri passi biblici, etc. non comporta che ciò debba accadere sempre. Un esempio di come intendo un'interpretazione non letterale (ma pertinente) del testo biblico può essere il mio post, all'esordio di questo stesso topic, riguardo la frase giovannea «In principio era il logos, e il logos era presso Dio e il logos era Dio»: se interpretiamo tale passo alla lettera, allora, come hai osservato, siamo quasi nel "paradosso"; se invece ricorriamo ad altre risorse bibliche di senso (quindi senza introdurre nessuna "deduzione" troppo personale o extracontestuale), come ad esempio alcuni passi della Genesi, allora quel passo diventa meno criptico e, soprattutto, più coerente esegeticamente con molti altri passaggi testuali (in cui Dio può essere logos, ma anche altro, giudice, incarnazione, etc.).

P.s.
Ovviamente ciò non risponde alla domanda sul fin dove sia lecito "emanciparsi metaforicamente" dal testo letterale, ma almeno, forse, mi fa scampare il paradosso di risultare ateo e "fondamentalista biblico" allo stesso tempo.