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Messaggi - Sariputra

#856
Tematiche Filosofiche / Re:Buddhismo
28 Novembre 2017, 01:03:04 AM
@Apeiron
Qual'è il punto di arrivo di tutto questo studio attorno al Dhamma? E c'è un punto d'arrivo? Ci sarà mai una fine? Sono domande legittime ma che riguardano lo studio 'esteriore' delle scritture e non lo studio interiore. Lo studio interiore richiede di studiare questo corpo e questa mente, perché è in questo corpo e in questa mente che nascono le nostre brame egoistiche, le nostre invincibili avversioni e le nostre illusioni di trovare nelle cose una soddisfazione duratura. Questo è per il buddhismo il vero studio, la retta pratica del Dhamma...
Studiare i testi senza praticare sila e samadhi ci porta solamente ad essere una specie di mestolo in una zuppiera.: sta dentro la zuppiera tutto il giorno ma non conosce il sapore della minestra.
Senza la pratica del non attaccamento, della rinuncia, lo studio filosofico dei sutra, del Canone, ecc. non serve a molto. Possiamo avere una buona conoscenza teorica, conoscere la psicologia buddhista, la sua logica, ecc. ma tutto questo rischia di non produrre alcun risultato. Buddha stesso invita a studiare il Dhamma ma poi a rinunciare ad agire male con il corpo, la parola e la mente; a coltivare invece atti benevoli, parole benevoli e pensieri benevoli... Achaan Chah soleva ripetere che l' Ottuplice Sentiero si compone di otto fattori e che questi fattori non sono altro che il nostro corpo: due occhi, due orecchi, due narici, una lingua e un corpo. Questo è il Sentiero, e chi segue il Sentiero è la mente. Per questo sia lo studio che la pratica si trovano nel nostro corpo, nella nostra parola e nella nostra mente.
Visto così il Sentiero, termini come nichilismo o eternalismo perdono la loro capacità di irretire il nostro pensiero che tende sempre a contrapporre concetti.
L'insegnamento meno compreso è quello del 'lasciar andare', detto anche 'lavorare con una mente vuota'. Questo è un linguaggio tipicamente budhista. Se lo interpretiamo secondo il senso comune andiamo fuori strada e pensiamo veramente che possiamo fare quel che ci pare. Invece dovremmo figurarcelo come se stessimo portando sulle spalle un macigno e dopo un pò  cominciassimo a sentirne il peso...ma non ci risolviamo a posarlo. Quindi continuiamo a sopportare il peso. Se viene qualcunoa dirci di gettarlo via ci impauriamo ed esclamiamo:" Ma se lo getto via, non mi resta nulla!". Anche se quell'altro ci elencasse tutti i vantaggi del posarlo continueremmo a pensare e a dubitare: "Se lo butto, veramente non mi resta niente !". E così passiamo la vita...
In realtà se , per caso prendendo sul serio l'Insegnamento , lo posiamo, immediatamente ci sentiamo meglio, incredibilmente più leggeri e ci diciamo:"Quanto stupido sono stato a portare per tanto tempo sulle spalle un simile macigno?"...
Uno può venirci a dire di posare il peso, ma se non ci crediamo, se dubitiamo e siamo finanche 'innamorati' del peso, non ne vediamo proprio lo scopo. Tutto ci sembra assurdo. In fin dei conti la vita è proprio portare pesi, ci diciamo...lo fanno tutti, perchè no?...E restiamo aggrappati al peso che ci piega...
Capire che è inutile portarsi dietro dei pesi e che 'lasciar andare' produce sollievo e libertà è un esempio di conoscenza di sé.
Anche i sutra buddhisti possono diventare un grosso peso da portare. Questa non è la pratica corretta... :)
#857
Tematiche Filosofiche / Re:Buddhismo
26 Novembre 2017, 23:57:04 PM
@Apeiron scrive:

 l'insegnamento etico è tanto importante come quello "filosofico" (se non di più), visto che quello filosofico se "gestito male" può dare molti problemi.

Il Dhamma buddhista  senza fondamento in sila ( moralità) e volto esclusivamente alla speculazione filosofica può portare a tutti quei problemi che giustamente evidenzi. Pratica e riflessione sono come due gambe che permettono una corretta andatura. Se togli una delle due iniziano le difficoltà ( e , in ogni caso è preferibile azzoppare la gamba 'filosofica', rispetto a quella 'etica'. Una persona con una buona condotta morale, ma tardo nella riflessione filosofica sul Dhamma, procede più speditamente verso l'altra riva che non una persona malvagia ma dotta nella filosofia buddhista...).

Ergo: nuovamente l'unico modo per uscire da questo empasse secondo me è capire che alcune cose non si possono capire.

Se intendi 'capire' intellettualmente il Nibbana direi che...no! Non si può capire. Ma si può sperimentare come uno stato reale...parlare 'intorno al Nibbana' è sempre quel famoso dito che indica la luna...e aggiungo: per fortuna che è così. Che cosa "misera" sarebbe il NIbbana se potessimo 'racchiuderlo' in una formula, una frase, un pensiero...  

Ogni tanto ci casco ancora: finisco per dire cose in cui ho l'illusione di sapere quando invece non so.

Non ti preoccupare, capita sempre anche a me... :) Ma con gli anni si ottiene una specie di 'faccia di bronzo'  :-[ .  E' il famoso problema della presunzione ( di sapere di più, uguale o di meno degli altri...) che ci attanaglia un pò tutti, chi più chi meno...

 alcune cose non si possono capire , anche se per un "logico" è una cosa tremendamente difficile.

 Io la vedo così: se studi il funzionamento dell'universo usa la logica fino in fondo, usala tutta. Se pratichi il Dhamma usa la logica fino al punto in cui il tuo 'cuore' ti dirà che puoi dimenticartene ( per un pò... ;D ).
 Non vedo contrapposizione tra le due cose. Si può usare la logica dove serve e praticare il Dhamma dove serve ...non ci sono due praticanti uguali su questa terra. Non penso che il Dhamma sia semplicemente credere alle parole di un asceta morto 2.500 anni fa. Spesso facciamo questo errore, ma in realtà l'ispirazione, la volontà e la pratica fanno sì che il Dhamma diventi una cosa 'nostra'. E' la 'nostra' medicina, non quella di qualcun altro. E come la storia stessa del Buddhismo ci insegna, si può essere altamente 'creativi' nel renderlo 'carne nostra'...con 'frutti' meravigliosi, a volte.

Qual è la vera (o "principale") motivazione per cui una persona cerca il Nibbana? 

E' troppo semplicistico dire:" Per la liberazione dalla sofferenza". E' il voler vedere e capire qualcosa che è più profondo della sofferenza stessa, qualcosa che la genera e che ci 'imprigiona'.  Vista la radice della sofferenza la si recide per essere liberi, per uscire dalla gabbia. Volere il Nibbana è voler realizzare la vera natura della nostra mente, liberata dalla gabbia. Una mente che trova 'dimora' in prajna ( saggezza,visione intuitiva, ecc.) e in  metta/karuna ( amore, compassione, ecc.).

Vuole solo liberare sé e gli altri dalla sofferenza? Ossia l'obbiettivo è estinguere la sofferenza (in generale)? 
O è valorizzare l'esistenza?


Le due cose vanno insieme. E' proprio perché cerco di estinguere la sofferenza in me e negli altri che valorizzo la mia e l'altrui esistenza. Si tratta di 'togliere' per 'far risplendere'. Non è un 'togliere' ( la sofferenza...) fine a se stesso. Se una pietra preziosa è coperta di fango non può essere vista la sua bellezza...

Metta sutta... qui non c'è nessuna traccia di nichilismo e mi pare che si valorizzi sia l'esistenza e si dice che anche la sofferenza (dukkha) può avere valore.

La sofferenza può aver valore perché ci 'pungola', ci interroga e perché, osservando dukkha,  spesso un moto spontaneo di compassione fa breccia attraverso la brama , l'odio e l'illusione, dandoci come una 'scintilla' di Nibbana...questa scintilla può accendere il desiderio positivo di sconfiggere la trama e l'ordito delle tre robuste radici del male che soffocano il nostro 'cuore'...
Tutte le grandi personalità spirituali sono partite nel loro cammino quando si sono trovate faccia a faccia con la sofferenza (Siddhartha e Francesco d'Assisi, solo per citare due nomi conosciuti da tutti...).
Anche il mio personale interesse per il Buddhismo è nato dall'esperienza della sofferenza.

Per un essere così c'è importanza dunque di estinguere la propria sofferenza? Per il cosmo intero... Bodhisattva?
Davvero è così importante stabilire se si è vero "atta" o "anatta" per un essere del genere? 
"Metta" dà valore all'esistenza.


Direi che l'importanza di estinguere in se stessi la sofferenza è proprio un veicolo per poter poi indicare la strada anche ad altri. E' impossibile per un cieco indicare la giusta via da percorrere a chi gli chiede un'indicazione per giungere in un certo luogo. Se tolgo l'illusorio io/mio dove sta la mia sofferenza? Non è forse semplicemente parte di una sofferenza condivisa, molto più ampia, che ci tiene illusoriamente separati?
Se sperimentiamo 'metta' è cosa salutare/bene, ma nel Buddhismo non si intende la sofferenza come nell'interpretazione cristiana per cui riveste un valore in quanto ci fa partecipi della sofferenza del Cristo nella Sua opera di redenzione. Sperimentare dukkha per il Buddhismo è insano/male e bisogna liberarsi da questo 'fango' e aiutare tutti gli esseri senzienti a farlo ( se lo vogliono ovviamente... :) ).
Prajna/panna e metta/karuna possiamo intenderli come qualcosa di positivo che si oppone a qualcosa di negativo (avidya e tanha).
I primi ci liberano, i secondi ci incatenano...Oppure, se si preferisce: i primi fanno risplendere, i secondi oscurano.

"Non raggiunge il Nibbana..." E cosa gli interessa se ama il cosmo intero?? A volte in queste frasi mi sembra incontrare contraddizioni. Metta/karuna vorrebbero il bene per tutti. Il rigido monachesimo e la pratica personale impongono che si cerchi la liberazione personale.
A me sembra di vedere un contrasto. Forse i Mahayana con la loro dottrina del Bodhisattva e la natura di Buddha hanno appunto cercato di conciliare le due cose.


Anche noi siamo bisognosi di metta e karuna verso noi stessi. Vogliamo il nostro bene forse? Bene  che non è certo volere la soddisfazione dell'io/mio, magari a scapito del bene altrui. Metta e karuna sono così 'potenti' che la loro pratica meditativa può portare all'accesso dei jhana, in praticanti in cui la 'nobiltà' di questi sentimenti è molto sviluppata. Ad alcuni basta la visualizzazione di un essere immerso nella sofferenza per realizzare il primo jhana. Allora sparisce ogni senso di separazione e karuna fluisce spontaneamente.
Ecco, o monaci, un discepolo che fissa l'attenzione nel pervadere una direzione con il suo cuore colmo di compassione, e similmente la seconda, la terza e la quarta direzione; lo stesso per ciò che è sopra, per ciò che è sotto e per ciò che sta attorno; egli fissa l'attenzione nel pervadere il mondo intero, ovunque e imparzialmente, con il cuore colmo di compassione, che trabocca, che è divenuto enorme, immenso, libero dall'inimicizia e libero dalla pena. (Digha Nikaya 13)
#858
Tematiche Filosofiche / Re:Buddhismo
25 Novembre 2017, 22:49:52 PM
@Apeiron, il giovane filosofo, scrive:
Il buddhismo più che altro ha un problema logico tra "etica" e "non-sé" (anatta): per esempio se mi convinco che gli "esseri" a livello di realtà ultima "non esistono" potrei cadere nel nichilismo (rischio in realtà condiviso da tutte quelle scuole di pensiero che non ammettono l'esistenza in senso ultimo dell' "individuo", quindi di fatto è un rischio presente anche tra i monisti). Inoltre "rimuovendo" anche la possibilità di identificarsi "col tutto" il buddhismo dà l'impressione - a livello dottrinale - di essere una sorta di "fuga". Però, secondo me, già il fatto che si dia un'importanza così forte a "karuna" e a "metta" (compassione e amore) fa in modo che il buddhismo non sia nichilista né a livello del "nibbana" né a livello dell'etica. Ammetto che anche per me è incomprensibile l'esistenza dell'azione libera senza l'esistenza di qualche "centro" che controlla le azioni. Quindi sull'(in)esistenza dell'individuo "a livello di realtà ultima" ho ancora forti dubbi anche se la "metafisica" (e non solo, anche la "fisica") suggerisce proprio questo. 

Ah, l'anatta (anatman in sanscrito)!...Croce e delizia di tutti quelli che si avvicinano al Dhamma dell'antico Asceta. Che diavolo vuol dire che non c'è l' ' io ' ?  Lo stesso Siddhartha davanti da un asceta che lo interrogava rimase in silenzio e poi spiegò ad Ananda che, se avesse detto che l'io/mio esiste avrebbe significato abbracciare le teorie degli 'eternalisti', e se invece avesse detto che 'non esiste' il povero interrogante se ne sarebbe andato confuso dicendo a se stesso: "Come è possibile? Prima avevo l'io e adesso non c'è più!". Più o meno è così se non ricordo male...
Ora bisogna capire che la psicologia del Buddhismo antico , analizzando la personalità umana, la divise in cinque fattori, i famosi 'mucchi di raccolta' (panc'upadanakkhandha):
rupa, 'forma' ma qui inteso come 'corpo'
vedana, 'sensazione' e 'sentimento'
sanna. 'ideazione', che comprende anche la 'percezione'
sankhara, 'atti creativi'
vinnana, 'coscienza'
Se confrontiamo l'analisi della personalità secondo la concezione occidentale con la visione buddhista, troviamo somiglianze ma anche differenze. Per esempio, nel buddhismo delle origini, non c'è un termine indicante la 'memoria', in quanto la sua sede viene inclusa in vinnana (coscienza). Il pensiero e l'immaginazione rappresentano delle forme di sanna (processo di ideazione..), ma i loro termini più specifici ( vitakka e papanca) non sono compresi nei khandha...
Secondo la concezione occidentale la personalità umana è un' "unità organizzata di caratteristiche e processi" (R.Johansson). La concezione buddhista non è molto diversa , ma il carattere di 'processo', le funzioni delle 'parti'  e la mancanza di effettiva 'unità' vengono marcatamente sottolineate. Per fare un esempio in un brano  (Samyutta N.IV) si racconta di un re che sente per la prima volta la musica melodiosa di una vina ** e ne prova una così grande soddisfazione che vuole vedere lo strumento. Gli viene mostrato , ma...lui vuole vedere la musica e si arrabbia come una bestia perché nessuno gliela fa 'vedere'. I servi (poveracci...) tentano di spiegargli che la vina "parla" perché è composta di varie parti, ma il re non si dà per vinto e smonta in tanti pezzi la vina e poi, imbufalito, la fa bruciare...ma non trova la musica (ovviamente)!
Nello stesso modo un bhikkhu indaga sul corpo, sulla sensazione, sull'ideazione,sui processi creativi, sulla coscienza ( ossia sui 'mucchi di raccolta'...), ma non trova ni-ente di simile a un ' io ' o a un ' mio ' o a un ' io sono '.
La vina rappresenta un'unità funzionale. Senza che le parti siano collegate correttamente e organizzate, non si può avere nessuna musica.
La personalità umana, afferma il buddhismo delle origini, è come la musica , ammettendo l'importanza dell'organizzazione delle parti che la compongono (rupa, vedana, sanna,sankhara e vinnana), ma mettendo l'accento però sulle parti. La musica non si può trovare da nessuna parte: non si ammette perciò nessuna unità reale (permanente) come un'anima, ossia niente con cui ci si posso identificare.
Notiamo però che la 'musica' esiste , anche se la sua esistenza è un prodotto della corretta combinazione e configurazione delle sue parti. Similmente la personalità umana ( io empirico) esiste, ma sempre e solo come prodotto dell'unità funzionale delle parti mentali che la compongono. C'è l'albero, ma non c'è qualcosa di permanente che potremmo definire "essenza dell'albero", e questa è quella che viene definita come 'vacuità' dell'albero o l''anatta' dell'albero...
In ultima analisi, per il buddhismo, la personalità è un 'processo creativo' ossia sankhara...Lo stesso concetto si trova espresso nella frase: "Il corpo creato è da lui correttamente conosciuto come creato".
Per il buddhismo originario il fattore 'percezione' è fondamentale per la costruzione del 'mondo', una sua parte essenziale. La percezione 'crea' il nostro mondo, quello dove 'dimora' la nostra mente condizionata, creandosi persino l'immagine del proprio corpo. 
Tra i vari fattori della personalità che erroneamente chiamiamo 'io/mio' la parte più importante è quella della 'coscienza' (vinnana) perché è questo il fattore che, secondo il buddhismo, riveste il ruole principale in quell'altro processo chiamato 'ri-nascita' ( come un processo che non sorge dal nulla e che sparisce nel nulla [nichilismo] il buddhismo concepisce solo un 'impermanente trasformazione dei processi vuoti di esistenza intrinseca...un "flusso" di vinnana condizionata, definizione mia ...). 
"Mentre egli, osservando la soddisfazione, si attacca, si lega e si infatua, i cinque fattori della personalità  continuano l'accumulazione per il futuro" ( Majjhima nikaya III )
Per il buddhismo non abbiamo 'entità' ma 'processi'. La personalità è un 'processo' di accumulazione, ma quell'accumulazione è di 'quel' processo e di nessun altro, anche se il processo viene condizionato da altri processi. Tutti i processi, per il buddhismo, possono essere scissi in più atti (sankhara), di carattere psicofisico, dinamico e personale e caratterizzati da un aspetto morale ( questi sankhara assumono il nome famoso ormai di kamma/karma quando si sottolinea il loro aspetto morale). Siccome la coscienza/vinnana è anch'essa un processo dinamico e condizionato, la sua esistenza non sarebbe possibile senza i sankhara.  Quindi l'aspetto morale/karmico dei sankhara condiziona il processo morale della coscienza. Con questa costituzione della mente umana è possibile avere, secondo la psicologia buddhista antica, impressioni, fare esperienza di sensazioni e sentimenti (vedana) e soprattutto ( molto importante questo punto, a parer mio...) "provare forti desideri"  ( la famosa tanha , ossia la "sete di esistere" , di soddisfazione, di brama egoistica...).
Con questo 'materiale' viene edificata una determinata personalità (bhava) che fa esperienza di dukkha (sofferenza), la caratteristica principale della vita secondo il Dhamma .
Portatrice di tutti questi 'processi' è la mente (citta). Citta però non ha "sostanza intrinseca" neppure lei e nemmeno costituisce un ' io ', nemmeno come 'Vero sé' o "Sè purificato" o in qualunque altro modo lo si voglia definire...la mente è la mente e basta... :)

**Il vina  è considerato uno dei più antichi strumenti musicali indiani , padre del sitar.
#859
Tematiche Filosofiche / Re:Buddhismo
25 Novembre 2017, 00:08:20 AM
AMORE (Metta)

Siccome leggo spesso che il buddhismo viene ritenuto da molti una religione/filosofia nichilista riporto un brano molto illuminante, a mio parere ( e proprio proveniente dall'austera tradizione theravada...) che può far ben giudicare come infondate queste interpretazioni. Può essere inteso anche come meditazione su uno dei "quattro stati sublimi" ( gli altri sono compassione/karuna, gioia altruistica/mudita ed equanimità/upekkha )

L'amore non ha il desiderio di possedere, sapendo bene che in senso ultimo non c'è né ciò che è posseduto né chi possiede: questo è l'amore più grande.
L'amore non parla di un ' io ' e non lo concepisce, sapendo bene che questo cosiddetto ' io ' è solo un'illusione.
L'amore non fa scelte né esclusioni, sapendo bene che l'agire così crea ciò che è l'opposto dell'amore: l'antipatia, l'avversione e l'odio.
L'amore abbraccia tutti gli esseri grandi e piccoli, vicini e lontani,della terra, dell'acqua o dell'aria.
L'amore include imparzialmente tutti gli esseri viventi, e non solo quelli che ci sono utili, che ci piacciono o ci divertono.
L'amore abbraccia tutti gli esseri, di animo nobile o ignobile, buoni o malvagi. Coloro che sono buoni e di animo nobile perché l'amore fluisce verso di loro spontaneamente.  Coloro che sono malvagi o di animo ignobile sono inclusi perchè sono quelli che hanno più bisogno d'amore. In molti di essi il seme della bontà può essere morto perché è mancato il calore necessario per la sua crescita, per il gelo di un mondo senza amore.
L'amore abbraccia tutti gli esseri, sapendo che noi siamo tutti pellegrini nel ciclo dell'esistenza, che siamo tutti soggetti alla medesima legge della sofferenza.
L'amore non è il fuoco sensuale che brucia, scotta e tortura, che infligge ferite invece che curarle, che ora arde e il momento dopo è estinto, lasciando più freddezza e solitudine di prima.
Invece l' amore accarezza con mano dolce ma ferma gli esseri sofferenti, sempre immutato nella sua compassione, incrollabile, indifferente alle reazioni che suscita. L' amore è il sollievo  che rinfresca coloro  che bruciano nel fuoco della sofferenza e della passione; è il tepore che ridà la vita a coloro che sono perduti nel freddo deserto della solitudine, che rabbrividiscono per il gelo di un mondo senza amore; a coloro il cui cuore è desolato e arido per le ripetute richieste di aiuto, per la più profonda disperazione.
L' amore è la sublime nobiltà del cuore  e dell'intelletto che sa, capisce ed è pronto ad aiutare.
L' amore che è forza e che forza è l' amore più grande.

( tratto da "La Visione del Dhamma" di N. Thera)
#860
Tematiche Filosofiche / Re:Buddhismo
24 Novembre 2017, 17:50:48 PM
Citazione di: Apeiron il 24 Novembre 2017, 15:47:20 PM@Sari, ho una domanda. Altrove ho scritto questo: "Per esempio il buddhismo nega l'esistenza dell'io a livello di realtà ultima ma al contempo afferma il libero aribitrio, cosa che per me è fuori dalla mia comprensione (e credo che ciò lo facciano anche l'Advaita Vedanta, il daoismo ecc). Sinceramente io sono convinto che il libero arbitrio descriva qualcosa di "reale" e non solo "convenzionale" mentre sull'esistenza dell'"io individuale" a causa della mia attrazione ai vari sistemi filosofi buddhisti, vedanta ecc non so ancora esprimermi. Però ecco ritengo che il libero arbitirio (e quindi la responsabilità) si riferiscano a qualcosa di "reale"." Ossia nel caso del buddhismo le azioni umane siano "libere" pur non essendoci "qualcuno" che le faccia a livello di realtà ultima. Il che per me è completamente incomprensibile (ovviamente non sto dicendo che ciò falsifica il buddhismo). Anzi potrebbe essere la ragione per cui "profondo...è questo Dhamma, difficile da vedere, difficile da realizzare...oltre i limiti della ragione..deve essere sperimentato dal Saggio" (MN 72). Confermi che nel buddhismo appunto esista il libero arbitrio? (ossia che esistano azioni "libere" ma non esista "in senso ultimo" anche "l'io". Altrimenti se così non fosse sarebbe "fatalismo" e non "buddhismo")

Qual'è lo spazio di libertà di scelta per l'uomo, mi chiedi? Cosa intende il buddhismo con 'libero arbitrio'? Come sai  nel Buddhismo non esiste questo concetto , nato nella teologia.
Una volta ho sentito un monaco definire lo spazio di libertà dell'uomo come quello che ha una capra legata con la corda al recinto. Quindi un pò di libertà, ma condizionata. Ma quel "piccolo spazio" di libertà è fondamentale. Dov'è la nostra libertà? E' nella sensazione che proviamo nel contatto con il mondo da cui sorge nome e forma? E' possibile scegliere di non provare dolore  mentre sperimentiamo una sensazione dolorosa? Chiaramente no. E' possibile scegliere di non provare piacere quando sperimentiamo una sensazione piacevole? Chiaramente no. E' possibile scegliere di non provare piacere o dolore mentre sperimentiamo una sensazione neutra? Chiaramente no.
La nostra libertà sta tutta nel momento successivo all'esperienza. Sta nel come noi ci relazioniamo con l'esperienza che facciamo della vita. Questa libertà è molto più grande di quel che può sembrare. Perchè in questo momento di scelta se aggrapparci alla sensazione piacevole, dolorosa o neutra o non aggrapparci sta la possibilità della Liberazione. E il potere delle scelte che abbiamo rispetto alla percezione e alla reazione è enorme. Se reagiamo in un certo modo creiamo una causa di dolore, se reagiamo in un altro creiamo una causa di compassione, i cui effetti , per il Buddhismo, inevitabilmente si manifesteranno nella nostra e nell'altrui esistenza.
Quindi si potrebbe dire che, per il Dhamma, la  libertà dell'uomo è un problema di relazione tra la coscienza/vinnana e le sensazioni di cui fa esperienza. Non è possibile evitare di provare sensazioni , emozioni, pensieri, desideri, ecc. ( e in questo siamo come la capra...), ma possiamo scegliere se attaccarci  o meno a queste sensazioni, emozioni, pensieri, desideri, ecc. ( e questo è per il Buddhismo lo spazio di libertà dell'uomo...).
Tutto il resto è "teoria"... :)
Quindi la risposta alla tua domanda è: Sì, per il Buddhismo l'uomo è libero se salire o no sulla zattera che lo traghetta all'"altra riva" e tanto più lo diventa, libero,coltivando il non-attaccamento, attraverso innumerevoli esistenze dolorose, generando frutti di libertà dal conosciuto ( quindi Kamma positivo...Kamma che, nella visione buddhista è generato dall'intenzione  che motiva una scelta rispetto ad un'altra e non dall'azione in sè...), financo a liberarsi dall'attaccamento al non-attaccamento, dimorando alfine nel Nibbana, che è libero per definizione... ;D

Spero che sia abbastanza capibile... :( In questi giorni non sto molto bene  e prajna sonnecchia parecchio... :D  :D
#861
Citazione di: Kobayashi il 20 Novembre 2017, 13:00:52 PMUna cosa su Dostoevskij. C'è un aspetto che è sfuggito a molti critici ma che secondo me illumina la sua posizione su Cristo. Il protagonista de "L'idiota", il principe Myskin, è uno dei personaggi che incarnano la "bellezza evangelica" (come Alesa de "I fratelli Karamazov", Sònja di "Delitto e castigo") - il concetto di bellezza evangelica è tipicamente russo o comunque appartenente soprattutto al cristianesimo orientale. A un certo punto nel romanzo, nel corso della "spiegazione necessaria" di Ippolit (un giovane malato rancoroso che decide di suicidarsi davanti a un gruppo di conoscenti non prima di averne spiegato le ragioni filosofiche), salta fuori che alla provocazione di Ippolit che dice "secondo me il principe è un materialista", Myskin conferma (e lui dice sempre la verità). Quindi uno dei suoi personaggi più evangelici è un materialista. Evidentemente non crede in Dio. Che cosa significa? Ipotesi: Dostoevskij partendo dalle preoccupazioni per le conseguenze sociali di un nichilismo del tipo "se Dio non esiste tutto è permesso" finisce per abbracciare, di nascosto, quasi inconsciamente, un'idea tipicamente cattolica: fare come se Dio esistesse (anche se non ci si crede più). Non si tratta di un atteggiamento subdolo. Non siamo qui accanto ai religiosi che fingono di credere per costruirsi una carriera. Piuttosto abbiamo a che fare con una melanconica determinazione a non staccarsi da qualcosa che si è amato profondamente e senza il quale ci si sente destinati all'orrore (della crudeltà, del crimine, appunto). Da questo punto di vista l'umanità può elevare se stessa, redimere se stessa e il mondo, solo tenendosi stretta l'immagine di un Cristo in cui in verità non si crede più. Inutile chiedersi se una cosa del genere possa funzionare...

La materia però per D. è materia intrisa e pregna della sofferenza di Cristo. Rogozin ha in casa una copia di un quadro di Hans Holbein il Giovane, il "Cristo Morto", e di fronte a questo dipinto il Principe Myskin dice:"Osservando quel quadro c'è da perdere ogni fede!". "E infatti si perde" risponde Rogozin. Ma penetrare nel Cristianesimo di D. significa partire da una grande sofferenza e senza di quella non lo si comprende fino in fondo.
D. è un poeta del sottosuolo e solo cristiani del sottosuolo lo possono capire. Cristiani da catacombe...
E' un autore per chi sente il bisogno di sostituire l'alcool e la droga con la lettura :) ...

Per chi ama D. ho trovato questo bellissimo "Monologo del Principe Myskin" tratto da l'"idiota" con l 'interpretazione di Valter Zanardi. Nella prima parte è contenuto molto del pensiero del grande autore russo sul cristianesimo e sul nichilismo:
https://www.youtube.com/watch?v=A65qgq6JmKA
#862
Tematiche Spirituali / Re:Sono un essere inadeguato
19 Novembre 2017, 22:26:17 PM
-Non mi serve una scopa, Giuseppe. Te ne ho già prese due poco tempo fa, non ricordi?-
- Ma non erano di saggina come questa. Prendila! Quella che hai sotto il portico è consumata ormai...-
-E quanto vuoi?-
-Dieci schei, solo dieci...-
-Ma in bottega costa molto meno! Dai...-
-L'ho pagata sette, giuro. E' una buona scopa, prendila ...Ti faccio bene...otto !-
-Te ne dò sei e tu mi racconti la storiella...-
-Oggi mi sento generoso. Va bene! Sette e la storiella...-
-Andata! Vieni dentro e racconta vicino al caminetto. Appena il sole tramonta, le giornate si fanno subite fredde...-
-Ciao Giuseppe!-
-Ciao V. Sempre più alta e sempre più bella, vedo...-
-Vuoi un pò di caffè caldo? L'ho appena fatto. Papi lo bevi anche tu?-
-Giuseppe, appena si è un pò scaldato, ci racconta la storiella...-
-Ancora?...-
-Deve guadagnarsi gli schei...-
-Ascoltate allora...-

C'era solo "Quello"...
Quello, osservando se stesso, generò  Grande Ignoto e lo pensò come Divenire.
Quello viveva osservando Divenire, ma non era Divenire.
Quello amò Divenire, lo volle proteggere da se stesso e si oscurò, generando Ignoranza.
Ignoranza generò Paura.
Quello viveva osservando Paura, ma non era Paura.
Paura generò Amore, Odio e Bisogno.
I Tre generarono Grande Sete, che Ignoranza chiamò Vita.
Quello osservava Vita, ma non era Vita.
Quello viveva in Vita, ma Vita non lo riconosceva a causa di Ignoranza
che la proteggeva.
Grande Sete generò Infiniti Mondi .
Infiniti Mondi generarono Infinite Creature.
Quello amò Infiniti Mondi e Infinite Creature, ma non era Infiniti Mondi e Infinite Creature.
Amandoli li protesse da se stesso usando Ignoranza.
A causa di Ignoranza le creature si dissero Separate e generarono Grande Inimicizia.
Dalla Separazione sorse "Io sono".
"Io sono" ignorava che era generato da Amore, Odio e Bisogno e che conosceva Paura.
Quello osservava "Io sono", ma non era "Io sono".
"Io sono" disse a se stesso: "Io sono Quello".
Appena lo disse generò Caduta e Illusione.
Caduta e Illusione si cibarono di Amore e di Odio.
Illusione preferì il sapore di Odio a quello di Amore.
Chiamò quindi Odio anche Amore e generò così Brama.
Brama si fece sempre più forte nutrita da Illusione.
Brama disse a se stessa: "Che 'Io sono' non possa finire mai".
Questa Brama di non finire generò Rinascita.
Quello osservava Rinascita, ma non era Rinascita.
Rinascita generò Dolore.
Dolore disse a se stesso: "Che 'Io sono' non possa soffrire più".
Da questo desiderio di Dolore sorsero Dio e Ragione.
Quello osservava Dio e Ragione, ma non era Dio e Ragione.
Quello allora osservò Dolore.
Questa visione generò Saggezza.
Saggezza generò Compassione.
Compassione generò Sacrificio per 'Non io'.
Sacrificio generò Distacco.
Distacco generò Liberazione.
In Liberazione cessò Paura,
Cessando Paura cessò Ignoranza.
Quello allora osservò il Cessare di Ignoranza e riposò nella Cessazione.

-Che filastrocca! Ma come fai a ricordartela tutta?-
-Perché ognuno è il nome di una scopa!-
-Sei sempre il solito Giuseppe-
-Adesso vado. Grazie per il caffè!-
#863
Un altro contributo, che spero sia interessante, alla discussione. Riguarda un confronto tra il pensiero di F.M. Dostoevskij e Nietzsche che ho trovato andandomi a rileggere alcune considerazione che fa Maria Russo, partendo da un'analisi dell'opera "Memorie del sottosuolo", uno dei capolavori del grande romanziere russo che ho ripreso in mano in questi giorni:

Gide scrisse che i romanzi di Dostoevskij sono i libri più carichi di pensiero che esistano,  pur essendo romanzi. In Dostoevskij filosofia e letteratura si fondono, si compenetrano,  perché se la filosofia è riflessione sulla esistenza è propedeutica alla scelta tra le modalità che questa propone,  e non  mera speculazione; e quindi non può nascere che dall'esistenza,  dalla vita. Il problema fondamentale che attraversa tutta la sua opera,  almeno dalle Memorie del sottosuolo in poi,  è un problema etico e metafisico insieme; quello del bene e del male.
Dostoevskij può essere considerato, come sostiene Nikolaj Berdjaev, "il più grande metafisico russo"...
L'uomo è libero, ci dice Dostoevskij, tragicamente libero, perché è stato creato a immagine e somiglianza di Dio che l'ha messo al mondo dotato di ragione, facoltà che deve saper incanalare per poter cogliere nel corso dell'esistenza la differenza tra il bene e il male. Quando però la "ruminazione cerebrale" (espressione usata da Gide) conduce alla pretesa superomistica di autodeterminarsi da sé, rinnegando Dio e perciò anche la natura divina dell'uomo, la libertà rinnega sé stessa e si ritorce contro l'individuo, conducendo la sua personalità alla dissoluzione. Nessuno come Dostoevskij ha rappresentato con così tanto vigore gli effetti a cui può portare il rovesciamento della natura divina dell'uomo dal Dio-uomo all'Uomo-dio.
La dialettica dostoevskijana squarcia i veli che la filosofia razionalistica aveva steso sui più bassi istinti della natura umana, impedendo di coglierne le contraddizioni. Sembra quasi di ritrovare qualcosa dello spirito di Eraclito nello scrittore russo: pur essendo una vera e propria gnosi, le sue idee sono percezioni dinamiche della realtà, non statiche come avviene in Platone; la sua filosofia è una percezione religiosa dell'esistenza umana, che si colloca però all'opposto dei grandi pensatori cristiani mistici proprio perché nei suoi personaggi rappresenta le conseguenze che la tragicità insita nella libertà umana può portare all'individuo. Emblematica, in questo senso, è la figura dell'"uomo del sottosuolo", espressione indicante quel lato oscuro della personalità presente in ogni uomo che Freud più avanti chiamerà "inconscio". Costui dichiara infatti nelle sue memorie (prima con una sconvolgente riflessione-confessione, poi con una serie di episodi della sua vita) che l'uomo sarebbe disposto, pur di conservare per sé la cosa più stupida e dannosa, la peggiore umiliazione o vergogna pur di conservare la sua libertà nei confronti degli alfieri del progresso sociale e politico che vogliono impostare la convivenza sociale e l'ordine politico in base a criteri di pura razionalità. L'uomo non sarà mai un tasto di pianoforte e non si rassegnerà mai al "due più due uguale quattro".
"Memorie del sottosuolo" è forse l'opera più profonda e compiuta di Dostoevskij, quella dove la sua filosofia viene espressa in forma pura, e rappresenta un sconvolgente resoconto del più turpe lato dell'animo umano. Pochi hanno saputo trattari temi così alti e profondi con tale forza e chiarezza espressiva. Tra gli autori a lui contemporanei, si fa spesso il nome di Friedrich Nieztsche, a cui è accomunato dalla percezione tragica dell'esistenza che però nel filosofo tedesco si risolve nel nichilismo perché egli è troppo profondamente legato alla cultura greca e sostanzialmente estraneo al cristianesimo, incapace perciò di intravedere nella figura salvifica di Cristo il riscatto dell'umanità. La concezione di Dostoevskij è tragica, ma nella misura in cui il fardello della libertà pesa interamente sulle spalle dell'uomo conferendogli tutta la sua dignità. Quella di Nietzsche è concezione dell'assurdo, perché non riconosce alcun senso ontologicamente dato nell'essere: per riscattarsi, l'uomo deve darsi da sé un senso trasformandosi nel superuomo la cui volontà di potenza lo conduce però alla catastrofe dell'anti-uomo.
È impressionante come Dostoevskij abbia in questo anticipato la concezione superomistica di Nietzsche con Delitto e castigo prima e con I demoni poi, dove lo stesso problema viene affrontato a livello politico e collettivo anziché individuale.

Kirillov porta invece agli estremi l'idea del suicidio logico formulata da Dostoevskij nel Diario di uno scrittore; la sua idea è quella di uccidersi per poter diventare egli stesso un Dio, liberare l'uomo dalla paura della morte e donargli la libertà. Come ha efficacemente scritto Pareyson, nella prospettiva fatta valere da Dostoevskij "l'uomo non può riconoscere Dio senza volerlo essere", con tutti gli effetti catastrofici che ne scauriscono. Negare Dio vuol dire divinizzare l'uomo: ma ciò porta a effetti disastrosi, alla luce del fatto che "se Dio non esiste, tutto è permesso" (I fratelli Karamazov), crolla ogni limite e l'uomo può commettere ogni sorta di nefandezza.
La sostituzione dell'uomo a Dio è così tratteggiata da Dostoevskij ne I fratelli Karamazov:


Citazione
"Secondo me, non c'è nulla da distruggere, fuorché l'idea di Dio nell'umanità; ecco di dove occorre cominciare! È di qui, di qui che si deve partire, o ciechi, che non capite nulla! Una volta che l'umanità intera abbia rinnegato Dio (e io credo che tale epoca, a somiglianza delle epoche geologiche, verrà un giorno), tutta la vecchia concezione cadrà da sé, senza bisogno di antropofagia, e soprattutto cadrà la vecchia morale, e tutto si rinnoverà. Gli uomini si uniranno per prendere alla vita tutto ciò che essa può dare, ma unicamente per la gioia e la felicità di questo mondo. L'uomo si esalterà in un orgoglio divino, titanico, e apparirà l'uomo-dio. Trionfando senza posa e senza limiti della natura, mercé la sua volontà e la sua scienza, l'uomo per ciò solo proverà ad ogni istante un godimento cosí alto da tenere per lui il posto di tutte le vecchie speranze di gioie celesti. Ognuno saprà di essere per intero mortale, senza resurrezione possibile, e accoglierà la morte con tranquilla fierezza, come un dio. Per fierezza comprenderà di non dover mormorare perché la vita è solo un attimo, e amerà il fratello suo senza ricompensa. L'amore non riempirà che un attimo di vita, ma la stessa consapevolezza di questa sua fugacità ne rinforzerà altrettanto l'ardore quanto prima esso si disperdeva nelle speranze di un amore d'oltre tomba e infinito...", e via di questo passo. Delizioso!"
La sua straordinaria attenzione per la vita sociale e politica della sua epoca non rende certo anacronistico il suo messaggio, anzi lo rende vivo perché mostra gli effetti che grandi idee producono nella vita di persone comuni nella vita di tutti i giorni. La sua attualità è del resto evidente oggi: basta pensare al difficile tentativo di conciliare fede e scienza, al dibattito sulla laicità dello stato che oggi trovano ampio risalto nei nostri media. Su questi temi, lo sguardo di Dostoevskij può essere ancora illuminante e scuotere ancora le coscienze.

(tratto da "La libertà secondo Dostoevskij" di Maria russo)
#864
Tematiche Filosofiche / Re:Buddhismo
15 Novembre 2017, 22:56:19 PM
Immagino @Apeiron, una sera durante la quale il Buddha tiene un discorso ai bhikkhu (monaci) nel giardino di Jetavana, con le torce che fanno danzare strane ombre sui volti e sulle spalle, alzarsi e porre le sue sette alternative all'attenzione dell'assemblea e di Siddhartha stesso...
Poi mi par di immaginare le labbra dell'illuminato assumere la piega di un sorriso...ma...nessuna risposta all'inquieto ricercatore , all'asceta filosofo itinerante Apeiron, giunto dal lontano Ellade...solo silenzio .  Nell'aria solamente il  rumore del vento tra gli alberi di pippala, qualche fruscio di tonache, un leggero brusìo ai margini della grande assemblea...
Cos'è il Nirvana? Perché non risponde?...Perchè questo silenzio?...Qual'è la posizione di quest'uomo che dicono sia 'illuminato'? ...@Apeiron di illuminato vede solo il suo volto, rischiarato dalla luce danzante delle torce. Perché il Buddha non afferma con chiarezza qual'è la natura del Nirvana?...Sembra quasi...un 'agnostico'...molti lo pensano, infatti...
"Ciò porta chiaramente alla conclusione che l'agnosticismo in tali questioni non si basa su una convinzione ragionata dei limiti della conoscenza; esso riposa sulla duplice base che Buddha stesso non è giunto ad una chiara conclusione riguardo la verità di questi problemi, ma è convinto che la disputa su essi non conduce alla forma mentis essenziale per il raggiungimento del Nirvana" . Keith-Filosofia buddhista.
Ma il silenzio del Buddha non può nemmeno essere interpretato come agnosticismo, perché questo sarebbe un atteggiamento di dubbio e disperazione, mentre la sua risposta è decisa e risoluta. Non è nemmeno una specie di sospensione del giudizio, in attesa di un ipotetico momento più favorevole per rendere pubblica la "verità" sul Nirvana. No...non è così... abbiamo sempre quel sorriso a smentire questo dubbio. Pare un sorriso e un silenzio che parla...tante volte ha ripetuto che non ha trattenuto nulla per sé, come invece quei maestri dal 'pugno chiuso'. Buddha forse ignora la metafisica?...No, ha una grande padronanza e conoscenza delle speculazioni filosofiche del suo tempo...ha avuto  a disposizione migliori insegnanti del Regno del Magadha...ha studiato per anni con i più famosi filosofi e asceti...è sicuramente un metafisico di altissimo livello. Grazie alla sua penetrante analisi ha raggiunto una posizione che trascende e annulla i procedimenti dogmatici della Ragione....Il suo rifiuto della metafisica speculativa è deliberato e coerente. Per lui la critica stessa è filosofia...
La sua posizione non è nichilista nemmeno in forma implicita e nemmeno è considerata tale da qualsiasi sistema buddhista. Siddhartha si oppone in termini espliciti all'idea che la sua disciplina spirituale implichi l'inesistenza del Nibbana. Quante volte i bhikkhu lo hanno sentito parlare in termini 'positivi' dell'elemento Nibbana, come 'qualcosa' al di là di ogni sofferenza e mutamento, come inalterabile e quieto, non soggetto al decadimento e senza macchia...come vera pace oltre l'oceano del divenire.
Come un'isola, ecco...come un'isola di protezione... come un rifugio che è anche la meta.
Se non vi fosse all'orizzonte quest'isola di coralli come sarebbe possibile trovare una via d'uscita da tutto questo dolore?...Quale uscita dalla soggezione dell'impermanenza samsarica?...
Però Siddhartha non dubita affatto della realtà del Nirvana, ma...non permetterà mai di caratterizzarlo e rivestirlo di termini empirici come essere, non-essere, ecc.
Ecco il silenzio che interroga @Apeiron l'ellenico...il silenzio della piena consapevolezza della natura indescrivibile dell'Indescrivibile...
Accanto al Buddha seggono Sariputta e Mogallana. Alle sue spalle il bonario Ananda, il mite Ananda, il bhikkhu che manda a memoria ogni discorso del suo maestro, che da tanti anni lo aiuta e che adesso cerca di sollevare dall'umidità della notte trasudante dalla selva, agitando un'enorme ventaglio...Il maestro è vecchio ormai , e stanco...ma c'è ancora l'ellenico...ritto davanti a lui...in attesa...
E l'ellenico parla e chiede:"Perché mai allora, signore, non ammettete in termini del tutto espliciti la realtà dell'assoluto? Perché mi osservate in siffatto silenzio? Perché mi sento 'venir meno il mondo', ora?...Parlate alfine! Angosciosa è l'esistenza e l'autunno si porta via come ogni anno le nostre speranze...parlate per tutto ciò che vi è di caro e di valore "...
Ma che parole usare per qualcosa che è al di là di ogni parola? ...Cosa c'è di più vero, a questo punto della notte, che non il silenzio e un sorriso che rincuora ?...
#865
Tematiche Filosofiche / Re:Sari il barbiere
15 Novembre 2017, 18:29:57 PM
Citazione di: Garbino il 15 Novembre 2017, 17:09:55 PMSari il barbiere. Mio caro Sari, come previsto le cose stavano come avevano detto coloro che ti ho indicato. E cioè Socrate78, loreT815, Apeiron etc.... Ripeto che trattandosi di un' antinomia non ha soluzione. La risposta di Phil, pur essendo logica e in grado di toglierci dal problema dell' antinomia, non è però valida anche per risolvere l' indovinello, e cioè chi raderà il barbiere Sari. Infatti la risposta dovrebbe apparire certa dal contesto dei dati che vengono forniti per risolverlo. Mentre pur se è plausibile che un barbiere si radi da solo, se astraiamo il barbiere dal contesto dell' indovinello non abbiamo alcuna certezza. Cosa invece che, ripeto, dovrebbe scaturire inequivocabile dal contesto dei dati. La domanda finale infatti è: Sari si fa la barba da solo? Ma noi appunto, nell' interpretazione di Phil, non siamo in grado di determinarlo con certezza. Non abbiamo cioè la soluzione dell' indovinello. Garbino Vento di Tempesta.

Infatti la soluzione esatta dell'indovinello è:

"Secondo la logica della formulazione, è impossibile stabilirlo".

Quindi direi che, salomonicamente, la cassa di buon prosecco va divisa fra tutti, una bottiglia a testa. L'indirizzo lo conoscete, per passare a ritirare la bottiglia che vi spetta... ;)
#866
Citazione di: Kobayashi il 14 Novembre 2017, 07:22:22 AM@Sariputra Se il pensiero filosofico ha l'ambizione di salvare la mente degli uomini (per quello che ne rimane...) dalle manipolazioni della tecnologia e del capitalismo, beh, forse ha più bisogno di Nietzsche che di Tommaso d'Aquino... Poi ciascuno, per salvare se stesso, è legittimato ad attaccarsi a qualsiasi cosa (io per primo ammetto, e quasi mi vanto, di avere tradito ogni "parrocchia" cui avevo giurato fedeltà eterna...). In un testo di Claudel c'è un gesuita legato ad una croce di legno alla deriva nell'oceano. Che dire, finché galleggia... Se però avvistasse un'isola, fossi in lui, cercherei di abbandonare la croce e inizierei a nuotare in quella direzione...

Per me non ha bisogno nè dell'uno, né dell'altro... ;D
#867
@ Kamui Kobayashi scrive:
Se il pensiero occidentale, che è in agonia da due secoli, vuole salvarsi deve provare, forse, a uscire dai soliti concetti della metafisica.

Ma il pensiero occidentale ha già trovato il modo di uscire dai soliti concetti della metafisica. Se non ce ne siamo ancora accorti adesso viviamo nell'epoca del dominio del pensiero tecnico-scientifico che detta l'agenda della vita degli uomini.  L'uomo si è così trasformato da "essere metafisico" a "caso statistico". Infatti , se per esempio ti viene diagnosticato un bel cancro, cosa ti dice l'oncologo? "Non si preoccupi, ci sono molte probabilità di guarire... nel suo caso"; oppure: "La casistica dice che lei ha buone probabilità di guarire". E una moltitudine di esempi si possono fare, in tutti gli ambiti. Il pensiero del dominio della massa è sempre quello: un tempo si usava la paura di un Dio mostrato come giustiziere, ora si indirizza la ricerca scientifica e le sue applicazioni pratiche in ragione di una valutazione statistica di quello che può trovare il gradimento delle masse, controllandole e arricchendosi di conseguenza. Proprio in questi giorni c'è un'intervista interessante da leggere a Sean Parker, uno dei creatori di Facebook insieme a Zuckerberg, che parla di come i creatori del social erano perfettamenti consapevoli di creare qualcosa che doveva sfruttare le vulnerabilità umane, e adesso , dopo essere diventato una specie di obiettore, lancia una sorta di grido d'allarme:" Solo dio sa cosa sta succedendo al cervello dei nostri piccoli"...
Forse è un pò troppo tardi per uscire dal dominio attuale del pensiero unico tecnico-scientifico o , per meglio dire, non è che quattro gatti di filosofi , pur consapevoli e in profonda riflessione e ponderazione, siano in grado di proporre qualcosa capace di scardinare un sistema di potere simile ( a cui loro stessi si allattano in definitiva...) strutturato sul controllo delle debolezze umane e sul "come" farlo, trascurando del tutto, anzi ritenedolo superato del "perché" lo faccio...considerando poi che la maggior parte dei filosofi attuali credono anch'essi, in definitiva, che ormai sia meglio concentrarsi unicamente sul 'come' e dimenticare per sempre il 'perchè'...
O forse pensiamo ancora che il Papa o il Dalai lama abbiano più potere sulla gente di Apple o di Google? Dai su!...:)
Namaste!
#868
Tematiche Filosofiche / Re:Sari il barbiere
09 Novembre 2017, 20:22:46 PM
Contributo per riflettere:

Paradosso dei barbiere. Il barbiere rade tutti gli uomini del villaggio che non radono se stessi. Chi rade il barbiere?Qui, l'inghippo `e che, essendo abituati alla sua figura reale, siamo condizionati a pensare al barbiere come esistente, e quindi in preda a seri problemi di identità. Tuttavia, la prima frase del paradosso (che andrebbe enunciata più precisamente come "il barbiere  `e un uomo abitante del villaggio che rade tutti gli uomini del villaggio che non radono se stessi) `e, di fatto, una definizione di barbiere, e come tale `e inconsistente (o, meglio, vuota): non può cioè essere soddisfatta da alcun abitante uomo del villaggio. In questo non vi `e nulla di drammatico. Formalizzando la cosa, e senza temere di incorrere in alcuna antinomia, si può osservare che se R `e una qualsiasi relazione definita su un insieme V , allora la proposizione ∃x ∀a : (¬(aRa) → xRa) (1) `e falsa; ovvero non esiste alcun elemento x dell'insieme che la soddisfa. Questo fatto, che si applica al paradosso del barbiere (con V l'insieme degli uomini del villaggio e xRa che significa "x rade a") ma anche al paradosso dei link ed alle altre versioni terra-terra del paradosso, sembra finire col togliere parecchio pathos anche al paradosso di Russell. Ma allora, perch´e questo fu una tale mazzata per il povero Frege?E perch´e si temette, per via di esso, per la stessa sopravvivenza della Teoria di Cantor? Perchè fra il paradosso del barbiere e quello di Russell c'`e un'affinità di forma, ma una sostanziale diversità epistemologica. Come scrisse lo stesso Russell,

La contraddizione  è estremamente interessante. Se ne può modificare la forma; ma non tutte le variazioni sono valide. Una volta mi fu suggerita una forma che a mio parere non `e valida, ed `e la questione se il barbiere rada se stesso oppure no. Si può definire il barbiere come "colui che rade tutti quelli, e solo quelli, che non si radono da soli". Il problema `e: il barbiere rade se stesso? In questa forma la contraddizione non `e difficile da risolvere. Ma nella nostra forma precedente`e chiaro che la si può aggirare solo osservando che l'intera questione, se una classe possa essere membro di se stessa, `e priva di senso, cio`e che nessuna classe `e o non `e membro di se stessa, e anzi non `e nemmeno corretto dire ciò, poichè la forma delle parole non `e che un rumore senza significato.

Nel caso del barbiere,  la relazione che interviene come nella (1) `e definita su un insieme ben fondato e definito per altre vie (quello degli uomini del villaggio) mentre nel paradosso di Russell, semplificando molto, essa fa parte della definizione stessa di insieme, cio`e degli oggetti sui quali si applica. Sarebbe come se il paradosso del barbiere implicasse non solo la conseguenza, non particolarmente grave, dell'inesistenza del barbiere come definito, ma assieme la dissoluzione immediata di tutte le barbe o addirittura, dio non voglia (o magari sì), dell'identità maschile. . . In questo modo la corazzata di Frege, silurata dal Paradosso, affondò mentre era ancora in bacino di carenaggio; anzi, s'inabissò istantaneamente quando Russell disse "Ma non può stare a galla!", un po' come i personaggi dei cartoni animati precipitano solo quando si accorgono di stare nel vuoto. Più o meno scherzosamente, si potrebbe osservare che, oltre a queste appena enunciate, tra
le condizioni implicite nel paradosso del barbiere, vi `e quella che ogni uomo del villaggio deve tenere la barba rasata; dopo aver constato che questo porta al paradosso del barbiere, si potrà allora dedurre che in ogni villaggio vale almeno una delle seguenti condizioni: - non c'`e alcun barbiere uomo; - c'`e un uomo con la barba lunga. Bertrand Russell, The Philosophy of Logical Atomism

Il filosofo vive di problemi come l'uomo di cibi. Un problema insolubile `e un cibo indigesto. Quello che nei cibi `e il condimento piccante, nei problemi `e il paradosso. [Novalis]

Tratta da "Algebra - Paradossi" -Autore sconosciuto, perdutosi nel web...

Ma dov'è la soluzione? Mi stanno dicendo che non l'hanno trovata ?  ???

Phil ha intuito che il problema appare linguistico più che logico. ma si può ritenere il problema risolto semplicemente togliendo sostanza al linguaggio o cambiandone il senso? Per me ha il sapore di un'escamotage bello e buono... :(
Perché, da quel poco che intuisco, si risolverebbe forse togliendo a Sari il barbiere la sua qualifica di barbiere nell'atto di radere se stesso.  Ma l'indovinello dice tutti gli uomini  e non fa distinguo ...o sto sbagliando?
#869
Tematiche Filosofiche / Re:Sari il barbiere
09 Novembre 2017, 08:58:18 AM
"Se, come apparirebbe plausibile, il barbiere si radesse da solo, verrebbe contraddetta la premessa secondo cui il barbiere rade solo gli uomini che non si radono da soli. Se invece il barbiere non si radesse autonomamente, allora dovrebbe essere rasato dal barbiere, che però è lui stesso: in entrambi i casi si cade in una contraddizione."

Sembra che l'indovinello abbia mandato in crisi esistenziale Frege, che ci si spezzò le corna, cadendo in una cupa depressione. la moglie lo lasciò, si mise a battere i figli, ma soprattutto...non si radeva più!! :o...fini per scrivere a Russell, invitandolo a considerare l'indovinello "un'eccezione"... :)

P.S. Sembra che lo sbagliò pure Einstein ( fonte internet che io consulto e voi, da bravi sportivi no...vero?)
#870
Tematiche Culturali e Sociali / Re:Lavoro totale
08 Novembre 2017, 08:39:15 AM
In un seminario di meditazione buddhista si parlava proprio di questo. All'invito di 'prendersi' del tempo per se stessi e per la pratica meditativa, la risposta di una signora fu: "Ma io non ho tempo!" , detto con tale veemenza e convinzione da non ammettere replica , mentre la maggioranza dei presenti annuiva energicamente con il capo... :(

La Nuova Zelanda, paese che amo per l'immensità e magnificenza delle sue greggi di pecore  8) , ha eletto a Settembre un nuovo primo ministro, la giovane 37enne Ardern, del partito laburista, che così si è espressa, in un'intervista, sul totale fallimento del capitalismo: 

"E' un palese fallimento. I livelli di senzatetto e bassi salari sono una prova che "il mercato ha fallito" (...) Se si hanno centinaia di migliaia di bambini che vivono in case inadatte per la sopravvivenza, questo è un palese fallimento (...)  le misure usate per misurare il successo economico devono cambiare per tener conto della capacità delle persone di avere effettivamente una vita significativa,dove il  lavoro è sufficiente per sopravvivere e sostenere le loro famiglie. Quando si ha un'economia di mercato, tutto dipende dal fatto che si riconosca o meno dove il mercato ha fallito e dove è necessario intervenire. Ha fallito il nostro popolo negli ultimi tempi? Sì. Come si può affermare di aver avuto successo quando si ha una crescita all'incirca del tre per cento, ma si ha la peggiore condizione dei senzatetto nel mondo sviluppato?".