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Messaggi - 0xdeadbeef

#856
Citazione di: Carlo Pierini il 02 Luglio 2018, 12:21:29 PM
OXDEADBEEF
Quanto alla "cosa in sè" essa è l'oggetto cui il "segno" (semiotico) si riferisce.

CARLO
Non diciamo cazzate. C'è UN segno per indicare la "cosa" (fenomenica) e UN ALTRO segno per indicare il suo noumeno-archetipo. La loro fusione non è altro che una CON-FUSIONE.


Allora, posto che (finalmente...) siamo arrivati a concordare sull'idea platonica come "archetipo";
come ciò che vi è di unitario nella molteplicità; ora ritengo sia arrivato il momento di discutere
seriamente (...) della filosofia kantiana in merito alla "cosa in sè".
Mi verrebbe da iniziare con "a mio parere" (come del resto faccio spessissimo), ma questa volta proprio
no; perchè questa volta non è un mio parere personale.
Stai continuando imperterrito a sostenere un'assurdità, e cioè che Kant "fonde illegittimamente", nel
concetto di "cosa in sè", il modello metafisico (l'idea platonica) e la cosa fisica, il "fenomeno".
Con ogni evidenza, non hai compreso per nulla quel concetto (la "cosa in sè").
Poco male, direi (sai quante volte io non ho compreso un concetto...). Senonchè chiami "cazzate" i
miei tentativi di spiegartelo, e questo invece è male assai (per modo di dire, perchè il vero male
è ben altro).
Allora tento di rispiegartelo meglio: la "cosa in sè" non è nessuna "fusione"; nessuna "lega" ottenuta
da quel materiale e da quell'altro. Essa è lo stesso oggetto fenomenico, la stessa cosa fisica PRIMA
che un qualche interprete la "nomini" (la "segni", anche col solo pensiero, cioè la introduca all'interno
di quella che in semiotica viene chiamata "catena segnica").
Naturalmente, la "cosa in sè" è inconoscibile; ma non perchè trattasi di un qualcosa di metafisico ed
indimostrabile; ma perchè, come dice Peirce, già il solo pensare è "interpretare" (dunque a rigor di
logica non potremmo neppure pensare la "cosa in sè" - tant'è che Kant la chiama appunto "noumeno" per
sottolinearne la mera "intuibilità" per mezzo dell'intelletto).
La semiotica chiama la "cosa in sè" "oggetto primo"; "primum assoluto" o in altri modi, indicando con
tali termini quel "qualcosa" che il segno indica (un qualcosa chè "c'è" indubitabilmente, ma che è
conoscibile appunto solo attraverso il segno appostovi almeno da un primo interprete).
Dunque, se c'è un segno si parla necessariamente di "fenomeno", mentre il segno riferito alla "cosa
in sè" è mera convenzione, finzione direi (ma una finzione necessaria).
In conclusione, non vedo proprio come la "cosa in sè" possa essere una "speranza" (sperare cosa?
Che esista un oggetto qualsiasi?). Quello che noi uomini chiamiamo "albero" viene forse visto dagli
insetti o dalle muffe che vi abitano come un qualcosa da cui ricavare ombra per proteggersi dal
sole? O legna da bruciare per scaldarsi o costruire suppellettili?
Come può essere conosciuto l'oggetto-albero fuori dal segno interpretativo che differenti specie
vi appongono? Ma questo vuol forse dire che non esiste un qualcosa che sta al di fuori di quei
certi segni?
In questo modo va intesa la "cosa in sè" kantiana. Poi se ne può discutere in molti modi, e anche
criticare questo concetto, ma in questo modo è stata teorizzata da Kant.
saluti
#857
Citazione di: Phil il 01 Luglio 2018, 15:01:45 PM
Citazione di: 0xdeadbeef il 01 Luglio 2018, 14:11:46 PM
In altre parole, quando dico: "tutto è interpretazione" affermo un qualcosa di cui "credo" la verità. E su
quale base potrei crederla se non su una base che così recita: "è assolutamente vero che tutto
è interpretazione" (è assolutamente vero che tutto è relativo)?
(sottolineatura mia) Terrei ben distinti il "credere" (soggettivo) e l'"esser vero" (che si vorrebbe oggettivo): "credo che tutto sia interpretazione" o "la mia interpretazione è che tutto sia interpretazione" non equivale a "è assolutamente vero che tutto è interpretazione".
Le prime due frasi (auto)confermano l'ipotesi (non la certezza) che tutto sia interpretazione, senza creare meta-livelli veritativi; la terza frase invece si pone su un (meta)piano veritativo, piano che è tutto da fondare logicamente e da dimostrare epistemologicamente.

L'ingenua critica al relativismo (non solo di Severino) funziona dall'esterno: si presuppone a priori una verità assoluta,



Allora Phil, mi sembra che il tuo ragionamento suoni così: "credo sia tutto interpretazione ma non escludo
la possibilità che così non sia".
Ora, qual'è la base, il fondamento di questa ipotesi? In altre parole: su cosa credi sia tutto
interpretazione e su cosa ritieni esista la possibilità (reale o logica che sia) che non lo sia?
Mi sembra che, insomma, anche il tuo ragionamento implichi dei "meta-livelli veritativi" (e mi sembra
non esista la possibilità che così non sia).
Sottolinei giustamente che il "credere" è soggettivo e l'"essere vero" oggettivo (si vorrebbe). Ma
come posso conoscere le cose, quindi il mondo oggettivo, se non attraverso il soggettivo (cioè
attraverso il "credere")?
Ecco allora che il "credere", nel linguaggio, non può che assumere connotazioni oggettive (tanto
che non è una assurdità il dire: "credo sia assolutamente vero che...").
Tutto il mio discorso è in sostanza rivolto ad una "ricerca" (che ammetto faticosa) del carattere
necessariamente assoluto DEL LINGUAGGIO (non delle cose). Per cui non si supporrebbe a-priori una
verità assoluta (cioè con atto volontario), ma tale verità sarebbe già per così dire "inscritta"
nel linguaggio.
Da un certo punto di vista ed in definitiva mi sembrerebbe logico dire: "io non so se tutto sia
interpretazione o meno (come non so niente di niente)".
E comunque voglio ringraziarti della pazienza (oltre che dell'acume) che hai nel rispondere a
questi miei "contorcimenti mentali",
saluti e stima.
#858
Citazione di: Carlo Pierini il 01 Luglio 2018, 12:19:16 PM
CARLO
Platone non fonde insieme - identificandoli - il modello ideale METAFISICO (il noumeno) e la cosa FISICA di cui il noumeno è "modello celeste". Quindi non è vero che, come scrivi: <<l'idea platonica è ...il modello che possiamo riscontrare nella molteplicità>>


Non vedo cos'altro possa essere l'idea platonica se non, dicevo: "il modello unitario che possiamo riscontrare
nella molteplicità".
E' come (ma non c'è davvero bisogno di specificarlo, visto che tutta la filosofia è, nei millenni, concorde
con questa definizione) se io dicessi "l'uomo" intendendo con ciò non "un" uomo, ma l'archetipo dell'uomo,
il modello, l'ideale, ciò che è costituito dalla "sostanza" (l'umanità) cui la molteplicità degli uomini
"partecipa".
Quanto alla "cosa in sè" essa è l'oggetto cui il "segno" (semiotico) si riferisce. E questo è il suo
significato, che chiaramente non è un mulla come tu affermi.
Ovvero: se il "segno" (parola o altro) è segno di qualcosa, allora la "cosa in sè" è questo qualcosa.
Personalmente considero grave errore concettuale il ritenere il "noumeno", o "cosa in sè", come
un essenza metafisica (e il "fenomeno" come una sostanza fisica).
La "cosa in sè" è una "cosa" fisica, visto che è l'oggetto cui il segno semiotico si riferisce (è l'oggetto
che, nel momento in cui è "conosciuto" dal soggetto interpretante, diventa un interpretato -cioè diventa
un "fenomeno").
In altre parole, il "noumeno" e il "fenomeno" sono/è lo stesso oggetto. Prima di essere interpretato dal
soggetto è "noumeno", mentre dopo è "fenomeno" (la questione è, per così dire, tutta "linguistica" e
"temporale", e la metafisica o la fisica non c'entrano nulla).
Per quanto riguarda la questione della fede e della scienza, a me non pare proprio che Kant sia un
"agnostico materialista". L'idea di Dio è anzi centrale nella sua riflessione (tanto che a quest'idea
egli si riallaccia in quella che, apparentemente, è una frattura - e forse lo è - fra la Ragion Pura e
quella Pratica).
Certo per Kant Dio, essendo indimostrabile, è "speranza", non "certezza" (ed in questo sì, anch'io lo
vedo come "discepolo" di S.Francesco - ma come del resto lo è tutta la Riforma protestante).
saluti
#859
(Perdonami Phil, ma impegnato in altre discussioni non avevo notato questa tua risposta).
A me l'ingenuità sembra risiedere nel fatto che si "apra" alla possibilità che anche l'affermazione: "tutto
è interpretazione" sia, appunto, un'interpretazione.
E la medesima cosa (ora non ricordo se l'ho già detta, nel caso scusamene) che Severino dice a proposito
del "tutto è relativo": tutto è relativo FUORCHE' questa affermazione (o altrimenti anche questa affermazione
sarebbe relativa, cioè si porrebbe al medesimo livello di legittimazione di qualsiasi altra).
In altre parole, quando dico: "tutto è interpretazione" affermo un qualcosa di cui "credo" la verità. E su
quale base potrei crederla se non su una base che così recita: "è assolutamente vero che tutto
è interpretazione" (è assolutamente vero che tutto è relativo)?
Per il resto, io credo che Nietzsche finga. Finge appunto perchè dice: "nell'eterno fuire delle cose di
nulla potremmo dire che è (se lo diciamo è così, per vivere)".
In Nietzsche è cioè evidente il carattere utilitaristico ("così, per vivere") del tempo presente del verbo
"essere" (e direi dell'intero linguaggio). Una declinazione che, nell'eterno e continuo divenire, o fluire,
delle cose non potrebbe aver luogo (come potrebbe, qualcosa, "essere" anche un solo istante laddove invece
muta costantemente?)
Da questo punto di vista, a me sembra che Nietzsche ci voglia dire che, nel divenire delle cose, solo il
silenzio più totale sarebbe "logico". Per cui sì, a mio parere Nietzsche letteralmente "spaccia" per verità
ciò che egli stesso ammette non essere verità (tutto E' interpretazione); ma d'altronde, ci fa sapere,
nemmeno l'affermazione contraria (non tutto E' interpretazione - esistono i fatti) sfugge a questa stessa
logica (nulla vi sfugge, perchè "vero" e logico è solo il silenzio).
Il suo "tutto è interpretazione" si situa allora ad un livello, diciamo, "linguistico" in cui la finzione è
assunta come necessaria (come non potrebbe esserlo?). A questo livello, la finzione è già, come dire,
assimilata, contemplata nel "già pensato", in parole povere nella necessità che così sia (e che non possa
essere diversamente).
E' DA questo livello in poi che, a parer mio, comincia l'interpretazione.
saluti
#860
Citazione di: Carlo Pierini il 01 Luglio 2018, 02:42:15 AM
OXDEADBEEF
Curioso. Per me il "noumeno" è l'equivalente dell'"evento" semiotico, del "primum assoluto" o "oggetto
primo" che dir si voglia".
Da un certo punto di vista direi, anzi, che la semiotica poco o nulla aggiunge alla filosofia di Kant.
Voglio dire, che c'entra l'idea platonica?


CARLO
L'idea platonica è "l'oggetto primo", il "primum" assoluto, l'"evento semiotico";  cioè, è il "noumenon". Quindi c'entra!

OXDEADBEEF
La "cosa in sè" è il non (ancora) interpretato; l'oggetto che non dipende dall'osservatore (tanto
per parafrasare il Principio di Heisemberg); è una cosa materiale, e non è affatto associabile
al trascendente.


CARLO
E' proprio ciò che ho scritto io: la cosa non è associabile al trascendente. E la "cosa in sé" è un concetto privo di senso, perché la conoscenza è la conoscenza della cosa fenomenica, non della "cosa in sé", che non vuol dir nulla.
<<La Terra gira intorno al Sole, e non viceversa>> è un elemento di conoscenza che ha rivoluzionato la cultura umana senza alcuna necessità di ricorrere a puttanate come la "Terra in sé", o il "Sole in sé" o il "girare in sé". E questo vale per TUTTE le altre migliaia e migliaia di cose o fenomeni che sono entrati a far parte della conoscenza. Esso, cioè, è solo un FALSO CONCETTO, utile solo alla ciarlataneria relativista.



L'idea platonica non è affatto l'oggetto primo della semiotica (o la "cosa in sè" kantiana).
Non lo è per il semplice motivo che essa, l'idea platonica, è la sostanza essenziale, l'ideale, il modello
unitario che possiamo riscontrare nella molteplicità.
Con ogni evidenza non è questo che Kant intende per "cosa in sè". In essa, nella "cosa in sè", non vi è
nessun richiamo alla "sostanza", al modello, all'ideale (così come pure ai concetti di unità e di molteplicità
intesi in maniera "greca" - in Kant una unità siffatta non è concepita, e la molteplicità è intesa come
molteplicità di interpretazioni).
Se la "cosa in sè" fosse un concetto privo di senso, come tu affermi, il "fenomeno" assumerebbe, come in
Husserl, la connotazione di "essenza". Ma per così dire ancor più a monte, il soggetto diverebbe "creatore",
come di fatto avviene nell'Idealismo.
Tralascio, almeno per il momento, di approfondire sul quanto queste tesi (di Husserl e dell'Idealismo) siano
illogiche, errate, ed anche se vogliamo molto pericolose dal punto di vista morale, in quanto conducono,
dritte, ad una concezione "assolutistica" per cui la mia verità è la verità in sè ("la verità è ciò che dico
io", rifacendomi ad un mio precedente post su una affermazione di U.Eco).
Attenderei, in conclusione, di sentire qualcosa anche sulla "colpa", che tu attribuisci a Kant, di aver
provocato una "frattura inconciliabile" fra scienza e fede (per la qual cosa io ti ho rimandato a San
Francesco - o all'agostinismo in generale, potrei aggiungere).
saluti
#861
Citazione di: Carlo Pierini il 29 Giugno 2018, 19:25:21 PM
Il "noumenon" platonico è l'idea originaria, eterna, divina, il modello metafisico della cosa creata.
In tal senso, la conoscenza di una cosa è un risalire al "noumenon" che la fonda, al suo paradigma o archetipo originario, che è ALTRO dalla cosa, ma conoscibile, intelligibile, proprio in quanto "idea" commensurabile alle idee umane ordinarie.
Kant lo ha manipolato fondendolo con la cosa e ottenendo un aborto concettuale: "la cosa in sé", che non ha alcun significato, con il solo scopo di contrapporre dualisticamente "fenomeno" e "noumeno" e dichiarare il primo conoscibile, e il secondo (al pari del "Trascendente") assolutamente inconoscibile.
Con questa mossa oscena ha costruito a tavolino una filosofia da vendere sia ai materialisti che ai mistici sostenitori dell'ineffabilità di Dio.
Un vero mercante truffatore mascherato da filosofo. L'iniziatore della frattura inconciliabile e cruenta tra scienza e fede.

Curioso. Per me il "noumeno" è l'equivalente dell'"evento" semiotico, del "primum assoluto" o "oggetto
primo" che dir si voglia".
Da un certo punto di vista direi, anzi, che la semiotica poco o nulla aggiunge alla filosofia di Kant.
Voglio dire, che c'entra l'idea platonica? Mica la "cosa in sè" è eterna, incorruttibile, paradigmatica
etc. etc.
La "cosa in sè" è il non (ancora) interpretato; l'oggetto che non dipende dall'osservatore (tanto
per parafrasare il Principio di Heisemberg); è una cosa materiale, e non è affatto associabile
al trascendente.
Quanto alla frattura inconciliabile fra scienza e fede perchè non indicare S.Francesco come il, diciamo,
"progenitore"?
Mi sembra che le prime ricerche sul naturalismo, così come le prime università, sono sorte in
Inghilterra proprio ad opera dei Francescani...
saluti
#862
Tematiche Culturali e Sociali / Re:Sul "sovranismo"
30 Giugno 2018, 10:56:54 AM
Concordo con molte delle tue considerazioni, ma non posso non pensare tu stia troppo generalizzando.
L'Occidente è ciò che dici, e lo è senz'altro; ma è anche qualcosa di diverso da quello: qualcosa che
non si rassegna (non può e non deve) ad essere solo e soltanto quello.
E tuttavia la tua critica all'Occidente non è una critica che si limita ad aspetti esteriori e deleteri;
ma è una critica che cerca di decostruire l'Occidente fin dalle sue fondamenta, che ritroviamo nel
pensiero greco e nel Cristianesimo.
Per come io la vedo, la tua critica dice che "necessariamente" l'uomo occidentale è diventato un essere
abietto ed egoista, amante solo dell'edonismo più sfrenato. E su questo punto no, non sono d'accordo.
Anzi, io vedo nel "sovranismo" una rinascita dello spirito comunitario; una rinascita molto, molto
difficile, ma un qualcosa che non possiamo non tentare.
Vedi, io ero di sinistra (lo sono sempre stato), ma ad un certo punto mi è sembrato di capire come tutta
la cultura della sinistra fosse, in definitiva, funzionale all'utilitarismo e all'individualismo di
matrice anglosassone (oggi chiaramente cultura dominante).
Mi è sembrato di capire che, forse, l'unico modo di opporsi alla cultura che con efficaci "pennellate"
descrivi fosse un tentativo di "ritorno" alla comunità, ai suoi valori ed alle sue tradizioni.
Non si tratta di "cambiare le virgole a questo sistema". Come dicevo non è davvero il caso di entusiasmarsi
per l'attuale governo ed esultare per la crisi dei partiti "di sistema"; questo, se sarà, è appena
l'inizio di un cammino lunghissimo ed irto di grandi difficoltà.
Guarda, sono consapevole di sperare in un qualcosa di improbabile. Quello che Severino chiama "sottosuolo
filosofico degli ultimi secoli" parla chiaro e dice cose non certo piacevoli da sentire. Ma non è forse
quella perduta la battaglia più nobile che si possa combattere?
E perchè non combatterla? Perchè l'inazione?
saluti
#863
Tematiche Culturali e Sociali / Re:Sul "sovranismo"
29 Giugno 2018, 16:42:26 PM
Posso comprendere, ma reputo in ultima istanza impossibile un atteggiamento come il tuo.
Del resto, per tua stessa ammissione, anche tu lavori. E lavori non per costrizione (potresti, che so,
dormire sotto i ponti e mangiare presso un ente assistenziale), ma essenzialmente per una decisione,
cioè per un atto di volontà.
In una bella metafora che sempre ricordo con piacere T.W.Adorno chiede alla stessa umanità: "ma voi,
davanti ai vagoni piombati diretti ad Auschwitz, avreste voltato lo sguardo?"
Ecco allora che qualsiasi atteggiamento è in fondo una decisione, una scelta, cioè un atto di volontà.
Certo, anche l'inazione lo è. E perchè mai non dovrebbe esserlo?
Dicevo, non che io non ti comprenda nella tua riflessione sull'agire come fondamento della cultura
occidentale (e non che io non comprenda la fondata critica ad essa), ma vorrei chiederti: non ti
sembra che il tuo sia un vero e proprio odio verso la cultura occidentale? Non so, forse sbaglio ma è
questo che io percepisco dalle tue parole.
Non che a me sia particolarmente simpatica, intendiamoci (condivido con te un estremo livore contro
certe affermazioni circa l'"onnipotenza" della volontà), ma ad un odio così estremo e viscerale no,
non arrivo.
Ma forse ti sto fraintendendo.
saluti
#864
Tematiche Culturali e Sociali / Re:Sul "sovranismo"
29 Giugno 2018, 09:33:45 AM
Sicuramente il nostro substrato culturale-filosofico nasce nel tempo dei Greci. Altrettanto sicuramente, direi,
forti influenze sono da ricercare nella religione, visto che già nella Bibbia la natura è interpretata come un
qualcosa di creato PER l'uomo, e quindi a sua disposizione.
Però, messa in questi termini, la faccenda diventa davvero un "destino dell'Occidente". Che poi non regga come
"teoria dell'uomo in relazione al mondo naturale" è una cosa che ben sappiamo tutti (cioè: quelli che lo
vogliono sapere lo sanno...).
Del resto non mancano certo le critiche radicali, e fondate, alla cultura occidentale (Levinas, Severino);
critiche che, però, non vanno mai al di là delle aule accademiche o dei discorsi fra gli addetti ai lavori
(per evidenti motivi).
Quindi, diciamo, sono d'accordo con il tuo ragionamento ma mi limiterei ad aspetti più, come dire, "pratici",
contingenti ed immediati (naturalmente nella consapevolezza che la pratica, la contingenza e l'immediatezza,
devono sempre e comunque fare i conti con qualcosa di più profondo).
In maniera direi quasi "kantiana" proporrei di fare un ragionamento siffatto: "sappiamo come stanno le cose;
e allora, beh, che si fa?".
Voglio dire: non si fa niente perchè c'è un substrato culturale e religioso che ci metterà inevitabilmente
i bastoni fra le ruote?
Citando di nuovo Weber mi verrebbe da dire: "mettiamoci al lavoro ed adempiamo al compito quotidiano".
saluti
PS
Vorrei aggiungere, tu proponi di rivisitare tutto a partire dalla fine del Medioevo (Severino addirittura
a partire dal "parricidio platonico"...), ma ti sembra possibile una impresa siffatta?
Non è forse meglio prendere atto dei nostri limiti costitutivi e, con probità ed onestà intellettuali,
fare quel che è possibile fare?
Certo, mi rendo conto che quel che è possibile fare rischia di essere molto poco, oberati come siamo da
millenni intrisi in una catena segnica di interpretanti ed interpretati ben precisa, ma quali altre
alternative abbiamo?
E allora arrenderci così, al destino? O impegnarci in un compito superiore ad ogni nostra forza?
A parer mio c'è, ma è da ricercare con grande fatica, una terza via.
#865
Tematiche Culturali e Sociali / Re:Sul "sovranismo"
28 Giugno 2018, 11:07:43 AM
Citazione di: paul11 il 27 Giugno 2018, 22:32:04 PM
ciao Mauro(Oxdeadbeef),
non capisco come e dove hai dedotto quanto da te esposto in base al mio post precedente.



Ciao Paul11
C'è evidentemente stato un malinteso. Per parte mia mi sembrava di aver capito che, con quel tuo: "l'economia
è pura convenzione" volessi dire che non esiste nessuna teoria economica (laddove io sostengo che la teoria
economica dominante è quella dell'"ordine spontaneo" di Von Hayek).
Su questo punto vorrei però capire e capirti un pò meglio. Perchè dal punto di vista dell'"ordine spontaneo"
(che chiaramente non è il mio, ma questo penso lo si sia capito) non esiste proprio nessuno degli assurdi o
paradossi di cui parlavi.
Il denaro virtuale "serve", a me pare con ogni evidenza, ad espandersi nella finanza senza l'impiccio
dell'inflazione che un conio reale di denaro comporterebbe (e l'espansione, dicevo, è forse la caratteristica
più spiccata che connota l'economia capitalistica).
Lo stato che, dicevi, rischia di diventare un uovo vuoto non è un "assurdo", e non lo è perchè, appunto,
l'espansione capitalistica (mercatistica), se lasciata fare, non può che travolgere confini e frontiere.
Non so, dicevo che a me queste dinamiche mi paiono in tutto e per tutto in linea con l'ideologia dominante
dell'"ordine spontaneo" (che è, allo stesso tempo, ideologia economica E politica - per il fatto, cui appena
ho accennato, della "mutazione genetica" e della trasformazione dei mezzi in scopi).
E vengo alla, per così dire, "domanda capitale": "può il concetto di sovranità esistere, sussistere e resistere,
alla velocità degli squilibri del mutamento?"
Sulla base di quanto dicevo vi sarà sempre una "sovranità" che è, in ultima istanza, politica. Ma mi sembra ovvio
tu stia parlando della sovranità statuale, della sovranità "politica" così come l'abbiamo sempre intesa.
Non lo so. Già l'analisi circa le dinamiche della contemporaneità è molto complessa. Ancor di più lo è la
previsione sugli sviluppi futuri.
Mi sento di poter dire che, sicuramente, c'è un "risveglio" che solo pochi anni fa era impensabile. Non sto
parlando dei meri risultati elettorali o dei governi che si sono formati; mi sembra di avvertire come una
maggior consapevolezza che "tutto questo" (ciò che succede nel suo insieme) sia essenzialmente dovuto al
modello economico dominante. E non mi sto riferendo solo al nostro paese.
Sicuramente vi influisce il maggior grado di istruzione; solo pochi anni fa la gente andava regolarmente dietro
la bandierina di un certo colore senza porsi nessuna domanda.
Ripeto, non facciamoci fuorviare da eventi che, magari, potrebbero essere contingenti e domani sparire.
Guardiamo piuttosto gli eventi dell'attualità come a dei "segni" che magari stiamo malinterpretando; ma che
forse indicano che qualcosa di profondo sta veramente cambiando.
saluti
#866
Tematiche Culturali e Sociali / Re:Sul "sovranismo"
27 Giugno 2018, 21:02:43 PM
Citazione di: paul11 il 26 Giugno 2018, 23:26:44 PM
in fondo avete ognuno le proprie giuste ragioni.
Ma dobbiam sapere che sovranità ed economia sono mutati concettualmente dopo nemmeno un secolo, per riconfigurazione
sostanziale, direi fisica dell'economia e direi anche virtuale ancora dell'economia stessa.

Fisica perchè oggi l'economia è pura convezione.Sembra paradossale

Ciao Paul11
A mio parere le tue considerazioni rientrano nel discorso che facevo sulla globalizzazione. Che "inizia" (...)
nel 1989 con l'accordo Reagan-Thatcher sulla libera circolazione di capitale.
Al capitale sono seguite le aziende "fisiche", con la cosidetta "delocalizzazione", ed infine le persone con una
emigrazione di massa mai vista prima.
Tutto ciò è quindi frutto di una precisa decisione politica, che è stata presa sulla base di una precisa
ideologia (quella di un mercato che dev'essere "libero" in quanto capace di autoregolarsi da sè per il meglio).
Non sono quindi d'accordo laddove affermi che: "non esiste una teoria economica superiore alle altre - l'economia
è pura convenzione". A mio parere la teoria economica "dominante" (e che certamente aspira ad essere considerata
superiore alle altre) è quella che a me piace chiamare "mercatismo", per distinguerla dal liberalismo di matrice
classica. Ed essa trae i suoi fondamenti dalla dottrina di Von Hayek e della Scuola Marginalista (tant'è che
la Thatcher considerava Von Hayek sua "musa ispiratrice").
Non vedo dunque, se la realtà è vista attraverso la "lente mercatista", nessun paradosso e nessun assurdo.
Mi sembra, anzi, che certe dinamiche che descrivi siano in tutto e per tutto in linea con i dettami di
quella ideologia.
E' del resto verissimo che l'economia è "mutata concettualmente". Già Max Weber parlava del capitalismo come
di una "gabbia d'acciaio" in cui i soldi servono ormai solo a fare altri soldi. Egli cioè già notava una
specie di "mutamento genetico" del liberalismo classico, nel quale il potere politico ancora aveva la
bacchetta di comando sull'economia.
Non più adesso (e solo adesso si chiarisce ciò che Weber aveva solo intuito); perchè adesso il "mercatismo"
è l'estensione della sfera economica ad ogni dove, e quindi anche nella sfera che prima era di pertinenza
della politica.
Non certo indifferente a questo processo è la "volontà di potenza", che Severino descrive come lo strumento
atto al fine di possedere ancor più potenza (ecco, a parer mio, l'analogia con i "soldi e che servono a fare
altri soldi" di Weber).
Un mezzo che, dunque, diventa anche fine: in ciò consiste il "mutamento genetico" del capitalismo e dell'
economia in genere.
Ma su quest'aspetto ci sarebbe parecchio da dire.
saluti
#867
Tematiche Culturali e Sociali / Re:Sul "sovranismo"
27 Giugno 2018, 09:36:48 AM
Citazione di: baylham il 26 Giugno 2018, 11:29:34 AM
Partirei dal fatto che non so quali siano i miei interessi, se lo sapessi non starei a discuterne e riflettere con altri. Se non so quali siano i miei interessi non capisco per quale motivo chiunque altro sappia quali siano i miei interessi.

I


C'era un famoso filosofo (di cui adesso non ricordo il nome) che diceva: "il popolo non sa qual'è il suo bene,
e se anche lo sapesse poi non saprebbe perseguirlo".
Direi che si avvicina molto a quanto affermi, senonchè per lui, per il filosofo "misterioso", c'era chi sapeva
cos'era il bene per il popolo, e sapeva come perseguirlo...
A me sembra proprio che non alla tua idea, ma a quella di quel filosofo si rifanno le "elitè" dominanti
europee. Tutto ciò è però, con ogni evidenza, profondamente antidemocratico.
Questa rappresenta, anzi, l'essenza stessa della anti-democrazia, che è l'autocrazia. Il potere che si auto-
nomina sulla base di un qualcosa; soldi, armi, supposte capacità che altri non hanno eccetera.
Ma è persino superfluo dire che tutto ciò che segue quei primi due elementi, i soldi e le armi, è un qualcosa
che sempre viene "dopo", come legittimazione del potere ottenuto con lo strumento dei soldi e/o delle armi.
In parole povere, se non si è più democratici (e non è un delitto il non esserlo) lo si dica apertamente e la
si faccia finita con questo misero teatrino.
Per quel che mi riguarda, la penso in maniera diametralmente opposta.
Non che non sia consapevole dei rischi congeniti alla democrazia (che, aristotelicamente, considero a rischio
degrado come qualsiasi altra forma politica); è che, semplicemente, penso che la democrazia sia forse, come
dire, il meno peggio. E che la tanto vituperata "gente" sappia perfettamente qual'è almeno il suo interesse
immediato.
Certo, non sarà in grado di comprendere le cose nel loro profondo intimo, ma credo sia in grado più di tanti
"masturbatori cerebrali compulsivi" (categoria di cui credo far parte anch'io) almeno di "intuire" qual'è
il "giusto verso".
E poi credo proprio che neanche ci voglia tanto. A meno di non andare a parare in terreni "escatologici".
A meno di non andare a parare, ad esempio, su interrogativi degni dei fratelli Karamazov (uccidere il proprio
padre per guadagnarci subito o non ucciderlo per guadagnarsi il paradiso?).
Proprio la filosofia anglosassone ci ha insegnato che, in fondo, basta guardare al proprio utile immediato...
Quindi, mi verrebbe da dire, "chi di spada ferisce di spada perisce". Perchè l'utile immediato ci dice, e io
credo ce lo dica chiaramente, che questo "sistema" fondato sul mercato, sul liberismo più sfrenato, non produce
un utile per la collettività. Non lo produce nè nell'immediato nè nel lungo termine.
Non si tratta, e su questo punto sono d'accordo con te, di maledire il mercato. Si tratta, appunto, di
"correggerlo e indirizzarlo" MA, e questo è importante, cercando il modo di poterlo fare.
saluti
PS
L'aspetto grave dell'affermazione di Gros non era tanto nel merito dei problemi della Grecia e del Portogallo,
ma proprio nel fatto che di questo merito egli non ha detto niente. Ha solo detto che non sapeva perchè la
"medicina" che aveva funzionato in Portogallo non aveva avuto effetto per la Grecia.
Boh, qualcuno gli spieghi che, forse, la malattia non era la medesima...
#868
Tematiche Culturali e Sociali / Re:Sul "sovranismo"
26 Giugno 2018, 20:05:31 PM
Citazione di: viator il 25 Giugno 2018, 22:50:35 PM
Salve. Quella europeistica è stata ed è tuttora (assai meno) una bella utopia. In concreto si trattava di generare un sovranismo europeo che riuscisse a sostituire i sovranismi nazionali. Il concetto di sovranismo affonda il proprio significato nella capacità culturale di una società di astrarre dalle proprie molteplici e variegate componenti per concepire ed accettare una dilatazione del particolare verso una generalità più ampia.


Purtroppo a tutto ciò si è aggiunto, in tempi relativamente recenti, un problema che rischia di far naufragare il tutto. Si chiama globalizzazione. Cioè una serie di fattori esterni (all'Europa) che non permettono più di concentrarsi su quelli interni.
Ovvio il ripiegamento tendenziale verso un "sovranismo" più ristretto rispetto a quello in cui ci si trovava in precedenza.



La globalizzazione non è un fenomeno che necessariamente dobbiamo subire e davanti al quale non possiamo che
adattarci. La globalizzazione (nella sua forma attuale) ha una precisa data di nascita, e questa data è il
1989, allorquando R.Reagan e M.Thatcher firmarono l'accordo sulla libera circolazione di capitale.
Dunque la globalizzazione come frutto di una precisa scelta politica: quella di "lasciar fare" al mercato
nella convinzione (o forse dovrei dire nella fede...) che esso, il mercato, possegga in sè la capacità di
autoregolarsi per il meglio.
Direi che molta acqua è passata sotto i ponti dal tempo della Scuola Scozzese, ma ancora ad essa ed ai suoi
principi metafisici siamo fermi. Il bello è che vengono spacciati per "scienza"...
Quanto all'Europa, essa è di fatto un progetto già fallito. E non è fallito per colpa dei "sovranisti"; dei
"populisti" (che sono fenomeni tutto sommato recenti); ma è fallita per colpa di una visione miope ed ottusa
degli stessi sostenitori a oltranza del mercato. I quali hanno sempre pensato che bastasse una moneta unica
ed un mercato unico.
Da "sovranista" e "populista" dico che l'Europa è stata un grande sogno, e tutto il mio rispetto va alla
memoria dei grandi statisti del passato che l'hanno sognata ed hanno provato a realizzarla.
Tuttavia i successori dei De Gasperi, dei Kohl, dei Mitterand (per non dire degli Spinelli), non si sono
dimostrati all'altezza dei predecessori. Ed hanno portato, con politiche meschine e volte all'utile immediato
(soprattutto elettoralistico), alla attuale, per certi aspetti vergognosa situazione.
saluti
#869
Tematiche Culturali e Sociali / Re:Sul "sovranismo"
25 Giugno 2018, 20:19:25 PM
Citazione di: baylham il 25 Giugno 2018, 11:57:13 AM
La definizione neoclassica di Lionel Robbins dell'oggetto della scienza economica, la relazione tra mezzi limitati e alternativi e bisogni o fini molteplici, si attaglia alle scelte individuali, meno a quelle collettive.
E' una definizione di economia utile, razionale, ma nasconde l'incertezza radicale del contesto in cui opera la scelta.

Ma le definizioni di economia sono diverse, come sostenuto validamente da Karl Polanyi.

Per me l'economia è lo studio del sistema sociale di produzione, consumo, redistribuzione del reddito nell'ambiente ecologico.




Il punto fondamentale ritengo sia stabilire se l'economia, come io credo, riguardi lo studio dei mezzi più
efficaci per raggiungere uno scopo, oppure se riguardi altre cose.
A me sembra che fin dalle origini (cioè dall'"oikos" greco, passando da G.D'Ockham fino al principio di
Pareto) l'economia si caratterizzi per il suo ruolo di "mezzo".
Ed è chiaro che, laddove è dato un mezzo, ci dev'essere anche uno scopo. E se c'è uno scopo la domanda
che sorge spontanea è questa: chi o che cosa stabilisce lo scopo?
Ammettiamo pure che, "francescanamente", lo scopo di tutti sia il perseguimento dell'utile e del
benessere collettivi (anche se ho forti dubbi in merito...).
Al fine di raggiungere questo scopo non vi è una ed una sola strada: bisogna vedere quali sono le
condizioni di partenza, e quindi scegliere gli strumenti economici più adatti.
Se io, ad esempio, volessi andare a Milano ed ho pochi soldi e molto tempo, probabilmente lo strumento
più adatto sarebbe l'autostop. Ma se avessi molti soldi e poco tempo probabilmente sarebbe preferibile
andare in aereo.
Giorni fa, l'economista Daniel Gros interrogato sul perchè gli strumenti "soliti" del mercatismo europeo
non abbiano funzionato in Grecia ha così risposto: "non capisco il perchè strumenti che hanno funzionato
in Portogallo non hanno funzionato in Grecia".
Ne deduco che per Gros e per tutti quelli come lui (che sono la maggioranza, e reggono le nostre sorti)
è SEMPRE preferibile andare a Milano in autostop (o in aereo)...
Ecco a cosa porta la visione ontologizzante e scientista dell'economia neoclassica (che da secoli sa solo
predicare il "laissez faire"; la "libertà" economica - tanto c'è sempre la "mano invisibile" che tutto
aggiusta...).
Per concludere, io non sono di quelli che guardano al "nazionalismo" con troppa simpatia. Però sono di
quelli che pensano che una sovranità "politicamente espressa" (diciamo "democraticamente") sia da
preferire alla "scienza" di analfabeti come Gros ed ai politici loro tirapiedi (scusate le espressioni,
ma ritengo sia giunto il momento di incavolarsi per davvero).
Perchè la "gente", per ignorante che sia, intuisce sempre molto bene come stanno le cose (o perlomeno
vede sempre chiaramente chi la vuol fregare...).
Quanto all'Europa, sarebbe preferibile, ma nessuno ci crede veramente nè la vuole (a cominciare dai
signori suddetti). E allora, lo strumento più "economico" è forse cominciare a farsi gli interessi propri.
Dico queste cose con amarezza, credimi.
saluti
#870
Tematiche Culturali e Sociali / Re:Sul "sovranismo"
25 Giugno 2018, 15:36:05 PM
Citazione di: InVerno il 25 Giugno 2018, 11:53:02 AMCiao, non sono d'accordo. L'incertezza culturale di questi tempi è lampante, i due poli propongono soluzioni opposte per diradare l'incertezza radicale e proporre un futuro, vederlo innanzitutto. I sovranisti ritengono fonte di incertezza le istituzioni sovranazionali, impersonali-metafisiche, e non democratiche (mercato-eu etc). Per l'altro polo variamente detto liberista, anarcocapitalista etc etc la fonte di incertezza è l'uomo, non quello ottimizzato o razionale delle formule, ma quello vero che ogni tanto pesta una merda. I secondi non desiderano la sovranità ma la spersonalizzazione dei meccanismi sociali e cioè l'estinzione della sovranità politica a favore di un meccanismo perfetto e autoregolato, giusnaturalista, che Baylahm identifica come "ecologia&economia". La mia opinione è che, i primi a mio avviso non hanno soluzione perchè continuano a frustrare cavalli stanchi come le nazioni, i secondi non hanno capito che ecologia ed economia stanno andando a sbattere una contro l'altra. Il centro, l'equilibrio tra i due poli, è scomparso, e tutto questo non promette niente di buono.




Sono parzialmente d'accordo sul punto ove affermi che: "i secondi non desiderano la sovranità, ma la
spersonalizzazione dei meccanismi sociali e cioè l'estinzione della sovranità politica a favore di un
meccanismo perfetto e autoregolato, giusnaturalista".
In effetti alla base di queste teorie dell'equilibrio perfetto dei mercati vi è sempre la solita, vecchia,
formula del Reverendo Adam Smith, e cioè quella della "mano invisibile" che tutto, per magia, aggiusta...
Però non sono affatto d'accordo laddove affermi che costoro non desiderano la sovranità. Certo, magari non
sembrano desiderare la sovranità politica, ma desiderano senz'altro quella dei soldi, che sempre
sovranità è (eccome se lo è).
Basti solo vedere come strepitano non appena qualcuno promuove azioni o politiche che possono ledere i
loro interessi...
Ma, dicevo, essi (gli anti-sovranisti, per intenderci) soltanto sembrano non desiderare la sovranità
politica. Perchè laddove essi desiderano la sovranità dei soldi desiderano necessariamente anche la
sovranità politica, in quanto la sovranità è solo e sempre politica.
Su questo punto occorre dire almeno due parole. In molti parlano di "crisi della politica", ma senza
rendersi conto di parlare in realtà di crisi della democrazia (cioè di crisi di una delle forme che
la politica può assumere).
Se la politica, parafrasando (alla larga...) Max Weber, è la distinzione fra chi detiene il potere e chi
lo subisce, allora la politica non può mai essere in crisi, perchè sempre vi è chi comanda e chi è
comandato (al netto, intendiamoci, dell'origine etimologica del termine "politica").
In sostanza, se oggi a dettare le regole è l'economia, ciò vuol dire che a detenere il potere politico
è essa stessa (come del resto ai tempi del "giusnaturalismo", che molto a proposito citi, quando
il clero deteneva, di fatto, un potere politico enormemente superiore a quella che era la propria
realtà).
saluti
PS
Chiedo scusa a Baylam per non aver risposto. Lo faccio appena posso.