L'anatta che viene definito come il 'cuore' dell'insegnamento del Buddha è un' esperienza che si rivela pienamente nel Nibbana. Lo si può intuire a volte, si può intuirne anche la logica, ma non lo si realizza in pieno se non nel Nibbana. Quindi si potrebbe dire che è un Tathagata che vede compiutamente l'anatta. In effetti è un concetto elusivo perchè tutto il nostro universo , materiale e mentale ,è concepito come atta. Non viene spontaneo pensare in termini di anatta, ma bensì in termini di atta. Ora, qual'è il problema che incontriamo essendo così radicata in noi la visione 'atta' dell'esistenza di tutte le cose? Che rischiamo, anche nelle forme di spiritualità più sottili e raffinate, più 'elevate' di vedere atta in ogni dove. Possiamo vedere atta nei più sublimi stati mistici; possiamo vedere atta in metta e karuna e dargli il nome Dio o Allah o Brahma; possiamo infine vedere atta anche nel Nibbana. Perché così funzioniamo. Questa è la natura di avidja, la natura dell'illusione/ignoranza.
Perchè Buddha invita a tenersi lontano sia da una visione eternalista che da una nichilista? Perché sono ambedue 'atta'. E' sempre lo stesso modo di funzionare di avidja. Secondo il Buddha nessuna delle due spalanca le porte della prigione in cui la visione atta della nostra vita ci tiene rinchiusi. Allora, capovolgendo ogni pre-esistente visione spirituale o filosofica, Siddhartha proclama che, per uscire veramente dalla prigione bisogna 'vedere' il mondo come an-atta , come vacuità di esistenza intrinseca, che vuol dire anche 'lasciar andare' atta...
Quando Buddha indicò come concepiva l'anatta, il non-sé fu decisamente diretto e disse : "Non c'è in questo corpo nessun atta, perché se ci fosse atta in questo corpo, quest'ultimo avrebbe la possibilità di decidere se essere così o non essere così". L'anatta è dunque anche l'assenza totale di controllo, è l'idea di assenza totale di controllo di ciò che ci circonda e nella cui ricerca noi, esseri che vediamo il mondo come 'atta', riversiamo l'intera nostra esistenza. E', come hai scritto anche tu, un'intenzione 'rinunciante' al controllo...
Perchè allora scegliamo 'atta' e non 'anatta'? Perché, a mio parere, "fissando" ogni cosa , vedendola come 'atta' ossia dotata di sostanza propria, avidjia può illudersi di controllarla e controllandola vincere la paura di esistere in un universo dove noi, personalmente, non abbiamo veramente controllo di 'anicca', del mutare e divenire incessante di tutto ciò che ci circonda...
Se riflettiamo e meditiamo profondamente su 'anicca' ecco subito apparire 'anatta'...se ci aggrappiamo ad 'atta' ecco 'dukkha', la sofferenza...
In fin dei conti, il vedere la nostra mente come 'atta', non è come crearsi e consegnarsi ad un 'fantasma' che ha la funzione di rassicurarci?...
Una piccola nota personale. Quando, a sedici anni o giù di lì, lessi per al prima volta un libro sull'insegnamento del Buddha ebbi una specie di 'scossa', non so come definirla. Avevo già letto parecchio di spiritualità e vivevo in una famiglia profondamente cattolica tradizionalista, ma mi rendevo conto di tovarmi di fronte a qualcosa di 'diverso' che mi interrogava e che rispondeva alle mie domande inerenti anche al mio particolare stato di allora, che non era certo felice per via di varie tribolazioni...
Se non senti la vita , o la vivi, profondamente intrisa di sofferenza, ti sentirai attratto da una filosofia/religione come il Buddhismo? Perché in fondo, da quel punto, è partito pure il principe Siddhartha...
Perchè Buddha invita a tenersi lontano sia da una visione eternalista che da una nichilista? Perché sono ambedue 'atta'. E' sempre lo stesso modo di funzionare di avidja. Secondo il Buddha nessuna delle due spalanca le porte della prigione in cui la visione atta della nostra vita ci tiene rinchiusi. Allora, capovolgendo ogni pre-esistente visione spirituale o filosofica, Siddhartha proclama che, per uscire veramente dalla prigione bisogna 'vedere' il mondo come an-atta , come vacuità di esistenza intrinseca, che vuol dire anche 'lasciar andare' atta...
Quando Buddha indicò come concepiva l'anatta, il non-sé fu decisamente diretto e disse : "Non c'è in questo corpo nessun atta, perché se ci fosse atta in questo corpo, quest'ultimo avrebbe la possibilità di decidere se essere così o non essere così". L'anatta è dunque anche l'assenza totale di controllo, è l'idea di assenza totale di controllo di ciò che ci circonda e nella cui ricerca noi, esseri che vediamo il mondo come 'atta', riversiamo l'intera nostra esistenza. E', come hai scritto anche tu, un'intenzione 'rinunciante' al controllo...
Perchè allora scegliamo 'atta' e non 'anatta'? Perché, a mio parere, "fissando" ogni cosa , vedendola come 'atta' ossia dotata di sostanza propria, avidjia può illudersi di controllarla e controllandola vincere la paura di esistere in un universo dove noi, personalmente, non abbiamo veramente controllo di 'anicca', del mutare e divenire incessante di tutto ciò che ci circonda...
Se riflettiamo e meditiamo profondamente su 'anicca' ecco subito apparire 'anatta'...se ci aggrappiamo ad 'atta' ecco 'dukkha', la sofferenza...

In fin dei conti, il vedere la nostra mente come 'atta', non è come crearsi e consegnarsi ad un 'fantasma' che ha la funzione di rassicurarci?...
Una piccola nota personale. Quando, a sedici anni o giù di lì, lessi per al prima volta un libro sull'insegnamento del Buddha ebbi una specie di 'scossa', non so come definirla. Avevo già letto parecchio di spiritualità e vivevo in una famiglia profondamente cattolica tradizionalista, ma mi rendevo conto di tovarmi di fronte a qualcosa di 'diverso' che mi interrogava e che rispondeva alle mie domande inerenti anche al mio particolare stato di allora, che non era certo felice per via di varie tribolazioni...
Se non senti la vita , o la vivi, profondamente intrisa di sofferenza, ti sentirai attratto da una filosofia/religione come il Buddhismo? Perché in fondo, da quel punto, è partito pure il principe Siddhartha...
