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Messaggi - 0xdeadbeef

#871
Citazione di: Phil il 24 Giugno 2018, 11:25:51 AM

Citazione di: 0xdeadbeef il 24 Giugno 2018, 10:30:48 AM
Dunque, sì, una considerazione tutto sommato banale. Ma è, se ci pensiamo, la medesima considerazione che viene
fatta, comunemente, a proposito del "relativo" e dell'"assoluto" (esiste solo il relativo).
Quindi, e su questo punto riprendo un pò Severino, trovo qui necessario mettere in rilievo il fatto (...) che
l'enunciazione di Nietzsche, laddove non voglia essere "ingenua", predichi, diciamo così, lo "status" di
interpretazione per... tutto fuorchè per se stessa.
Se affermasse ciò, sarebbe logicamente contraddittoria e filosoficamente ingenua.
Come accennavo, la coerenza sta invece proprio nel dire "tutto è interpretazione (o relativo o altro) compreso ciò che dico e compreso chi lo dice".
Ciò "suona male" solo se si ricercano valori assoluti (ma allora si è fuori contesto qui); d'altronde, cercare l'assolutezza in posizioni relativiste non può che essere fallimentare  ;)


P.s.
Mi accodo ai ringraziamenti a epicurus e paul11 per aver riportato testi interessanti.






Mah, non saprei. A me filosoficamente ingenua mi sembra l'affermazione: "tutto è interpretazione (compreso
ciò che dico e compreso chi lo dice)".
Se vado a rivedere ciò che dice Nietzsche in un altro dei "Frammenti": "nell'eterno fluire delle cose di
nulla potremmo dire che è (se lo diciamo è così, per vivere)", mi sembra palesarsi che quell'"è" fra "tutto"
e "interpretazione" è, sì, una finzione; ma una finzione necessaria, senza la quale cioè non potremmo dire
proprio nulla di nulla.
In altre parole, il Nietzsche che "dice" ("tutto è interpretazione") è un Nietzsche che, e per sua stessa
ammissione, finge. E NELLA finzione, abbiamo visto necessaria, è presente la relazione con un assoluto "finto"
quanto si vuole ma, appunto, necessario anch'esso.
Chiaramente siamo, come dire, abbondantemente nel contorto; nell'onanismo mentale vero e proprio.
Ma, ritengo, è il prezzo da pagare al linguaggio. Alla sua struttura assoluta; al suo "costruire" la realtà
e le cose SU se stesso (non il contrario, come verrebbe da pensare), come mi pare ti accennavo altrove.
saluti
#872
Tematiche Culturali e Sociali / Re:Sul "sovranismo"
24 Giugno 2018, 13:01:02 PM
Permettimi, Baylam, di non essere affatto d'accordo.
Io credo che l'economia "essendo" (e su questa definizione credo si giochi la gran parte della partita): "lo
studio dei mezzi atti a raggiungere un fine politicamente dato" (questa la definizione, in sostanza, di
L.Robbins), non possa avere una definizione univoca per quanto riguarda il suo "essere" struttura o sovrastruttura.
Di più, credo piuttosto che questo distinguere nettamente (e "marxianamente"...) struttura e sovrastruttura
denoti come, in nuce, l'Idealismo rappresenti ancora un "mortale veleno che ammorba tutt'ora la nostra società",
come dico altrove. Ma non vorrei troppo divagare su un discorso "eccessivamente" filosofico...
Dunque no, essendo nella contemporaneità l'economia diventata, allo stesso tempo, mezzo E fine, essa è ormai
indistinguibile dalla politica propriamente detta (e quindi indistinguibile, usando una terminologia che
personalmente mi appartiene assai poco, nel suo ruolo specifico di struttura o sovrastruttura).
Si rende perciò a mio parere indispensanile stabilire una "corretta" (foss'anche solo "condivisa") definizione
del termine "economia".
Perchè la definizione di Robbins (che è quella per me "corretta", o quantunque più rispondente al vero) non
lascia spazio per una successiva interpretazione che segue i classici canoni marxiani.
saluti

PS
Vorrei aggiungere che non "i processi", ma "il processo" economico è per sua stessa natura "sovranazionale".
Lo è in quanto il processo economico, tendendo a ridurre il costo unitario di produzione (e potendolo ridurre
solo agendo sulla "scala di produzione", cioè sull'aumento della dimensione produttiva), cerca sempre e
comunque di espandersi.
Il processo economico non assume quindi "oggi" la caratteristica della sovranazionalità. La sovranazionalità
è caratteristica assunta "oggi" dal processo economico in quanto si è deciso, e naturalmente lo si è deciso
"politicamente", di lasciar briglia sciolta al processo (cioè di lasciare "libero" il mercato).
E il mercato, seguendo quella che è la sua "natura", abbatte frontiere e confini in quanto ostacoli alla
"competitività, cioè in quanto ostacoli alla riduzione del costo unitario di produzione.
Tutto ciò, naturalmente, come tendenza di fondo, e senza con ciò pretendere di voler offrire una teoria
"ontologica" ed onnicomprensiva.
#873
Citazione di: paul11 il 23 Giugno 2018, 23:58:31 PM
Rimango del mio parere, il modo di esprimersi di Nietzsche è come se fosse in "sospensione"; c'è il concetto, l'anti concetto, c'è estetica, e anti estetica, spiritualità ed emozione e anti spiritualità e e anti emozione.
Rimane ne dominio dell'ambigua(nel senso che vi sono più descrizioni e definizioni) concettualità, è anticitazionale perchè Nietzche, e quì rimane nel paradosso, può solo essere  
a sua volta interpretato.E' dentro un sistema a specchi


Ringrazio innanzitutto Paul11 per aver postato queste interessanti annotazioni sul celebre detto di Nietzsche
(o, a questo punto, a lui da sempre e comunemente attribuito).
Sono molto d'accordo con le parole finali di Paul, che metto in citazione. E, del resto, se ogni cosa che
esiste è interpretazione come non potrebbe esserlo anche quel detto (se non esiste il fatto non esiste neppure
il fatto costituito da questa affermazione, insomma)?
Mi sembra d'altronde che lo stesso Nietzsche lo dica chiaramente...
Dunque, sì, una considerazione tutto sommato banale. Ma è, se ci pensiamo, la medesima considerazione che viene
fatta, comunemente, a proposito del "relativo" e dell'"assoluto" (esiste solo il relativo).
Quindi, e su questo punto riprendo un pò Severino, trovo qui necessario mettere in rilievo il fatto (...) che
l'enunciazione di Nietzsche, laddove non voglia essere "ingenua", predichi, diciamo così, lo "status" di
interpretazione per... tutto fuorchè per se stessa.
saluti
#874
Tematiche Culturali e Sociali / Sul "sovranismo"
23 Giugno 2018, 16:42:28 PM
Negli ultimi tempi il mondo della politica e non solo fa un gran parlare di "sovranismo"; di "populismo"; di
"elitarismo" e via discorrendo. Ma, ritengo, parlandone ne fa un gran calderone pieno zeppo di luoghi comuni
e di errori (e orrori...) circa l'autentico significato di questi termini.
Tanto per cominciare, i detrattori danno dei "sovranisti" ai sostenitori del potere politico nazionale, come
se il "sistema" che essi sostengono fosse invece il regno della libertà non sottoposta a nessun tipo di potere.
A me sembra piuttosto che si fronteggino due diverse ma speculari forme di potere (dunque di sovranità).
Gli uni sono per un potere più propriamente "politico"; gli altri per un potere "tecnico": a me sempre potere
sembrerebbe...
Ma dirò di più. Mi pare che gli uni, i "sovranisti", siano per un potere politico "ancora" (...) democratico.
Mentre gli altri, chiamiamoli gli "anti-sovranisti", siano per la tecnocrazia più gretta, ovvero per un
sistema in cui è l'economia a dettare le regole di fondo.
Ma se è l'economia a dettare le regole di fondo, allora ciò vuol dire che il suo (dell'economia) potere
è un potere sovrano a tutti gli effetti. Cioè ancora, che il suo è un potere "politico".
Dunque, se la mia posizione fosse in un certo qual modo plausibile, è di due poteri politici che stiamo
parlando, cioè di due poteri la cui volontà ambisce alla sovranità, cioè alla potenza.
saluti
#875
Certo, è proprio come dici ("superamento" in senso, al massimo, temporale).
In realtà, non vedo proprio come Kant possa essere "superato". Certo ci hanno provato in tanti, come ad esempio
Peirce e la semiotica in particolare, ma a mio parere non hanno fatto altro che riproporlo ma in maniera, come
dire, "intorbidata" e assai poco chiara e lineare.
Quanto ad Eco, in: "La soglia e l'infinito" ipotizza che la "cosa in sè" kantiana, o l'"evento" come lo chiama
Peirce, e il "fenomeno", o l'interpretato che dir si voglia, siano addirittura due oggetti distinti.
Come lo si possa dire a me appare un mistero...
Ma, cosa importante, l'Idealismo cerca davvero di "superarlo" nel senso pieno del termine.
Nell'Idealismo, e in Hegel o in Fichte è chiarissimo, la "cosa in sè" e il "fenomeno" sono sintetizzati. E lo
sono appunto nell'unico "luogo" ove potrebbero esserlo: nell'"io".
Ecco allora che nell'"iperidealista" Nietzsche (il quale a mio avviso supera, però estremizzandolo, l'Idealismo)
il fatto, la cosa in sè, semplicemente, scompare. E scompare appunto fagocitato dall'interpretato.
E', a parer mio, da tener ben presente che, a tutt'oggi, l'Idealismo ancora ammorba tutto il nostro pensiero
con quello che definisco il suo "veleno mortale".
Ecco perchè, ritengo, con quel "la verità è ciò che si dice" Eco esprima una estrema provocazione verso tutta la
cultura contemporanea. "Colpevole" di ragionare in termini in tutto e per tutto idealistici.
Certo, non vi ragiona più secondo i canoni classici dell'hegelismo, bensì attraverso il "superamento" di essi
che Nietzsche ha compiuto.
Però, i fondamenti sono rimasti tali e quali. Sicuramente l'"io" di Nietzsche non è più quell'"Iddio reale" di
cui parlava Hegel. E' semmai un "diavolo", che costruisce tutta la realtà sulla propria volontà di potenza.
Ma è rimasto sempre lui il "costruttore", il "creatore".
In verità, Marx (che io sempre considero un geniale economista e pensatore) cerca appunto di "superare" Hegel;
ma lo fa "rovesciandolo", cioè come specularmente mantenendone inalterate troppe premesse.
E' verissimo (e ho visto che, giustamente, spesso lo sottolinei) che Marx non rovescia Hegel cancellandone del tutto
l'"io" in favore della "materialità". Certo egli afferma che la struttura determina la sovrastruttura "in ultima
istanza". Ciò vuol dire che Marx sicuramente "sospetta" una influenza reciproca (e qui, davvero, egli riuscirebbe
a staccarsi nettamente da Hegel) fra le due sfere, ma non riesce poi a determinare rigorosamente tale pensiero
(o almeno questo a me sembra).
Probabilmente, a Marx non è seguito nessuno che sia stato in grado di riprenderne e a svilupparne il pensiero.
Troppi suoi epigoni hanno pensato ad un materialismo "scientifico", tradendo proprio quell'aggettivazione
di "storico" che il genio di Marx aveva intuito.
Anzi, se devo dirla tutta a me sembra che la "tragedia" della sinistra post-marxista (non parlo della odierna,
che persegue politiche di destra senza nemmeno saperlo) risieda, in nuce, proprio in questo.
saluti e stima da un vecchio amico.
#876
Ringrazio di cuore Epicurus per aver postato questo interessantissimo documento.
Naturalmente questa è la posizione autentica di Eco (così come rilevabile anche ne: "La soglia e l'infinito")
sul problema di cui stiamo trattando.
Senonchè rimane, come dire, "viva" la sua provocazione su di una verità "che si dice". Cioè su una
verità che è tale in vizio (non certo in virtù...) di un consenso generale che, sempre, viene fondato
dalla "potenza" in quel momento dominante.
Si diceva, allora, che gli Ebrei mangiassero i bambini come, più tardi, che fossero una razza inferiore e
malevola PERCHE', evidentemente, la cultura dominante di quei tempi "voleva" che così fosse.
E non si tratta di semplici menzogne...
Dal superamento idealistico della filosofia di Kant (che io vedo come fondante di tutta la semiotica), l'"io"
è venuto sempre più a configurarsi come l'autentico "creatore" della realtà.
Se, in altre parole, come in Hegel realtà e razionalità coincidono, questo vuol dire che coincidono fatto e
interpretazione del fatto (e coincidono nell'unico "luogo" in cui possono coincidere: nell'interpretazione).
Ecco, in estrema sintesi, come e da dove nasce la celebre affermazione di Nietzsche.
La provocazione di Eco è caustica e attualissima. Perchè tutta la nostra cultura è ancora impregnata di questo
"mortale veleno" che è l'Idealismo.
saluti
#877
Dunque Epicurus, come ti dicevo nella risposta successiva al tuo intervento in quell'"antico" post (oltre che nella
risposta a Viator in questo), io credo che Eco abbia inteso provocare e provocarsi.
Perchè in sostanza, credo l'affermazione di Eco vada letta alla luce del "non esistono fatti, ma solo
interpretazioni" di Nietzsche (oltre che, chiaramente, alla luce del pensiero di Peirce).
Dicevo allora (scusa le ripetizioni ma è per far capire un pò meglio a chi legge): "Innanzitutto, direi, se
diciamo che un qualcosa è "vero" a prescindere da ciò che si dice, allora questo non può significare altro
che della verità ne abbiamo un criterio oggettivo" (cioè privo di legami con il soggetto interpretante; cioè
ancora: assoluto).
E questo, trovo, vale sia per l'affermazione che "Clark Kent è Superman" sia per quella che "gli Ebrei
mangiavano (o non mangiavano) i bambini" (come vale per ogni altro enunciato, reale o di fantasia).
In altre parole, all'interno della sfera "fantastica" è vero, cioè è un fatto, che Clark Kent è Superman o
questa è solo un'interpretazione?
Naturalmente, diremo anche che Clark Kent/Superman NON è un essente reale (ma anche qui dovremo
misurarci con l'affermazione circa lo "status" di fatto o interpretazione di tale affermazione).
Evito, almeno per il momento, di disquisire sul pensiero di Eco in relazione alla semiotica di Peirce
(naturalmente tu, Epicurus, trovi qualcosa su quella vecchia discussione).
Per quanto riguarda quel che sostiene Baylam, io al tempo ne avevo letto da qualche parte, ma non ricordo
dove.
saluti
#878
A Phil
Per poter parlare di un "falso storico", come di una "fake news", occorre conoscere la verità "ab-soluta", cioè
l'affermazione che corrisponde al fatto (cioè non che corrisponde ad una interpretazione di esso).
Occorre dunque correggere Nietzsche, perchè in questo caso si presume che il fatto esista (non solo, ma si
presume di conoscerlo).
Per coloro che, come dire, hanno occhi per vedere è chiaro che una "cosuccia" come questa mette radicalmente in
discussione tutta una cultura, la nostra, che almeno da Kant in poi pone il "relativo" come sua, diciamo, stella
polare (squalificando l'assoluto ad articolo per creduloni - neppure distinguendo, dicevo altrove, fra l'aggettivo
e il sostantivo)
Diciamo allora ancora che, forse, il "relativo" riguarda le cose non oggetto di percezione sensibile (i concetti,
insomma). Abbiamo però per così dire "debordato", creando un'impalcatura filosofica e culturale dai
piedi veramente d'argilla (appunto estendendo il relativo al tutto).
Tutto il nostro pensiero si "pasce" su affermazioni trancianti e semplicistiche, come appunto questa di Nietzsche.
Cui fanno da contraltare altre affermazioni trancianti e semplicistiche di segno opposto (come ad esempio la
proposizione dogmatica di certe teorie economiche o politiche).
Ciò che sembra persa per sempre è la "misura", la ponderatezza, e persino quel pragmatismo che, erroneamente,
consideriamo come una virtù ampiamente acquisita dalla modernità.
saluti
#879
Per me "la" realtà esiste solo come concetto, quindi non come ente, o essente, sensibilmente percepibile.
Esistono (di una esistenza potenzialmente percebile dai sensi) semmai "le" realtà.
"La" realtà dunque (come l'assoluto) non può essere un sostantivo, perchè in essa non è individuabile nessuna
"sostanza".
Bisognerebbe quindi capire cosa l'amico Viator intende per "insieme": un concetto o un essente sensibilmente
percepibile, cioè "fisico"?
Non è comunque questo il punto in questione. Che invece è circa il "se" la verità che si dice corrisponda o
meno ad una realtà "fisica" (cioè se gli Ebrei, effettivamente, mangiavano o meno i bambini).
A tal proposito, io dico che se "non esistono fatti, ma solo interpretazioni" (Nietzsche), allora Eco ha
pienamente ragione. Perchè la verità, essendo necessariamente non corrispondente a nessun fatto fisico,
diventa di conseguenza "quella che in quel momento viene detta".
A questo proposito, vorrei dire all'amico CVC che su questo piano non può esistere nè verità né menzogna; a
meno di non considerare menzogna ciò che si oppone alla verità che in quel momento viene detta (se, ad
esempio, qualcuno avesse detto allora che gli Ebrei NON mangiavano bambini, ciò era menzogna).
Nè il "problema" è risolto da quanto annotato dall'amico Baylam, perchè una "scelta" che non poggia su una
precisa base conoscitiva è semmai una scelta di valore, non una enunciazione che pretende di svelare il vero.
E ciò naturalmente vale anche per il sapere "condiviso" di cui parla Kobayashi, visto che se è la condivisione
a far da discrimine, è facile ribattere che era allora senz'altro vero che gli Ebrei mangiassero i bambini.
Chiaramente, se Eco avesse ragione, le conseguenze sarebbero di portata immane.
Ad esempio chi o che cosa potrebbe squalificare a menzogna l'affermazione (a noi temporalmente più vicina)
che gli Ebrei sono un popolo deicida ed inferiore (e che per questo, magari, vanno internati nei lager)?
Su quale base conoscitiva potremmo mai affermare il contrario? Potremmo farlo, certo, su una base "condivisa",
ma quando tale condivisione venisse a mancare non avremmo nessuno strumento "reale" per opporci.
Potremmo farlo appellandoci a non ben definiti valori etici o morali; ma che arma spuntata sarebbe nell'epoca
della "morte di Dio" come morte di qualsiasi valore "universale"...
Le peggiori nefandezze sarebbero allora legittimate. E tale legittimazione consisterebbe (di fatto consiste già)
nell'equivalenza di qualsiasi affermazione.
Il discrimine sarebbe (è) allora solo ed esclusivamente la "potenza". Nient'altro che essa.
saluti

(mi scuso con Phil ma ho scritto prima di aver letto la sua risposta)
#880
Ciao Viator
Eh ho capito, ma anche chi ha fede dice che Dio è verità; ma è, Dio, realtà, fatto?
Perchè ciò di cui si sta parlando non è tanto ciò che si crede, ma se ciò che si crede, e si dice, corrisponde alla
realtà, al fatto.
Dunque: gli Ebrei mangiavano o non mangiavano i bambini? Qual'è la realtà che la "verità che si dice" occulta o
palesa? Che strumenti abbiamo per poterla svelare?
In realtà forse, dicevo in quel vecchio post, Eco dice quella cosa per provocare; per mettere in luce ciò a cui
porta la celebre affermazione di Nietzsche: "non esistono fatti, ma solo interpretazioni". Perchè lui, Eco,
afferma invece che c'è un limite all'interpretazione ("La soglia e l'infinito").
Dunque, se limite c'è, ci deve anche essere se non una verità che corrisponde al fatto, almeno una, come dire,
"direzione di verità"; una affermazione di verità che "trascende" (in senso kantiano) verso la realtà.
Una cosa, però, dev'essere chiara: nell'affermazione "ontologica" del relativo, cioè nel relativismo, il
risultato più coerente è quello che Eco ci mette "cinicamente" davanti...
saluti
#881
Scusate ma, anche in riferimento alle ultime discussioni, mi piacerebbe riproporre un vecchio argomento che postai cinque
anni fa sul vecchio forum. Spero di fare cosa gradita.

Qualche tempo fa, in occasione dell'uscita del suo romanzo "Il Cimitero di Praga", ad Umberto Eco fu chiesto se fosse
vero che gli Ebrei mangiavano i bambini (come nel romanzo era presunto, insomma).
La risposta di Eco è stata, a mio parere, di una coerenza filosofica sovrumana: "la verità è ciò che si dice", disse Eco,
facendo con ciò intendere che se a quell'epoca questo era ciò che veniva detto, allora era senz'altro vero (così come
oggi, che viene detto il contrario, è vero che gli Ebrei NON mangiavano bambini).
Se, come disse Nietzsche nei "Frammenti postumi", la modernità possiede una convinzione che non fu propria di nessuna
epoca, ossia che non c'è una verità, allora questa di Eco è la posizione più coerente che sia possibile immaginare.
un saluto
#882
Citazione di: viator il 16 Giugno 2018, 00:18:14 AM
Salve. Per Oxdeadbeef :

  • Certo che conosco la verità assoluta ! Il suo enunciato in positivo è il seguente ; "Ciascuna cosa è relativa e l'insieme di tutti i relativi è l'Assoluto", mentre la sua versione in negativo è :"Esiste una sola certezza : non esiste alcuna certezza". A questo punto ti chiedo : la versione positiva della verità è invalidata da quella negativa - e viceversa ??.

Dunque Viator, nella mia risposta (a Phil) che tu hai con tanto sarcasmo commentato era contenuta questa tesi di
fondo: "Il problema filosofico (poi che interessi o meno è un altro discorso) è appunto questo dell'"esistenza" di un
qualcosa al di là del termine che lo connota. Ed è qui, trovo, su questo terreno dell'esistenza che, per così dire, si
gioca la partita" (la riporto integralmente).
Fin dalla mia seconda risposta (in alto in prima pagina) al tuo post originario dicevo di condividere "per certi versi"
la tesi, tua e di Baylam, sull'inesistenza dell'assoluto. Solo, appuntavo, trovavo quella tesi "eccessivamente
sbrigativa" (e proprio sul tema dell'"esistenza").
Insomma, molta acqua è passata sotto i ponti, molte parole sono state dette, ma come puoi vedere anche dall'ultima mia
risposta a Phil (proprio sopra questa, la mia posizione sull'assoluto è che esso "esista" di una esistenza riferita al
solo concetto (l'assoluto non può essere sostantivo, perchè non può avere "sostanza").
Adesso affermi che l'assoluto (anzi: l'Assoluto...) è l'insieme di tutti i relativi, dunque mi sembra tu abbia cambiato
idea (cosa che non sempre, ma spesso, fa onore), visto che un insieme è pur sempre un qualcosa che "esiste".
Insomma, vorrei capire meglio il tuo linguaggio, ma ti assicuro che la cosa non mi riesce facile...
saluti
#883
Citazione di: Phil il 15 Giugno 2018, 23:54:47 PM
Citazione di: 0xdeadbeef il 14 Giugno 2018, 17:34:52 PM
Mi sembra francamente superfluo ribadire che "dietro" quegli articoli ci deve essere un sostantivo; sostantivo di cui
quello "sciolto"; quel "senza vincoli" rappresentano l'aggettivazione.
Sostantivare: questo è forse il passaggio cruciale che, se dato per valido ed implicito, ha ripercussioni profondissime sullo sviluppo del pensiero che ci si fonda; ma se non lo mettiamo in discussione, non conosceremo chiaramente i fondamenti del discorso in questione (quello su "l'assoluto" che non è più descrittivo, come un aggettivo, ma viene, appunto, sostantivato).
Sostantivare significa relazionare una parola ad un referente semiotico o, in sua assenza, crearlo (concettualmente); la differenza fra queste due relazioni non è da sottovalutare. C'è "assoluto" aggettivo e ci sono i sostantivi "l'assolutezza" e "l'assoluto", la prima è una caratteristica di qualcosa, il secondo è qualcosa (o meglio, sembrerebbe esserlo se ci fidiamo della morfologia). Come dire: c'è "conveniente" come aggettivo, c'è "la convenienza" e "il conveniente".
Secondo me, siamo immersi in quel gioco delle astrazioni e delle dinamiche linguistiche a cui, retroattivamente, cerchiamo di far corrispondere il reale (e non viceversa); si tratta di chiederci se creiamo più il linguaggio sulla realtà o più la realtà (concettuale) sul linguaggio (per questo parlavo di sublimazione per "via negativa" e di esistenza solamente astratta dell'assoluto).





Beh, credo che il termine "sostantivare" non possa che riferirsi alla, diciamo, "cosa in sè"; all'oggetto
primo prima che vi sia una qualsiasi interpretazione di esso.
Da questo punto di vista, e pur rendendosi di fatto sempre impossibile (perchè l'oggetto-primo non è conoscibile
se non attraverso l'interpretazione), la sola cosa che potremmo, idealmente, "sostantivare" è la cosa sensibile,
essendo il concetto necessariamente un interpretato.
In virtù (o in vizio...) di ciò "l'assoluto" come sostantivo è impossibile (non essendo cosa sensibile, ma concetto).
A mio parere, noi creiamo la realtà sul linguaggio (anche se siamo convinti del contrario).
Accettando il "divenire" delle cose come evidenza suprema rigettiamo implicitamente tutto ciò che il verbo "essere"
indica (e su questo verbo ruota e si impernia ogni nostro linguaggio). E' questo che porta Nietzsche ad affermare:
"nell'eterno fluire delle cose di nulla potremmo dire che è".
Il "nominare", come "nomos", già in origine si pone in antitesi alla "physis" come tentativo di "ordinare", di
stabilire un "kosmos" umano in tutto simile a quello divino.
"Parlare" è dunque "creare", cioè creare una realtà fatta "a somiglianza" di colui che, appunto, nomina le cose.
Chiaramente è un discorso lungo e complesso.
saluti
#884
Citazione di: sgiombo il 15 Giugno 2018, 18:07:35 PM
Citazione di: 0xdeadbeef il 15 Giugno 2018, 15:35:19 PM


Come ti poni davanti al principio di indeterminazione di Heisemberg e più in generale davanti alla fisica contemporanea
che proprio il rigido determinismo del passato ha confutato definitivamente?
saluti

Dissento totalmente.

A (pretendere di) aver "superato definitivamente il rigido determinismo del passato" é solo l' interpretazione filosofica, che personalmente denomino "conformistica", "di Copenhagen - Gottinga", dell' indeterminismo quantistico, "bulgaricamente prevalente" fra gli "addetti ai lavori" (i ricercatori scientifici; che a mio parere generalmente non brillano certo per "acume filosofico" e men che meno per preparazione filosofica: per dirlo volgarmente, non di rado sparano delle gran cazzate filosofiche).




Non conosco in maniera sufficiente le tesi degli scienziati-pensatori che citi, quindi non mi azzardo ad esprimere un
parere dettagliato in merito.
Mi limito ad osservare però che un conto è parlare di "compatibilità con le osservazioni empiriche" (ci mancherebbe
solo che la scienza perdesse di vista l'empiria...), un altro è parlare di compatibilità con un determinismo rigido.
Il determinismo, ove "rigido", contempla una esatta prevedibilità degli eventi, in quanto la causalità è ritenuta
universalmente valida ed indipendente dalle condizioni di osservazione.
Mi sembra (ma, ripeto, non conosco a sufficienza l'argomento) che la scienza moderna vada orientandosi verso un
modello cosiddetto a "connessione condizionale" (dunque non più la causalità necessaria), in cui la previsione
è probabile (dunque non più infallibile).
saluti
#885
Citazione di: viator il 14 Giugno 2018, 22:06:24 PM
Salve Oxdeadbeef. Ho letto il tuo ultimo intervento. Alla fine, ancora una volta, ho sperimentato la conferma della mia convinzione interiore di essere un privilegiato. Il mio privilegio consiste nel non aver mai letto di filosofia canonica e quindi dall'aver potuto mantenere una certa qual "verginità" intellettuale che si può anche chiamare ignoranza. Due o tre testi canonici di filosofia moderna mi caddero invero tra le mani (in realtà li cercai deliberatamente), ma li richiusi dopo un paio di pagine, completamente sconvolto dalla loro incomprensibile pallosità autoreferenziale che trovavo aggiungesse solo nebbia all'essenziale.

Cosa per me siano i concetti, le idee, l'essere, l'essenza, l'ente, l'entità, l'esistere, l'insistere, il consistere, il sussistere, il persistere, l'Assoluto, il relativo, il Tutto, la totalità e qualche altra cosa ancora mi è successo di accennarlo qua e la all'interno dei miei ormai non pochi interventi. Ovvio che si tratti della mia personale e limitata visione delle cose. Ovvio che la Verità non solo non sappiamo dove stia ma addirittura non possiamo sapere se sia. L'importante non è conoscere la Verità. L'importante è riuscire a costruire una visione del mondo che ci permetta di vivere in pace con esso.





Quindi ben per te che ci vivi in pace, no?
Affermi però che non è importante conoscere la verità. Presumo però, da quanto scrivi, tu la conosca già, visto che sembri
avere convinzioni piuttosto ferrate circa un rigido determinismo causa/effetto che regge (reggerebbe) tutta la realtà.
O almeno questo è quel che a me sembra leggendo certe tue considerazioni/domande sull'"essere" (ma può darsi io non ci abbia
capito niente).
Solo un paio di domande/considerazioni anch'io. Visto che affermi di non aver letto di filosofia, sei consapevole che la
scienza nasce proprio dalla filosofia (in particolare la concezione di causa/effetto da Aristotele, il filosofo della
"sostanza" eterna ed immutabile)?
Come ti poni davanti al principio di indeterminazione di Heisemberg e più in generale davanti alla fisica contemporanea
che proprio il rigido determinismo del passato ha confutato definitivamente?
saluti