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Messaggi - Carlo Pierini

#886
CARLO
Un <<dubbio ritenuto razionalmente insuperabile>> sulla verità di una certa affermazione, non è più un dubbio, ma un ritenere non-vera (o relativa) quella affermazione.
Citazione
CitazioneMa, caro Carlo Pierini, capiterà mai che tu capisca quello che scrivo???

Innanzitutto non é affatto vero che dubitare di qualcosa == ritenere non vera tale cosa, ma casomai non sapere se sia vera oppure non vera, non ritenerla sicuramente vera né sicuramente falsa: c' é una bella differenza ! ! !

CARLO
Quello che dici tu vale per un semplice dubbio. Ma se lo consideri <<razionalmente INSUPERABILE>> significa che non considererai MAI vera la cosa di cui dubiti.

SGIOMBO
Ma soprattutto con tutta evidenza non ho parlato di un determinato dubbio (ritenuto razionalmente insuperabile) circa una certa particolare verità o affermazione, ma invece del "dubbio" (scettico) "circa qualsiasi (eventuale, per l' appunto) conoscenza" (solo le evidenziazioni in grassetto non erano nelle mie parole da te platealmente travisate); essendo riferito a qualsiasi eventuale verità o conoscenza, con tutta evidenzia si applica anche alla (eventuale, per l' appunto) particolare conoscenza costituita da quella stessa affermazione (e infatti si configura come sospensione del giudizio e non come affermazione dell' autocontraddittoria, paradossale affermazione per cui "tutto é falso" (compresa questa affermazione stessa).
Lo scetticismo non é predicazione che tutto é falso, ma dubbio  (sospensione del giudizio) su tutto (compreso lo scetticismo stesso).
Lo scettico dubita di tutto, anche del suo dubitare stesso e del dubitare del suo dubitare, e se hai tempo da perdere puoi continuare fin che credi in questo regresso all' infinito...

CARLO
Ripeto: finché dubiti, non consideri vera una certa cosa (sebbene non la consideri nemmeno falsa). Ma se il dubbio è per te insuperabile, vuol dire che non considererai MAI vera quella stessa cosa. Quindi non avrai voce in capitolo per contraddire né chi la ritiene vera né chi la ritiene falsa. E non mi sembra che è quello che hai fatto con i miei scritti.
#887
Citazione di: sgiombo il 08 Luglio 2018, 21:31:19 PM
X Carlo Pierini (in particolare in riferimento all' intervento #58 della presente discussione)

C' é una bella differenza fra "scetticismo", cioé dubbio ritenuto razionalmente insuperabile -e conseguente sospensione del giudizio (per lo meno in teoria, prescindendo da quanto eventualmente sottinteso nella pratica)- circa qualsiasi (eventuale, per l' appunto) conoscenza di come é/diviene la realtà effettiva, indipendentemente dal fatto che sia eventualmente anche (realmente) oggetto di pensiero, giudizio, eventualmente conoscenza o meno da una parte, e "relativismo" (per lo meno quel che correntemente oggi si intende per "relativismo", credo di poter dire "a là Angelo Cannata"; il quale purtroppo si é autoimposto di non potermi più replicare qui nel forum), cioé la pretesa che ogni e qualsiasi predicato o giudizio (compresi quelli reciprocamente contraddittori) che si desse circa la realtà effettiva sia ugualmente vero.

Il primo secondo me é la massima espressione del razionalismo, il secondo dell' irrazionalismo.

CARLO
Un <<dubbio ritenuto razionalmente insuperabile>> sulla verità di una certa affermazione, non è più un dubbio, ma un ritenere non-vera (o relativa) quella affermazione.
#888
Tematiche Filosofiche / Re:Kant e il Principio.
09 Luglio 2018, 14:30:45 PM
Citazione di: paul11 il 09 Luglio 2018, 13:05:48 PM
Citazione di: Carlo Pierini il 09 Luglio 2018, 12:19:26 PM
CARLO
Non c'è contraddizione tra essere e divenire nel momento in cui poni un divenire governato da leggi immutabili, cioè, da leggi che appartengono all'essere. Infatti "ciò che è" è l'energia, e la sua trasformazione è retta da leggi immutabili del tipo E=mc^2

la risposta è nella mia proposizione successiva:

Citazione di: paul11 il 09 Luglio 2018, 11:22:37 AM . Infatti l'ontologia contemporanea del pensiero filosofico semmai svolge la tematica fra eterno ed esistenza, laddove l'esistenza raccoglie le essenze che non possono che essere immutabili

Ma la scienza una legge lo trae dal manifesto, dall'apparenza del fenomeno non  è importante l'essenza.
Non cerca l'immutabile, ma l'osservabile, lo sperimentabile, il verificabile in quanto a sua volta è manipolabile, trasformabile dalla tecnica ai fini speculativi utilitaristici e funzionali all'uopo.


CARLO
Non esiste altro modo di rivelare l'essenza che quello di desumerlo dall'osservazione dei fenomeni. Come diceva Nietzsche, l'essenza più autentica delle cose è celata nelle profondità della Natura, e per farla emergere ci si deve affannare non poco.
#889
Tematiche Filosofiche / Re:L'elettrone "in sé".
09 Luglio 2018, 12:40:11 PM
Citazione di: viator il 09 Luglio 2018, 12:07:59 PM
Salve Carlo. Della cosa in sé non credo freghi a molti. Credo invece che possiamo essere interessati agli EFFETTI della cosa in sé.
Viviamo degli effetti del cibo, non dell'essenza del cibo in sé.

Ciò risulta ribadito dal fatto che Kant ed altri si misero a speculare sulla cosa in sé solo dopo aver cenato e non prima di aver pensato a procurarsi la cena.

Io ho già cenato. La cosa in sé secondo me rappresenta l'aspetto da noi percepibile e/o concepibile dell'essere.
Sempre secondo me, l'essere non è altro che la DIMENSIONE al cui interno le cause producono i propri effetti, anche se quasi tutti capiranno che l'essere consista nell'insieme delle cause e degli effetti.

Le cause (il passato) attraverso l'essere (il presente), generano gli effetti (il futuro).
Le cause sono (sono state) infinite. L'essere è unico e singolare. Gli effetti sono (saranno) anch'essi infiniti.
.
Perciò l'essere è la dimensione impalpabile ma necessaria che noi non possiamo percepire e neppure concepire mentre transitiamo dal passato al futuro. E' la trasmutazione tra ciò che era e ciò che sarà.

La cosa in sé in quanto percepibile -secondo me- non è altro che l'equivalente energetico della massa in cui la cosa consiste o (a piacere ed indistinguibilmente) l'equivalente materico dell'energia che la anima.

Che poi la cosa in sé, una volta entrata in noi attraverso la percezione, diventi appunto la cosa in noi.......beh, la confusione nasce proprio qui poiché ciò che entra stimola la nostra capacità di astrazione facendoci produrre .le cose da noi, cioè quanto da noi concepito a seguito di quanto percepito. Alla fine ci troveremo a non capire più una bella mazza.

L'essere è quindi la dimensione in cui si producono gli eventi.
La cosa in sé rappresenta la nostra percezione dell'evento.
La cosa in noi è la nostra elaborazione dell'evento.
La cosa da noi è la nostra interpretazione dell'evento. La quale risulterà certo assai diversa dalla nudità fisica dell'evento e che quindi noi saremmo autorizzati a chiamare – se ci piacerà farlo – evento immateriale o psichico o spirituale.


CARLO
Nel momento in cui definisci la "cosa in sé" come <<assolutamente indipendente da ogni possibile esperienza>>, ne fai un OGGETTO DI FEDE e lo cancelli dalla conoscenza, come il Dio "ineffabile" di molti mistici. Per questo Jung scrive:

<<L'ipotesi dell'esistenza di un Dio al di là di ogni esperienza umana, mi lascia indifferente; né io agisco su di lui, né lui su di me. Se invece so che Egli è un possente impulso nella mia anima, me ne devo interessare>>.    [JUNG: Studi sull'Alchimia - pg.59]

<<Nel definire Dio o il Tao come un impulso dell'anima o uno stato psichico, ci si limita a compiere una asserzione su ciò che E' CONOSCIBILE, e non invece su quanto è inconoscibile, intorno al quale non potremmo affermare assolutamente nulla>>. [JUNG: Studi sull'Alchimia - pg.63]
#890
Tematiche Filosofiche / Re:Kant e il Principio.
09 Luglio 2018, 12:19:26 PM
Citazione di: paul11 il 09 Luglio 2018, 11:22:37 AM
quando la SACRA legge scientifica della termodinamica è "nulla si crea e nulla si distrugge, ma tutto si trasforma" è insita la contraddizione severiniana

CARLO
Per la scienza questa legge è sacra fino a un certo punto, cioè, a partire da quel mistero scientifico chiamato Big-Bang in poi.

PAUL11
Se l'episteme è cercato e focalizzato nella trasformazione, dimenticando ciò che è e quindi non può essere distrutto, allora la "sua" trasformazione e ritenerle verità in divenire sono contraddittorie alla sua essenza "originaria" che invece è un immutabile eterno e quindi verità.

CARLO
Non c'è contraddizione tra essere e divenire nel momento in cui poni un divenire governato da leggi immutabili, cioè, da leggi che appartengono all'essere. Infatti "ciò che è" è l'energia, e la sua trasformazione è retta da leggi immutabili del tipo E=mc^2
#891
Tematiche Filosofiche / Re:Kant e il Principio.
09 Luglio 2018, 11:44:59 AM
Citazione di: 0xdeadbeef il 09 Luglio 2018, 10:17:06 AM
Il concetto di "cosa in sè" è usato da Kant per fondare un intero sistema filosofico;


CARLO
Io direi, invece, che è usato da Kant per distruggere qualsiasi sistema filosofico (non c'è filosofia decostruttivista che non si richiami a lui) e qualsiasi sistema di conoscenza, dopo aver decretato l'inconoscibilità SIA del mondo fisico CHE della realtà metafisica e lasciando in piedi (si fa per dire) solo LE SUE sentenze, sebbene prive di adeguati processi.

OXDEADBEEF
Ti ripeto, da grande ammiratore del filosofo tedesco, che io reputo il più grande di tutti, che sia l'intera
filosofia che l'epistemologia di Kant è criticabile sotto diversi aspetti.


CARLO
Infatti io lo sto criticando sotto diversi aspetti. Ma la tua prolusione non dà alcuna risposta alle mie critiche. Ancora non ho capito in che consiste la sua grandezza, al di là di molte buone intuizioni (pessimamente sviluppate) e di un indubbio talento letterario. Talento che, tuttavia, è una vera e propria disgrazia quando veicola idee aberranti, perché ognuno di noi tende ad associare alla bellezza anche la verità.
Insomma, detto trivialmente, Kant ha scritto un sacco di puttanate, ma l'ha fatto con estrema eleganza.
Ma se, invece, credi davvero che sia un grande filosofo, prova a rispondere alle mie poche e semplici domande.
#892
Tematiche Filosofiche / Kant e il Principio.
09 Luglio 2018, 03:40:19 AM
Scrive Kant:

<<Quando si domanda (in riferimento ad una teologia trascendentale) se vi sia un qualcosa di *diverso dal mondo*, che contenga il fondamento dell'ordine del mondo e della sua connessione secondo leggi universali, la risposta è alÌora: senza dubbio. Il mondo è infatti una somma di apparenze: deve dunque esserci un qualche fondamento trascendentale di esso, cioè un fondamento pensabile soltanto dall'intelletto puro. In secondo luogo, alla domanda se questo ente sia sostanza, abbia la massima realtà, sia necessario, ecc., io rispondo che questa domanda non ha alcun significato. In effetti, tutte le categorie, mediante cui io cerco di formarmi un concetto di un tale oggetto, non sono se non di uso empirico, e non hanno alcun significato, se non vengono applicate a oggetti di un'esperienza possibile, cioè al mondo dei sensi.
Al di fuori di questo campo, esse sono semplicemente titoli di concetti, che possono venire ammessi, ma mediante i quali non si può comprendere nulla. E quando si domanda infine, in terzo luogo, se non si possa almeno pensare questo ente distinto dal mondo in base ad un'analogia con gli oggetti dell'esperienza, la risposta è allora: certamente, però soltanto come oggetto nell'idea, e non già nella realtà, cioè solo in quanto tale oggetto è un sostrato - a noi ignoto - dell'unità sistematica dell'ordine e della finalità della costituzione del mondo, unità ordine e finalità che la ragione deve assumere come principio regolativo della sua indagine sulla natura. Inoltre, in questa idea noi possiamo permettere - senza timore di essere biasimati - certi antropomorfismi, che giovano al suddetto principio regolativo. In ogni caso, difatti, si tratta soltanto di un'idea, la quale viene riferita non già direttamente ad un ente diverso dal mondo, bensi al principio regolativo dell'unità sistematica deÌ mondo, e solo mediante uno schema di tale unità, quello cioè di
un'intelligenza suprema, che crea il mondo secondo saggi disegni. Con ciò non si è voluto pensare, che cosa sia in se stesso questo fondamento originario dell'unità del mondo, ma si è voluto indicare in che modo noi dobbiamo servirci di tale fondamento, o piuttosto della sua idea, relativamente all'uso sistematico delìa ragione per quel che concerne Ie cose del mondo.
A questo modo, peraltro (si continuerà a domandare), possiamo ammettere un unico, saggio e onnipotente
Creatore del mondo? Senza alcun dubbio. Non soltanto possiamo ammettere ciò, ma dobbiamo anzi
presupporre un tale creatore. In tal caso, estendiamo dunque Ia nostra conoscenza al di là del campo dell'esperienza possibile? In nessun modo. In effetti, abbiamo semplicemente presupposto un qualcosa, riguardo a cui noi non abbiamo alcun concetto di quello che possa essere in se stesso (abbiamo presupposto cioè un oggetto semplicemente trascendentale). Riferendoci all'ordine sistematico e finalistico dell'universo - ordine che dobbiamo presupporre, se vogliamo studiare la natura - abbiamo semplicemente pensato quell'ente a noi sconosciuto secondo l'analogia con un'intelligenza (che è un concetto empirico); ossia, in riferimento ai fini e alla perfezione che si fondano su tale ente, noi l'abbiamo dotato appunto di quelle proprietà, che possono contenere secondo le condizioni della nostra ragione, il fondamento di una tale unità sistematica>>. [KANT: Critica della ragione pura - pg.699-700]

Qui Kant parla del Principio più o meno negli stessi termini in cui a volte anch'io parlo del Principio di Complementarità, tranne in un "piccolo" dettaglio: l'impossibilità di conoscerlo!
Allora io mi (vi) chiedo:
- Su cosa basa Kant la sua convinzione che sia impossibile conoscere il Principio?  
- Per quale ragione, cioè, un Principio che governa-modella il mondo dovrebbe essere <<pensabile soltanto dall'intelletto puro>> e non desumibile dall'osservazione del mondo?
- Il principio di gravitazione è stato solo un pensiero puro di Newton, oppure Newton ne ha desunto l'esistenza e la "forma" (F=GmM/r^2) dall'osservazione dei moti planetari? A me risulta...la seconda che ho detto:

<<Isaac NEWTON DEDUSSE DALLE LEGGI DI KEPLERO la spiegazione dinamica dei moti planetari introducendo, quale causa del moto, una forza, detta forza di gravitazione universale. Newton dimostrò anche il teorema inverso, ossia che dalla sua legge generale del moto e dalla forza di gravità si ottengono, in maniera equivalente, le leggi di Keplero>>.
https://it.wikipedia.org/wiki/Leggi_di_Keplero

<< Il punto di partenza è costituito DALLE LEGGI DI KEPLERO. A questa base Newton aggiunge la dinamica, che abbiamo discusso nel capitolo 5, e formula la legge della gravitazione universale>>.
http://www.mat.unimi.it/users/antonio/meccanica/Meccan_7.pdf

<<...Fu la generalizzazione delle LEGGI DI KEPLERO che portò Newton alla sua teoria universale della gravitazione;
http://educa.univpm.it/storia/94119dlk.html

<<Newton trovò la legge della gravitazione universale (...) "DEDUCENDOLA" DALLE LEGGI DI KEPLERO>>
http://lcalighieri.racine.ra.it/Rivol_copOLD/Newton/LEGGI%20KEPLERO.htm


...E allora perché Kant parla di un Principio che è SOLO pensabile e che quindi non può <<...applicarsi a oggetti di un'esperienza possibile, cioè al mondo dei sensi>>? Forse perché proiettava la sua ignoranza abissale su ogni concetto importante per la conoscenza? Un disturbo mentale? Una sua tendenza coatta alla critica a oltranza? ...Pare proprio di sì:

http://www.lercio.it/la-moglie-di-kant-chiede-il-divorzio-non-lo-sopporto-piu-e-tutta-una-critica/

:)
#893
Tematiche Filosofiche / Re:L'elettrone "in sé".
09 Luglio 2018, 00:05:35 AM
Citazione di: sgiombo il 08 Luglio 2018, 22:25:54 PM
Citazione di: Carlo Pierini il 08 Luglio 2018, 17:57:17 PM
Cit. CARLO
Un oggetto inconoscibile è un non-oggetto, cioè, è un "significante" privo del suo "significato". Affermare che l' "oggetto in sé" è inconoscibile e che, invece, il "fenomeno" è conoscibile significa giocare con le parole, perché anche il fenomeno è un oggetto della conoscenza, quindi, con lo stesso gioco della minchia, potremmo dire che <<è conoscibile il fenomeno, ma non il "fenomeno in sé">>, infilandoci così in un circolo vizioso nel quale alla fine scopriamo che NULLA è conoscibile e che NULLA può essere considerato "verità", nemmeno la filosofia di Kant.

Cit. SGIOMBO
Bel gioco della minchia davvero (il tuo) !
Infatti apparente, sensibile =/= conoscibile

CARLO
Bravo! Io ho fatto lo stesso gioco della minchia che ha fatto Kant, proprio per mostrarne la stupidità.

CitazioneSGIOMBO
Balle!
Non hai capito proprio nulla di Kant: anche se Kant ritiene conoscibile razionalmente (e scientificamente), dalla ragion pura, solo i fenomeni e non il noumeno,

CARLO
Sei tu che non capisci. Nel primo post di "La cosa in sé: una truffa...ecc." scrivevo:
Kant (...) contrapporre dualisticamente "fenomeno" e "noumeno" e dichiara il primo conoscibile, e il secondo (...) assolutamente inconoscibile.


Citazione da: Carlo Pierini - Oggi alle 17:57:17
CitazioneCARLO
Ma tagliamo la testa al ...topo e torniamo al mio esempio iniziale dell'elettrone.

Nella realtà fisica chiamiamo "cosa" (p. es.: "elettrone") una bella "X" incognita che desumiamo sia la causa di un insieme di fenomeni la cui osservazione sperimentale ci obbliga a ricondurre ad essa (alla X chiamata elettrone) come sue proprietà.

- Possiamo chiamare "assolutamente incognita" quella "X", cioè, quella "cosa"? No, perché, per definizione, una X è assolutamente incognita quando non conosciamo di essa assolutamente NULLA, cioè, quando non è possibile attribuirle alcuna proprietà.

- Possiamo chiamarla "assolutamente conosciuta"? No, perché noi conosciamo solo una piccola parte delle sue proprietà e disconosciamo il resto, cioè, perché noi conosciamo non l'elettrone in sé corredato di TUTTE le sue proprietà e di TUTTE le relazioni che lo legano a TUTTO il resto del mondo, ma solo l'elettrone definito dalle sole proprietà conosciute.

- Possiamo affermare con sicurezza che il numero delle sue proprietà e delle relazioni che lo legano al resto del mondo è infinito e, pertanto, dichiarare inconoscibile l'elettrone in sé? No, non esiste alcuna ragione che ci dia questa certezza (persino il numero di atomi dell'universo è considerato finito)

...E allora qualcuno sa spiegarmi da cosa deriva il dogma kantiano sull'inconoscibilità dell'elettrone in sé?


CitazioneSGIOMBO
Continui a non capire ...una mazza (non sono volgare come te).
A parte il fatto che ai tempi di Kant nemmeno esisteva il concetto di "elettrone", e dunque il grandissimo konigsberghese (o kaliningradese, come preferisco chiamarlo per ragioni che Oxdeadbeef può bene intuire) non poteva parlarne in alcun modo, l' elettrone é un ente teorico proposto dalla scienza per conoscere i fenomeni materiali, facente parte (fino ad eventuale falsificazione, cosa che in linea di principio non si può escludere) dei fenomeni materiali così come sono descritti e conosciuti dalle scienze fisiche.


CARLO
Qualunque oggetto della fisica è, come dici tu: <<un ente teorico proposto dalla scienza per conoscere i fenomeni materiali...ecc.>>
Quindi se non ti piace l'elettrone, puoi sostituirlo con qualsiasi altro ente che Kant poteva conoscere, dal momento che non ho parlato delle proprietà SPECIFICHE dell'elettrone, ma di semplici "proprietà della "cosa". Se ci vuoi mettere la gravità, o il Sole, o il pianeta Terra, il mio ragionamento non cambia di una virgola. Scegli tu.

CitazioneSGIOMBO
Il noumeno (kantiano) o "cosa in sé c' entra come i cavoli a merenda.

CARLO
Bravo. La "cosa in sé" che intende Kant c'entra come i cavoli a merenda con la "cosa in sé" che intendo io. Infatti, la mia ha un significato, avendola definita ragionevolmente  come << la "cosa" (l'oggetto) corredata di TUTTE le sue proprietà e di TUTTE le relazioni che lo legano a TUTTO il resto del mondo>>; mentre quella kantiana intesa come <<la cosa concepita indipendentemente da ogni possibile conoscenza>> è un'idea fantasma priva di contenuto, indeterminata, sulla quale non si può affermare assolutamente NULLA e alla quale NULLA di significativo può essere associato se non l'attributo (assolutamente inargomentato e arbitrario) di "inconoscibilità".  Certo, anche il sarchiapone e la supercazzola sono <<concepiti indipendentemente da ogni possibile conoscenza>> e sono anch'essi inconoscibili per definizione; ma è proprio per questo che se ne fa uso solo per far ridere la gente e che solo gli stupidi possono prenderli sul serio

Il resto dei tuoi commenti sono solo giudizi "estetici" che poco hanno a che vedere con il nostro argomento.
#894
Tematiche Filosofiche / L'elettrone "in sé".
08 Luglio 2018, 17:57:17 PM
Cit. CARLO
Un oggetto inconoscibile è un non-oggetto, cioè, è un "significante" privo del suo "significato". Affermare che l' "oggetto in sé" è inconoscibile e che, invece, il "fenomeno" è conoscibile significa giocare con le parole, perché anche il fenomeno è un oggetto della conoscenza, quindi, con lo stesso gioco della minchia, potremmo dire che <<è conoscibile il fenomeno, ma non il "fenomeno in sé">>, infilandoci così in un circolo vizioso nel quale alla fine scopriamo che NULLA è conoscibile e che NULLA può essere considerato "verità", nemmeno la filosofia di Kant.

Cit. SGIOMBO
Bel gioco della minchia davvero (il tuo) !
Infatti apparente, sensibile =/= conoscibile

CARLO
Bravo! Io ho fatto lo stesso gioco della minchia che ha fatto Kant, proprio per mostrarne la stupidità.

Ma tagliamo la testa al ...topo e torniamo al mio esempio iniziale dell'elettrone.

Nella realtà fisica chiamiamo "cosa" (p. es.: "elettrone") una bella "X" incognita che desumiamo sia la causa di un insieme di fenomeni la cui osservazione sperimentale ci obbliga a ricondurre ad essa (alla X chiamata elettrone) come sue proprietà.

- Possiamo chiamare "assolutamente incognita" quella "X", cioè, quella "cosa"? No, perché, per definizione, una X è assolutamente incognita quando non conosciamo di essa assolutamente NULLA, cioè, quando non è possibile attribuirle alcuna proprietà.

- Possiamo chiamarla "assolutamente conosciuta"? No, perché noi conosciamo solo una piccola parte delle sue proprietà e disconosciamo il resto, cioè, perché noi conosciamo non l'elettrone in sé corredato di TUTTE le sue proprietà e di TUTTE le relazioni che lo legano a TUTTO il resto del mondo, ma solo l'elettrone definito dalle sole proprietà conosciute.

- Possiamo affermare con sicurezza che il numero delle sue proprietà e delle relazioni che lo legano al resto del mondo è infinito e, pertanto, dichiarare inconoscibile l'elettrone in sé? No, non esiste alcuna ragione che ci dia questa certezza (persino il numero di atomi dell'universo è considerato finito)

...E allora qualcuno sa spiegarmi da cosa deriva il dogma kantiano sull'inconoscibilità dell'elettrone in sé?

Qualcuno sa spiegarmi perché anche la sola conoscenza di quelle poche proprietà (fenomeni) dell'elettrone da noi osservate è stata sufficiente per costruire centrali elettriche, computers, navicelle spaziali, stazioni radio-televisive, telefoni cellulari, ecc., senza sapere una beneamata ceppa dell'elettrone in sé?

A nessuno viene il sospetto che "la cosa in sé" è inosservabile, inconoscibile e indefinible (se non come idea pura, cioè, vuota) proprio perché è solo una fantasia oziosa di un "filosofo" incapace di cercare nel mondo della conoscenza REALE la conferma dei suoi "giudizi-a-priori"?

Non sarà che l'essenziale della conoscenza sta semplicemente nella corretta interpretazione dei fenomeni e che essa - come disse Laplace a proposito di Dio - non ha alcun bisogno dell'ipotesi della "cosa in sé"?
#895
Citazione di: 0xdeadbeef il 08 Luglio 2018, 13:10:06 PM
"Quelle verità che sono la sostanza di tutta la filosofia, si debbono occultare alla maggior parte degli uomini; e credo che
facilmente consentireste che debbano essere ignorate o dimenticate da tutti: perchè sapute, e ritenute nell'animo, non
possono altro che nuocere. Il che è quanto dire che la filosofia si debba estirpare dal mondo.
Io non ignoro che l'ultima conclusione che si ricava dalla filosofia vera e perfetta, si è, che non bisogna filosofare.
Dal che si inferisce che la filosofia primieramente è inutile, perchè a questo effetto di non filosofare non fa di
bisogno essere filosofo; secondariamente è dannosissima..."
Giacono Leopardi - Operette morali

Sono, personalmente, d'accordissimo con Leopardi.
Non certo perchè io sia diventato, all'improvviso, un denigratore del pensiero filosofico. Ma, anzi, proprio perchè un, diciamo,
"certo punto di vista filosofico" (che sento a me vicino) non può che portare a questa, coerentissima, conclusione.
Certo, perchè Leopardi è in ciò filosofo a tutti gli effetti, e solo una mente non abituata alla filosofia potrebbe credere che
questa sia una invettiva CONTRO la filosofia.
Del resto, già nella Bibbia si avverte che il sapere è dolore...


Quale "filosofia"?
Si può intendere la filosofia in due modi:
1) come un gran calderone di idee dissonanti che dicono tutto e il contrario di tutto;
2) come una UNICA visione del mondo costruita su una grande molteplicità di idee complementari tra loro che si confermano reciprocamente. 

Ovviamente, la filosofia reale, dalle sue origini fino ad oggi, corrisponde con la 1). Ma è evidente che, se la metà delle filosofie che la costituiscono afferma ciò che l'altra metà nega, almeno una delle due metà afferma il falso, e quindi un giorno le false filosofie dovranno essere sfanculate e mandate al museo delle idee sballate.

Ma prima che ciò accada, chi si accinge allo studio della filosofia non fa altro che entrare in una Torre di Babele, in un labirinto infernale sul cui ingresso è scritto: <<lasciate ogni speranza o voi che entrate>>, dal quale uscirà (se uscirà sano di mente) molto più confuso di quanto lo era prima di entrare.

Ecco: questa è la filosofia "dannosissima" a cui si riferisce Leopardi. <<Language is a virus>>
https://youtu.be/KvOoR8m0oms

Io invece vedo la filosofia come un processo che inizia con la "torre di Babele" attuale, ma che culminerà in una unica visione del mondo retta da un unico Principio di verità. Una grande orchestra di idee che esegue UNA UNICA grande sinfonia ...perenne!
Ci sarà bisogno di una "Santa Inquisizione" per mandare al rogo le filosofie false ed ammettere quelle vere?
Non più di quanto un maestro d'orchestra mandi a casa dei musicisti incapaci per accogliere i più valenti.
#896
Citazione di: 0xdeadbeef il 08 Luglio 2018, 10:41:18 AMl'enorme importanza che per la filosofia rivestono i concetti di
"fenomeno" e di "cosa in sè" risiede nel fatto che, per la prima volta, è il soggetto ad assumere un ruolo
"centrale" in quello che, prima di Kant, era un mondo in cui invece la centralità era dell'oggetto

CARLO
L'idea della centralità del linguaggio (soggettivo) logico-matematico nella conoscenza del mondo fisico (già sostenuta da Pitagora) prende piede con Galilei ed è l'idea FONDANTE della "Scientia Nova". Ma Galilei non concepisce un soggetto "centrale" e un oggetto "periferico" (come vuole la metafora copernicana di Kant), bensì una co-centralità di soggetto e oggetto, cioè una pari dignità epistemica tra i due, una equilibrata complementarità tra due enti, entrambi ugualmente indispensabili per la decifrazione del <<grande Libro della Natura>>. Ed è stata questa l'idea vincente che ha trasformato una sparuta setta di eretici in quella potentissima istituzione che oggi chiamiamo Scienza. Questa è stata la vera rivoluzione, non quella di Kant, che è solo uno sterile estremismo concettuale, un puerile rovesciamento dell'estremismo oggettivista.
Se Kant non si fosse limitato a elucubrare astrattamente su una idea SOGGETTIVA di "conoscenza" che non sta né in cielo né in terra (come il suo "trascendent-ale") e avesse cercato conferme in quell'OGGETTO reale chiamato "Scienza" (che già esisteva e prosperava da due secoli), si sarebbe reso conto che un SOGGETTO ipertrofico di fronte ad un OGGETTO marginale ...spara solo minchiate!
#897
Visto che stiamo discutendo sul tema della conoscenza, mi sia concesso di ripubblicare questo post che scrissi un anno fa nella sezione "Tematiche spirituali".

Cos'è la conoscenza? E' una costruzione soggettiva (conoscenza = soggetto), oppure essa coincide con "l'oggetto in sé" (conoscenza = oggetto)? Un dilemma, questo, che già un millennio fa opponeva i filosofi sostenitori della conoscenza (verità) intesa come "adaequatio intellectus ad rem" e quelli che la intendevano come "adaequatio rei ad intellectus".
Ebbene, anche in questo caso, per risolvere il dilemma si deve introdurre una terza opzione, cioè, l'idea di complementarità *ontologica* tra "intellectus" (il soggetto) e "res" (l'oggetto); un'idea che Tommaso sintetizzava come "adaequatio rei ET intellectus" e che Spinoza perfezionava nella formula "ordo et connexio idearum idem est ac ordo et connexio rerum".

[Questa terza opzione non è un puro artificio speculativo, ma deriva dalla constatazione che nella conoscenza reale non avviene una fusione in cui il soggetto viene assorbito passivamente dall'oggetto (adaequatio intellectus ad rem) o nella quale è l'oggetto che scompare passivamente tra le pieghe interpretative del soggetto (adaequatio rei ad intellectus), ma è la realizzazione di una complementarità tra due enti opposti di pari dignità (soggetto e oggetto) nella quale entrambi partecipano attivamente e simmetricamente all'unità del "tertium" (la conoscenza): l'oggetto fornisce l'"ordo et connexio rerum", cioè le relazioni tra le grandezze fisiche che lo costituiscono (il fenomeno), mentre il soggetto fornisce l'"ordo et connexio idearum", cioè, l'ordine tra gli elementi metafisici (numeri, concetti, logica) che lo descrive (il paradigma interpretativo). Quindi la conoscenza non è un'unità nella quale si perde la dualità ontologica di soggetto e oggetto, ma un'unità complementare in cui, al contrario, l'ontologia dell'uno e dell'altro è massimamente esaltata e realizzata.]

E non è affatto casuale che la conoscenza umana (sia pure soltanto quella del mondo materiale) abbia compiuto (con la nascita della Scienza) un balzo evolutivo senza precedenti dal momento in cui ha scoperto che "l'ordo et connexio idearum", cioè l'ordine e la connessione dei numeri (la matematica) è DAVVERO complementare con l'"ordo et connexio rerum", cioè con le relazioni esistenti tra le entità fisiche; ...che esiste DAVVERO una sorta di "harmonia praestabilita" (Leibniz) o di complementarità originaria tra intelletto e realtà fisica, tra soggetto osservatore e oggetto osservato, tra Metafisica e Fisica.
Per intenderci ancora più chiaramente: già esisteva l'operazione matematica "3x8=24" molto prima che Newton scoprisse che "m x a = F", cioè, che è necessaria una forza di 24 Nw affinché una massa di 3 kg subisca una accelerazione di 8 m/s^2, cioè ancora, che l'operazione metafisica di moltiplicazione governa la relazione che regna tra le grandezze fisiche "massa", "accelerazione" e "forza". Ciò dimostra che la matematica non è un artificio costruito ad hoc, a-posteriori, sui fatti osservati, ma che essa precede l'osservazione.

In questa prospettiva, allora, definiremo "conoscenza" NON l'oggetto in sé, NE' una costruzione soggettiva pura, MA quel "tertium" superiore (una legge fisica) verso il quale convergono complementariamente DUE ontologie distinte ed ontologicamente sovrane>>.

In definitiva, anche la Conoscenza è una complementarità di opposti, o meglio, rappresenta la realizzazione del primo esemplare storico reale di ciò che gli alchimisti chiamavano "Opus", o "Lapis philosophorum": è la prima autentica "Pietra filosofale" realizzata dall'intelletto umano ("aurum nostrum non est aurum vulgi")
Come scrive Jung:

<<Nella speculazione alchemica, [...] gli opposti si esprimono anzitutto nella duplicità di Mercurio che è comunque armonizzata nell'unità del Lapis ("unus est lapis!" ). Il Lapis viene realizzato dall'adepto (Deo concedente) e riconosciuto come l'equivalente dell'Unus Mundus" >>.  [JUNG: Mysterium coniunctionis - pgg.78/79]

<< Il simbolismo della complexio oppositorum, indica proprio il contrario di un annientamento degli opposti, poiché attribuisce al prodotto dell'unione o durata eterna - cioè incorruttibilità e immutabilità imperturbabile - o massima e inesauribile efficacia".  [JUNG: Psicologia e religione - pg. 182]

Questa sovranità ontologica dei due principi opposti (soggetto e oggetto, metafisica e fisica) è sottolineata nel simbolo della Complementarità...

https://4.bp.blogspot.com/-eM4yoCLtG40/WZ2MqmP57vI/AAAAAAAAAKY/2nDfbzh0w9QD-CbZZFxTnhceXSUyvHFDACLcBGAs/s1600/CADUCEO%2B%2Bridotto.JPG

...dalle due corone regali che cingono le teste dei due serpenti-enti.
Ma il nostro simbolo ci suggerisce anche che il "Tertium" è suddiviso in due sezioni: una inferiore, il bastone, e una superiore, la colomba. Chi ha un po' di dimestichezza con i simboli, sa che la colomba, come creatura aerea, rappresenta lo spirito (in greco "pneuma" significa sia "aria" che "spirito"), mentre le immagini di uccelli che si posano sugli alberi rappresentano la discesa dello Spirito in Terra, oppure l'unità di Spirito e Materia, come si può vedere dai due seguenti esempi (tra le centinaia di esempi possibili):

https://2.bp.blogspot.com/-KzhODMlkJqo/WZ2Ub7H8LEI/AAAAAAAAAKo/nz7g6PF6SmcdqJZp_8Bla3YmsF0_dMzRACLcBGAs/s1600/Caduceo-albero%2B4.jpg

https://4.bp.blogspot.com/-nPYoezFpNjE/WZ2VJYUdFiI/AAAAAAAAAKw/8c40Dtp-ve4wrRBKnhZAlKVODwVDOqS9QCLcBGAs/s1600/ALBERO-DUALIT%25C3%2580%2B15.jpg

Tutto ciò esprime l'idea di una Conoscenza dalla doppia natura: terrestre-materiale (in spagnolo "legno" si dice "madera") e celeste-spirituale. Cosa può significare? La risposta la troviamo nella constatazione secondo cui la sfera della Conoscenza è virtualmente una Complementarità di opposti anche da un'altra prospettiva, più generale, rispetto alla quale essa è costituita da DUE emisferi:
1 - l'emisfero delle scienze della Natura, rivolto alla polarità fisica del reale (chimica, fisica, astronomia, biologia e derivate), la cui garanzia di validità è fornita essenzialmente dal metodo osservativo-matematico-sperimentale;
2 - l'emisfero delle scienze dello spirito, rivolto alla polarità metafisica (teologia, filosofia, psicologia, simbologia, antropologia, logica, matematica, ecc.) la cui garanzia di validità è fornita essenzialmente dal SOLO metodo osservativo-induttivo/deduttivo, poiché il metodo matematico-sperimentale è totalmente inadeguato ad essa.
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Tuttavia, quest'ordine generale di complementarità, non è stata ancora realizzato, tranne, come abbiamo visto, nella sezione matematica/fisica. Come dicevo ad Acquarius, infatti:
<<Per il momento, le Scienze delle Spirito non sono ancora pervenute ad un criterio di riferimento tanto solido e affidabile quanto lo è il criterio logico-matematico nell'ambito delle Scienze della Natura; ma non disperiamo: gli archetipi hanno tutte le carte in regola per diventare "i numeri" del sapere spirituale! >>

...Ma è proprio così? Gli archetipi possono svolgere nel campo delle scienze dello spirito una funzione analoga a quella dei numeri nelle scienze fisiche e trasformare le prime in scienze vere e proprie, in forme di sapere di dignità epistemica non inferiore alle seconde? La risposta è sì; ma vediamo perché.
Innanzitutto si è scoperto, come già chiarito sopra, che i numeri non sono dei semplici ed arbitrari artifici soggettivi costruiti ad hoc per descrivere il mondo fenomenico, ma si tratta di veri e propri archetipi, sebbene appartengano ad una categoria diversa da quella degli archetipi visti fin qui: potremmo chiamarli gli archetipi dell'ordine quantitativo, contrapposti a tutti gli altri che chiameremo archetipi dell'ordine qualitativo.
Persino la loro storia - la storia dei numeri - è simile a quella dei simboli-archetipi mitico-religiosi, se teniamo conto del fatto che la numerologia antica era appannaggio dei soli sacerdoti ed era parte integrante delle religioni più evolute; e dio solo sa quanto le primitive speculazioni numerologiche possano aver contribuito a spianare la strada prima alla matematica arabo/greca e poi alla scienza galileiana. Pitagora stesso, e poi Galilei, vedevano nei numeri NON un'invenzione umana, ma nientemeno che le lettere dell'alfabeto del Verbo Divino, cioè i modelli che il Dio-Demiurgo aveva usato per creare il mondo; proprio come Platone definiva gli archetipi (le "Idee iperuraniche") come "i pensieri dell'Intelletto divino", "i modelli delle cose create". E se guardiamo ancora (lo ribadisco) allo strabiliante salto evolutivo compiuto dalla Conoscenza dal momento in cui l'uomo ha cominciato ad interpretare il mondo fisico attraverso il paradigma matematico (nascita della "Scientia Nova"), possiamo tranquillamente concludere che Pitagora, Galilei e Platone erano molto più prossimi alla verità di quanto non lo siano molti sedicenti "epistemologi" relativisti moderni ossessionati dalla ...sega mentale secondo cui "la mappa non è il territorio"! Certo, lo sanno anche i bambini che la mappa non è il territorio, ma i bambini sanno anche che cento mappe matematiche rigorosamente corrispondenti a cento diversi aspetti del medesimo territorio, danno una definizione di quel territorio cento volte più nitida e affidabile di quella sola mappa non-matematica sgualcita e sdrucita che era la filosofia pre-scientifica basata sulle sole elucubrazioni "dialettiche" e sui dogmi dell'"ipse dixit".

Tutto ciò significa, dunque, che quel "grande balzo" (...alla Mao-Tse-Tung :) ) compiuto dalla Scienza, in definitiva, è solo il risultato di una "semplice" operazione: il ricorso metodico ai simboli/archetipi numerico-quantitativi per l'interpretazione-descrizione-rappresentazione del mondo fisico. E, se ciò che ne è seguito è stata una rivoluzione imponente come quella scientifica, è più che ragionevole pensare che, applicando l'altra polarità dei simboli/archetipi (quella dell'ordine qualitativo) all'altra polarità della Conoscenza (l'emisfero delle scienze dello spirito), ne possa conseguire una rivoluzione altrettanto imponente come quella del sapere scientifico. Una rivoluzione che risolleverebbe le scienze dello spirito (dalla Psicologia alla Teologia) dal rango, di "ancillae scientiarum", di cenerentole del sapere, proprio come nella favola omonima, nella quale è l'incontro con un Princip...e che le trasformerà da serve di sorellastre saccenti e vanitose in vere e proprie regine (si veda anche Biancaneve servetta dei sette nani).
Per le scienze dello spirito si tratta, cioè, di seguire l'esempio della Scienza, e NON, come invece hanno sempre fatto certi "esoterici" (vedi soprattutto Guénon, Evola, e molti simbolisti orientalisti innamorati della poesia taoista o della "paradossalità" inconcludente e fuorviante del buddhismo Zen) di combattere, osteggiare e sminuire i grandi meriti della Scienza stessa.
Si noti, per esempio, con quanto disprezzo Guénon parli delle scienze della Natura:

<<...Questa è una ulteriore dimostrazione di come le scienze profane, di cui il mondo moderno è così orgoglioso, altro non siano se non « residui » degenerati di antiche scienze tradizionali, così come la stessa quantità, a cui esse si sforzano di tutto ricondurre, non è, nella loro visione delle cose, se non il « residuo » di un'esistenza svuotata di tutto ciò che costituiva la sua essenza; è così che queste scienze, o pretese tali, lasciandosi sfuggire, oppure eliminando di proposito tutto ciò che veramente è essenziale, si rivelano in definitiva incapaci di fornire la spiegazione reale di qualsiasi cosa.
Allo stesso modo che Ia scienza tradizionale dei numeri è tutt'altra cosa dall'aritmetica profana dei moderni, sia pure con tutte le estensioni algebriche o d'altro genere di cui è suscettibile, così esiste anche una- « geometria sacra » non meno profondamente diversa da quella scienza « scolastica », che oggi si designa con lo stesso nome di geometria>>.   [R. GUENON: Il Regno della quantità e i segni dei tempi - pg. 14]

<< In questo studio, cercheremo di far vedere in modo ancor più completo, e da un punto di vista più generale, quale sia la vera natura delle scienze tradizionali, e per conseguenza quale abisso le separi dalle scienze profane che ne sono come una caricatura ed una parodia; ciò permetterà di valutare la decadenza subita
dalla mentalità umana nel passare dalle prime alle seconde, nonché di vedere, in rapporto alla situazione rispettiva dell'oggetto dei loro studi, come questa decadenza segua appunto strettamente la marcia discendente del ciclo percorso dalla nostra umanità>>. [R. GUENON: Il Regno della Quantità e i segni dei tempi - pg. 15]

Ma, tornando a noi, oltre a Pitagora-Platone-Galilei, c'è anche un matematico più moderno, G. Frege, che, pur non menzionando espressamente il concetto di archetipo, parla dei numeri e della matematica negli stessi loro termini:

<<La Logica matematica è una scienza delle leggi più generali dell'esser vero. (...) E' come un'isola deserta fra i ghiacciai: è là molto tempo prima di essere scoperta; così anche le leggi matematiche valgono già da prima della loro scoperta. Cosicché i pensieri veri, non solo sono indipendenti dal nostro riconoscerli tali, ma sono indipendenti anche dal nostro pensarli. Essi non appartengono a coloro che li pensano, bensì si presentano nello stesso modo e come gli stessi pensieri a tutti coloro che li concepiscono. (...)
Un terzo regno va dunque riconosciuto. Ciò che vi appartiene concorda da un lato con le rappresentazioni, perché non può venir percepito con i sensi, e d'altro lato con le cose, perché non ha bisogno di alcun portatore ai contenuti della cui coscienza appartenere. Così il pensiero che articoliamo nel teorema di Pitagora è vero atemporalmente, indipendentemente dal fatto che qualcuno lo ritenga vero. Non ha bisogno di alcun portatore. E' vero, cioè, non soltanto a partire dal momento in cui è stato scoperto, proprio come un pianeta è in un rapporto di azione reciproca con altri pianeti già prima che lo si scopra>>. [G. FREGE, tratto da: "La filosofia di Gottlob Frege", di C. BIANCHI - pg. 150]

Ecco, se sostituiamo i termini <<leggi matematiche>> e <<pensieri veri>> con il termine di <<archetipi>> questa riflessione corrisponde perfettamente con l'idea platonico-junghiano-eliadeano-pieriniana :) di "archetipo".

P.S.
Siccome sono piuttosto pippa come scrittore, se qualche passo vi rimanesse oscuro, fatemi pure delle domande di chiarimento, così aiutate anche me a tenermi in allenamento.
#898
Citazione di: Phil il 07 Luglio 2018, 17:38:36 PM
Citazione di: Apeiron il 07 Luglio 2018, 16:33:50 PM
Quanto stai dicendo secondo me è giusto, ma se lo si intende in un certo modo. "F", "m", "a" sono concetti che sono stati creati dall'uomo per descrivere l'esperienza (le "manifestazioni"/apparenze/fenomeni...). Quindi, in un certo senso sono relativi: sono stati creati da noi e sono stati creati da noi in un certo contesto. Tuttavia, ciascuno può verificare che questi concetti descrivono molto bene i fenomeni.

CARLO
Non solo <<descrivono molto bene i fenomeni>>, ma la seconda legge della dinamica (come le altre leggi della natura) è stata scoperta proprio grazie ad essi. Cioè, solo in seguito all'applicazione ai fenomeni fisici di <<quelle cose soggettive create da noi>> che si chiamano "matematica" e "logica", l'uomo ha cominciato a scoprire le prime leggi della natura e a conoscere in profondità il mondo fisico; e io dubito fortemente che senza di esse sarebbe giunto a tanto. Per cui l'apporto soggettivo della logica e della matematica non va visto come un limite ma, al contrario, come uno dei DUE pilastri FONDANTI della conoscenza, quello METAFISICO; l'altro è quello FISICO dei fenomeni.
Per questo insisto spesso sull'idea di "conoscenza" intesa ONTOLOGICAMENTE come complementarità degli enti opposti metafisica/fisica, soggetto/oggetto, mente/materia, numero/cosa, ecc., laddove entrambi i termini dell'opposizione sono indispensabili e reciprocamente confermativi-rafforzativi. Infatti la logica/matematica si è evoluta grazie alla nascita della Fisica e la Fisica è diventata una scienza rigorosa grazie all'applicazione metodica della matematica ai fenomeni fisici.

Insomma, dovremmo finirla con questo frignare continuo sulla "soggettività" intesa come arbitrarietà, sulla "mappa che non è il territorio", sulla "cosa" che non è  "in sé" ma "per noi", sulla verità che non è assoluta ma relativa a noi, ...e altri piagnistei del genere, e cominciare a considerare come una autentica fortuna che "la mappa non sia il territorio" (le leggi non sono scritte nel territorio), che la "cosa" sia "per noi" (che siamo in grado di esplorarla e di cogliere le sue relazioni con altre cose) e che la verità sia "relativa a noi" (che possiamo distinguerla dalle false apparenze).
#899
Citazione di: Apeiron il 07 Luglio 2018, 16:33:50 PM
Rispondo al messaggio di Carlo Pierini numero #32:


Citazione
Supponiamo che X (la "cosa in sé") sia il modello dinamico del Sistema Solare.

No, per Kant non puoi farlo, visto che il Sistema Solare è nel reame dei fenomeni o apparenze.

CARLO
A dire il vero, il moto apparente era quello descritto dalla teoria tolemaica (geocentrismo), mentre il vero moto in sé è quello di Keplero-Newton-Einstein (eliocentrismo).

Ma, comunque sia, se grazie alla sola conoscenza dei fenomeni, la scienza in soli tre secoli ha fatto i "miracoli" che tutti sappiamo (almeno sul piano materiale) e continua a progredire e a svilupparsi, allora mi domando:
1 - non sarà che la "cosa in sé" è solo un falso problema, e che l'essenziale della conoscenza sta semplicemente nella corretta interpretazione dei fenomeni?
2 - ammesso e non concesso che "la cosa in sé" sia un problema della conoscenza attuale, cos'è che ci obbliga a pensare che esso sia irrisolvibile in futuro?

Ecco, in attesa di risposte affidabili a questi miei interrogativi, io continuo a pensare alla "cosa in sé" come a una CAUSA X di fenomeni osservabili e conoscibili, quindi anch'essa VIRTUALMENTE conoscibile; e al "noumeno" come al concetto ESPRIMIBILE nel quale TUTTI i fenomeni riferibili a questa "causa x" (le sue proprietà) trovano la propria unità e la propria corrispondenza rigorosa.
Del resto, è su queste basi che funziona la scienza ...che funziona. E al di fuori del dominio materiale della scienza, la logica è la stessa: cambia solo la natura della "cosa": fisica nel dominio della scienza, e metafisica nel dominio delle discipline cosiddette dello spirito (o della cultura).
#900
Citazione di: davintro il 07 Luglio 2018, 20:36:10 PM
Carlo Pierini scrive:

"Un oggetto inconoscibile è un non-oggetto, cioè, è un "significante" privo del suo "significato". Affermare che l' "oggetto in sé" è inconoscibile e che, invece, il "fenomeno" è conoscibile significa giocare con le parole, perché anche il fenomeno è un oggetto della conoscenza, quindi, con lo stesso gioco della minchia, potremmo dire che <<è conoscibile il fenomeno, ma non il "fenomeno in sé">>, infilandoci così in un circolo vizioso nel quale alla fine scopriamo che NULLA è conoscibile e che NULLA può essere considerato "verità", nemmeno la filosofia di Kant."


Al di là dell'uso di alcuni toni, mi pare di poter condividere il senso fondamentale di questi passi, che sembrano avvicinarsi a quelle che sono anche le mie perplessità sulla gnoseologia kantiana. Il dualismo, gnoseologicamente impostato, tra una sfera di fenomeni (conoscibili) e una noumenica (inconoscibile), rende impossibile qualunque tipo di scienza, compresa la scienza della critica stessa, perché ciò che differenzia la scienza dalla mera opinione consiste proprio nella garanzia razionale della corrispondenza tra la tesi soggettiva e la realtà oggettiva, indipendentemente dal nostro pensiero, garanzia che caratterizza la scienza, in contrasto con la mera opinione, che non ha argomenti per garantire tale corrispondenza, e la presunzione di verità resta puramente arbitraria. Ora, ridurre il piano della conoscibilità e della scienza ai "fenomeni" vuol dire negarsi le basi per la possibilità di qualunque scienza, in quanto i fenomeni, in quanto tali, sono sempre manifestazioni ad una certa coscienza individuale, apparenze che non necessariamente corrispondono a una realtà oggettiva, e la mancata garanzia razionale della corrispondenza fra apparenze soggettive e realtà oggettive, non può che condurre a esiti teoretici solipsisti o scettici in quanto manca la possibilità di notare come i fenomeni coscienziali soggettivi rimandino a una realtà oggettiva trascendente rispetto a noi stessi, proprio perché il complesso dei fenomeni sarebbe intrascendibile dal punto di vista della ragione (al massimo solo per un atto di fede o in virtù di alcune esigenze morali). Eppure la critica kantiana è un impegno teoretico che si è presentato a tutti gli effetti come "scienza", costituita da una serie di affermazioni il cui portato di verità è stato presentato come oggettivo e razionale, cioè indipendente dall'arbitrarietà delle opinioni soggettive. Kant ha potuto sostenere le sue tesi perché convinto di aver oggettivamente ragione, che le sue idee non fossero solo apparenze, ma adeguate alla realtà delle cose, quindi le sue pretese implicano necessariamente un trascendimento dei fenomeni , cioè delle apparenze, come unico riferimento della scienza, ed è qui la sua implicita contraddizione. Perché le tesi della critica siano legittimate a essere valide dal punto di vista della verità è stato necessario rompere l'equivoca ed errata identificazione tra "oggettività" ed "esteriorità", e questo, a mio avviso è stato il grande merito di Kant (anche se già ampiamente preparato dalla svolta moderna del dubbio metodico e dal primato metodologico del cogito cartesiano). Nell'individuare come compito della critica l'individuazione delle strutture necessarie e apriori della conoscenza, egli ha riconosciuto un piano di oggettività non coincidente con l'oggettività naturalistica della realtà fisica dell'esperienza esteriore (a cui invece si ferma il realismo ingenuo che pretende in modo induttivo di far coincidere necessariamente le percezioni sensibili con le cose stesse fidando di una certa costanza quantitativa di ciò che le percezione mostrerebbero come "reale fuori di noi), bensì con la dimensione interna della mente, dei suoi meccanismi conoscitivi, ha trattato la questione della soggettività pur considerandola non soggettivisticamente, ma in un punto di vista oggettivistico, scientifico. La sua critica non implica l'annullamento della cosa in sé" come conoscibile, solo il suo trasferimento tematico dal mondo esterno, fisico, a quello mentale, interno. Ma, sia che tematizzi il mondo esterno o quello interno, in ogni caso la scienza necessita di mostrare, argomentando, la corrispondenza fra i fenomeni e le "cose stesse", anche se queste non sono cose fisiche ma giudizi e categorie dell'intelletto e dell'estetica. Trovo in fondo un'ovvietà che ogni conoscenza non possa evitare di basarsi su fenomeni, che necessiti che le cose si manifestino a una coscienza, il problema da porsi è se questi fenomeni restino fermi in se stessi o siano in grado di rispecchiare qualcosa che "fenomeno" non è, ossia le cose nella loro oggettività, il cui manifestarsi a una certa coscienza non è un tratto essenziale del loro essere. Insomma, se la premessa da cui partire è " non possiamo conoscere che fenomeni" allora nessuna scienza, compresa la scienza della critica, è possibile, perché avrebbe a che fare solo con apparenze soggettive, senza la possibilità di individuare una corrispondenza fra tali apparenze soggettive "fenomeni" e le cose stesse,  cioè di formulare un qualsivoglia giudizio vero , vero non solo per me. Infatti dei due termini del confronto fra fenomeni o apparenze soggettive e cose stesse o realtà oggettive, potremmo conoscere solo il primo, e dunque il raffronto, la verifica della corrispondenza sarebbe impossibile. L'esito inevitabile è lo scetticismo più estremo Se invece la premessa è "non possiamo conoscere che TRAMITE i fenomeni" allora la possibilità di una scienza, quindi anche della legittimazione razionale della critica kantiana, si riapre. La sfera dei fenomeni non esaurirebbe in sé il complesso del "conoscibile", chiusa in se stessa, ma presenterebbe un certo carattere di dinamicità, nella capacità di rimandare a qualcosa di altro da sé, cioè la realtà oggettiva, che i fenomeni potrebbero adeguatamente a rispecchiare. Quel "TRAMITE" da un lato rende ragione di una relazione fra fenomeno e cosa oggettiva, che eviti ogni dogmatismo che pretenda di fare affermazioni sulla realtà oggettiva senza rendere conto delle forme con cui tale realtà si manifesterebbe alla sua esperienza, rendendosi, appunto, fenomeni, ma dall'altro rompe l'identità fra "fenomeno" e conoscibile", preservando un certo margine di distanza fra i due ambiti, che la razionalità può attraversare passando dall'uno all'altro (questo attraversamento della razionalità è penso ciò che la fenomenologia definirà come "intenzionalità", questa spinta dinamica della coscienza ad andare al di là della propria immanenza attribuendo senso a un mondo oggettivo, aprendosi così ad esso), partendo dalla ricezione dei fenomeni, ma non più fermandosi ad una pura ricezione passiva e indifferenziata, ma attivandosi cercando di interpretandoli, mirando a valutarne il livello di rispecchiamento con le cose stesse, sulla base dei propri criteri fondamentali logici di verità. I fenomeni resterebbero l'indispensabile punto di partenza della conoscenza, ma non più il suo necessario sbocco conclusivo

CARLO
Sottoscrivo pressoché tutto ciò che hai scritto (non senza un briciolo di invidia per il tempo che hai di trattare il nostro tema così per esteso  :)  )
In fondo, quella di Kant non è che una variante della tesi relativista (anzi la madre storica di ogni successiva forma di relativismo): <<la verità è in sé inconoscibile>>, alla quale K.O. Apel risponde con una riflessione molto simile, anzi, parallela alla tua:

<<Come scrive Apel, chi sostenesse che noi dobbiamo ammettere che noi non possiamo giungere a verità indubitabili, cadrebbe in una «autocontraddizione performativa», poiché nel primo noi afferma ciò che nega nel secondo. Analogamente, chi tentasse di negare argomentativamente l'esistenza e le regole della situazione argomentativa, cadrebbe anche lui in una autocontraddizione performativa, in quanto negherebbe nella parte proposizionale ciò che nell'atto argomentativo necessariamente ammette o presuppone. [...]
Ma se la situazione argomentativa implica l'esistenza di verità «incontestabili» e di credenze «apodittiche», vuol dire che UNA FONDAZIONE ULTIMA RISULTA FILOSOFICAMENTE POSSIBILE. [...]
La costruzione di una semiotica trascendentale si accompagna a una polemica incessante contro gli aspetti relativistici, scettici e nichilistici del pensiero contemporaneo e a un rifiuto delle odierne prospettive di indebolimento della ragione. Prospettive alle quali Apel ha inteso contrapporre una rinnovata «fondazione della razionalità nei suoi aspetti teoretici, etici ed epistemologici» (S.PETRUCCIANI: Etica dell'argomentazione. Ragione, scienza e prassi nel pensiero di Karl Otto Apel) . Infatti, contro coloro per i quali non vi sono pretese di validità «ma solo narrazioni o conversazioni o qualcosa del genere», Apel sentenzia che «la pretesa di validità è per il filosofo, come aveva visto correttamente Hegel, una condanna inevitabile».
Del resto, le stesse tesi antifondative «continuano ad essere sostenute come tesi che rientrano nel contesto argomentativo,  vengono cioè sostenute con una pretesa universale di validità, esigenza che però dal punto di vista performativo è contraddittoria»".   [N. ABBAGNANO: Storia della filosofia, vol.IX - pp.224/227]