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Messaggi - Phil

#886
Citazione di: Eutidemo il 01 Gennaio 2022, 11:33:45 AM
D'altronde, poichè la forma geometrica di un "cerchio" di dimensioni infinitamente grandi cessa di essere un "cerchio",  e diventa una "retta", non vedo perchè mai, sempre a livello definitorio, dovrebbe sorprenderti che un "cerchio" di dimensioni infinitamente piccole cessi di essere un "cerchio",  e diventi, invece, un "punto" !
Nella mia scarsa "matematicità", credo che se la retta è definibile anche come una circonferenza di raggio infinito, tale cerchio non «cessa di essere un cerchio»(cit.), non diventa un'altra forma, è la circonferenza ad essere (asintoticamente?) una retta. Dunque, pur essendo corretta la tua allusione (alla circonferenza che estendendosi all'infinito diventa retta), è comunque un caso ben differente dal cerchio che "implodendo" diventa punto: la circonferenza infinita, nel diventare una retta, cambia curvatura ma rimane nondimeno un ente con la sua medesima ed unica dimensione (quella di linea); se pensiamo invece ad un cerchio che diventa un punto, c'è un passaggio concettuale dall'essere bidimensionale (cerchio) al non avere dimensione (punto). Cambiare curvatura non è paragonabile al "perdere due dimensioni", così come cambiare coordinate sul piano cartesiano non è paragonabile all'essere elemento strutturante il piano cartesiano.
Banalizzando empiricamente, è un po' la differenza fra il piegare un arco fino a farlo diventare un bastone e il tagliare i bordi di un cerchio di carta e continuare a ritagliare fino a (credere di) ottenere il concetto di cerchio; riducendo la materia non si ottengono per via empirica i concetti, così come diminuendo matematicamente una misura non si arriva all'assenza di misura (punto a-dimensionale).
Così come i limiti della misurabilità non sono i limiti della concepiblità:
Citazione di: Eutidemo il 01 Gennaio 2022, 11:33:45 AM
Ovviamente, se ne facciamo una questione di "fisica" della misurabilità, la "forma geometrica misurabile più piccola di tutte le altre forme geometriche misurabili del suo tipo",  è un po' come "il tetto del cielo"; però è senz'altro qualcosa di logicamente concepibile "in modo necessario", poichè, visto che esiste un "quadrato misurabile più piccolo" del primo che ho concepito, uno un "più piccolo" del primo e del secondo, e così via, ne consegue che deve logicamente esistere anche un "quadrato misurabile più piccolo di tutti gli altri quadrati misurabili" (e la stessa cosa vale per quello più grande).
L'idea di «quadrato misurabile più piccolo di tutti gli altri quadrati misurabili»(cit.) non è una necessità logico-matematica (altrimenti non esisterebbe il concetto di infinito matematico), ma piuttosto un limite empirico; per la matematica la misura del lato del «quadrato misurabile più piccolo di tutti gli altri quadrati misurabili» sarà sempre concettualmente divisibile, ed è questo che dà un senso (ma non un referente empirico) al concetto di in-finito matematico.
Se con «quadrato misurabile più piccolo di tutti gli altri quadrati misurabili» ti riferisci alla finitezza delle possibilità tecniche dell'umanamente misurabile, concordo che tali "limiti pragmatici" indubbiamente esistano, tuttavia non vanno confusi con i limiti concettuali pertinenti discorsi che implicano l'infinito matematico.

Citazione di: Eutidemo il 01 Gennaio 2022, 11:33:45 AM
Ovviamente, non nego che le mie conclusioni risultino paradossali (ammesso e non concesso che poi "filino" logicamente); ma ritengo che non lo siano più delle tue.
Dove trovi paradossali le mie considerazioni di "matematica da strada"?
#887
Citazione di: Eutidemo il 31 Dicembre 2021, 14:00:28 PM
Credo che, la principale fonte di "misunderstanding" tra di noi, consista principalmente nel fatto che io distinguo tra:
- "forma geometrica infinitamente piccola", e, pertanto, "priva di dimensioni misurabili";
- "forma geometrica misurabile più piccola di tutte le altre forme geometriche misurabili del suo tipo" (ad es.i quadrati), e, pertanto, dotata di dimensioni estremamente minuscole, ma, per definizione, "misurabili".
Tu, invece, tendi a considerare le due cose come se si trattasse della stessa cosa.
La divergenza principale, oltre che quella fra "l'infinitamente piccolo" e "il più piccolo possibile", è principalmente quella fra la misurabilità e la concepibilità. Se per "forma geometrica infinitamente piccola" intendiamo quella i cui lati (o perimetro o circonferenza) hanno una misura che tende a meno infinito, parliamo in realtà o di una serie infinita di figure determinate (quadrati, cerchi o altro) inscritti uno nell'altro, all'infinito; oppure di una "pseudo figura" il cui perimetro/circonferenza misura meno infinito (quindi non è concettualmente priva di misura), che ovviamente non è una misura coincidente con un numero con cui calcolare agevolmente aree o altre caratteristiche (quindi non so quanto senso abbia chiedere quale ne sia esattamente la superficie o quanto misuri univocamente il suo perimetro). Come detto, una "forma geometrica infinitamente piccola" non può essere, né diventare, un punto almeno finché la identifichiamo con il nome di una forma e finché ha una estensione (che il punto non ha) per quanto tendente a meno infinito. D'altronde, altrimenti non avrebbe senso chiamarla, ad esempio, "cerchio infinitamente piccolo", quindi concettualmente ben distinto da uno "scarabocchio infinitamente piccolo", da una "firma infinitamente piccola", un "autoritratto infinitamente piccolo", etc. Il punto è che, almeno secondo me, l'infinitamente piccolo non significa adimensionale (tanto quanto meno infinito non è uguale a zero) ma significa avere "una" dimensione che tende a rimpicciolirsi all'infinito. Perciò non so quanto sia opportuno parlare di una forma geometrica infinitamente piccola, o se invece sia più esplicito parlarne al plurale (salvo considerare la suddetta "circonferenza che misuri meno infinito", ma non ho le minime competenze matematiche per postulare coerentemente le conseguenze di un'ipotesi del genere).
Per quanto riguarda invece la «forma geometrica misurabile più piccola di tutte le altre forme geometriche misurabili del suo tipo»(cit.), la sua esistenza cozza proprio con il concetto logico (non certo empirico) di infinito (immisurabile per definizione), ossia tale forma può esistere solo empiricamente, per limiti pratico-tecnici, ma logicamente (e con lo sviluppo di ulteriori tecniche) risulta sempre a sua volta divisibile (senza mai diventare un punto, che essendo adimensionale non può essere ottenuto dividendo il dimensionale, tanto quanto l'assenza di dimensione non si ottiene rimpicciolendo all'infinto una dimensione... altrimenti tale processo non sarebbe, appunto, "all'infinito"). Se ne facciamo una questione fisica di misurabilità, è come chiedersi quale sia l'area del quadrato più grande misurabile: «misurabile» non coincide con «logicamente/matematicamente possibile», ed in fondo in questo sta il passaggio fra la finitezza dell'uomo e dei suoi strumenti all'infinitezza delle possibilità concepibili (seppur non attualizzabili, se non con espedienti grafici come «∞» e «...», che comunque non rappresentano un'alfa privativo, anzi...).
#888
Citazione di: viator il 30 Dicembre 2021, 21:18:24 PM
Io sostengo invece che sia ipotizzabile una eccezione. Una circonferenza di raggio infinito (illimitato) risulterebbe priva di curvatura (o avente curvatura infinitesima, comunque non apprezzabile), quindi - per quanto riguarda le sue proprietà - indistinguibile da una retta.

In tal caso inoltre si godrebbe del vantaggio di togliersi di torno l'inutile complicazione di uno spazio interno da delimitarsi (Occam insegni !)............riducendo la presenza delle DUE dimensioni ad una UNIDIMENSIONALITA' geometrico-spaziale. Saluti.
Se ho bene inteso: se su un piano tracciamo una retta o una circonferenza con curvatura quasi impercettibile, dividiamo comunque il piano in due parti: dentro/fuori la curvatura, o quantomeno al di qua e al di là della (apparente) retta. La bidimensionalità rimane (garantita dal piano), così come rimane un dentro/fuori la circonferenza, con la particolarità che essendo la curvatura impercettibile non si può essere sicuri se si è nella parte del piano dentro l'infinita circonferenza o fuori dall'infinita circonferenza.
Se la "super circonferenza" contenesse tutto, avendo raggio infinito (ed essendo quindi una pseudo-circonferenza poiché l'infinito in quanto tale non ha verificabile forma propria), noi ci troveremmo allora nella bidimensionalità dell'area al suo interno, potendo tracciare il perimetro del nostro orticello o quello del nostro parcheggio riservato.
#889
@viator
[Grazie per l'apprezzamento] Una circonferenza, per esser tale, deve racchiudere uno spazio, un'area; in tale area è sempre (almeno concettualmente) possibile disegnare un'altra circonferenza o un perimetro poligonale che racchiuda una parte di quello spazio, come fosse un sottoinsieme.


@iano
[Grazie anche a te] Non colgo la possibilità dell'area uguale a zero: per avere l'area uguale a zero dovremmo non avere né perimetro, né raggio, né altre forme chiuse di riferimento (che inevitabilmente, con la loro estensione, renderebbero l'area diversa da 0); direi, da profano, che ha area zero solo "la figura che non c'è" (che sia come "l'isola che non c'è" di Peter Pan?).
#890
Mi unisco volentieri ai ringraziamenti per la premura dedicata alla gestione del forum.
#891
@Eutidemo

Secondo me, l'adimensionalità del punto serve euristicamente per scongiurare il regresso all'infinito e l'infinita divisibilità di zenoniana memoria; cercare quindi di dare una forma e una dimensione al punto, significa riaprire il problema per la cui chiusura (o meglio, "toppa logica") è stata redatta ad hoc la definizione standard di «punto». Più che un elemento geometrico il punto è un concetto-tampone, o per dirlo meglio, un assioma che rende completa e coerente la matematica, ma che da essa non è spiegato (come sempre capita agli assiomi). Sarebbe un po' come chiedersi quanto è spessa una linea (segmento, retta o altro), se essa è "erta" un punto o due punti o infiniti punti, perché se la vediamo non può essere monodimensionale e priva di larghezza come ce la racconta la sua definizione; è tuttavia un domandare che chiede ad un assioma di dimostrare se stesso all'interno del sistema che esso fonda, dimostrazione impossibile perché la sua definizione è ciò che dà senso alla logica del sistema stesso.
Provando a restare nella logica matematica, riprendo alcune questioni del "sogno":

«un cerchio infinitesimamente piccolo non sarebbe altro che un "punto"?»(cit.).
Direi di no, un cerchio per definizione non è un punto, nemmeno se lo pensiamo infinitamente piccolo, perché esso avrà comunque un centro, rappresentato da... un punto; dunque anche il cerchio infinitesimamente piccolo ha pur sempre una circonferenza che è una linea e un centro che è un punto mentre il punto, sempre per definizione, non ha né perimetro, né area, né centro.

«potremmo anche dedurne che una "forma geometrica infinitamente piccola" non è logicamente concepibile; questo perchè, visto che una "forma" comporta necessariamente delle "dimensioni", e visto che ciò che è infinitamente piccolo non ha "dimensioni", ne consegue che ciò che è infinitamente piccolo non può avere nessuna "forma"!»(cit.).
Una forma infinitamente piccola non è empiricamente riscontrabile ma resta logicamente concepibile, soprattutto nel momento in cui diamo a tale forma un nome che ne contiene la definizione: se dico «quadrato infinitamente piccolo» so già che tale forma avrà quattro lati uguali, quattro angoli retti, etc. a prescindere da quanto sia grande (so com'è, pur non sapendo, per limiti empirici, disegnarne uno).

«Ma quale sarebbe questo "piccolissimo" quadrato? Quale sarebbe la sua area?»(cit.)
La sua area si otterrà elevando al quadrato la misura del lato poiché, per quanto piccolissimo, per esser un quadrato, ne avrà comunque una; infatti non ha senso parlare di "quadrato infinitamente piccolo", ma piuttosto di quadrati infinitamente piccoli, poiché ogni quadrato, in quanto tale, può contenerne uno minore al suo interno (in una serie infinita di "quadrati matrioska"). Se usiamo il singolare, «quadrato infinitamente piccolo», rendiamo finito l'infinito, come se dicessimo che tale quadrato non può contenerne altri, ma finché è un quadrato avrà una sua area e all'interno di tale area sarà sempre logicamente possibile inscrivere un quadrato più piccolo.

«Ed infatti qualsiasi area di quadrato (di cerchio ecc.) può essere concettualmente soggetta ad una "reductio ad infinitum"; nel qual caso diventa un "punto"...cos'altro, sennò?»(cit.)
Un'area non può mai diventare un punto, né per le rispettive definizioni, né perché logicamente nessuna forma può diventare un punto, anche se empiricamente qualunque forma estremamente piccola (o estremamente lontana) può sembrarci un punto.
Il punto sta proprio a simboleggiare la "reductio ad infinitum" come possibilità logica, ma non come forma matematica, similmente come avviene, mutatis mutandis, con i puntini di sospensione nella lingua scritta: nessuna parola diventa puntini di sospensione, ma i puntini di sospensione stanno a simboleggiare un proseguimento che non viene esplicitato (così come non viene esplicitata, essendo inesplicitabile, l'infinita divisibilità logica dello spazio).

«D'altronde, anche qualunque "segmento" può essere accorciato all'infinito nel qual caso diventa un "punto" pure lui: per cui si potrebbe definire il punto come un infinitesimo di segmento.»(cit.)
Nemmeno un segmento può diventare un punto, poiché il segmento è per definizione la linea che unisce due punti, quindi, logicamente, per quanto piccolo, avrà sempre due punti alle sua estremità, sarà sempre divisibile in due semi-segmenti e così via...
#892
Attualità / BUON NATALE A TUTTI!
27 Dicembre 2021, 11:47:49 AM
Il Natale, nel suo essere componente culturale, rappresenta uno di quei "giochi di società" in cui tutti, non solo i capitalisti, "vincono" (seppur per differenti motivi), "giochi" meglio noti come «festa», vantaggiosi al punto che diventa irrilevante quanta verità ci sia alla base, se il fondamento è davvero quello che ci racconta la tradizione nostrana o sia solo una dissimulata postverità; ciò che socialmente conta è avere un pretesto per attuare pratiche vantaggiose (economicamente, psicologicamente, etc.). Siamo di fatto (in) una "società dei pretesti e degli effetti", più che (in) una società della verità e delle "cause prime". In ciò il postmoderno ha avuto la sua più palese, seppur talvolta inconsapevole, efficacia di disseminazione, al punto da cessare di essere motore di disincanto e sovversione, annullandosi nel suo diventare attualità diffusa, cultura che sta al suo stesso gioco per il beneficio degli effetti del gioco, non per la Verità delle regole del gioco o per la sacralità dei fondamenti del gioco.
Come accennato da Niko, spesso si festeggia il Natale perché "così si usa", "così dice la nostra cultura", "così abbiamo ferie e regali", etc. con quel «così» ad indicare quanto sia di primaria importanza l'effetto, non la causa, la convenienza del risultato, non l'autentica verità del pretesto. Indubbiamente c'è anche chi crede nella verità del movente culturale (sia esso agro-astronomico o teologico), nel Senso della festività, a prescindere dalle modalità di festeggiamento, e proprio questa eterogenesi dei fini che unisce nel medesimo festeggiamento credenti e non, sotto il segno di Babbo Natale, di Gesù Cristo, del solstizio, della diatriba panettone/pandoro, etc. è un affresco postmoderno-contemporaneo che raffigura giocatori intenti in differenti giochi, pur stando seduti allo stesso tavolo a scambiarsi reciproci cenni d'intesa (e d'auguri).
#893
Tematiche Filosofiche / La scommessa di Pascal
12 Dicembre 2021, 21:31:30 PM
@Ipazia
Oggi la scommessa pascaliana ha senso perlopiù per chi ha già scommesso sul montepremi più ricco (almeno a sentire quanto dice "il banco"). D'altronde, lo stesso Pascal con il suo «Adoperatevi, dunque, a convincervi non già con l'aumento delle prove di Dio, bensì mediante la diminuzione delle vostre passioni» e parlando poco dopo di «vous abêtira», è stato piuttosto lapidario circa il rapporto fede/ragione, rapporto che, più di tre secoli dopo, ha assunto connotati che rendono la scommessa non tanto basata sul calcolo delle probabilità di vincita, ma sul calcolo dei benefici esistenziali da incassare con cedola periodica nell'al di qua (per chi sente il bisogno di avere tali rendite; bisogno che si intensifica solitamente con l'avanzare dell'età, quando si torna a voler scommettere). Per chi invece non crede nel pinguino reale che abita nel garage del vicino di casa, non ha molto senso chiedersi quante siano le probabilità che la protezione animali possa arrivare prima che il pinguino muoia di fame (soprattutto finché l'effettiva esistenza del pinguino resta infalsificabile...).
#894
Tematiche Filosofiche / Re:La scommessa di Pascal
12 Dicembre 2021, 18:37:09 PM
Citazione di: iano il 12 Dicembre 2021, 17:36:52 PM
Direi che l'unica scommessa da evitare è dunque di puntare tutto su se stessi, che banalmente equivale poi alla coscienza di essere animali sociali.
Puntare sul proprio essere animale sociale, in fondo, non è nemmeno una scommessa, ma una certezza, ben oltre il "vincere facile". La "diversificazione religiosa" mi ha fatto tornare in mente questa scena di un vecchio film (che senza i sottotitoli appare assai più sarcastica di quanto vorrebbe essere...).

@Niko
Non a caso ho scritto che una vita «per quanto lunga e prospera non è quantitativamente né qualitativamente paragonabile all'infinito gaudio paradisiaco»(autocit.): alla qualità del nostro tempo-vita possiamo attribuire certamente un valore soggettivo, ma Pascal, da buon matematico, ne fa anche (se non soprattutto) una questione quantitativa, di durata temporale. Certamente si può anche non "stare al gioco" proposto di Pascal, o prenderne le distanze per le sue inconsistenze e le sue "faziosità", ma filologicamente è corretto almeno inquadrarlo nel suo contesto culturale, sicuramente molto differente dal nostro (in cui persino la domanda «quale Dio?» è molto meno scontata che ai suoi tempi, ma non possiamo fargliene una colpa).
#895
Tematiche Filosofiche / La scommessa di Pascal
12 Dicembre 2021, 13:27:43 PM
Mi permetto di rivedere lo schema di Alexander considerando che c'è pur sempre una puntata in gioco (chiamiamola «V»), ossia il nostro stile di vita, comprese le nostre rinunce per aderire ai dettami della religione anche quando non ci piace farlo (come già osservato da Niko); tutta la nostra condotta morigerata viene messa sul piatto scommettendo che sia un buon "investimento"; dunque:
Dio esiste ed io ci ho creduto: +∞ (ho guadagnato l'infinta gioia nel paradiso)
Dio non esiste ed io ci ho creduto: -V (tutti i sacrifici sono stati vani, avrei potuto spassarmela di più e non ho vinto nulla)
Dio esiste ed io non ci ho creduto : -∞ (ho perso la gioia infinita e mi tocca la dannazione eterna)
Dio non esiste ed io non ci ho creduto: +V (non ho puntato su Dio, ho evitato di fare sacrifici, e ho guadagnato una vita edonistica)

Risulta chiaro dallo schema, che se punto su Dio ottengo +∞ o -V, mentre se non ci credo ottengo -∞ o +V; ovviamente una vita (V) per quanto lunga e prospera  non è quantitativamente né qualitativamente paragonabile all'infinito gaudio paradisiaco, per questo Pascal ci suggerisce di puntare su Dio. Sembrerebbe che ci dica: se punti 5 centesimi su Dio puoi vincere un bancomat con credito illimitato o perdere i 5 centesimi; se non punti i 5 centesimi su Dio, non li perdi, ma eviti anche di vincere un bancomat con credito illimitato (e forse ottieni "illimitato rimpianto"). Il punto cruciale è che tuttavia non si tratta di puntare 5 centesimi, bensì tutta la nostra vita (che è tutto ciò che siamo/abbiamo), per cui la scommessa reale è: se punti tutto ciò che hai, puoi vincere un un bancomat con credito illimitato, ma se perdi, perdi tutto ciò che hai (se ogni gioco d'azzardo richiedesse di puntare tutti i propri beni in un colpo solo, probabilmente il gioco d'azzardo si sarebbe già estinto, o si sarebbero quantomeno estinti tutti i suoi giocatori, almeno se il guadagno fosse proporzionale alla puntata e quindi anche ai poveri non converrebbe puntare quel poco che hanno).
Va poi soprattutto considerato che non si tratta affatto di una scommessa del tipo testa/croce, 50/50: trattandosi di esistenza, per stimare le probabilità diventano rilevanti prove, indizi, deduzioni, etc. Banalizzando: le probabilità che nel garage del mio vicino (a cui non posso accedere), posto sicuramente freddo e da cui mi pare di aver sentito spesso dei rumori, ci sia un pinguino reale, non sono esattamente del 50% (soprattutto considerando che siamo in Italia) e se mi si chiedesse di puntare tutti i miei averi per ottenere il famoso bancomat con credito illimitato qualora il pinguino ci sia davvero, ma perdere tutto se il pinguino non c'è, personalmente scommetterei sull'assenza del pinguino e mi terrei i miei (pochi) averi.
Inoltre, molto marginalmente e lasciando da parte i pinguini, una falla strutturale della scommessa pascaliana è che non c'è garanzia della verifica dell'esito finale, nel senso che, se Dio non esiste, quando l'uomo non credente muore non saprà di aver vinto, così come l'uomo credente non saprà di aver perso.

Per onestà intellettuale, va comunque notato che il credere nel Dio cattolico oggi non comporta fustigarsi con il cilicio o andare a morire in terra santa, anzi, alcuni cardini della morale cattolica fanno ormai parte della legislazione vigente e anche di molte prospettive atee, per cui il sacrificio di una "vita da cattolico" non è una totale alienazione dalla società e da ogni forma di piacere; rivalutando quindi la scommessa di Pascal in "valuta corrente" è certo meno "onerosa" che nel diciassettesimo secolo (per quanto resti ancora poco probabile che un pinguino si aggiri davvero nel garage del mio vicino...).


P.s.
Chiaramente il buon Pascal è figlio del suo tempo, quindi quando parla di un dio è condizionato dalla sua cultura d'appartenenza (non pensa ad un dio "in generale"), per quanto nei suoi Pensieri dimostri di aver ben chiaro cosa siano il prospettivismo (Pensieri, 47), i limiti della ragione, la forza dell'abitudine («abêtir» deriva da «bête»1, ossia «bestia», forse lo usa nel senso di "addomesticarsi" tramite l'abitudine, proprio come è la ripetizione dei gesti che addomestica gli animali, non la loro intrinseca "razionalità"; v. anche Pensieri, 140), etc. tutti aspetti che, coniugati con la sua lucidità da matematico, potrebbero allontanarlo dal feticismo ingenuo di una credenza in un dio definito, ma nondimeno lo confermano fulgido esempio dello scienziato che non sa/può/vuole lanciare la propria razionalità oltre l'horror vacui del "mistero" della morte.

1Non senza una certa ironia linguistica, la pronuncia di «bête» in francese è simile a quella di «bet» in inglese che significa... scommessa.
#896
Tematiche Filosofiche / Il paradosso delle due ruote
11 Dicembre 2021, 16:58:26 PM
Per ottenere una traccia percepibile dello slittamento della ruota piccola, che non avviene in quella grande, se non si dispone di un "timbro rotante" (rivisitando quanto scritto da iano: il timbro grande stamperebbe esattamente le proprie lettere, quello piccolo le deformerebbe, allungandole nel venir trascinato), si potrebbero attaccare degli aghi identici sulle due circonferenze e poi farle scorrere su due nastri di carta: la circonferenza maggiore, quella che tocca il tavolo, dovrebbe lasciare una traccia di buchi precisi, mentre la circonferenza minore, scorrendo sul nastro sospeso sopra il tavolo, dovrebbe tendere a strappare il nastro, lasciando dei buchi "allungati" per l'effetto "traslazione" (quanto più la differenza fra le due circonferenze è elevata, tanto più l'effetto di traslazione della minore risulterà evidente).
#897
Tematiche Filosofiche / Il paradosso delle due ruote
11 Dicembre 2021, 12:29:15 PM
Come osservato da tuo figlio «Il rotolamento puro è quello per cui il punto di contatto con il terreno è sempre il centro di istantanea rotazione, nel caso del tuo video questo punto coincide con il punto di contatto tra la ruota grande e la retta, visto che le due ruote di muovono solidali, quello sara anche il centro di Istantanea rotazione della ruota piccola, quindi la ruota piccola non può muoversi di puro rotolamento perché il centro di istantanea rotazione non coincide con il suo punto di contatto sulla retta»(cit.).
Ossia: la circonferenza piccola ruota concentricamente a quella grande, ma è la grande ad avere una rotazione con "presa meccanica" sul piano, mentre quella piccola viene trascinata da quella grande, ruotando ma non come ruoterebbe se fosse lei a determinare la rotazione toccando direttamente il piano. Per rendere più lampante come la rotazione della circonferenza minore sia "trascinata" (come se scivolasse anziché far presa sulla superficie d'appoggio), prova ad usare due circonferenze molto differenti l'una dall'altra (una di raggio 1 cm e una di raggio 20 cm, ad esempio) e noterai che la circonferenza minore rotola e al contempo trasla, mentre la maggiore rotola senza traslare (facendo presa sul piano).
Un'ulteriore prova empirica potrebbe essere: appoggia il tappo sul bordo del tavolo (tenendo il barattolo fuori dal tavolo) e fai compiere al tappo un giro completo (percorrerai lo spazio esatto della sua circonferenza); se invece appoggi il barattolo sul tavolo (e il tappo resta sospeso) percorrerai una lunghezza uguale alla circonferenza maggiore. Lo spazio percorso dopo un giro, dipende da quale delle due circonferenze ha realmente contatto sul piano, quella "sospesa" o "inscritta" non percorre la propria circonferenza, ma percorre, "traslando", la lunghezza della circonferenza che ha attrito sul piano.
#898
Tematiche Filosofiche / Il paradosso delle due ruote
09 Dicembre 2021, 20:00:22 PM
Citazione di: Eutidemo il 09 Dicembre 2021, 14:51:09 PM
Ora, poniamo che la ruota di colore blu impieghi circa 10 secondi (10,305) per compiere il tratto di 10 metri da A a B, denominato tratto n°1, quanto tempo impiegherà la ruota di colore grigio per compiere il tratto 2, che è lungo anch'esso esattamente 10 metri?
Intuitivamente verrebbe da rispondere metà del tempo!
Per calcolare il tempo, "intuitivamente" manca un'informazione fondamentale, ossia la velocità, in questo caso intesa anche come velocità angolare: se pensiamo ad un tronco che rotola, la circonferenza esterna è di dimensioni maggiori ma gira più lentamente, quella interna è minore ma gira più velocemente; detto diversamente: una ruota piccola per percorrere lo stesso spazio nello stesso tempo di una ruota grande, deve compiere più giri. Non colgo il paradosso; forse se consideriamo la circonferenza minima possibile, quella del punto centrale di tutte le circonferenze concentriche, ci imbattiamo in paradossi matematici dovuti alla dimensione del centro in quanto punto di dimensioni indefinite (o meglio, privo di dimensione) da rapportare a dimensioni finite (i 10 metri da percorrere).
#899
Tematiche Filosofiche / Metafisica del coronavirus
08 Dicembre 2021, 17:52:16 PM
Per quei due spicci che vale la mia opinione, nell'accostare (o solo mettere nello stesso campo semantico) eugenetica nazista e vaccinazione, senza ricordare finalità dell'una e finalità dell'altra, metodi dell'una e metodi dell'altra, sperimentalità dell'una e sperimentalità dell'altra, etc. per me non si "onora" alcuna "vocazione filosofica" né si rispetta alcuna contestualizzazione storica, ma si trascende la fattualità di una discussione politica, prima che medica, per agitarsi (e far agitare) con lo spauracchio della "reincarnazione dei nemici dei tempi andati", quasi ci fosse la nostalgia di dover lottare contro mostri possenti per avere carne sostanziosa da mettere al fuoco nei propri discorsi.
Purtroppo, a dispetto del voler sbrigare la complessità facendo appelli alle emozioni, fuori da ogni inopportuna "reductio ad Hitlerum", le criticità e i dubbi sulla gestione del Covid, quelli legittimi e non pindarici, ci sono (magari a partire dal suo timido accenno alla bassa mortalità, ma il discorso sarebbe poi diventato pericolosamente molto meno ad populum, quindi meglio citare Levi...), criticità che richiedono una riflessione ben differente dall'assumere un tono laocoontico per ammonire i senatori con un velleitariamente profetico «ricordatevi del nazismo...». La "discriminazione" (parola che un filosofo dovrebbe potrebbe usare anche con accezione diversa da quella di un qualunque blogger allarmista) verso i "no-vax" andrebbe poi spiegata, se non fosse quasi dileggio, con la discriminazione verso i "no-casco" che vogliono guidare la loro moto come preferiscono (al grido «libertà!») perché «in fondo chi ha già il casco non deve temere nulla» (se si vede del nazismo in ogni regola che condiziona l'agire umano individuale in una società, diventa difficile pensare politicamente in democrazia, salvo considerare la polis solo un accordo passeggero sotto il motto "mal comune, mezzo gaudio"). Ogni "conseguente" (solo retoricamente, non certo logicamente) appello alla società, all'umanità, etc. perde automaticamente di credibilità se prima si sorvola gaiamente sulla differenza, non certo sottile, fra le politiche sanitarie in un lager e quelle in una democrazia, per quanto discutibili e criticabili (tuttavia non per questo si potrebbe affermare, seguendo il pendio della suddetta disinterpretazione della storia, che poiché nei lager si faceva la fila per la mensa, allora le attuali mense aziendali devono invece avere un cameriere, perché noi oggi dobbiamo esser mossi dall'anelito ad essere più "umani" dei nazisti).
#900
Attualità / Re:Studentessi, gonne e vecchi professori
04 Dicembre 2021, 17:31:47 PM
Non frequento direttamente il mondo di ragazzi e adolescenti, ma ho l'impressione che vivano (per connubio di malleabilità giovanile e sovrastimolazione mediatica) una dimensione "ipersemantica", in cui la manifestazione plateale, il gesto simbolico, il "messaggio forte", a volte prendono il sopravvento sulla valutazione della strategia comunicativa, sul considerare l'interlocutore, sulla pertinenza del "contenuto" del gesto, sull'impatto su ciò che si vuole concretamente ottenere, etc. tutti aspetti cruciali sui cui arrancano goffamente anche moltissimi adulti, ovviamente, sebbene anche per motivi differenti dalla fascinazione verso lo "statement".
In ogni gruppo di manifestanti, in generale, ci sono sempre "la pecora", il giocherellone, l'indeciso che "accompagna l'amico", l'approfittatore, quello che "ci crede veramente", etc. tuttavia per saggiarne le motivazioni reali basta solitamente parlarci (ossia "interrogarli", per dirla scolasticamente): quel docente ha magari perso un'occasione per un dialogo socratico sulle usanze contemporanee, fra "corruzione dei costumi" e "attivismo giovanile", o forse conosceva così bene il manipolo di manifestanti da sapere che sarebbe stato un dialogo sterile, o forse non voleva dare un seguito a quello che ha ritenuto un gesto inopportuno al contesto, preferendo opporvisi con fermezza (come ha dichiarato ufficialmente, se non sbaglio).

Secondo me una domanda da porsi è: sotto la gonna di quei ragazzi, sotto il "messaggio forte", c'è solo un gesto simbolico, un goliardico protagonismo, o anche una seria convinzione di quegli ideali che automaticamente (e retoricamente) vengono attribuiti a quel gesto? Nel primo caso, in fondo, non ci sarebbe niente di anomalo (vista l'età); nel secondo, il passo successivo è chiedersi quanto valga "pragmaticamente" un gesto del genere e se ci sia una conseguenza reale che vada oltre la ritualità simbolica di una determinata giornata dedicata a un tema/problema.
Su questa "sensibilizzazione semel in anno", credo che la «festa della donna» abbia già una storia piuttosto eloquente, al punto che gli sono poi state affiancate altre "date simboliche" come quella in questione... magari un domani oltre alle mimose per l'8 marzo, si venderanno anche le "gonne da uomo" per il 25 novembre, gonne che probabilmente dureranno meno di una mimosa e tanto quanto la loro ripercussione sociale, temo (non so quanti maschi violenti si siano ricreduti osservando scarpette rosse in piazza, forse le iniziative più efficaci in cui impegnarsi sono un po' più complicate e meno simboliche... e se consideriamo le dinamiche antropologiche di "espiazione sociale", esorcizzazione simbolica, "pinkwashing", etc. non è nemmeno ovvio che un gesto simbolico sia "comunque meglio di niente").