Le differenze non devono necessariamente essere percepite come negative soprattutto, come nel caso delle tradizioni spirituali sorte nella cultura indiana, se non sono causa di contrapposizioni violente. Per questo non direi che la visione sia 'dogmatica' come la intendiamo in senso monoteistico, ma dialettica. Mi sembra addirittura di ricordare che, per secoli, fino all'invasione mussulmana dell'India, scuole buddhiste e brahmaniche spesso studiavano sotto lo stesso tetto, come per es. nell'università di Nalanda. dove tra l'altro si trova lo stupa dove sono sepolto.
Pensiamo poi come la fervida fantasia indiana abbia inglobato la figura stessa del Buddha nel suo ricco pantheon, ritenendolo un avatar di Vishnu come Rama e Krshna e 'neutralizzando' la teoria dell'anatta in modo inverosimile...Nel crogiuolo hindu ogni visione spirituale viene rispettata, ammirata...il mito del guru, del maestro che ti indica la Via è onnipresente e pervasivo ...quasi non importa il fondamento filosofico di quel che insegni, se sei un guru sei sicuramente nel giusto ( con tutti gli squallidi abusi che poi si concretizzano praticamente e socialmente...).
Ben diverso è il carattere dogmatico dei monoteismi abramitici che crea mondi separati, violente contrapposizioni, incomprensioni e rigetti totali, financo arrivare alle persecuzioni e alla guerra...eppure tutti e tre adorano fondamentalmente lo stesso concetto di Dio
...
E come nei monoteismi ci sono differenze così le ritroviamo nell'alveo della cultura indiana sorta sui Veda e che ha visto nel Dhamma buddhista il primo sforzo di smarcamento da essa e dalla sua cultura, 'cristallizzante' la società, basata sulle caste. Il buddhismo , da subito, si viene a configurare come una religione universalistica, che sa parlare e adattarsi a molteplici culture , arrivando a permearle in profondità , come nel caso della Cina, del Giappone e dell'intero sud-est asiatico, mentre il neo-brahmanesimo rimane confinato ad una forma di spiritualità fortemente su base etnica e le sue scorribande in giro per il mondo spesso si riducono a palestre yoga per casalinghe stressate e con la cellulite...
Il buddhismo ha un carattere di apertura che manca a molte tradizioni religiose e questo , nel bene e nel male, lo sta facendo apprezzare molto al di là dei confini in cui si è sviluppato.
Le differenze sul concetto di 'assoluto' ci sono , tra buddhismo e advaita vedanta e , a mio modesto parere, non sono nemmeno superficiali, o marginali o semplicemente di linguaggio.
Dobbiamo considerare, sempre tendendo presente le differenze di punto di partenza già citate da @Apeiron, che nel Vedanta l'assoluto/brahman è satchitananda, ossia essere-conoscenza-beatitudine ( oceano dei poteri di saggezza) mentre l'assoluto buddhista o Nirvana è impersonale e privo di qualunque definizione e non è uno stato estatico. Questa differenza riflette la differenza nella pratica meditativa delle due tradizioni: la pratica vedanta cerca l'unione con l'assoluto che è Dio/personalizzazione di satchitananda e ritiene che questa si realizza compiutamente nell'estasi in cui sparisce la concezione erronea dell'io/mio e ci si 'immerge' in questo oceano di beatitudine consapevole. Il buddhismo ritiene questi stati, erroneamente identificati come unione col sacro, impermanenti e inefficaci in ultima analisi per trascendere lo stato di sofferenza in modo definitivo, che si ottiene solamente con la visione profonda del carattere impermanente, doloroso e privo di un sé di ogni cosa ( compresi quindi gli stati estatici così importanti per il vedantino...). Per il Buddha il Nirvana non è un essere e non è beatitudine sensibile. La differenza non è di poco conto perché una, quella vedanta, porta alla visione di un assoluto che è Dio, che quindi è un 'essere' dotato di esistenza intrinseca e da cui, a cascata, come una immensa fioritura sbocciano innumerevoli forme del divino; l'altra ad uno stato di libertà non definibile in categorie concettuali di teismo o a-teismo ma solo per via negativa come superamento di tutto ciò che, essendo impermanente, ci lega al carro della sofferenza.
Banalizzando si potrebbe riassumere con: una cerca l'unione col divino; l'altra lo ignora, pur non essendo atea, semplicemente ritiene che il Nirvana sia più assoluto di qualunque Dio e infatti, nei sutta, spesso appaiono le raffigurazioni di questi dei che vengono ad ascoltare il Buddha, per sfuggire anch'essi alla sofferenza di essere un dio...
Il Buddha insiste spesso nel mettere in guardia contro la tendenza della mente a opporre coppie di opposti, come esistenza e non-esistenza. Questa tendenza dà grande soddisfazione alla mente e questo rafforza l'adesione/attaccamento a essi. Per questo Siddhartha soleva ripetere che solitamente gli uomini si basano sul dualismo. Non mi stupisce quindi che anche il Nirvana si tenti di concepirlo secondo questa logica di contrapposizione: assoluta esistenza o assoluta non-esistenza. Ma i rigidi concetti dell'esistenza e dell'inesistenza non possono esprimere adeguatamente la natura dinamica della realtà. E tanto meno possono essere applicati al Nibbana, definito da Siddhartha come lokuttara (trascendente) e atakkavacara (oltre ogni pensiero concettuale)...
Non sorprende nemmeno quindi che , presi da questa tendenza a contrapporre, a volte si definisca il Nibbana come non-esistenza ( soprattutto all'inizio della sua penetrazione in Occidente che ha portato molti a definire il buddhismo come una dottrina nichilistica...), e altre volte in senso di esistenza , interpretato quindi alla luce di nozioni filosofiche e religiose già conosciute, quali "puro essere", "pura coscienza", "pura identità" o in base a qualche altro concetto metafisico.
Alcune scuole buddhiste, di fronte all'elusività del Nibbana, a loro volta cadevano in questa mania di contrapporre e così troviamo i sautantrika che favorivano un'interpretazione negativa e invece le scuole mahayana delle 'Terre di buddha', del Buddha Primordiale, del Tathagatagarbha, che favorivano un'interpretazione positiva o metafisica.
Non è sempre facile evitare questi due punti di vista opposti dell'esistenza e della non-esistenza e lo vediamo , nel nostro piccolo, anche in questa riflessione sul forum...
Ricordiamoci sempre che il Nibbana, nel pensiero del Buddha, è identificato con la terza nobile verità, cioè con la Cessazione del dolore. Mi sembra che spesso molti, anche tra i buddhisti, se lo dimentichino...
Questa discussione aperta da @acquario è iniziata proprio dal fondamentale prerequisito per accostarsi e interessarsi al Dhamma buddhista e cioè la profonda percezione che il problema da risolvere è legato alla sofferenza dell'esistenza. Compresa a fondo la prima nobile verità, quella della sofferenza, abbiamo una prima intuizione anche della terza...
« Di ogni oggetto che a una causa deve la sua esistenza, il Tathagata la causa ha spiegato, e di questo oggetto ha spiegato anche la fine. Questa è la dottrina del Grande Asceta "
Questa è la formula tradizionale, ancora usata, per indicare gli insegnamenti del Buddha e che Assaji recitò a Sariputra/Upatissa nei pressi di Rajagaha e che lo convinse a seguire Gotama Siddhartha...

Pensiamo poi come la fervida fantasia indiana abbia inglobato la figura stessa del Buddha nel suo ricco pantheon, ritenendolo un avatar di Vishnu come Rama e Krshna e 'neutralizzando' la teoria dell'anatta in modo inverosimile...Nel crogiuolo hindu ogni visione spirituale viene rispettata, ammirata...il mito del guru, del maestro che ti indica la Via è onnipresente e pervasivo ...quasi non importa il fondamento filosofico di quel che insegni, se sei un guru sei sicuramente nel giusto ( con tutti gli squallidi abusi che poi si concretizzano praticamente e socialmente...).
Ben diverso è il carattere dogmatico dei monoteismi abramitici che crea mondi separati, violente contrapposizioni, incomprensioni e rigetti totali, financo arrivare alle persecuzioni e alla guerra...eppure tutti e tre adorano fondamentalmente lo stesso concetto di Dio

E come nei monoteismi ci sono differenze così le ritroviamo nell'alveo della cultura indiana sorta sui Veda e che ha visto nel Dhamma buddhista il primo sforzo di smarcamento da essa e dalla sua cultura, 'cristallizzante' la società, basata sulle caste. Il buddhismo , da subito, si viene a configurare come una religione universalistica, che sa parlare e adattarsi a molteplici culture , arrivando a permearle in profondità , come nel caso della Cina, del Giappone e dell'intero sud-est asiatico, mentre il neo-brahmanesimo rimane confinato ad una forma di spiritualità fortemente su base etnica e le sue scorribande in giro per il mondo spesso si riducono a palestre yoga per casalinghe stressate e con la cellulite...
Il buddhismo ha un carattere di apertura che manca a molte tradizioni religiose e questo , nel bene e nel male, lo sta facendo apprezzare molto al di là dei confini in cui si è sviluppato.
Le differenze sul concetto di 'assoluto' ci sono , tra buddhismo e advaita vedanta e , a mio modesto parere, non sono nemmeno superficiali, o marginali o semplicemente di linguaggio.
Dobbiamo considerare, sempre tendendo presente le differenze di punto di partenza già citate da @Apeiron, che nel Vedanta l'assoluto/brahman è satchitananda, ossia essere-conoscenza-beatitudine ( oceano dei poteri di saggezza) mentre l'assoluto buddhista o Nirvana è impersonale e privo di qualunque definizione e non è uno stato estatico. Questa differenza riflette la differenza nella pratica meditativa delle due tradizioni: la pratica vedanta cerca l'unione con l'assoluto che è Dio/personalizzazione di satchitananda e ritiene che questa si realizza compiutamente nell'estasi in cui sparisce la concezione erronea dell'io/mio e ci si 'immerge' in questo oceano di beatitudine consapevole. Il buddhismo ritiene questi stati, erroneamente identificati come unione col sacro, impermanenti e inefficaci in ultima analisi per trascendere lo stato di sofferenza in modo definitivo, che si ottiene solamente con la visione profonda del carattere impermanente, doloroso e privo di un sé di ogni cosa ( compresi quindi gli stati estatici così importanti per il vedantino...). Per il Buddha il Nirvana non è un essere e non è beatitudine sensibile. La differenza non è di poco conto perché una, quella vedanta, porta alla visione di un assoluto che è Dio, che quindi è un 'essere' dotato di esistenza intrinseca e da cui, a cascata, come una immensa fioritura sbocciano innumerevoli forme del divino; l'altra ad uno stato di libertà non definibile in categorie concettuali di teismo o a-teismo ma solo per via negativa come superamento di tutto ciò che, essendo impermanente, ci lega al carro della sofferenza.
Banalizzando si potrebbe riassumere con: una cerca l'unione col divino; l'altra lo ignora, pur non essendo atea, semplicemente ritiene che il Nirvana sia più assoluto di qualunque Dio e infatti, nei sutta, spesso appaiono le raffigurazioni di questi dei che vengono ad ascoltare il Buddha, per sfuggire anch'essi alla sofferenza di essere un dio...
Il Buddha insiste spesso nel mettere in guardia contro la tendenza della mente a opporre coppie di opposti, come esistenza e non-esistenza. Questa tendenza dà grande soddisfazione alla mente e questo rafforza l'adesione/attaccamento a essi. Per questo Siddhartha soleva ripetere che solitamente gli uomini si basano sul dualismo. Non mi stupisce quindi che anche il Nirvana si tenti di concepirlo secondo questa logica di contrapposizione: assoluta esistenza o assoluta non-esistenza. Ma i rigidi concetti dell'esistenza e dell'inesistenza non possono esprimere adeguatamente la natura dinamica della realtà. E tanto meno possono essere applicati al Nibbana, definito da Siddhartha come lokuttara (trascendente) e atakkavacara (oltre ogni pensiero concettuale)...
Non sorprende nemmeno quindi che , presi da questa tendenza a contrapporre, a volte si definisca il Nibbana come non-esistenza ( soprattutto all'inizio della sua penetrazione in Occidente che ha portato molti a definire il buddhismo come una dottrina nichilistica...), e altre volte in senso di esistenza , interpretato quindi alla luce di nozioni filosofiche e religiose già conosciute, quali "puro essere", "pura coscienza", "pura identità" o in base a qualche altro concetto metafisico.
Alcune scuole buddhiste, di fronte all'elusività del Nibbana, a loro volta cadevano in questa mania di contrapporre e così troviamo i sautantrika che favorivano un'interpretazione negativa e invece le scuole mahayana delle 'Terre di buddha', del Buddha Primordiale, del Tathagatagarbha, che favorivano un'interpretazione positiva o metafisica.
Non è sempre facile evitare questi due punti di vista opposti dell'esistenza e della non-esistenza e lo vediamo , nel nostro piccolo, anche in questa riflessione sul forum...
Ricordiamoci sempre che il Nibbana, nel pensiero del Buddha, è identificato con la terza nobile verità, cioè con la Cessazione del dolore. Mi sembra che spesso molti, anche tra i buddhisti, se lo dimentichino...
Questa discussione aperta da @acquario è iniziata proprio dal fondamentale prerequisito per accostarsi e interessarsi al Dhamma buddhista e cioè la profonda percezione che il problema da risolvere è legato alla sofferenza dell'esistenza. Compresa a fondo la prima nobile verità, quella della sofferenza, abbiamo una prima intuizione anche della terza...

« Di ogni oggetto che a una causa deve la sua esistenza, il Tathagata la causa ha spiegato, e di questo oggetto ha spiegato anche la fine. Questa è la dottrina del Grande Asceta "
Questa è la formula tradizionale, ancora usata, per indicare gli insegnamenti del Buddha e che Assaji recitò a Sariputra/Upatissa nei pressi di Rajagaha e che lo convinse a seguire Gotama Siddhartha...
