Socrate78, le tue considerazioni sono viziate dall'errore espresso dalla frase "essendo Dio, per definizione, onnisciente".
Dici "per definizione", ovvero per deduzione puramente logica a partire dal concetto di Essere supremo.
Certo non per induzione dalla realtà...
Ma comunque ciò che si deduce poi deve essere confrontato con il reale, e se da tale confronto ne viene fuori una contraddizione plateale bisogna avere l'onestà di rigettare le proprie tesi, mentre tu ti accodi alla storia della teologia che è la somma dei tentativi di reinterpretazione (o trasfigurazione) della realtà in modo da farla concordare forzatamente con i principi metafisici di partenza.
Ma l'esperienza religiosa vera non ha nulla a che fare con onniscienza e onnipotenza, anzi si tratta proprio dell'opposto, ovvero dell'esperienza di una forza, di una manifestazione, che improvvisamente lacera la normalità delle cose del mondo per poi tornare nel silenzio. Un evento isolato, non il prodotto di un disegno superiore.
Chi ha fede crede in questo potere e pensa che la pratica religiosa, anche senza condurre al miracoloso, aiuti al mantenimento di se stessi nella vicinanza di questo potere benigno con effetti positivi sulla propria vita, riuscendo quindi a resistere alla tentazione di abbandonarsi alle forze distruttive, alla morte.
Così gli eventi dolorosi che si vivono non possono essere interpretati come strumenti pedagogici di Dio, ma al contrario possono essere interpretati, o meglio sentiti, come causati dalla propria colpevole lontananza da Dio, come l'effetto dell'oscurità in cui si finisce quando si smarrisce la via religiosa.
Dici "per definizione", ovvero per deduzione puramente logica a partire dal concetto di Essere supremo.
Certo non per induzione dalla realtà...
Ma comunque ciò che si deduce poi deve essere confrontato con il reale, e se da tale confronto ne viene fuori una contraddizione plateale bisogna avere l'onestà di rigettare le proprie tesi, mentre tu ti accodi alla storia della teologia che è la somma dei tentativi di reinterpretazione (o trasfigurazione) della realtà in modo da farla concordare forzatamente con i principi metafisici di partenza.
Ma l'esperienza religiosa vera non ha nulla a che fare con onniscienza e onnipotenza, anzi si tratta proprio dell'opposto, ovvero dell'esperienza di una forza, di una manifestazione, che improvvisamente lacera la normalità delle cose del mondo per poi tornare nel silenzio. Un evento isolato, non il prodotto di un disegno superiore.
Chi ha fede crede in questo potere e pensa che la pratica religiosa, anche senza condurre al miracoloso, aiuti al mantenimento di se stessi nella vicinanza di questo potere benigno con effetti positivi sulla propria vita, riuscendo quindi a resistere alla tentazione di abbandonarsi alle forze distruttive, alla morte.
Così gli eventi dolorosi che si vivono non possono essere interpretati come strumenti pedagogici di Dio, ma al contrario possono essere interpretati, o meglio sentiti, come causati dalla propria colpevole lontananza da Dio, come l'effetto dell'oscurità in cui si finisce quando si smarrisce la via religiosa.
