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Messaggi - Visechi

#91
Racconti Inediti / LE DUE SPONDE DEL FIUME
19 Dicembre 2024, 22:25:20 PM
Io questa sua battaglia non la capivo proprio. Ne avevamo condotte tante, insieme, nel corso di una pluridecennale frequentazione. Ma questa volta sentivo che la stavo perdendo. Strenuamente impegnata in un qualcosa che la stava alienando da tutti, dalle sue amicizie e dal mondo. Sembrava indifferente ad ogni altro interesse e, soprattutto, poco incline a cercare di comprendere le ragioni altrui e di aver rispetto dei sentimenti di chi le stava vicino. Appariva come un'anima in pena, anche se il suo contegno, serafico e sempre tendente al buon umore, non lasciava trasparire l'inquietudine che fermentava dentro il suo cuore. La conoscevo troppo bene per lasciarmi ingannare. Le chiesi cosa le stesse accadendo e le ragioni che la rendevano così intransigente.

Mi osservò stupita per qualche secondo, poi sorrise. 
«Ho imparato, in questi anni, a percorrere i sentieri altrui indossando i loro calzari, non puoi dirmi che non cerco di comprendere le ragioni di chi mi sta vicino. Non è vero che sono intransigente, almeno non di solito, ma su questo argomento, mi spiace, ci troviamo su due fronti contrapposti. È come se fossimo su due rive poste l'una di fronte all'altra ed in mezzo scorresse un fiume. Io sto su una, tu sull'altra, e da questi due contrafforti opposti ognuno osserva l'altro con sospetto e diffidenza. Io sul tuo versante ho stazionato per qualche tempo; so quale sia l'aria che tira; tu, invece, mai hai respirato l'aria densa e satura di miseria che asfissia quest'altra parte del fiume. Non credere di poter vedere troppi ponti che consentano l'attraversamento per passare agevolmente da un argine all'altro. Nel senso, caro mio, che su questo tema non c'è possibilità d'incontro o di mediazione. Perché il transito può avvenire soltanto dopo che si sia guadato il fiume, immergendosi personalmente nelle sue acque tumultuose e solo dopo aver condotto una lotta senza quartiere contro la corrente che rischia di portarti a valle, per rigurgitarti nel mare magnum dell'indifferenziato, dove tutto è uguale e tutti hanno un unico pensiero. Ciò di cui ti parlo, è un attraversamento fra acque profonde che intridono le rive di un limo culturale che, se e quando dovesse appiccicarsi alla tua pelle, ti rende diverso da quello che eri prima, e non è possibile venire da questa parte senza aver guadato il fiume e affrontato i pericoli che in esso son celati. Potrai approdare su questo versante del fiume e finalmente ritrovarci solo se e quando avrai affrontato e sconfitto le fiere che lo abitano, celate fra i mulinelli e i vortici che la corrente crea quando incontra i balzi che ne increspano le acque. Perché, mio caro, fintanto che anche tu non avrai subito il lavacro e ti sarai mondato di tanti gravami e ciarpami ideologici, qui non potrai stare».

«Io ho cercato di fare il tuo percorso, ma un po' perché non ho capito fino in fondo, un po' perché mi son trovato solo, ho riabbracciato la mia originaria convinzione che dovremo impedire questa invasione e cercare, per quanto possibile, di aiutarli a casa loro».

«Che s'incontrino ostacoli difficili da superare l'ho sempre saputo, perché non si tratta d'impedimenti che vagando incroci per strada, per cui scartando di lato potresti anche evitarli o aggirarli. Quelli ti si parano di fronte ostruendo il passaggio. Si può continuare a nasconderli, ad ignorarli, ma un giorno ci devi pur sempre fare i conti, perché questi intralci, come lacci che ti vincolano al suolo, te li porti dentro, cuciti sulla pelle e infitti dentro l'anima.
... Non strabuzzare gli occhi!
Queste fiere hanno nomi noti, si chiamano razzismo, egoismo e paura. Tu te le porti dentro, e sei in ben nutrita compagnia. Ti rodono dall'interno e t'impediscono di vedere che noi non siamo al mondo solo per godere la vita fra apericene e spritz, odio quel tipo di cultura. Potessi scegliere, quando posso, fra uno spritz con un'amica o un amico e la compagnia di uno di questi ragazzi di colore disperati, ma che sanno, nonostante tutto,  anche sorridere, non avrei dubbi. Invece di trascorrere del tempo fra amenità e chiacchiericci stupidi, ascolterei con le lacrime agli occhi i loro racconti, il viaggio intrapreso da ciascuno di loro per approdare su una terra che li odia, che non li vuole solo perché ha troppa paura delle diversità.
La diversità è ricchezza, non è da temere, perché arricchisce un panorama reso troppo monotono dal pensiero dominante. Le biodiversità sono preservate in tutti gli ecosistemi, solo nel contesto umano sono aborrite.
I loro sono racconti bellissimi, perché non sono narrazioni romanzate, ma è come se ogni volta ne leggessi uno e compissi il viaggio insieme a loro, per soffrire nella carne e nell'anima ciò che hanno patito loro. E le mie sono lacrime vere, che mai ho avuto timore di mostrare, perché quando colano lungo il viso e, mischiandosi con il trucco, impiastricciano il volto, sento qualcosa di bello dentro di me, qualcosa di umano, di caldo e di dolce. E nel loro sorriso, mentre raccontano di parenti o figli o padri affogati o bruciati dal sole e dal sale misto al carburante di quelle carrette che li trascinano via dai loro affetti, scorgo tutta la nostalgia, il dolore, la malinconia che un essere umano può provare. Avverto quella punta di dolcezza e quella mezza misura di dolore che li accompagna sulle nostre spiagge per vendere due cianfrusaglie, che per noi son stracci, per loro vita. Resto incantata, sconvolta e assettata delle loro storie. È buonismo o sono una radical chic?  Non lo so, non m'interessa, non so neppure cosa significhino questi due epiteti, faccio solo quello che sento. Lottando contro me stessa, caro amico, ho fatto i conti con le mie paure, il mio egoismo e il razzismo latente che sempre un pochino abita l'anima di ciascuno di noi, e me ne sono liberata. Un giorno, come in un'alba, ne ho sentito tutto l'inutile peso, e liberarmi di questi mostri ha significato librarmi per aria, anche se poi ha comportato lordarmi mani e braccia nel fango che li accoglie, qui sulle nostre coste. Tu non hai mai provato a sorridere loro quando cercano di venderti la loro mercanzia fatta di miseri stracci, rispondono sempre con un sorriso. A loro non serve tanto per vivere, quel che cercano è comprensione e forse un pochino di attenzione, non l'ostilità che incontrano ogni giorno. Io non voglio più villaggi vacanza, neppure hotel super lusso, voglio bidonville, andare da loro, ascoltarli, mostrar loro che in noi alberga ancora un briciolo di umanità, far sentire loro che non stanno rubando nulla se cercano di dar corpo alla speranza di una vita migliore. Noi avremmo fatto lo stesso, noi abbiamo fatto lo stesso!»

Parlava con calma, serena, era commossa e due lacrime le rigarono il volto. Sentivo di amarla e di non poter accedere al suo mondo, troppo lontano dal mio, dalle preoccupazioni per l'auto incidentata, per le fatture da pagare e per l'impegno per il prossimo week end. Quanto era bella, trasfigurata da una fede che io non potevo avere; ricca di niente e bisognosa di nulla. Toccai nel profondo tutta la mia aridità e la comparai alla sua ricchezza. Ne rimasi profondamente colpito.

«A me, vedi, non interessa la quantità delle persone che mi accompagnano in questo duro viaggio. Non mi curo di osservare chi o quanti stanno alle mie spalle o al mio fianco per darmi forza e per infondere quel coraggio che serve per affrontare tutti i giorni una vita dura e difficile, mi basto da sola in questo percorso. Non ho bisogno dell'assenso altrui per continuare a fare e pensare ciò di cui sono intimamente innamorata. Tutti, proprio tutti potrebbero passare dall'altra parte, io non ho bisogno di persone che non sappiano lottare, che non siano convinte. Potrei rimanere qui, su questo versante, sola a guardare la moltitudine di uguali che si accalca dall'altra parte, ma so che non mi sentirei mai sola, o non me ne fregherebbe poi troppo. Qui ho davvero tanta compagnia, quella di me stessa, e quando sono triste e abbattuta, amico mio, non penso a viaggi esotici, penso che insieme a me ci sono i miei eroi: Lampedusa, Nicolini e Boldrini e tanto mi basta, anche se non posso parlarci. Poi sola non credo di esserlo completamente. Questo esecrato ed esecrando Governo, (racconto scritto ai tempi del governo Renzi), che ha commesso mille e più errori, per i quali non merita neppure un pensiero, immaginati il mio voto, ha un merito, forse l'unico. Io sono fiera di essere italiana e mi sento tale fin dentro l'anima, pensando che, senza curarsi dell'immobilismo dell'Europa intera, da solo, senza curarsi di chi lo seguiva o meno, ha ordinato ai militi della sua marina, cioè soldati addestrati per fare la guerra ed uccidere altri uomini, di mettere in acqua le navi da guerra per andare a prenderli in mare, per salvare loro la vita. Bene, credo che anche uno solo di quei salvataggi ai miei occhi riscatti i tantissimi errori compiuti. Un giorno, credo, la Storia, quella che leggi sui libri, renderà merito all'Italia, la mia Italia, di questa scelta che mi riempie di orgoglio».
#92
Citazione di: sapa il 19 Dicembre 2024, 17:24:15 PMCiao Visechi, ti ringrazio per la tua risposta. Ti confermo che la tua visione sull'argomento è molto bella e quando l'ho definita velleitaria non avevo alcuna intenzione di sminuirla o di offendere. E' vero, se aspettassimo che tutti i Mingon ragionassero così, non ne usciremmo mai. Tuttavia, bisognerà anche rendersi conto che le opportunità, che si potrebbero offrire a degli stranieri che bussano alla nostra porta, scarseggiano, in una società come la nostra, nella quale,  tra intelligenze artificiali e meccanizzazione della manodopera, l'utilità dell'essere umano non si vede quasi più. Io mi occupo da molti anni di agricoltura e noi di questo settore abbiamo sempre accolto gli stranieri e offerto loro opportunità di lavoro, in regola s'intende.  Ma anche noi dobbiamo fare i conti, non navighiamo nell'oro e stiamo constatando anche noi che far vendemmiare in 1 giorno una macchina è più conveniente che metterci una settimana con 5-6 operai. Purtroppo, il criterio economico non è facilmente eludibile. Nelle nostre zone montane appenniniche, i cosiddetti territori marginali, nei quali la forza lavoro umana avrebbe ancora un senso,  dove vivevano una volta famiglie numerose e che si sono poi spopolate negli anni 60, oggi nessuno vuole più andare, nemmeno gli immigrati. Questi ultimi, a parte chi fugge da drammi e carestie, forse giungono qui attratti dalla chimera di una società ricca e opulenta, ma non sanno quanto costa vivere qui, non capiscono che la maggior parte delle persone qui vive con l'ansia di non farcela a portare avanti la famiglia. Indubbiamente, il nostro tenore di vita è pur sempre incomparabilmente più alto di quello che loro lasciano, ma la nostra non è una vita facile, dove basta desiderare qualcosa per poterla ottenere. Se potessimo dar lavoro a tutti quelli che arrivano, saremmo solo contenti, ma non si può. Detto ciò, io non sono per arroccarsi nella strenua difesa delle posizioni raggiunte, ma sono altresì sicuro, come del resto mi sembra che anche tu affermi, che le politiche dell'accoglienza vadano riviste. Questo perchè secondo me da decenni il fenomeno è gestito male, indipendentemente da chi ci governasse, e oltremodo dispendioso, in relazione ai risultati ottenuti. E allora sì, anch'io faccio le mie considerazioni economiche: se si spendono miliardi di euro per l'accoglienza con questi risultati, allora forse è meglio smettere di accogliere.
L'accoglienza, a causa dell'abnormità del fenomeno, non è più una scelta, ma si è ormai imposta in termini di necessità ineludibile; l'alternativa sarebbe attuare i respingimenti alla frontiera, perché nel momento che questi disgraziati mettono piede sul territorio nazionale, nasce e si presenta il problema della loro gestione, e che sia la più umanitaria possibile. I respingimenti alla frontiera risultano essere alquanto problematici, poiché per oltre due terzi, la frontiera nazionale è costituita dal mare... Nostrum. Ora, ipotizzare dei respingimenti su quel fronte è un'opzione la cui realizzazione si mostra da subito improba poiché assume infatti il significato di procedere ad un loro abbandono alle amorevoli cure del mare, senza troppi sofismi o ipocrisie. Oppure, si renderebbe necessario un presidio armato delle acque territoriali (questo è l'unico vero significato della blindatura delle frontiere) con autorizzazione all'uso della forza nei casi in cui si tenti di forzare il blocco, cioè con facoltà di sparare. Chi ci governa dovrebbe avere il coraggio di sostenerlo apertis verbis, evitandoci inutili, ipocriti e stucchevoli giri di parole. Chi si propone il blocco navale deve finalmente sostenere, senza un ma o un se, che la difesa delle italiane genti esige un sacrificio etico a vantaggio del plotone d'esecuzione. Per attuare una cosa simile è anche necessario assumersi la responsabilità della scelta ed oggi non riesco ad immaginare alcun politico europeo in grado di sbandierare la gioiosa croce uncinata indossando la graziosa maschera con i baffetti. C'è bisogno di un Hitler, come minimo, per impedire l'assalto di pericolose orde moresche alle nostre coste. Ecco perché questa opzione non può essere contemplata, non perché tecnicamente impossibile, ma perché eticamente improponibile.
Capisco bene il discorso economico che imporrebbe, a parer tuo (mi sembra di capire), lo smantellamento del complesso sistema dell'accoglienza, ma su questo fronte è necessario chiarire alcuni aspetti troppo spesso passati sottotraccia, se non del tutto sottaciuti dal mondo dell'informazione e ancor più da certa politica nostrana. In primo luogo, che approcciare il tema dell'immigrazione in termini economicistici espone il suo sostenitore al rischio di essere mosso da latenti motivazioni razziste.
Detto questo, suppongo che tu abbia notato come in questi anni il dibattito intorno al tema del costo dell'immigrazione è completamente sparito dai radar. Non c'è più convenienza a sostenere tesi e prese di posizione facendo leva sull'aspetto economico. Ciò è dovuto al fatto che è ormai acclarato e testimoniato dai numeri che l'immigrazione crea ricchezza per l'intero sistema Paese. Non solo, ma anche, in termini di gettito fiscale e contributivo, ma ancor più in campo demografico. Oggi il mondo dell'imprenditoria preme perché siano ampliati i numeri degli immigrati da poter inserire nel mondo del lavoro (ovvio che questa richiesta sia anche sostenuta dalla non troppo larvata tentazione di contrarre progressivamente il costo del lavoro). I saldi contributivi sono sensibilmente positivi per le casse dell'Inps, così pure, anche se in misurare minore, quelli erariali. Quindi il mito dell'immigrato sostenuto economicamente dalle nostre finanze si è rivelato un falso utilizzato proditoriamente sempre da una certa pessima classe politica ed utile per imbastirci intorno una campagna elettorale la cui leva sia la paura. Neppure far leva sul naturale bisogno di sicurezza dei cittadini, risulta essere vantaggioso come alcuni anni orsono: i reati sono in costante calo. L'Italia è oggi uno dei Paesi del mondo occidentale dove i grandi crimini (con esclusione della criminalità organizzata) sono i più bassi in assoluto. Restano i reati definiti di prossimità: piccoli furti, scippi ed in genere reati legati al mondo della droga e dello spaccio. Ma è proprio la marginalizzazione dell'immigrato che fornisce mano d'opera alla criminalità. Una sconsiderata legge ha destituito il migrante dal posto che ha sempre occupato nell'immaginario collettivo, andando a collocarlo, ipso facto, per il solo fatto di essere tale, nella categoria dei paria. Se il linguaggio è formativo e contribuisce a creare un universo sociale, va da sé che definire il migrante con l'appellativo affatto gradevole di "clandestino" lo espropria della sua intrinseca carica umana sufficientemente a smuovere emozioni nel prossimo, non necessariamente compassionevoli, ma quantomeno umanitarie, poiché nel migrante un tempo si intravedeva il suo carico di umana sofferenza e divina speranza. Oggi è invece un paria. Con una sola subdola attribuzione fonematica, si è riusciti a sradicarlo dal consesso degli umani, attribuendogli uno status giuridico, sociale ed etnico che si riverbera sul piano relazionale e psicologico. Si diventa così paria perché in paria li abbiamo voluti trasformare.
Certo, è fuori dubbio che il fenomeno sia gestito male, pessimamente, incongruentemente. Perciò affermo e sostengo che, fallite o non proponibili le velleità di bloccarne il flusso, atteso che tutti gli studi indicano una prossima sua recrudescenza, non ci resta che smettere di subirlo, sia come fenomeno che come conseguenze, per iniziare a governarlo veramente, essendo comunque ben consci che non esiste la perfezione e che la perfezione impedisce il possibile.
Non mi dilungo oltre... troppo avrei da scrivere, ma vorrei sinceramente che questi pochi e brevi concetti siano utili per promuovere una riflessione.
#93
Citazione di: daniele22 il 19 Dicembre 2024, 18:48:22 PMIneccepibile stratagemma (nr. 32 - denigrazione: per accantonare, o almeno rendere sospetta, un'affermazione dell'avversario e ricondurla a una categoria odiata dagli spettatori) colto ne "l'arte di avere ragione"; di bassa lega, inserita apposta in dialogo con altri, chiaramente fondata sul nulla e pure offensiva ... ovviamente, dato il titolo dello stratagemma. Complimenti Visechi
Ringrazio per i complimenti. Nulla da eccepire... hai perfettamente ragione.
Amen
#94
Citazione di: sapa il 19 Dicembre 2024, 14:19:45 PMVedendo che qui si parla di gestione del fenomeno migratorio più che di politiche repressive in senso lato, mi addentro in questo argomento, sul quale mi sono già espresso in altre occasioni, probabilmente guadagnandomi l'etichetta di far parte della "marea nera". Rilevo, prima di tutto, che questa marea viene attribuita, in Italia,  a partire da Maroni-Berlusconi, fino ad arrivare ad oggi, saltando a piè pari il caso Minniti, che sicuramente nero non è mai stato, pur avendo agito in modo molto simile ai suoi predecessori, segno evidente che la marea non è solo nera, ma che la sua colorazione è piuttosto variegata e, probabilmente, maggioritaria in modo bipartisan in Italia e forse nel mondo cosiddetto evoluto. La visione proposta nel post iniziale di questa discussione è sicuramente molto ben argomentata,  intrigante e bella, purtroppo però, a mio avviso, velleitaria. Questo, almeno, fino a quando sussisteranno legislazioni e trattati che impongono ai Paesi di primo approdo la gestione e la presa in carico di chi, senza documenti, mette piede in uno Stato straniero. Non sono un nazionalista, credo che non ci sia nulla di peggiore del tentativo di chiudere le frontiere a chi chiede l'entrata e il  passaggio, non mi sento, in Italia, da italiano, il padrone di casa e sono pronto ad offrire di che sfamarsi e un tetto per la notte a chi bussa alla mia porta. Con l'intesa, però, che il pellegrino di turno il giorno dopo si rimetta in marcia per altre destinazioni, non che si fermi ad oltranza, pretendendo che gli vengano offerti sistemazione e opportunità e che, se queste non arrivano, addirittura s'incazzi. C' è, poi, un altro aspetto, senza il quale ogni rivoluzione privata ed interiore, su questo tema, è destinata secondo me a fallire: se sapa offre ospitalità, ma il suo vicino Mingon chiude il catenaccio e si mette a sparare, la casa di sapa sarà presa d'assalto e lo stesso sapa sarà  costretto a tirare il catenaccio e a far la guardia al portone. Ecco, quindi, che su questo argomento non basta fare la propria parte. Certo, sarebbe un inizio, ma purtroppo temo che rimarrebbe solo tale.
Molto interessante il tuo intervento. C'è del buon senso in questa tua replica. Ma io parto da un altro presupposto, che addirittura si posiziona agli antipodi rispetto a ciò che affermi. Se ciascuno di noi dovesse attendere che il buon Mignon faccia la sua parte perché anch'io faccia la mia, gioco forza, mi darai atto che ci troveremmo in un'impasse irrisolvibile, perché potrebbe essere che anche Mignon stia ad attendere che sia prima io a fare la mia parte. Una sorta di inazione concorrenziale.
 
Se conosci la materia, è possibile che abbia qualche nozione o informazione sull'esperienza degli Sprar, o meglio nota come "sistema di protezione diffusa per richiedenti asilo e rifugiati", preferisco chiamarlo "sistema di accoglienza diffusa" (così dev'essere declinato l'acronimo), stroncata dalle leggi belluine di quel belluino di Salvini. Un'esperienza che per il tempo di vita che gli è stata concessa ha cercato di coniugare impegno istituzionale con disposizione volontaria dei privati, all'insegna dell'integrazione che sappia abbandonare la deleteria pretesa dell'assimilazione. Ha funzionato, anche piuttosto bene, seppur non perfettamente, con qualche lacuna ben individuata, ma facilmente colmabile. Insomma, aveva certo necessità di essere meglio declinata, ma sicuramente un'esperienza positiva, forse l'unica in tema di accoglienza ed integrazione. Ancor oggi (vedasi le recenti idiozie pronunciate dall'attuale ministro dell'istruzione, tal Valditara) le istituzioni ragionano in termini di assimilazione in luogo di un sistema che agevoli l'integrazione e che preservi le differenze culturali, unica strada per programmare una convivenza che si fondi sul reciproco rispetto e la reciproca accettazione. La strada dell'accoglienza e dell'integrazione, unica praticabile, pena l'implosione sociale, è complessa, irta di ostacoli e punteggiata da continui adattamenti e rimodulazioni. È policorde e policromatica perché non si percorre facendo leva su una architettura monocorde, ma si arricchisce nella differenza, anche attraverso il complesso lavoro di mediatori culturali che sappiano riuscire ad attenuare, negli ospiti, quella mortifera e pericolosa percezione di essere un corpo estraneo non gradito, se non addirittura feccia e umanità di scarto di una lavorazione globalizzata i cui meccanismi sono oliati dall'urgenza di crescita economica e dall'impossibilità emotiva di immedesimarsi o la noncuranza di uno sguardo che non sia sempre e solo ammonizione e biasimo.
Purtroppo, ancora una volta, gli ultimi interventi legislativi, tutti promossi da un'unica parte politica, nell'ignavia dell'altra, hanno falcidiato ed impoverito, disincentivandolo, l'impegno di tantissimi volontari che si son proposti fattivamente ad operare gratuitamente in ambito MSNA (minori stranieri non accompagnati). Cioè la nostra civilissima società (che solo qualche buontempone un po' distratto immagina che vorrei preservare intonsa qual oggi si propone) muove guerra non solo ai "baldi giovanotti alla moda e con cellulari ultima generazione" (ma certe stronzate la gente da dove le cava fuori?), ma addirittura mobilità le sue truppe armate di diffidenza e nutrite dal disprezzo contro i minori... le ragioni e le emozioni, i sentimenti e tutto ciò che ruota attorno ai MSNA esulano dalle intenzioni di questo thread, per cui evito di soffermarmi su questo delicatissimo argomento. Rinuncio pure a replicare a chi fra la molteplicità delle tematiche annesse e connesse all'etica della responsabilità, e direi pure della partecipazione, vede esclusivamente 'strade da pulire'... praticamente analfabetismo emotivo e forzata edificazione di muri a difesa della propria ignavia.
#95
Tematiche Spirituali / Re: Le incarnazioni dell'Anima
19 Dicembre 2024, 15:22:43 PM
Citazione di: Aspirante Filosofo58 il 19 Dicembre 2024, 11:39:00 AM
Non capisco come possa l'Anima diventare corpo quando si incarna. L'anima è altro dal corpo: questo segue le leggi della fisica, della chimica e della biologia, secondo cui "nulla si crea, nulla si distrugge ma tutto si trasforma"; quella invece segue altre leggi e non è soggetta a decadimento come il corpo. L'anima si incarna, o meglio decide di entrare in un corpo per provare nuove esperienze, per maturare, per arrivare ad un punto di apprendimento tale che non sarà più obbligata ad imparare nulla, perché conoscerà tutto il conoscibile, e quindi entrerà nell'eternità e nell'infinito, dove spazio e tempo non esistono e non possono condizionare niente e nessuno. L'anima non muore entrando in un corpo. E' un po' come quando compri un vestito nuovo e lo indossi. Non credo che indossare un vestito nuovo significhi morire. Lo stesso vale, secondo me, per l'anima che si reincarna.

Anima e corpo, in genere, sono considerati i due poli opposti dell'essere umano (fermiamoci all'uomo, non andiamo ad indagare altre improbabili entità). L'una, l'anima, è considerata immateriale ed è proprio questo suo essere incorporea, evanescente, spirituale, eterea a rappresentarne la caratteristica peculiare. Assai stridente sarebbe immaginare un'anima che si nutre, si disseta, copula e svolge tutte quelle funzioni tipicamente corporali. Il corpo, di contro, è ciò che nell'essere umano ne rappresenta la materialità, concreta e tangibile, perlomeno come e quanto lo può essere un pugno sferrato contro un altro individuo.  Ora immaginare un'anima che si reincarna significa semplicemente un'anima che perde la propria incorporalità per divenire materia. Diverso sarebbe immaginare un'anima che decide di occupare un corpo per... campo libero alla fantasia... ma anche in questo caso i paradossi sarebbero notevoli.
#96
Citazione di: daniele22 il 19 Dicembre 2024, 08:28:02 AMAnch'io concordo pienamente su ciò che ha scritto inVerno, ma una rivoluzione, ovvero un cambio di paradigma mentale, è necessario. I rivoluzionari da te citati, Gandhi e Mandela in particolare, ebbero successo popolare perché avevano un nemico personificabile. Siccome non conosco i loro discorsi non so come considerassero gli inglesi o i bianchi, ma è certo che il popolo percepisse in questi il nemico, ma il popolo alla fine ha seguito in un certo senso le loro orme. Il problema nostro quindi è che la gente non sa, non conosce, che il nemico è dentro sé stessi, dentro il loro inconfessabile (ed è giusto che resti inconfessato) dogma. Questa è la realtà filosofica e psicologica che si deve e non si vuole accettare. La tua azione politica rischia solo di assomigliare a quella di Tonino di Pietro e la sua Italia dei valori: tante chiacchiere costruite sul nulla

Hai frainteso, non auspico una differente azione politica, che al più potrebbe essere una conseguenza, ma un impegno attivo civile e sociale che coinvolga in prima persona ciascun cittadino. Auspico l'affermarsi di una nuova etica che promuova la responsabilità personale come motore dell'azione. Aver citato, fra gli altri, Ghandi e Mandela, significa che per rimodulare il modo di stare al mondo di ciascun individuo non è necessario aspettare che qualcuno funga da esempio. Noi dobbiamo e possiamo essere l'esempio di noi stessi, prima di tutto. La politica, per stare nel concreto, dovrebbe promuovere, incentivare ed agevolare le iniziative di cittadinanza attiva, che vuol dire semplicemente che chiunque è chiamato, per motu proprio, ad attivarsi incontrando la disponibilità e non la contrapposizione delle istituzioni. Oggi, per fare un esempio attinto dalla cronaca, se volessi dedicare del tempo per ripulire di mia iniziativa una via cittadina o curare un'aiuola rischierei una contravvenzione.
#97
Tematiche Filosofiche / Re: Psicoanalisi
18 Dicembre 2024, 22:28:13 PM
"autocoscienza psicologica".

Cosa significa possedere un'autocoscienza psicologica?
#98
Tematiche Spirituali / Re: Le incarnazioni dell'Anima
18 Dicembre 2024, 22:22:45 PM
Citazione di: Aspirante Filosofo58 il 18 Dicembre 2024, 22:05:51 PMPerché paradossale?
Un anima è per definizione immateriale, spirito, se dovesse reincarnarsi (l'anima), cioè diventare corpo, quindi carne (come lascia ben intuire il termine stesso), smetterebbe, ipso facto, di essere immateriale, spirito, quindi anima, ma sarebbe solo corpo.
Tutto qui.
#99
Citazione di: green demetr il 18 Dicembre 2024, 22:09:06 PMMa perchè non rispondi a queste di domande.

E allora permettetimi di paziare, se non mi sfogo qui, dove sennò  :))
8)
Ti domando scusa, sono impossibilitato a risponderti perché assai raramente e molto difficilmente leggo quel che scrivi. Perdonami, ma proprio non mi interessa quel che scrivi in maniera assolutamente scombinata (ho a malapena letto questo tuo ultimo messaggio e, ti rassicuro, non tutto).
In ogni caso, stai tranquillo, puoi pazziare, saltare sul posto, sollevare mani e braccia, circolare completamente nudo sul forum, non mi dai alcun fastidio. Prosegui serenamente.
Bye
#100
Tematiche Spirituali / Re: ANIMA
18 Dicembre 2024, 22:13:53 PM
È importante, forse vitale, sicuramente indispensabile guardare dentro questa potenza che abita il profondo di ciascuno di noi. Cercare di coglierne i richiami, gli ammonimenti, i suggerimenti, leggere quei misteriosi segnali simbolici che come vapore giungono alla superficie. Ognuno di noi potrebbe attribuirle i significati che più gli piacciono: emanazione divina; demone mediatore fra empireo e mondo di sotto; anima trascendente; anima mundi; immortale, eterna; oppure, semplicemente, vita psichica che si gonfia o affloscia, si espande o contrae, s'eleva o prostra in connessione e dipendenza degli accadimenti della vita con cui entra in contatto, entro cui si trova coinvolta.
 
Non serve a molto definirla, come a poco serve negarla. È pur sempre un flusso, un fluido, un palpito, un sussurro, un baluginare che da solo trova la strada per farsi udire, sentire, e soprattutto soffrire e che ti vive dentro informando di sé tutto il tuo essere e la tua esistenza.  Le risposte metafisiche circa la sua immortalità, la sua essenza, la sua eternità, il suo karma, il sansara, la metempsicosi, la salvezza eterna, lasciamole, al dopo, sospendiamo per un breve sospiro il nostro giudizio; non andiamo noi, umani limitati, a sondare l'insondabile, a misurare l'incommensurabile, non entriamo nelle stanze del mistero, troppo angusto è il suo uscio, evitiamo di razionalizzare ciò che ratio non è; occupiamoci, almeno per il momento, solo di quel pneuma che c'ispira e ci sorride come un sole o grugnisce contro come una fiera spettrale sortita dall'Averno, il nostro Averno. Quante definizioni ho letto su Anima, una diversa dall'altra, nessuna che colga quel che forse è... la sua vera essenza. Ma credo non sia possibile riuscire a definirla. Anima è indefinibile, incommensurabile, incomprensibile. Non è facile compiere fino in fondo il viaggio che ti porta a scrutare quel buio che vive in noi; sono troppe le contingenze che distraggono, troppa anche la pena che si prova ogni volta che si perfora la crosta spessa o sottile che custodisce e separa il cuore vivo di ciascuno di noi dal resto del mondo. È una visita che conduce a galleggiare dentro l'inferno che è in noi, e in quel magma ribollente non è mai agevole nuotare. Meglio scordarsi, meglio ignorarsi, intanto la vita se ne farebbe ben poco della conoscenza che possiamo avere del nostro intimo. La vita si disinteressa di noi. Temo che il viaggio che conduce a sfiorare, lambire e toccare quel fondo, fino ad immergere le mani e i gomiti nel fango melmoso entro cui ribolle il magma incandescente del nostro essere, sia solo un introdursi nel mondo delle favole. Una sorta di ricreazione che ti porta a contatto con la nostra disneyland, dove scegli tu di partecipare ai giochi, giochi che però ti sono messi a disposizione dall'apparato fieristico... quei giochi, non altri, solo fra quella gamma è possibile 'scegliere'. A quest'imperio è necessario opporre un rifiuto, opporre dei fermissimi 'No' all'impeto che ingloba e muove. I No sgorgano dal nostro intimo. Anima non ama farsi conoscere appieno, Anima è occulta, ha solo l'estro di mostrare qualche barbaglio di sé. Non è paura, solo un naturale stato di cose.  È la nostra condizione questa: vivere nel tormento di non sapere mai chi o cosa siamo, da dove proveniamo e dove sfoceremo come un fiume. Al tempo stesso avvertiamo la nostra alterità, intuendo così di essere altro da quel e quanto portiamo in scena ogni giorno. Siamo una rappresentazione tragica di noi stessi. Ed allora viviamo di quel tanto o poco che raccogliamo per strada...

Siamo la tragedia di Kafka, allorché scorse in sé, nel suo intimo profondo quel mostro orribile che lo dilaniava, che lo adulava, che lo chiamava. Anima è una sensazione... forse in questa definizione mi ci ritrovo. E' una sensazione che ci parla utilizzando un linguaggio che scuote, che rimesta il suo proprio fondo portandolo a galla, di modo che, come vapori sulfurei, la sua voce giunga fino a noi, anche se sempre soffusa, mai chiara e compiutamente intelligibile. E gli errori, gli sbagli, sono forse i messaggeri di questo magma fluorescente e ribollente che è in noi. Ci conducono messaggi, come nella novella di Kafka, 'Il messaggio dell'Imperatore', la trascrivo, credo che valga la pena di leggerla:

<L'imperatore – così si racconta – ha inviato a te, a un singolo, a un misero suddito, minima ombra sperduta nella più lontana delle lontananze dal sole imperiale, proprio a te l'imperatore ha inviato un messaggio dal suo letto di morte. Ha fatto inginocchiare il messaggero al letto, sussurrandogli il messaggio all'orecchio, e gli premeva tanto che se l'è fatto ripetere all'orecchio. Con un cenno del capo ha confermato l'esattezza di quel che gli veniva detto. E dinanzi a tutti coloro che assistevano alla sua morte (tutte le pareti che lo impediscono vengono abbattute e sugli scaloni che si levano alti ed ampi son disposti in cerchio i grandi del regno) dinanzi a tutti loro ha congedato il messaggero. Questi s'è messo subito in moto; è un uomo robusto, instancabile; manovrando or con l'uno or con l'altro braccio si fa strada nella folla; se lo si ostacola, accenna al petto su cui è segnato il sole, e procede così più facilmente di chiunque altro. Ma la folla è così enorme, e le sue dimore non hanno fine. Se avesse via libera, all'aperto, come volerebbe! e presto ascolteresti i magnifici colpi della sua mano alla tua porta. Ma invece come si stanca inutilmente! ancora cerca di farsi strada nelle stanze del palazzo più interno; non riuscirà mai a superarle; e anche se gli riuscisse non si sarebbe a nulla; dovrebbe aprirsi un varco scendendo tutte le scale; e anche se gli riuscisse, non si sarebbe a nulla: c'è ancora da attraversare tutti i cortili; e dietro a loro il secondo palazzo e così via per millenni; e anche se riuscisse a precipitarsi fuori dell'ultima porta – ma questo mai e poi mai potrà avvenire – c'è tutta la città imperiale davanti a lui, il centro del mondo, ripieno di tutti i suoi rifiuti. Nessuno riesce a passare di lì e tanto meno col messaggio di un morto. Ma tu stai alla finestra e ne sogni, quando giunge la sera

Ecco, spesso Anima ci spedisce un messaggio che s'ingolfa fra la folla dei nostri molteplici Io, dei variegati e stralunati pensieri, e tu lì, alla finestra, che attendi invano che ti giunga quel segno di cui avverti l'eco. Forse è così che quel messaggio che Anima invoca per te, nel tragitto spenge il proprio suono, la propria luce, i propri colori per giungerti in forma di vaga sensazione, di labile suono, di flebile colore, come un tramestio.
#101
Tematiche Spirituali / Re: Le incarnazioni dell'Anima
18 Dicembre 2024, 22:01:37 PM
Davvero curioso e forse paradossale sostenere che l'anima possa incarnarsi o reincarnarsi. 
#102
Tematiche Spirituali / Re: La fede in Dio
18 Dicembre 2024, 21:58:56 PM
Citazione di: Freedom il 18 Dicembre 2024, 21:25:31 PMSembra presunzione ma, a mio avviso sia chiaro, sembra estrema aderenza alla realtà.

Mi domando infatti: in questi 5/6 mila anni di storia umana quale progresso ha fatto l'uomo? Al di là di ciò che si può ricondurre alla tecnologia? Scientifica, medica, meccanica, etc.

Il cuore dell'uomo è progredito verso quello che, almeno in linea generale, la coscienza umana reputa buono, vero e bello?

In altre parole, opportunamente "istruiti" (cioè messi nelle condizioni di......) non sprofonderemmo nel baratro della bestialità anche noi uomini moderni e civilizzati? Esattamente come i nostri predecessori dell'inizio della civiltà umana? Dov'è il miglioramento? Io sinceramente non lo vedo.

Pensi inoltre che la strutturazione di una civiltà "perfetta" (o giù di lì) sia possibile con un sistema politico/sociale/economico/culturale appropriato? Io non credo. Penso che, se fosse così, in tutto questo tempo, ci saremmo almeno un pò avvicinati.

In definitiva il problema è dentro il cuore dell'uomo non fuori. E per agire lì dentro non sono sufficienti psicologia o quant'altro si occupi di sondare/governare le profondità umane.

Qua ci vuole Cristo! Per me che sono credente. Sono curioso di saper per te cosa ci vuole. Faccio questa domanda nè per sfida nè per provocazione ma per introdurre quella che può essere la risposta degli atei a questo problema.

Ammesso che se condivida la prospettiva nella quale, con queste poche e forse inappropriate parole, ho cercato di inquadrarlo.

Non c'è bisogno di un Cristo, non ne abbiamo avuto bisogno perché si avvertisse l'obbrobrio rappresentato dalla schiavitù, perlomeno quella istituzionalizzata e a cui la religione, perlomeno ai suoi massimi vertici, offriva una giustificazione ed una ragione. 
Non abbiamo avuto bisogno di cristi o papi o cardinali per provare una intima repulsa nei confronti della pena di morte, ufficialmente abolita dalla Chiesa Cattolica solo negli anni '60, del secolo scorso.
 Neppure il Cristo crocifisso ci ha dovuto avvertire che l'omosessualità non è un crimine da perseguire giuridicamente, fino ad imporre la galera. Eppure, ancora oggi qualche prelato di Santa Madre Chiesa ci avverte e ci rampogna sul rischio sociale rappresentato dalle 'devianze sessuali'... di casa altrui, alle proprie non si guarda mai.
Non c'è bisogno di Cristo o Dio per un nuovo illuminismo o per una crescita etica della società. Non ne abbiamo bisogno. 
#103
Citazione di: InVerno il 18 Dicembre 2024, 17:40:54 PMQuesta è la tua catastrofe intellettuale? Persino nelle dittature i cittadini sono responsabili dei loro governi perché in ultima analisi sono gli unici che possono cambiarli, votando o sparando. Il contrario è "difesa alla Norimberga" dove il cittadino "segue gli ordini"  irresponsabile delle conseguenze che producono. Non si può tirarsi fuori dal contratto sociale quando fa comodo, puoi cambiarlo con un altro, con un altro governo o spostandoti di paese, come molti migranti fanno. Se "i tromboni" insistono sul votare è si per conformismo, ma anche perché probabilmente hanno realizzato che non votare non significa lavarsi le mani di ciò che accade nel paese, ovvero che uno può non interessarsi di politica ma la politica si interesserà comunque di lui.
Concordo pienamente! Non c'è alcuna necessità di fare una rivoluzione per assumere atteggiamenti totalmente responsabili verso sé stessi, verso gli altri e, soprattutto, verso la comunità. Non c'è neppure un'effettiva urgenza di cambiare i governi o l'organizzazione politica dell'unione europea per iniziare a creare un "nucleo di azione virtuosa", definiamolo così, che sappia proporsi come monito ed esempio fattivo e silente rispetto a chi ha l'inveterata abitudine di buttare la palla nell'altrui campo, pur di non sentirsi responsabile. Dovremo imparare a fare, non solo a dire. Imporci un'azione che prescinda dal seguito. I grandi rivoluzionari son spesso stati dei controcorrente che agivano in perfetta solitudine, spesso osteggiati dalle masse: gli esempi della storia sono straripanti e l'esempio più eclatante lo offrirebbero le narrazioni evangeliche. È già un atto rivoluzionario alzarsi in piedi a guardare avanti senza curarsi di quali e quanti siano i seguaci.  Si va avanti, si cammina e si costruisce, anche in solitudine. Rosa Park non ha atteso il sostegno del suo mondo per dar l'avvio ad una rivoluzione che ha cambiato il suo mondo; Ghandi, ai suoi esordi, non se lo filava nessuno, ed i britannici non erano minimamente preoccupati da quell'ometto. Ci vuole la forza dell'intimo convincimento circa la piena fondatezza delle proprie idea e del proprio sentimento per essere un Mandela, un Martin Luter King, anche in misura minore. La nostra epoca non esige eroi che sacrifichino la propria vita, ma solo uomini e donne che, nonostante tutto, riescano ancora oggi ad udire l'eco soffusa della propria capacità di immedesimarsi nel disgraziato di turno, ed, immedesimandosi, sappiano abbandonare la propria confort zone per intridere abiti e mani del fango in cui rotolano le esistenze degli 'scarti' di questo mondo.  
No! Davvero non ci si può sottrarre alle proprie responsabilità ed il contratto sociale, cui giustamente fai cenno, esige l'impegno fattivo di ciascuno di noi, aborrendo, nel contempo, il lassismo, la sciatteria, la noncuranza ed il giustificazionismo dell'indifferenza. Il contratto sociale rigetta, ricusa ed odia l'indifferenza... tanto per fare il verso ad un mio carissimo corregionario.
#104
Citazione di: Koba II il 17 Dicembre 2024, 13:33:51 PM
Citazione di: Koba II il 17 Dicembre 2024, 13:33:51 PMSul protestantesimo invece sbagli completamente. In particolare sul tema del rapporto con lo straniero.
È un po' un classico degli atei nostrani che vedono nel cattolicesimo solo l'elemento della gerarchia ecclesiastica che tiene buona le pecore, e non vedono che a differenza dei fratelli protestanti, le pecore sono pensate come tutte uguali, quindi tutte da salvare.
Mentre per i luterani alcune sono salvabili (gli eletti), le altre no, sono sacrificabili.
Il nazismo e il razzismo degli anglosassoni si sono potuti sviluppare solo su questa base teologica: sull'ossessione della grazia e della predestinazione.
Tant'è che gli spagnoli cattolici colonizzando l'America Latina si sono subito sposati le belle indigene.
Nel Nord America ci sono voluti un paio di secoli per il primo matrimonio misto.


Ho fatto riferimento al luteranesimo solo in funzione di un ben diverso approccio al senso di responsabilità e alla responsabilizzazione di sé stessi che questi hanno rispetto al cattolicesimo. Una ben differente etica della responsabilità . È proprio un problema di cultura: i cattolici sono troppo adusi al perdono, per cui la responsabilità delle decisioni e delle azioni è sempre sfumata, fin quasi a svanire del tutto. Lo si vede bene in ambito manageriale e politico. Il luteranesimo, invece, ha inculcato nelle menti e negli animi di chi è convissuto con quella cultura una ben più marcata coscienziosità e un differente senso del dovere. Ecco, noi credo dovremo acquisire del tutto questo senso di responsabilità individuale perché sia evitato il deleterio ricorso alla discolpa pregiudiziale. Quando i nostri mari si riempiono di cadaveri di ragazzi delle età dei nostri figli, noi non siamo innocenti, ciascuno di noi è responsabile di ciascuna morte, poiché nulla facciamo per impedire questo lugubre inventario.[/font][/size]
Non è vero, o perlomeno non del tutto vero che l'impossibilità di gestire più umanamente i flussi migratori sia da attribuire all'Unione Europea che imporrebbe scelte economiche che escludono questo tema dai problemi meritevoli di attenzione economica; non è ammissibile celare le nostre responsabilità individuali e sociali dietro questo vacuo paravento. Siamo noi, per esempio, che abbiamo vanificato e sterilizzato esempi di accoglienza ed integrazione ammirati e presi ad esempio da altri paesi europei; siamo sempre noi, che inseguendo il consenso facile, ad aver grugnito contro i 'taxi del mare'. Siamo responsabili di ciascun ragazzo morto affogato nelle nostre acque, e la colpa nostra risiede proprio in questo stucchevole atteggiamento di autoassoluzione.
#105
Tematiche Culturali e Sociali / LE POLITICHE REPRESSIVE
16 Dicembre 2024, 21:59:36 PM
Le politiche repressive, in relazione a qualsiasi tematica o problematica, soprattutto quando fanno esclusivamente leva sulla propria forza di coercizione, ovverosia quando non sono opportunamente integrate con politiche di progresso economico e sociale, storicamente hanno dimostrato di avere le gambe corte e funzionare maldestramente per il tempo in cui sono adottate, risultando, fra l'altro anche oltremodo dispendiose. Riprova di ciò la si ha osservando il dato della criminalità nei paesi d'oltreoceano che applicano la pena di morte o quello dei flussi migratori di sudamericani rispetto agli USA. 
Un'intera branca della letteratura sociale attesta l'inconsistenza di fondo e la falsità del nesso severità/sicurezza, tanto caro a certa parte politica. Di contro, vero è  che un atteggiamento eccessivamente lasso in materia di prevenzione, repressione, condanna ed espiazione del crimine non aiuta di sicuro. Entrambe queste politiche risultano  inadatte ad affrontare le problematiche associate alla sicurezza. Risultano, invece, assai congeniali ad un utilizzo strumentale e populista della paura, le prime, e del sentimento umano, le seconde. In medio stat virtus, raccontavano i latini.
Sull'argomento sicurezza vi è un mito nero che va sfatato, soprattutto quando questo tema assume i minacciosi connotati della "marea nera" che in questi anni sta "invadendo" il nostro Paese, trascinandosi appresso comprensibili timori e sospetti, pena il perpetuarsi di un equivoco che rende impossibile la giusta comprensione di approcci meno rudi. Nessuno in possesso di un minimo di senno può ergersi a paladino della deregulation più totale nel governo dei flussi migratori. Nessuno auspica l'invasione dell'Europa o dell'Italia da parte di orde musulmane assetate del sangue cristiano, intrise di rabbia atavica, pronte a vendicare l'onta di Lepanto o di Poitiers. Non vi è chi vorrebbe l'Africa vuota e l'Europa ricolma di africani; è sicuramente da preferire, anche perché più naturale, che ciascuno possa vivere serenamente in casa propria. Risulta, però, ostico far comprendere a certa parte della comunità, quella più infoiata e, presumibilmente, anche la più spaventata, che la lugubre contabilità di morti affogati fra le acque del Mediterraneo può indurre in qualcuno con un minimo di senso etico e di capacità di immedesimazione un sano raccapriccio rispetto a prassi inconcludenti che fanno dell'economia il fulcro e dell'umanità un accidente prescindibile, soprattutto quando quest'ultima collide con il dio PIL. Non c'è Pil che tenga di fronte ai volti e agli occhi disperati di quei poveri ragazzi. 
È il caso di prendere atto che le politiche sociali e quelle preposte alla gestione dei flussi migratori sono state un fallimento e che forse un approccio diverso, meno ottuso, meno ideologico e meno repressivo, potrebbe offrire una risposta, quella necessaria, per por fine a questo orrore. Politiche sensate che non si declinano in scellerati accordi, come quelli sottoscritti a suo tempo da Maroni e Berlusconi con quell'altro criminale, loro amico, di Gheddafi e che furono la causa del proliferare di tristi statue di sale nei deserti africani. È probabile che i cosiddetti "buonisti" siano stanchi di essere compartecipi silenti di questa barbarie e, fedeli all'imperativo che risuonò dinanzi agli orrori del secondo conflitto mondiale: «mai più!», auspichino in primo luogo interventi mirati a preservare la vita di quei  disgraziati che pur di offrire una speranza e un sogno a se stessi e alle proprie famiglie, affrontano un viaggio che solo a raccontarlo dovrebbe far accapponare la pelle e stillare lacrime, anche a pachidermi paciosi, adiposi ed obesi nel cuore e nell'animo quali siamo diventati noi italiani.
Noi "buonisti" siamo tutti ben consci che mischiati a quei giovani, che fra mille tormenti e mille difficoltà cercano di raggiungere le nostre coste, ci sono anche persone pronte a delinquere. Lo sappiamo, ma il prezzo che si paga per fermarne dieci sono le decine e decine di vite umane, e, visto i trascorsi, anche recenti, è un prezzo che non possiamo pagare. Sappiamo bene che le politiche di gestione dei flussi migratori sono carenti e che la fantomatica legge Bossi-Fini è talmente stupida da imporre a chiunque approdi nel nostro Paese di delinquere, di essere preda delle organizzazioni criminali che imperversano indisturbate in ogni angolo d'Italia. Sappiamo che sono merce da ricatto, soggetta alle vessazioni, considerata materiale di risulta di una fabbrica della prevaricazione che non ha né cuore, né anima, né cervello. Non ignoriamo neppure che i CIE o CPR sono carceri a cielo aperto, luoghi dell'orrore, che traboccano di persone: studiati per contenerne qualche centinaio in maniera dignitosa per poco tempo, solitamente superano il migliaio d'individui. Siam consci che sono fucine dove la rabbia e il rancore crescono e si nutrono della disperazione e di sogni frustrati. Sovente lì dentro maturano i germi della violenza e dell'odio. Sappiamo tutto questo, e pur sapendolo non riusciamo proprio a rassegnarci ai fili spinati, all'esercito in armi che presidia le nostre coste e le nostre frontiere. Non riusciamo proprio a rassegnarci a ciò perché intuiamo che i flussi migratori sono ineluttabili, inarrestabili, ineliminabili e non saranno due o tre corvette della nostra scassatissima marina militare ad intimorirli a tal punto da farli desistere: alla disperazione solitamente si risponde con atti disperati, e quelli a cui assistiamo basiti, sono propriamente atti di disperazione imposti dalla fame.
Perciò la risposta non può essere affidata alla spada, come non è stata la spada la risposta adeguata al proibizionismo americano, non lo è stata neppure rispetto alla droga, alla prostituzione, all'aborto. Ed è perciò che destano enormi preoccupazioni le irresponsabili dichiarazioni di certa politica odierna. È necessario e s'impone, oggi più che mai, una politica della gestione, il costo economico sarebbe decisamente meno elevato di quello sostenuto con le politiche repressive. Basti pensare solo a quante risorse economiche è costata l'idiozia in Albania e quante se ne dovrebbero mettere in campo per il rimpatrio dei clandestini, che puntualmente ritornerebbero, a meno che non li si giustizi sommariamente sul posto: non è però questo il Paese che i "buonisti" sognano. 
Uno Stato, in tutte le sue articolazioni, è una macchina complessa che deve saper far fronte quotidianamente a svariate problematiche ed affrontare, nel miglior modo possibile e consentito dalle circostanze e dai mezzi, criticità derivanti dalla complessità della società che è chiamato ad accudire, senza abdicare mai al principio inderogabile dell'etica e della democrazia. Se così non fosse, se ritenessimo conseguente e ammissibile il ritrarsi delle istituzioni ed il loro chiudersi in sé stesse di fronte alle difficoltà, dovremmo anche accettare e pretendere la sua resa incondizionata nei confronti della mafia, della criminalità organizzata. Ma così non è. Chiediamo, giustamente, un impegno costante che prescinda dal Pil e dallo sforzo economico.
Ciò a cui assistiamo in questi anni è un fenomeno vasto, multiforme, complicato nella gestione e non può essere affrontato semplicisticamente chiudendoci in noi stessi, barricandoci in casa ed affidando il presidio delle frontiere a truppe in armi. Ciò che la tragedia di tanti giovani extraeuropei interroga in maniera critica è la nostra forza d'animo di non rinunciare ai nostri principi, alla nostra etica, in definitiva, al nostro essere umani. Non vi è altra strada se non quella dell'integrazione.  Non certo assimilazione, avremmo tutti scritto così, eppure usiamo un altro termine. Rispetto delle differenze, cultura dell'ascolto, assistenza (principio su cui è fondato il nostro Welfare, non facciamoci intimorire da questo termine), convivenza equilibrata di culture e religioni differenti (le differenze vanno preservate perché sono una ricchezza irrinunciabile). Sarebbe a dire, tanto per intenderci con un esempio pratico, né più né meno di quanto accadeva in Spagna prima che la cattolicissima Isabella si ponesse in testa di distruggere con pervicacia una delle più fiorenti culture multietniche che la storia del pianeta abbia conosciuto, trasformando i mori in moriscos e gli ebrei in marrani. 
La storia non è solo una congerie di brutture, di guerre e violenze. È anche capace d'impartirci lezioni di civiltà e di convivenza insospettabili, di cui dovremmo far tesoro. Dobbiamo riesumare la nostra intima e naturale propensione all'incontro. L'uomo è un animale relazionale, che trova nell'incontro il principale alimento che nutre la sua umanità. L'incontro è il più grande antidoto contro l'ignoranza, ben più efficace dello studio. L'incontro è vita, è dinamico, non statico. Dovremo rinunciare all'ideologismo e confidare un po' di più nel prossimo. Affidarci con animo critico (non si rinunci mai a questa grande propensione umana, poiché è la capacità critica il principale motore che stimola la ricerca, prodromo delle scoperte e delle invenzioni più belle) alla psicologia che studia il comportamento umano, in quanto individuo, e alla psicologia sociale che lo studia nel suo esser relazionale comunitario. Non possiamo arrenderci al deserto. Lo dobbiamo percorrere senza perderci, calpestarne la polvere e scottarci ai raggi del sole cocente, fino a trovare, ed in certi non sporadici casi a ritrovare, la polla sorgiva da cui sgorga l'acqua vivificante della bellezza di essere umani che contendono alla bestia che abita il profondo dell'anima di ciascuno di noi l'estasi e l'appagamento ricavato dalla contemplazione della bellezza.
Le politiche repressive non fermano la disperazione, soprattutto quando questa è tracimante, e difatti tracima ed esonda in foggia di tetri e fatiscenti barconi (solo il 15% dei flussi migratori che interessano l'Italia avviene attraverso il Mediterraneo, il resto in mille altri rivoli difficilmente monitorabili?). Non può essere ignorato, per esempio, che la comunità straniera più rappresentata in Italia è quella rumena (oltre 1 milione d'individui). È anche quella che fa registrare il più frequente ricorso ad azioni criminali. Le ragioni di ciò non stanno scritte nella genetica, non c'è nulla nei cromosomi dei rumeni che possa far intuire in anticipo che si sia al cospetto di una comunità con una forte propensione a delinquere. Nelle scatole craniche dei ragazzi di Timisoara o di Bucarest non si registrano neppure vistose protuberanze che possano accreditare l'obbrobriosa tesi di Lombroso del "secolo breve", la quale pretendeva che i tratti delinquenziali fossero iscritti nella genetica delle persone e che la fisiognomica ne tradisse l'evidenza. La comunità romena è la stessa cresciuta o nata sotto la dittatura di Ceausescu. Si tratta di quell'infanzia rubata al futuro e alla vita, costretta letteralmente a vivere nei tombini. Il risultato è questo. La Romania è parte integrante della UE. Non è stata ancora ammessa pienamente nell'area Schengen. Nondimeno, non è concepibile che in ambito UE si possa limitare la libera circolazione dei suoi cittadini, ciò perché verrebbe negato il principio basilare che sottende proprio gli accordi di Schengen, quindi il concetto stesso di Europa e di unità comunitaria.   
Che tristezza doversi confrontare con sterili numeri quando questi parlano di tragedie immani, quando espongono il sudore, la fatica, il sangue, le lacrime e la disperazione di esseri umani. Non mi frega proprio nulla della contabilità stocastica o statistica, quando dietro questa contabilità c'è una moltitudine di persone che sogna e spera. Un Paese di cattolici dovrebbe rileggersi con attenzione l'intero nuovo Testamento per comprendere il profondissimo significato, non solo teologico o religioso, che la speranza assume per le esistenze di ciascuno di noi. Il danno più grave che un animo può subire, non è la fame, neppure la morte, ma è appunto la disperazione, cioè la fine di ogni speranza. 
Questo è buonismo? Forse solo capacità d'immedesimazione. È voler cercare di indossare i calzari di chi s'incontra per strada; provare a sentire sulla propria pelle quel che gli altri sentono e patiscono ogni giorno. So bene che si tratta in ogni caso di un'esperienza edulcorata, ma, pur essendo tale, e non potrebbe essere altrimenti, è pur sempre un'esperienza che sfianca l'animo, sfibra il fisico e insinua nella mente il disperante dubbio che tutto possa ridursi all'abusata locuzione latina "Homo homini lupus". Come è possibile rassegnarsi a tutto ciò? L'uomo non è un'entità astratta, collettiva e deresponsabilizzante, sulla quale, in quanto massa confusa e non identitaria, possano essere riversate responsabilità che sono invece individuali, personali, precise e non surrogabili. Come è possibile rassegnarsi alla deresponsabilizzazione, tanto comoda quanto vile, che suddivide le colpe, fino ad assumerne su di sé solo un'infinitesima residuale stilla, un racimolo non significativo che salva la coscienza e non intristisce il cuore. Deresponsabilizzazione tipica della psicologia del branco che addita nelle colpe altrui le ragioni dell'abominio. Noi italiani siamo troppo cattolici; sarebbe meglio divenissimo un po' più luterani. È necessario che ciascuno s'appropri e si faccia cultore a sua volta della cultura della responsabilità, che appella in causa proprio l'individuo, e la comunità solo come somma di individui equamente responsabili. 
Non possiamo rassegnarci! Rifiutiamoci di dare il nostro consenso alla monocromia, all'usuale, all'ordine e alla disciplina; convertiamoci alla policromia, alla polifonia, anche all'indisciplina, perché è spesso proprio quest'ultima la forza generatrice che sovverte le consuetudini e lo status quo – in tal senso paradigmatica la bellissima lezione impartitaci da Rosa Parks, non scordiamola mai -. È davvero giunta l'ora di riprendere le armi del buon senso e della ragionevolezza. Non arrendiamoci.