Provo a contribuire con la mia interpretazione della filosofia kantiana della conoscenza (della quale non sono sicuro)...
Dunque, credo che sia necessario partire da alcune definizioni:
Utilizzando questi termini, si può analizzare le opinioni dei filosofi pre-kantiani.
Il razionalista Cartesio proponeva un realismo trascendentale: ovvero riteneva che gli oggetti della conoscenza erano indipendenti dall'esperienza cosciente ('trascendentale') e indipendenti dal soggetto conoscente. Per Cartesio, infatti, la nostra 'esperienza cosciente' (le impressioni sensoriali - ovvero: ciò che vediamo, sentiamo ecc) è una costruzione della nostra mente. In essa proprietà come colori, ruvidezza ecc sono definite 'qualità secondarie' perché sono 'aggiunte' dalla mente e quindi esistono solo in relazione ad essa. Le qualità primarie, invece, sono gli aspetti quantitativi della realtà, es: dimensioni, forme ecc. Secondo Cartesio, quindi, i contenuti della nostra esperienza cosciente non erano i veri oggetti della conoscenza. Tuttavia, potevamo dedurre tramite un'analisi quantitativa le proprietà della realtà all'infuori della nostra esperienza diretta ('trascendentale') che esiste indipendentemente da noi soggetti coscienti ('realismo'). Simili posizioni si trovano in Spinoza, Galileo ecc
L'empirista Berkeley proponeva un idealismo empirico: i contenuti della nostra esperienza esistevano in dipendenza da noi soggetti conoscenti.
Kant propose invece:
Che vuol dire, in pratica? Partiamo dall''idealismo trascendentale'. Secondo Kant, la nostra esperienza cosciente era dovuta alla presenza di una realtà esterna (Kant rifiuta l''idealismo empirico' o 'dogmatico' di Berkeley). Tuttavia, la nostra esperienza cosciente era 'ordinata' dalla nostra mente. In altre parole, la nostra mente non è una 'tabula rasa' - come sostenevano gli empiristi - che passivamente riceve informazioni. In realtà 'ordina' (attraverso determinate 'facoltà'*) l'esperienza e questo 'ordinamento' dipende dalla struttura della nostra mente. Dunque, nella nostra esperienza ciò che dipende dalla nostra mente è il come gli oggetti della nostra esperienza appaiono, il modo in cui essi appaiono. Tuttavia, questo non significa che l'esistenza di tale 'realtà' dipende da noi ('realismo empirico').
Queste 'facoltà' che ordinano l'esperienza ci sono note 'a priori' (trascendentale - indipendenza dalle esperienze particolari) e sono 'facoltà' che si trovano nella nostra mente (quindi 'idealismo', queste facoltà si trovano nella nostra mente).
Ora, per Kant la conoscenza aveva una doppia origine. Da un lato doveva partire dall'esperienza: nell'esperienza c'è il contenuto della nostra conoscenza. Tuttavia, dall'altro lato tale contenuto se non viene 'ordinato' dalle 'facoltà ordinatrici' presenti nella nostra mente è incomprensibile. Deve essere 'formato', deve essere data ad esso una 'forma'.**
Lo studio delle 'facoltà ordinatrici', invece, non ci può dare vera conoscenza. Ci dice semplicemente il modo in cui la nostra mente 'funziona'.
In una analogia, studiare il funzionamento di una calcolatrice ci fa capire come funziona. Tuttavia, per conoscere quanto fa una determinata somma dobbiamo inserire un input. Nel caso della nostra conoscenza, l'input è l'esperienza cosciente.
Detto ciò, passiamo al dualismo fenomeno/noumeno.
Il 'fenomeno' è il contenuto della nostra esperienza cosciente così come appare a noi ovvero 'formato' dalle facoltà ordinatrici della nostra mente. Siccome qualsiasi studio approfondito della nostra esperienza cosciente si basa sulle facoltà della nostra mente, non possiamo conoscere una 'realtà al di fuori' della nostra esperienza. Infatti, non ci è possibile tramite la nostra mente vedere come è la realtà indipendentemente da essa (analogia: se abbiamo degli occhiali da sole e non possiamo toglierceli, qualsiasi nostra esperienza visiva sarà condizionata dal fatto che abbiamo quegli occhiali. E per quanto ci possiamo sforzare non possiamo 'trascurare' questo fatto).
Questa impossibilità di conoscere la realtà senza la mediazione della nostra mente è ciò che rende impossibile la conoscenza della 'cosa in sé' (il cosiddetto 'noumeno'). La 'cosa in sé' perciò è indeterminata.
Il 'noumeno' è inconoscibile perché per Kant la nostra conoscenza parte dall'esperienza, la quale è già condizionata dalla nostra mente che la ordina in un certo modo.
*facoltà non è un termine usato da Kant (credo) ma mi pare utile per spiegare la sua posizione...
**da qui la frase: "pensieri senza contenuto sono vuoti; intuizioni" (ovvero impressioni sensoriali, contenuti empirici) "senza concetti sono ciechi".
N.B. La filosofia kantiana è notoriamente ambigua ed è stata soggetta storicamente a molte interpretazioni contrastanti. E le mie analogie non devono essere prese troppo sul serio (se sono motivo di confusione, meglio ignorarle).
Dunque, credo che sia necessario partire da alcune definizioni:
- Per idealismo (applicato a qualcosa)si intende una posizione per cui qualcosa esiste dipendentemente dal soggetto conoscente;
- Per realismo (applicato a qualcosa)si intende una posizione per cui qualcosa esiste indipendentemente dal soggetto conoscente;
- Per empirico si intende il contenuto della nostra esperienza cosciente;
- Per trascendentale si intendono gli oggetti di conoscenza indipendenti dall'esperienza;
Utilizzando questi termini, si può analizzare le opinioni dei filosofi pre-kantiani.
Il razionalista Cartesio proponeva un realismo trascendentale: ovvero riteneva che gli oggetti della conoscenza erano indipendenti dall'esperienza cosciente ('trascendentale') e indipendenti dal soggetto conoscente. Per Cartesio, infatti, la nostra 'esperienza cosciente' (le impressioni sensoriali - ovvero: ciò che vediamo, sentiamo ecc) è una costruzione della nostra mente. In essa proprietà come colori, ruvidezza ecc sono definite 'qualità secondarie' perché sono 'aggiunte' dalla mente e quindi esistono solo in relazione ad essa. Le qualità primarie, invece, sono gli aspetti quantitativi della realtà, es: dimensioni, forme ecc. Secondo Cartesio, quindi, i contenuti della nostra esperienza cosciente non erano i veri oggetti della conoscenza. Tuttavia, potevamo dedurre tramite un'analisi quantitativa le proprietà della realtà all'infuori della nostra esperienza diretta ('trascendentale') che esiste indipendentemente da noi soggetti coscienti ('realismo'). Simili posizioni si trovano in Spinoza, Galileo ecc
L'empirista Berkeley proponeva un idealismo empirico: i contenuti della nostra esperienza esistevano in dipendenza da noi soggetti conoscenti.
Kant propose invece:
- realismo empirico: i contenuti della nostra esperienza esistono indipendentemente da noi;
- idealismo trascendentale: gli oggetti della nostra conoscenza dipendono dal soggetto conoscente.
Che vuol dire, in pratica? Partiamo dall''idealismo trascendentale'. Secondo Kant, la nostra esperienza cosciente era dovuta alla presenza di una realtà esterna (Kant rifiuta l''idealismo empirico' o 'dogmatico' di Berkeley). Tuttavia, la nostra esperienza cosciente era 'ordinata' dalla nostra mente. In altre parole, la nostra mente non è una 'tabula rasa' - come sostenevano gli empiristi - che passivamente riceve informazioni. In realtà 'ordina' (attraverso determinate 'facoltà'*) l'esperienza e questo 'ordinamento' dipende dalla struttura della nostra mente. Dunque, nella nostra esperienza ciò che dipende dalla nostra mente è il come gli oggetti della nostra esperienza appaiono, il modo in cui essi appaiono. Tuttavia, questo non significa che l'esistenza di tale 'realtà' dipende da noi ('realismo empirico').
Queste 'facoltà' che ordinano l'esperienza ci sono note 'a priori' (trascendentale - indipendenza dalle esperienze particolari) e sono 'facoltà' che si trovano nella nostra mente (quindi 'idealismo', queste facoltà si trovano nella nostra mente).
Ora, per Kant la conoscenza aveva una doppia origine. Da un lato doveva partire dall'esperienza: nell'esperienza c'è il contenuto della nostra conoscenza. Tuttavia, dall'altro lato tale contenuto se non viene 'ordinato' dalle 'facoltà ordinatrici' presenti nella nostra mente è incomprensibile. Deve essere 'formato', deve essere data ad esso una 'forma'.**
Lo studio delle 'facoltà ordinatrici', invece, non ci può dare vera conoscenza. Ci dice semplicemente il modo in cui la nostra mente 'funziona'.
In una analogia, studiare il funzionamento di una calcolatrice ci fa capire come funziona. Tuttavia, per conoscere quanto fa una determinata somma dobbiamo inserire un input. Nel caso della nostra conoscenza, l'input è l'esperienza cosciente.
Detto ciò, passiamo al dualismo fenomeno/noumeno.
Il 'fenomeno' è il contenuto della nostra esperienza cosciente così come appare a noi ovvero 'formato' dalle facoltà ordinatrici della nostra mente. Siccome qualsiasi studio approfondito della nostra esperienza cosciente si basa sulle facoltà della nostra mente, non possiamo conoscere una 'realtà al di fuori' della nostra esperienza. Infatti, non ci è possibile tramite la nostra mente vedere come è la realtà indipendentemente da essa (analogia: se abbiamo degli occhiali da sole e non possiamo toglierceli, qualsiasi nostra esperienza visiva sarà condizionata dal fatto che abbiamo quegli occhiali. E per quanto ci possiamo sforzare non possiamo 'trascurare' questo fatto).
Questa impossibilità di conoscere la realtà senza la mediazione della nostra mente è ciò che rende impossibile la conoscenza della 'cosa in sé' (il cosiddetto 'noumeno'). La 'cosa in sé' perciò è indeterminata.
Il 'noumeno' è inconoscibile perché per Kant la nostra conoscenza parte dall'esperienza, la quale è già condizionata dalla nostra mente che la ordina in un certo modo.
*facoltà non è un termine usato da Kant (credo) ma mi pare utile per spiegare la sua posizione...
**da qui la frase: "pensieri senza contenuto sono vuoti; intuizioni" (ovvero impressioni sensoriali, contenuti empirici) "senza concetti sono ciechi".
N.B. La filosofia kantiana è notoriamente ambigua ed è stata soggetta storicamente a molte interpretazioni contrastanti. E le mie analogie non devono essere prese troppo sul serio (se sono motivo di confusione, meglio ignorarle).