Menu principale
Menu

Mostra messaggi

Questa sezione ti permette di visualizzare tutti i messaggi inviati da questo utente. Nota: puoi vedere solo i messaggi inviati nelle aree dove hai l'accesso.

Mostra messaggi Menu

Messaggi - PhyroSphera

#91
Tematiche Filosofiche / Re: il velo di maya
28 Maggio 2025, 07:31:48 AM
Citazione di: iano il 26 Maggio 2025, 21:44:13 PML'argomento della discussione è molto semplice.
Si propone che solo mettendogli un velo addosso possiamo rilevare la realtà, prendendone coscienza, mentre tgliendo il velo si torna nell'ignoranza.
L'apparenza della realtà, sia che sia prodotta dalla percezione sensibile, che dalle astrazioni scientifiche, è l'unico modo che abbiamo di conoscerla.
La nostra conoscenza si ottiene tirando i fili delle nostre esperienze a comporre il velo.
Possiamo vestire la realtà, e non c'è un solo modo di farlo, e anzi la storia ci dice che questo abito risente della moda dell'epoca, per cui, al modo che ci apparirà ridicolo il nostro modo di vestire in una foto di mezzo secolo fa, potranno apparirci ingenue le credenze dei nostri avi, ma le nostre non lo saranno di meno  agli occhi dei posteri.
Si tratta solo di cambiare abito quando si logora, o si mette qualche kilo di troppo, ma anche quando si credesse che la moda cambi per tendere all'abito perfetto, l'abito non sarà mai il monaco.

Tu dici di vestire e rivestire la realtà, ma sarebbe un gioco insensato se a coprirsi non sarebbe anche la nostra mente. Tu definisci una dinamica psicologicamente proiettiva che per un verso è un gioco necessario, nel senso che noi vogliamo far significare al mondo ciò che ci conviene, ci piace, anche per capire e godere il mondo, quindi creativamente ce ne costruiamo un utile simulacro; per altro verso è la forma dello sbaglio, dell'abbaglio, per i malati una condizione di impotenza che non è un vero errare (difatti non sono i malati i pazzi pericolosi); sbaglio o abbaglio che però sono deliberati. Maya non c'entra e se c'entra sta ai margini. Il Velo di Maya non è una invenzione, non è il gioco che ho detto - che potrebbe diventare strumento di dominio di cattivi sacerdoti e loro accoliti; è la stessa realtà nel suo aspetto illusorio, secondo una descrizione mitologica.


MAURO PASTORE
#92
Citazione di: taurus il 26 Maggio 2025, 00:12:29 AMEccomi qua..
Il devoto catto-cristiano mi accusa di inaudite nefandezze.. addirittura deformando il sublime testo biblico (sic !), come se fossi un altro tarsiota.

Gradirei, da quel credente.. conoscere i passi biblici da me manipolati !
--------------------------------------------------------
Il non sono catto-cristiano.
Non so se avrò tempo per leggere tutto il messaggio citato qui su, dove si trova scritta l'illazione che io pratichi un cattolicesimo dimidiato. Assolutamente non è vero.
Io partecipo del protestantesimo. Inoltre conosco l'ortodossia e non sono fuori dalla cattolicità, che non è solo della Chiesa di Roma, e non sono separato dal pensiero orientale - tutto ciò non nel senso di multiconfessionalità o transconfessionalità.
Non ho scritto qui su questo forum per lo scopo di far conoscere la Bibbia, tantomeno a chi esordisce nella sua replica come ha fatto l'utente "taurus".

MAURO PASTORE
#93
Tematiche Filosofiche / Re: il velo di maya
26 Maggio 2025, 13:19:44 PM
Citazione di: iano il 13 Maggio 2025, 19:38:27 PMPer ri-velare ''l'uomo invisibile'' basta mettergli un velo sopra.

Non c'è da porre in causa Maya e le relative saggezze. Il gioco dell'incappucciato che fa il misterioso è cosa assai diversa dalla filosofia che indica la via oltre le illusioni della realtà.

Se poi tu con "maya" intendi riferirti a Tizia, è un altro conto, ma in tal caso dove starebbe la materia per la discussione?



MAURO PASTORE
#94
Ho riveduto e migliorato più volte il testo del mio ultimo messaggio. Penso di aver finito ma in ogni caso il tempo a disposizione per le modifiche è limitato e il lettore non ha da preoccuparsi, il contenuto del mio messaggio era intuibile già al primo invio ed è rimasto lo stesso.

MAURO PASTORE
#95
L'utente "taurus" si è profuso in lunghi messaggi di stile futuristico, espressioni approssimative, ingiuriose contraffazioni, anche deformando il testo biblico.


Lui, che si dice in contatto con due rabbini di Torino, è arrabbiato perché secondo lui il cristianesimo sarebbe sorto da una alterazione dell'autentica dottrina e religione ebraica.
Per prima cosa, bisogna capire che tutte le religioni sono di base ed in parte sincretiche, non nel senso che prendono i contenuti esclusivi delle altre realtà di fede. Quindi non bisogna giudicare a partire da cose comuni e non esclusive ed assegnando ad una religione un diritto escludente, per esempio per precedenza temporale.
Per seconda cosa, si deve intendere quale sia il contenuto di fede differente fra ebraismo e cristianesimo e riconoscere che pretendere uguaglianza è tradire il contenuto che si vorrebbe agguagliare.
Diversamente: lo scarto, differenza, opposizione fra interpretazione e dottrina cristiana ed ebraica, non dimostra inadempienza né insostenibilità ma proprio correttezza e validità di due realtà che essendo distinte non devono essere la stessa cosa.

Lo stesso utente vorrebbe valutare la fede nel Cristo fisicamente, fenomenicamente, pensando all'uomo Gesù non in qualità di un segno che sta per altro ma come il segno su uno specchio, come a una descrizione antropologica-ontologica o antropo-onto-logica. Ebbene è un'assurdità che conduce all'autoavvilimento e non bisogna trasferire propri dispiaceri per questo sulla dottrina e vita cristiane.
Dio vive un caso tragico di un uomo, ma non è questo caso ad essere salvifico né fatale, bensì la presenza di Dio nelle tragedie. Quelli che pensano che l'uomo Gesù doveva finire suppliziato tradiscono il vero messaggio cristiano. La "incarnazione" non motiva la violenza, serve per porla in crisi.

E' vecchia e sciocca la teoria di Paolo cattivo inventore, perché i vissuti religiosi non sono arbitrari - questo afferma la vera psicologia, e la psicoanalisi la psicosintesi e il resto sono solo metodi psicologici. Si tratta di capire che tal vissuto in Cristo è una esistenza vitale in mezzo ad apparenze di morte; si tratta di farlo senza rifiutare quel minimo di saggezza, elargita anche da Dio, a difesa dagli inganni del mondo.

Le proteste contro i cannibali che giocano coi simboli della Santa Cena sono ravvisabili nella Riforma protestante e i fraintenditori atei non hanno il diritto di negare i meriti del cristianesimo evangelico e non devono confondere l'autentica cristianità per una riunione di antropofagi.


MAURO PASTORE
#96
Ho riveduto e corretto il testo, auguro buona lettura e che ci sia una proficua discussione.

MAURO PASTORE
#97
Il grande filosofo Nicola Abbagnano, iniziatore dell'esistenzialismo positivo, diceva nel suo insegnamento che l'esistenza è contraddizione.
Questo significa che ciascun esistere filosofico, di opere, operati, lavori, semplici iniziative, discorsi o solo dichiarazioni, che sia compiutamente un intero esistere presenta linguisticamente degli scarti semantici, pragmaticamente delle affermazioni in opposizione; insomma la sua comunicazione intesa nel suo complesso risulta in alcunché contraddittoria.
Ma cos'è una contraddizione? Il noto (aristotelico) "Principio di non contraddizione" è per sua stessa definizione una regola che riguarda il nomos. Ciò significa che l'esistenza umana resta logicamente (ovvero quanto a logos) sensata.

Vi sono molte apparenze che ingannano.
Può accadere che dati della scienza siano, quanto ad espressioni, in contraddizione reciproca senza essere scorretti. Non è impossibile che due differenti realizzazioni tecniche servano a identico scopo tecnologico con metodi contrari. Lo stesso mondo religioso è coinvolto, partecipe delle contraddizioni dell'esistenza. Faccio un esempio:
"Extra ecclesiam nulla salus" è proposizione notissima ma che ha dato luogo a non poche illusioni. A confliggervi apparentemente è la realtà definita da P. Tillich principio protestante. Nel primo caso sorta di abbraccio materno da cui far discendere tutto ciò che di positivo, universale cioè cattolico, e comune può essere affermato; nel secondo caso una testimonianza evangelica, direttamente a favore di Dio e di coloro che lo accolgono ma con affermazioni non conformi, a volte difformi, che appunto attestano l'alterità di Dio e l'irrompere di essa nella storia. Per quanto detta proposizione sia variamente interpretabile, nel senso di: non bisogna restare senza fare chiesa, non bisogna cercare la salvezza fuori dalla chiesa o senza la chiesa, e per quanto ciò sia relativizzabile non essendo il cristianesimo riducibile a quello ecclesiastico... resta che magistero cattolico e ministero evangelico configurano una opposizione irriducibile. A prescindere dalle contingenze della storia, cioè una Riforma nata da una impresa drammatica e controversa (quella segnata dall'attività di Lutero, Zwingli, Calvino...), tale irriducibilità non è segno di un destino cristiano illogico. I litigi tra Lutero, i luterani e i Papi sarebbero potuti anche non accadere e nondimeno la Riforma concretizzarsi, il contrasto fra la cittadinanza di Zurigo ed il Papato neanche era fatale, come pure i conflitti tra calvinisti e popolo cattolico. Si sa del Processo contro Lutero (costretto finanche a un nascondiglio di fortuna), della Strage degli Ugonotti e dello scoppio della Guerra dei Trent'anni; ma tutto questo è contingenza storica che non definisce la peculiarità dell'evento cristiano. Questo presenta delle differenze ma non è in sé diviso. Il cristianesimo ha rappresentato effettivamente qualcosa di positivo e favorevole, per cui il verbo biblico:

"Ogni regno diviso contro se stesso va in rovina, e casa crolla su casa." (Lc 11, 17)

non ne dimostra inconsistenza. Dalla cristianità è venuto un progresso non una rovina (non bisogna confondere la crisi dei paganesimi antichi e le difficoltà medioevali con ciò che ne attraversava; bisogna distinguere le superstizioni dalle credenze religiose). A taluni parrebbe che la religione, non possedendo proprie ragioni, funzioni solo per un caso e che le sue contraddizioni siano anche conflitti interni; ma sopra ogni religione c'è una spiritualità, con un intero patrimonio non privo di razionalità oltre che pieno di libertà emotiva.


MAURO PASTORE
#98
Citazione di: green demetr il 08 Maggio 2025, 03:06:36 AMIl problema dell cultura woke è molto semplice.
Essi confondono il riconoscimento civile con quello identitario.
Si prestano facilmente al potere della propaganda che annette nell'identitarismo il collettivismo.
Dunque maschio e femmina sono la stessa cosa.
L'identità biologica è così soppiantata.
Come si sa quando si nega la realtà si entra in un mondo paranoide.
Il cui sintomo principale è il narcisismo dilagante di questa epoca.
Da un punto di vista filosofico nicciano è la prosecuzione del nichilismo
 che come previsto da Niezche da ideologico sta diventanto bio-politico.
Il controllo di cosa sia o non sia un corpo, il controllo di cosa sia o non sia il concetto di salute.
A margine le dichiarazioni gravissime del ministro della sanità italiano che afferma che per motivi di mancanza di soldi....(il loop delirante di questi fascisti e neonazisti al potere) la PREVENZIONE dovrà auspicabilmente diventare obbligatoria (alla faccia del concetto morale di sacralità del corpo)
E niente il tarlo del 2020 sta scavando sempre più a fondo, e in maniera allucinante: ovviamente in Italia.
Il problema dunque non è la cultura woke ma il controllo dei corpi.
Bio-politica (Niezche-Focault-Adorno).
L'anfibologia politica già condannata da Aristotele continua imperterrita.
Con mezzi sempre più finemente psicologici (senza distruggere cioè la massa dei lavoratori schiavi).
L'anfibologia porre vecchi problemi sotto il nome di altri.
Complimenti alla sinistra.

Il bipartitismo serviva a questo a trovare una quadra tra le necessità dello status quo, e il tentativo di liberare ulteriori forze individuali.
(l'individualismo è alla base della democrazia....notevole l'apparato mediatico di massa che invece inverte i fattori e fa diventare collettivo ciò che può e deve essere solo individuale.
Il comunitarismo è cosa totalmente diversa dal collettivismo.
Peccato che sia morto Preve, quanto ci sarebbe servita una figura onesta come la sua sono sicuro che sarebbe stato d'accordo con me.
e va bè-

Un ministro della sanità può prevedere prevenzione obbligatoria per mancanza di soldi solo in riferimento al dovere dei medici di agire sviluppando la prevenzione, non propinandola o imponendola (ovvia, quest'ultima affermazione).

Sicuramente sono condivisibili e da condividere le tue affermazioni a favore delle dovute distinzioni. Tuttavia c'è da dire che le considerazioni della civiltà e dell'identità non vanno separate. Difatti se - per esempio - ci si mette ad organizzare impossibili matrimoni tra maschi invadendo così i codici civili con normative assurde e mortificanti la naturalità, sia omosessuale che eterosessuale, se la civiltà parla il linguaggio della falsità e una società incivile o non civile lo subissa con quello della verità, non siamo in un mondo assennato (e di fatto molti Stati si sono in parte già ridotti così). Perché abbandonare la civiltà alle contraffazioni e confusioni?

MAURO PASTORE
#99
Citazione di: iano il 17 Maggio 2025, 23:04:44 PMNormalissimo nella dinamica della scienza.
Solo i testi sacri rimangono uguali.

Le Sacre Scritture non sono gli stessi scritti che le compongono, i cànoni possono variare o variano!
Io in ogni caso non mi riferivo ai contenuti del testo, non davo stime letterarie. Se intendi che i dati scientifici sono solo ipotesi utili, stai dimenticando la scienza.
Comunque leggi bene quello che ho scritto e prova a dare risposte commisurate o non scrivere niente. Replicare per forza di cose non funziona in filosofia.

MAURO PASTORE
#100
Citazione di: iano il 08 Maggio 2025, 17:25:22 PMQuindi, nella parte che l'autore non dice, concorda in pieno con te, mi sembra di capire. >:(
L'autore con la prefazione del 2017 abbozza una ritrattazione, lascia intendere di aver partecipato a un disastro; ma lo scritto cui si riferisce la prefazione resta da negare, come io ho fatto.

MAURO PASTORE
#101
Quest'oggi ho studiato Il mondo esterno, di Maurizio Ferraris. Leggevo in presenza di una collaboratrice domestica cui non impedivo visione del titolo assieme a mia fronte corrucciata.

Darei al lavoro di Ferraris sottotitolo ironico: piccolo mondo antico, anche se non appare il vero mondo greco, quello che con Talete e gli altri dopo di lui pensava gli elementi cosmici. Acqua, aria, terra, fuoco, lo imbarazzano al solo pensare uno sporco sotto un'unghia, ed anche solo per questo reputa la teodicea insostenibile.
Il punto di partenza dunque è un orizzonte che non accetta tutto il negativo del reale, evidentemente in un ambiente ben difeso che non lascia intravedere altro da un destino tanto civile quanto ignorante delle proprie precarietà e ignoranza.
L'autore nondimeno riesce a smascherare una illusione positivistica, la pretesa che gli schemi razionali della scienza siano direttamente applicabili ed esaustivi: un asino tira dritto senza Euclide! Sinceramente plaudo a tali risultati del filosofo, che mostrano il lato imprevedibile, inaspettato direi, del suo e non solo del suo mondo mostrando una inflazione epistemologica cui opporre opportuna deflazione con l'ontologia. Questa però la assume nella sua forma logica chiusa, metafisica, ed invece ne esiste apertura, logica anch'essa, alla fisica. Certo, l'ente è astratto; ma si può assumerlo nella concretezza di cosa (senza arrivare all'assurdità del prof. Severino che dava idea che le cose sono eterne, accademicamente la tesi di costui è l'eternità dell'essente cioè il suo non nientificarsi, niente di più).
Intesa metafisicamente, ignorando i risultati completi degli operati e studi di Husserl e Heidegger, si resta con la solita mezza confusione tra essere ed esistere, cercando di compensare il conseguente precipitare nel puro esistere con una spiritualizzazione. Fenomenico ed ontico si sovrappongono, allora per non morire di apparenze ci si rifugia nell'essere dello spirito. È il protrarsi di un'interpretazione medioevale–scolastica del pensiero di Elea... due scuole spesso in rotta di collisione. Kant scoprì una prova ontologica trasportata a livello empirico. La stessa - aggiungo io - che faceva o fa ritenere un prete adatto a fare il papa solo perché in una felice successione cosmica, in tanta energetica vicinanza alla Scaturigine, requisito per un sacerdote di Giove. Il contraltare di questo errore era già anticamente ad Alessandria, quando i carcerati erano sottoposti ad esperimenti fisici per raddrizzarne il destino e uniformarli alla virtù della Causa Prima. Giustamente i cristiani protestavano (la neoplatonica Ipazia fu ritenuta anch'essa colpevole, ma come avrebbe potuto se neoplatonicamente non si dà possibilità dell'errore fisicalista?) ma nell'Europa cristiana alla uniformazione causalista seguì quella causalistica, più penosa perché stravagante, fino a sfociare nella moderna e contemporanea omologazione a una falsa Causa Prima. In una scena del film Arancia Meccanica si vede la rieducazione del teppista assassino dare i suoi frutti: lui ama piamente il martirio di Gesù, ma è a favore dei suoi nemici. Ugualmente la gerarchia cattolica che vorrebbe frenare l'esuberanza naturale e necessaria della sessualità avvalendosi di ragionamenti su virtù decadute da universali a mondane e buone solo a creare confusioni ai credenti... Insomma Kant aveva la sua ragione nel criticare e molti nel cattolicesimo e altrove sono ingiusti col rifiutarne. Una delle tattiche degli oppressori è il mettere da parte la Critica della ragion pratica e usare quella del Giudizio per chiudere la Ragion pura in sé stessa. Esiste anche la ragion pura pratica, ma vale maggiormente la distinzione critica, possibile però se non si tagliano i ponti. M. Ferraris nel dire del mondo esterno nega che tra gli schemi della scienza e il mondo oggetto d'essa vi è un ordinamento della realtà e con ciò divide indebitamente la pratica dalla teoria. È vero che gli asini non hanno bisogno di conoscere la geometria euclidea per giungere a destinazione e neppure gli umani ingenui, tuttavia il Teorema di Euclide e tutte le altre conclusioni scientifiche non derivano da una intuizione semplice come quella di un poeta ma sono mediate, lo si sappia o no, da una cosmologia. Per restare entro (ma anche oltre) un altro esempio di Ferraris, l'immedesimazione in una ciabatta, dirò: lo scienziato non deve presumere che quell'oggetto prodotto dalla tecnica inventata con la scienza sia comodo come i suoi schemi teorici parrebbero suggerire; ma perderebbe l'occasione di saggiarne tutta la confortevolezza se non si accorgesse che v'è una conformità. L'epistemologia non deve sostituire il semplice approccio empirico ma è necessario allargarla fino alla realtà cosmica, in vicinanza alla gnoseologia. Altrimenti il rapporto col mondo esterno diventa rischioso per il nostro esistere. Pericoloso per il prosieguo della filosofia pare lo stesso autore, che avendo caritatevolmente stabilito dell'indipendenza degli asini da Euclide vorrebbe sostenere la dipendenza di Kant da Gauss, Taurinus, Schweikart, insomma dai fautori della geometria non euclidea. Ma l'indipendenza del filosofo dagli scienziati, dove la mettiamo? E il fatto che geometria euclidea / non euclidea sia dicotomia affermatasi dopo Kant?
Ma c'è anche altro da obiettare.

Autonomia, antinomia dell'estetica, autonomia del mondo... Non solo va integrata la logica gnoseologica, scoprendo che è tutto solo relativo, che ad altro livello non c'è nessuna estetica e mondo indipendenti... Non solo va detto che la scienza senza cosmologia filosofica è un arrischio... Va pure notato che la ontologia metafisica non consente di cogliere l'evento dell'Essere, tra cui v'è l'evento-Cristo. L'autore pensa di confinare i risultati della critica kantiana nella natura, non avvedendosi che bisogna rivalutare la pratica della ragione e al contempo saperne i limiti. Restando alla pura ragione tutto si chiude nel cerchio della natura e tante affermazioni paiono da refutare; ma dal punto di vista pratico esse suonano diverse, corrette. Le tre Critiche kantiane non vanno isolate e neanche confuse e l'assumerne la prima sottoponendola alla terza è stato il passatempo dei distruttori dell'Occidente: giudizio e purità di ragionamenti... E' giusto fare il percorso a ritroso, dal Giudizio alla Ragion pratica alla Ragion pura, ma per notare che a fronte del Sublime e dell'Infinito l'azione del giudicare è impotente, che solo con l'agire che non esclude l'Alterità e che non dà sentenze si può dirne qualcosa e che in ciò la semplice ragione è insufficiente. Si scopre un Kant incauto col mondo religioso, che polemizzava prima di aver definito l'impotenza dei propri giudizi, ma al contempo resta confermato il suo studio sui limiti dell'esperienza cui può ovviare solo la pratica della ragione, non costruita sull'esperire: metafisica come non quale scienza. Per tali motivi, per il fatto che esiste una conoscenza pratica dell'universo ma che ha pur essa i suoi limiti, esiste anche il problema dell'evento imprevisto, che può essere anche estremo. A ciò fanno fronte le fedi religiose ed in ultimo quella cristiana; e ciò che la ragion pratica attesta è una possibilità e opportunità di agire secondo l'Assoluto, regolare i nostri strumenti sul Fine Ultimo, come uniche possibilità e opportunità a fronte della radicalità del male. Questo significa che non basta notare che il mondo è dominato dall'inaspettato e che sfugge alla pura calcolabilità scientifico-tecnica. Se si dimentica l'ordine cosmico e soprattutto i rischi e pericoli causati dal nostro stare su una soglia senza poterla varcare ovvero davanti a una porta aperta all'ignoto, non c'è rimedio. Difatti pensare all'ordine sotteso alla realtà fenomenica può indurre o induce a un restante ottimismo di troppo, ma non la contemplazione del massimo imprevisto.

Il libro di Ferraris termina con la citazione di frase anonima scritta su un gabinetto del Philosophisches Seminar della Università di Heidelberg: "Oh, do not ask, 'What is it?' Let us go and make our visit".Pare liberatorio 'fare una visita senza domandarsi che', un sollievo per uno che non comprende che anche la sporcizia ha la sua funzione nel mondo. Immaginare un grande scolo e niente più sporco sotto le unghie per una civiltà o (peggio) una civilizzazione asettiche, protese verso la riuscita perché se il mondo è infinito lo è anche la scienza (onnipotente, la dicono i socialisti atei): questo è delirante (non sto invocando interventi sanitari)! Senza cosmologia filosofica non si può avere una scienza stabile e senza una giusta forma di fede può accadere il peggio nonostante la scienza. Sicché: 'facciamo la nostra visita' è affermazione da contestualizzare e la mancanza di un interrogativo di fondo è un'imprudenza di troppo.
Culturalmente Kant muoveva da premesse religiose pietiste, sia pure lasciate fuori dalla propria impresa; il pietismo viene dalla Riforma protestante, anzi ne è interno. Per dimostrare il proprio assunto del servo arbitrio, Lutero ricorse all'esempio di un asino cavalcato o da Dio o da Satana. La visita accade in uno spazio dove non c'è altra scelta: o infinità di Dio o sublimità del mondo; sicurezza o trionfo del Negativo se varchiamo la soglia evitando di ancorarci in Dio, filosoficamente diremmo nell'Assoluto.
Il problema dunque è capire che lo sporco sotto l'unghia può avere una funzione ma a patto di toglierne l'eventuale veleno, senza irridere il pensiero antico greco sugli elementi di cui è fatto l'universo.
La critica a Kant va rovesciata: le teodicee vanno bene se mosse da dottrine di fede, la critica dei limiti dell'esperienza va bene da sola e non ha bisogno di essere compromessa dall'ontologia. Il punto di partenza di Kant, l'empirismo di Hume, era assai poca cosa; proprio per questo bisognerebbe declinare l'epistemologia senza chiuderla nell'empiria per un residuo metafisico di troppo. La metafisica non è finita ma prosegue diversamente nelle attuali istituzioni culturali.

La mia fronte corrucciata col libro in mano e con queste conclusioni già tirate, provocava alla collaboratrice domestica una strana paura, ma se ne aveva antipatia sentiva un principio di terrore pervaderla.



MAURO PASTORE
#102
Citazione di: nessuno il 13 Maggio 2025, 10:22:00 AMLa relatività ci insegna che la libertà di costruire il nostro mondo da abitare, ci consegna un libero arbitrio nei limiti del piano umano ma ci schiaccia, assediati, sotto il peso della legge naturale.
Ne diceva il teorico del Pensiero Debole G. Vattimo. Però ricordo distintamente che durante un incontro con R. Rorty e a fronte delle perplessità o proteste contro il suo pensiero sulla libertà dalla natura egli dichiarava la sua formazione esistenziale...

La nostra esistenza differisce da quella dei puri animali; gli esseri umani non possono permettersi di attenersi soltanto alla légge naturale senza restarne oppressi. Ma esistenzialità a parte vi sono forme di esistenzialismo che isolano la libertà dalla natura scordando che essa non cancella le necessità naturali. Quindi la valutazione del potere superiore della cultura rispetto a quello della natura nella umanità rischia di tramutarsi e si tramuta talvolta in un arbitrio di troppo. Non solo e non tanto il contro natura, ma la snaturatezza in questo caso diviene effettiva e catastrofica.

L'immagine di una natura pesante, della sua légge che schiaccia, sono segno di un desiderio di impossibili lotta e distacco dal piano naturale. I filosofi che incautamente esaltano il divenire si fanno ex, in mezzo a tanti destini compromessi, certe volte stabilmente. Esistono forme perenni da rispettare e sembrano soffocanti a chi non l'ha intese.

Ho citato il Pensiero Debole perché attorno ad esso si agitano pretese impossibili. Vattimo per continuazione indicava un ritorno alla forza ma non a quella delle cieche imposizioni di schemi falsamente naturali. Egli poi fu captato da ambienti incomprensivi - che cercavano di sfruttarlo, fino a voler distorcere le sue dichiarazioni e discorsi, già resi precari dai problemi neurologici.
Le sue difficoltà erano eloquenti. Difatti ci sono ambienti sociali e civili prepotenti che hanno smarrito il senno - non garantisco che anche lui qualche volta lo avesse, ma il suo operato fondamentale risulta essere stato sensato e non prevedeva lotta e abbandono di stati naturali. Sull'arbitrio, si era aperto alle verità del protestantesimo, ma non le aveva accettate perché non sentiva forte la presenza, e neanche la presenza-assenza (come lui avrebbe detto), di Dio. In ciò era allineato su una prospettiva relativista di accoglimento anche senza accettazione delle altrui posizioni.

Constatavo però alquanta irresponsabilità sulle questioni bioetiche, per un periodo della sua attività. Tanti glielo rimproverarono e non senza una ragione.


MAURO PASTORE
#103
Ho dato fuggevoli ma significative occhiate al celebre libro di D. Morris La scimmia nuda (1967). Soprattutto ho letto la nuova prefazione dell'autore (2017). Il resto lo avevo già passato al vaglio tanti anni fa', pervenendo a una semplice conclusione: starsene a dire di zoologia e altre scienze senza precisarne statuti e limiti è assurdo. Ancora oggi vale questa critica, a maggior ragione perché l'editore non ha preso atto della ultima dichiarazione dello stesso Morris: lui non chiede scusa solo perché diceva come lui vedeva l'uomo, la "specie umana". Il titolo dunque non è una vera descrizione scientifica ma solo una versione soggettiva di quanto si potrebbe arguire dai dati della zoologia. Cosa implicitamente si comunica con quel 'solo perché...'? Si suggerisce che è stato un disastro.
Riporto mie minime note registrate in libreria sul mio telefonino, dove leggevo l'altro giorno la prefazione e qualche frammento del resto strategicamente recuperato per capire se dovessi riacquistare il libro (per studiarlo e criticarlo meglio):

|[l'autore] afferma necessità di controllo delle nascite dopo quello [altro controllo] accaduto delle morti
e [afferma] esigenze comportamentali biologiche di base da soddisfare accettando nostra "eredità evolutiva" _ vede noi umani "come razza" \ pensa che esperimenti di laboratorio dimostrino che il sovrannumero genera incontrollata aggressività []
senza lo scimmione numero uno ci si dovette inventare dio la figura divina [] quando gli 'assistenti' religiosi professionali hanno presunto di prendere parte del potere degli dèi, per formalismo, ha avuto luogo sofferenza e miseria|

Si nota (non dai miei appunti qui su) che diverse scienze sono coinvolte e sottoposte alla scienza zoologica dall'imprudente avventura intellettuale dell'autore del libro. Innanzitutto la biologia, ma zoon e bios non coincidono in tutto e sono fenomeni diversi della vita: il primo è oggetto che comprende gli ambienti vitali e si limita alla esteriorità della vita, viceversa il secondo. La dimensione psicologica dello zoon è superficiale e lo zoologo non ne ha scienza; quindi senza tenerne conto ne vien fuori una illazione dove uguaglianze comportamentali vengono trattate da identità. Stessa confusione con l'àmbito morfologico: secondo osservazione della statura eretta c'è una successione tra primati non umani e umani, ma si tratta solo di un punto di vista tra tanti, il quale però viene elevato a chiave privilegiata di falsa interpretazione... di non comprensione e confusione, nascendo l'immagine inventata della naked ape, la "scimmia nuda". Tale simulacro fa da lente deformante attraverso la quale tutto il fenomeno umano è travisato. L'antropologia quale scienza è negata, senza badare che anthropos non è animale tra tanti ma soprattutto essere razionale, con una emotività e istintività diversa, anche con animo differente.
Etologia e sociologia sono confuse l'una con l'altra e incluse indebitamente nelle descrizioni zoologiche; il mondo religioso è coinvolto dalla immensa e multiforme indistinzione, come si vede da parte delle mie note, dove è registrato il fattaccio: l'autore - solo dopo un cinquantennio ravveduto e senza dirla o poterla dire tutta - non aveva capito la sciagurata confusione fatta presumendo di essere ermeneuta coi suoi dati e non solo elucubratore, quindi si era fatto un'idea sbagliata sull'umanità. Ne trattava i bisogni come fossero rapporti di forza gravitazionali o pressioni eccessive di liquidi cui contrapporre l'estinzione di parte di essi - qui faceva capolino la confusione con la fisica, a sua volta elevata falsamente a fisiologia prima di essere fagocitata nella zoologia (ovviamente, con detrimento per tutte). A sua detta si aveva controllato la morte... Ma come, se lo stesso "pensatore" voleva controllare le nascite con l'impedimento? La sua menzione diventa un riferimento ai campi di concentramento e sterminio nazisti legati alla volontà distruttiva di Hitler e a quelli di lavoro e sterminio del cosiddetto "socialismo reale" di Stalin e stalinisti. Altrimenti? Forse la medicina è fatta per controllare la morte? Intendeva l'autore nuovi sistemi di raccolta, chiusura, trasporto salme? Evidentemente no.
Quali sarebbero poi gli esperimenti di laboratorio di cui si dice efficacia a dimostrare la falsa tesi che gli esseri umani se in troppi diventano troppo violenti? Scimmie degli zoo provocate fino a procurarne possibilità - ed effettività? - di reazioni violente? Umani in carceri sovraffollati, offesi e provocati fino a dimenticare gli altri contenziosi già in essere? Popolazioni sotto controlli totalitari? La violenza intellettuale e poi fisica non conduce a comprensioni, tantomeno scientifiche. La biologia scientifica afferma imprevedibilità determinante della vita (la scienza non si basa sulle previsioni, ma su osservazioni di oggetti che dimostrano qualcosa di sé), la psicologia scientifica dimostra l'esistenza di una arbitrarietà nella nostra mente.
Con l'àmbito religioso Morris fa involontario ritratto di semplici idolatri, gli stessi del suo mondo, scimmiottando L. Feuerbach (meritevole di più degna critica di lui). La vicenda da lui tratteggiata e richiamata nei miei appunti è evocata da una leggenda del Sud del mondo, 'di quando una moltitudine umana era stata raggirata, captata, adottata, raggirata di nuovo e resa ignorante da alcune intraprendenti e astiose scimmie'. Un frammento della storia dell'umanità, uno tra tanti, in cui incapparono anche molti paleontologi decine di anni orsono.
Leggere la nota editoriale del libro, nota in cui accampa un errore madornale, un'immensa bugia, la dice lunga su distrazioni e confusioni criminali ancor oggi tanto diffuse. Inutile celarle dietro il paradigma biologico evolutivo, che è parallelo e non concorde a quello genetico, cioè un nulla di fatto per i veri interpreti della scienza.


MAURO PASTORE
#104
Tematiche Filosofiche / Re: Aristocle = Platone
04 Maggio 2025, 11:38:16 AM
Spero con la mia rischiosa incursione linguistica di poter offrire qualcosa di inconsueto e utile a qualcuno.

Ai soldati americani che combatterono contro i giapponesi poi contri i vietnamiti non era proibito di usare l'epiteto razzista "sporco muso giallo". Uno direbbe che era solo una definizione di condizione in battaglia, ma definire persone attraverso la sporcizia che hanno addosso è offensivo. Confondere cose umane e non umane ed offendere è tipico dei razzisti.
Un'altra rinomata offesa contro gli orientali era quella rivolta ai maschi, di cui si diceva la presunta scarsa dotazione virile.
Non mancano gli esempi opposti. Si racconta che alcuni tra gli indiani non pellerossa tormentassero quest'ultimi fingendoli sempre in imbarazzo, mentre un'offesa contro i maschi occidentali diffusa in Oriente è stata quella di essere poco più che bestie, rozzi e primitivi e molesti ai danni di molte donne. Oggetto di odio erano in tal caso i numerosi e spessi peli, per molti orientali una rarità o una cosa sconosciuta. (Il quadro che ho fatto, incompleto, non mi risulta anacronistico.)
Nel caso di Platone (alias Aristocle) ci troviamo di fronte a notazioni biografiche particolari desunte da dialetti. Si naviga in alto mare, giacché le traduzioni dal greco antico in lingua moderna dipendono da interpretazioni appartenenti allo stesso mondo greco-elleno. Decisivo per l'Occidente attuale l'apporto bizantino durante l'Umanesimo e il Rinascimento. Se si volessero utilizzare dizionari, grammatiche e sintassi si aprirebbero indefinite possibilità fino alla produzione di messaggi differenti, non versioni diverse. Non esiste una traduzione di un classico greco che non abbia per guida una versione accreditata; e odiernamente molte nuove avventure linguistiche sono degli inganni o autoinganni fatti da chi volendo prestare al passato la propria visione di un mondo non suo lo sogna altro da ciò che è.

Procedo a una mia osservazione linguistica, senza usare i caratteri originali greci: "sathon", secondo comunanza indoeuropea latino-greca, prescindendo dalla th che non è originaria del latino e considerando che originariamente il teta greco non aveva il suono attuale corrispondente al 'th', potrebbe essere spiegato così, ricorrendo al latino satis e al greco 'on'... che nel nostro caso potrebbe significare: 'colui che è già soddisfatto, che ne ha avuto abbastanza', anche riferito a un maschio che fa sesso senza fallo in erezione (difatti esistono eccitazioni e godimenti maschili anche senza erezione, non solo tra maschi ma pure tra maschio e femmina) perché gli basta così durante un atto. Se Platone veniva celiato ed additato per 'uno che ne ha poco', ci troveremmo forse di fronte a un parere linguisticamente ignorante e segno di mancanza di conoscenza multipla della sessualità maschile, cioè un parere di parzialmente esperto. Il dileggio sembrerebbe essere accaduto da occidentale ad orientale, ma Platone quanto a una sua origine familiare era fenicio, ovvero non orientale ma "che viene dall'Oriente", per il resto aveva origine nella stessa Atene.
I termini greci sathe, sathon (tralascio gli accenti), indicano rispettivamente "membro virile" e "fanciullo vigoroso". Il primo è femminile e a prescindere dalla indicazione del dizionario (ho usato il Rocci) dobbiamo ricorrere alla seguente precisazione, riguardo al senso: 'virtù del pube maschile', tra cui negli adulti l'erezione ma non solo; 'persona non ancora matura sessualmente ma che manifesta già la virtù specificamente maschile', il che potrebbe indicare l'adolescente che ha già capacità sessuale adulta ma non è ancora adulto in tutto, cioè è portato al gioco sessuale solamente.

Si sanno quali sono i pregiudizi contro la filosofia platonica, tacciata di essere roba per distratti dalle cose materiali, per rinunciatari che si relegano nelle idee erotiche rifiutando realizzazioni sessuali, soprattutto eterosessuali.
Un'accusa politica a Platone era di aver soggiaciuto alle richieste del tiranno di Siracusa (secondo alcuni, non a uno solo) per non finire schiavo. Recentissimamente qualcuno ha trovato frammento greco che attesterebbe schiavitù effettiva di Platone, ma si tratta dell'ennesima pretesa di troppo. Si sa che secondo alcuni cànoni formali, non greci, la vita di Platone dopo la scomunica del tiranno Dionisio era di schiavo; senonché la vita greca si attua in modi assai differenti da altre, per esempio da quella giudaica, tali da essere comportamenti di schiavitù se visti in contesti non propri. Secondo la tradizione Platone mentre apparentemente schiavo era diventato dispotico, proprio nei confronti del mondo che lo scambiava per non libero. Delle ipotesi storiche basate su frammenti di testo ritrovati e accreditati senza presenza di fonti tradizionali, innanzitutto si deve dire che non è possibile utilizzare concretamente un frammento fuori dalla tradizione, perché in tal caso non si dispone della guida. Se ne trovasse una come quella bizantina di secoli fa', si potrebbe dire qualcosa, ma attualmente in Ellade esiste una cultura greca moderna, una lingua nazionale, il Medio Evo è lontano e di più l'antichità e peraltro in vasti ambienti culturali (nel mondo) le radici culturali ed etniche non sono tenute in conto sufficiente. Inoltre questi frammenti vengono tradotti ricorrendo a delle contestualizzazioni artificiali.
Se vi fosse stata allusione mendace a una scarsa capacità fisica-amatoria del filosofo Platone, si potrebbe ricorrere alla ipotesi di una affermazione non propriamente ellena o ellenica verso di lui, cioè da parte di un uomo che non padroneggiava bene il dialetto di Platone ed anzi ne era un poco alieno e che non capiva tanto la sua persona e le personalità degli ateniesi - da qui la mia idea di provare con la radice comune orientale (non sanscrita, ma sull'esempio del sanscrito) tra lingue greca e latina. In realtà durante il Medio Evo bizantino si pensava in certi ambienti senza fare differenza di sorta tra termini dell'una e l'altra lingua, quindi si potrebbe fare ipotesi che la mia ricostruzione (estemporanea) sia meritevole (a sua volta) di ipotesi di attendibilità.



MAURO PASTORE
#105
La filosofia contro la filosofia? La filosofia contro la teologia o viceversa?

La fine della ontoteologia... ma per chi, in cosa? Non è sbagliato dire di Dio quale ente metafisico e di Dio quale essere, non è un errore porre in lotta le due affermazioni se si tratta di un evento capace di accoglierne solo una. Dio individuato col pensiero si presenta davvero in qualità di Ente (ente assoluto); Dio identificato con l'intuizione si manifesta soltanto quale Essere trascendente; in un percorso di ricerca razionale vale il primo teorema, nella via alla scoperta mistica vale il secondo; entrambi sono variamente utilizzati da monoteismo e politeismo e diversamente valutati da teisti e non-teisti, differentemente approcciati dagli atei.

La fine della filosofia... Secondo la scienziata psicologa S. Montefoschi accadrebbe a sèguito dello sviluppo di una consapevolezza ontologica psicologica (in specie, avviata da lei stessa)... ma di quale filosofia si starebbe parlando? Di quella che vive in concorrenza col dato scientifico perché non sa il limite del proprio ricercare... cioè solo un filosofare, propriamente. Ma durante la Guerra Fredda era l'imposizione del regime stalinista per l'Occidente, che doveva abbandonare le proprie certezze anche d'ordine filosofico. Anche Lacan, limitatamente a psicoanalisi e linguaggio dell'inconscio, era schierato su medesimo fronte: gli irrigidimenti di una coscienza filosofica tutta concentrata sulle proprie ragioni sono destinati ad essere travolti (ho usato un mio modo di esprimere il fatto).
D'altronde che fine fa la scienza senza filosofia? E. Husserl ci aveva visto giusto nel fornire una metodologia filosofica e scientifica assieme. Egli la chiamava, secondo retaggio medioevale e prekantiano, scienza. Heidegger giustamente ne precisava l'àmbito linguistico, sicché le pretese descrittive le guidava verso una rigorosa ontologia: una disciplina delle pure affermazioni, ottenuta per derivazione-differenziazione proprio dalla fenomenologia husserliana... che resta però necessario trait d'union tra il mondo di Sofia e l'universo del dato esperienziale (scienze logiche) e sperimentale (scienze dirette). Anche perché a pretendere troppo a volte è l'ontologo: interessi scientifici a parte, gli studi ontologici sono umanisti e non scientifici (altra cosa l'antropologia quale scienza).

La fine della politica? Col marxismo l'Occidente resta senza politica ma pure senza filosofia, con la specifica Cancel Culture gli va peggio. Dove finirebbe, finisce la politica? dove no? Certo non muore con la sopravvivenza della filosofia continentale che non è stata incentrata solo sulle analisi, queste in ultima istanza le descrizioni dei cadaveri degli Stati.

La fine della religione? Il prof. Galimberti - a sua detta quando era vitalizzato e rivitalizzato dalla sua musa carnale (tutto il contrario di un socrate) - ne diceva sociologicamente e storicamente... poi anche socialmente facendo di una osservazione una emarginazione delle fedi in Dio o l'Assoluto. Passato da un lavoro per le dizioni di psicologia dove faceva albergare il falso mito del raptus violento a una provvidenziale sconfessione pubblica televisiva di codesta intera faccenda (quella del funesto inesistente rapimento mentale), cosa ne è del pregiudizio contro l'elogio della follia espresso da Erasmo, cosa della prevenzione contro il salto nel buio che il teologo e filosofo danese indicava e descriveva nelle sue opere filosofiche e nella sua breve ma intensa missione ecclesiastica? cosa resta della ignoranza del valore terapeutico - nonostante il movimento della psicoanalisi fosse spesso realizzato in antagonismo! - delle religioni, del loro rapporto diretto con quella sorta di fiducia nella ulteriorità e alterità assolute che è necessaria vivendo (lo afferma il pragmatismo)?
E che fine fa il cristianesimo senza sviluppare la propria potenzialità filosofica, il buddhismo obliando la propria dimensione filosofica, e tutto il resto in mezzo senza un buon filosofare o filosofema? Resta qualcosa del còmpito dei filosofi, a furia di dimenticare le proprie premesse che restano sempre situate nella sfera del religioso?

E insomma che senso ha filosofia contro filosofia, se non c'è definizione di un contenzioso limitato? Nessun senso - risposta retorica ma necessaria in tempi ardui.


Lo scienziato antropologo ed etnologo Ernesto De Martino studiò le apocalissi culturali. Nonostante l'interruzione del lavoro questo era di per sé indeterminato, cioè una osservazione di uno scambio ai confini, sempre rinnovato ma lo stesso. Lo scambio che travolge, per il quale l'ethnos diventa incerto o estremo, l'anthropos precario o in rivoluzione.
La filosofia, che è anche cultura, sta vivendo questo evento, anche in sé stessa ma non solo, evento che la religione ha assai più ampiamente inquadrato già da circa duemila anni con l'ultimo libro incluso nel cànone biblico, l'Apocalisse (di Giovanni).



MAURO PASTORE