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Messaggi - donquixote

#91
Se "La Gaia Scienza" è, come pare verosimilmente essere, una sorta di prologo o di lavoro preparatorio di "Così parlò Zarathustra" (e non certo solo per una questione di mera cronologia), molti dei suoi aforismi vi possono essere ricondotti ed hanno necessariamente un qualche legame con il suo capolavoro, in cui appunto trovano posto diversi concetti espressi in quest'opera ad iniziare dall'incipit (§ 342). In particolare l'aforisma qui riportato a mio avviso evoca, più che l'amicizia intesa come rapporto confidenziale e solitamente preferenziale fra due persone basato su di un sentimento più o meno intenso, la fratellanza intesa in senso originario (e cristiano) in cui appunto "tutti gli uomini sono fratelli" e si comportano come tali anche se i destini di ognuno sono necessariamente diversi e occasionalmente possono ritrovarsi su fronti opposti e quindi di fatto nemici. Se due persone sono sinceramente amici (e "fratelli" nel senso di figli della medesima madre Terra e del Logos divino che l'ha fecondata) dovrebbero essere perfettamente in grado di comprendere che questa condizione non subisce variazioni (anzi si può addirittura rafforzare) se ognuno di essi persegue il proprio compito in questo mondo, compie il proprio destino, "diventa ciò che è", sommo comandamento enunciato nello "Zarathustra", e il contestuale riconoscimento dell' "altro da sé" con tutto ciò che questo comporta è la più sublime dimostrazione di fratellanza e di amicizia. Io sono amico (inteso nel senso nobile e "niciano") di qualcuno non certo se costui la pensa come me, si comporta come me, ha i miei medesimi valori morali e magari tifa per la mia stessa squadra di calcio, ma se riconosco in lui mio "fratello", uguale ma diverso, qualcuno che come me ha un compito creativo nella vita che supera la vita stessa e si conclude nel comune destino della terra e prosegue anche oltre questa, ed ha l'intenzione e la volontà di eseguirlo come l'unica cosa che veramente conti mentre le contingenze, fra cui anche una bella amicizia terrena, vengono riconosciute e trattate come tali e non assolutizzate, e se del caso sacrificate a qualcosa di estremamente più nobile, elevato e creativo che può giungere anche al punto di vedere l'amico di un tempo come un estraneo se non addirittura come un nemico. Questo mi pare appunto il senso della "amicizia stellare", e il miglior servizio che qualcuno possa fare ad un amico è aiutarlo a riconoscere se stesso e a diventarlo.
#92
Scusa Jacopus

ma chiamare Tito Boeri "boiardo" non è affatto un'offesa. I boiardi erano esponenti dell'alta aristocrazia feudale di alcuni paesi europei inferiori solo, in termini di potere, ai principi regnanti. Dunque un "boiardo di stato" altro non è che un altissimo burocrate, che detiene un notevole potere nell'ambito di uno stato moderno (e anche burocrate non è, in sé, una offesa, o almeno non lo era fino a che i burocrati eseguivano onestamente il loro altissimo compito).
#93
Citazione di: paul11 il 18 Luglio 2018, 09:54:04 AMciao Donquoxote, probabilmente mi ha i convinto a leggermi "Così parlò Zarathustra". Il motivo per cui non ho mai approfondito Nietzsche è che prima bisogna aver chiaro cosa abbiano veramente scritto Platone ed Aristotele, il che significa studiarsi i testi tradotti almeno di Giovanni Reale, in quanto per esperienza bisogna stare attenti alle miriade di stupidaggini interpretative anche di filosofi attuali e meno. Poichè tutti miglior filosofi e pensatori dal Novecento ad oggi per avere una almeno decente critica sul modo di vivere contemporaneo si rifanno al pensiero classico. perchè è da lì, insieme al cristianesimo che viene proiettato il moderno attuale. Quindi pensatori come Nietzsche,e Heidegger hanno necessità di conoscenze altre. Nietzsche richiederebbe ,per la sua complessità, uno studio filologico(come lo era lui). Non so ,ad esempio, quanto e cosa conoscesse dell'antichità. Schurè da te citato lo conosco e ha capito la strada, ha capito che veniamo da un' unica e originaria spiritualità/religione. Per cui non posso, almeno per ora , dare una disamina su Nietzsche relativo al testo citato. 

Ciao Paul

vedo che ogni tanto, come in questo caso, le nostre opinioni divergono piuttosto profondamente. Nel mio primo messaggio ho scritto che Nietzsche a mio avviso non va letto come un filosofo ma come un profeta, un sapiente; la differenza sta nel fatto che un filosofo parte da uno o più presupposti, solitamente razionali e indimostrabili, e poi ci costruisce sopra un sistema che ha una sua coerenza interna e possa stare logicamente in piedi, mentre un sapiente si esprime per intuizioni che, come nel passo di "Ecce Homo" che ti ho citato, sono dettate da una ispirazione sovramondana e poi vengono sviluppate e concatenate razionalmente mantenendo però una sostanziale asistematicità che solo chi è in grado di pensare nel medesimo modo è in grado di superare. Il filosofo è in buona sostanza un uomo di analisi, il sapiente uno di sintesi. D'altronde se il sottotitolo dello Zarathustra è "un libro per tutti e per nessuno" (ovvero necessario a tutti ma che nessuno o quasi può comprendere appieno) Gesù diceva:  "Non date le cose sante ai cani e non gettate le vostre perle davanti ai porci, perché non le calpestino con le loro zampe e poi si voltino per sbranarvi."; e Ermete Trismegisto, ancora più chiaramente, affermava: «La conoscenza universale può essere rivelata solo ai nostri fratelli che hanno affrontato le nostre stesse prove. La verità va dosata a misura dell'intelletto, dissimulata ai deboli, che renderebbe pazzi, nascosta ai malvagi, che solo potrebbero afferrarne qualche frammento di cui farebbero arma letale. Racchiudila nel tuo cuore, e che essa parli attraverso le tue opere. La scienza sarà la tua forza; la fede la tua spada; e il silenzio la tua corazza impenetrabile». Dunque la verità espressa da Nietzsche non è certo pane per i denti di chiunque, ma per quelli di coloro che la sanno masticare e digerire senza rimanerne avvelenati (e la storia ci offre innumerevoli esempi di costoro).

Dunque per leggere lo Zarathustra  non è necessario sapere cosa scrissero Platone e Aristotele, che né Gesù, né Ermete e nemmeno Pitagora e Parmenide lessero, ma è necessario invece saper "pensare" autonomamente senza pregiudizi di alcun tipo. É vero che Nietzsche nasce come filologo, ma se la filologia è necessaria ad esempio per comprendere un testo come "La nascita della tragedia" non la è affatto per comprendere i discorsi di Zarathustra, anzi in questo caso confonde solo le idee. Mi permetto di riportarti, al proposito, il discorso intitolato "dei Dotti" in cui appare palese il rifiuto della sua condizione precedente di docente universitario (il "dotto" per definizione) e quindi dei metodi che questa elite adotta per comprendere il mondo:

 

"Mentre giacevo nel sonno, una pecora si mise a brucare la corona d'edera che mi cingeva il capo; ne mangiò e disse: 'Ecco, Zarathustra non è più un dotto'.
Così parlò, e se ne andò con fare greve e tronfio. Un fanciullo me lo raccontò.
Volentieri sto qui disteso, dove i fanciulli giocano, presso le mura diroccate, fra i cardi e i rossi fiori del papavero.
Un uomo dotto io sono ancora per i fanciulli, e anche per i cardi e i papaveri rossi. Essi sono innocenti, persino quando sono cattivi.
Ma per le pecore non lo sono più: così vuole la mia sorte; che sia benedetta!
Perché questa è la verità: io sono uscito dalla casa dei dotti, e ho sbattuto la porta dietro di me.
Troppo a lungo la mia anima sedette affamata alla loro mensa; io non sono addestrato alla conoscenza al pari di loro, per cui conoscere è come schiacciar noci.
Io amo la libertà e l'aria sulla terra fresca; preferisco dormire su pelli di bue piuttosto che sulle loro dignità e rispettabilità.
Io sono troppo ardente e riarso dai miei stessi pensieri: spesso mi manca il fiato. E allora bisogna che fugga all'aperto, via dal chiuso delle stanze polverose.
Ma loro siedono freddi all'ombra fredda: in ogni cosa vogliono esser solo spettatori, e si guardano bene dal sedersi là dove il sole arde i gradini.
Simili a coloro che stanno sulla strada e guardano a bocca aperta la gente che passa, anch'essi attendono e stanno a guardare a bocca spalancata i pensieri che altri hanno pensato.
A toccarli con mano, ti impolverano tutto come sacchi di farina, senza volerlo; ma chi penserebbe che la loro polvere sia stata grano, l'aurea voluttà dei campi assolati?
Se fanno i saggi, le loro piccole sentenze e verità mi fanno rabbrividire: spesso alla loro saggezza è mischiato un odore che sembra provenga dalla palude: e in verità ne ho già udito anche gracidare la rana!
Abili e con dita versatili: che mai può la mia semplicità a petto della loro complicatezza! Quelle dita sanno infilar l'ago, intrecciare i fili e tessere la trama: e così tessono le brache allo spirito!
Ottimi orologi sono essi: purché non si dimentichi di caricarli bene! Allora mostrano l'ora senza fallo, mentre emettono un lieve ronzio.
Come mulini lavorano e macinano: provate a gettar loro la vostra semenza! Essi sanno come ridurla in polvere bianca.
Non perdono mai di vista le mani l'uno dall'altro e non si fidano di nessuno. Ingegnosi nelle piccole astuzie, aspettano coloro la cui scienza zoppica; li aspettano come ragni.
Li ho visti sempre preparar  veleni, con cautela; e nel far ciò indossavano guanti di vetro.
Sanno giocare anche con dadi truccati; li ho visti giocare con tanto zelo che grondavano sudore.
La realtà è che noi siamo estranei gli uni agli altri, e le loro virtù mi vanno a genio ancor meno delle loro falsità e dei loro dadi truccati.
E quando io abitavo presso di loro, in realtà stavo sopra di loro. Perciò me ne vollero.
Che uno cammini sopra le loro teste non vogliono neppure sentirlo dire; e così posero legno, e terra, e rifiuti tra me e le loro teste.
In tal modo attutirono il rumore dei miei passi: e chi peggio mi ha udito sono stati finora i più dotti.
Fra me e loro posero le falle e le carenze di tutti gli uomini: 'falso soffitto' lo chiamano nelle loro case.
Tuttavia io vago coi miei pensieri al di sopra delle loro teste; e perfino volendo camminare sui miei errori, mi troverei pur sempre al di sopra di loro e delle loro teste.
Perché gli uomini non sono uguali: così parla la giustizia.
E a loro non dovrebbe essere lecito volere ciò che io voglio."

 

Non commento il resto del tuo messaggio per non uscire troppo dal tema e ci si può ritornare in un altra occasione, ma vorrei solo sottolineare, a proposito della forza e della debolezza, che non capisco perchè mai la forza debba sempre essere considerata "contro" e non "per". Io non devo essere forte contro i forti o contro i deboli ma "per" qualcosa (per i deboli, per me stesso, per la patria, per qualunque altra ragione) e qualunque cosa sia è ovvio che la forza otterrà migliori risultati che non la debolezza. E come insegnano tutte le dottrine spesso serve molta più forza (d'animo) per non usare la forza (fisica) che invece di questi tempi appare, sia pur mascherata, l'unica che conta.
#94
Caro Carlo

tu puoi pensarla come vuoi ma se non capisci quello che scrivo e rispondi con citazioni che non c'entrano nulla (guarda caso nessuna tratta dallo Zarathustra che è l'unico testo citabile) addirittura tratte da un testo che lo stesso Nietzsche ha disconosciuto e Adelphi si è addirittura rifiutata di pubblicare abbi perlomeno la buona educazione di non spammare il 3d e rispettare chi invece cerca di sforzarsi a pensare.

Grazie per la collaborazione
#95
Citazione di: Carlo Pierini il 17 Luglio 2018, 13:34:44 PM
Citazione di: donquixote il 15 Luglio 2018, 10:33:35 AM
Le parole di Nietzsche, pur senza raggiungere la profondità di Eckart, dicono essenzialmente le stesse cose, e la sua serrata critica alla morale cristiana (non scordiamoci che viveva in un paese protestante e pietista) è un auspicio alla liberazione dell'uomo da una gabbia di regole che mortificavano la forza, l'energia, la creatività  per esaltare le debolezze, le disabilità, le emarginazioni e i conformismi.

CARLO
Questo lo dici tu, non Nietzsche, il quale non condannava solo la morale cristiana ma LA MORALE in sé:

<<Che senso hanno quei concetti menzogneri quei concetti ausiliari della morale, 'anima', 'spirito', 'libero arbitrio', 'Dio', se non quello di rovinare fisiologicamente l'umanità?". [Crepuscolo degli idoli]

Nietzsche, tuttavia, ammetteva che i suoi stessi giudizi di valore sulla vita, sono solo stupidaggini:

"Giudizi sulla vita, giudizi di valore, pro o contro, non possono infine mai esser veri: valgono solo come sintomi; in sé, giudizi del genere sono stupidaggini". [Crepuscolo degli idoli]

In questo senso anch'io sono un nietzschiano.
Inoltre, prima di Meister Eckhart, fu Giobbe che chiese a Dio di difenderlo da Dio:
«Ma ecco fin d'ora il mio testimone è nei cieli, il mio mallevadore è lassù... mentre davanti a lui sparge lacrime il mio occhio perché difenda l'uomo davanti a Dio» (Giobbe, 16:19)





Certo che Nietzsche criticava la morale in generale, ma in particolare si è focalizzato su quella cristiana che conosceva meglio. La morale è una costruzione umana (una "sovrastruttura", direbbe Marx) dedotta dai principi universali, e per questo le morali sono così tante e così diverse. Solo un campione di insipienza come Kant poteva del resto assolutizzare la morale ("il cielo stellato sopra di me e la legge morale in me") e dedurre l'esistenza di Dio dall'esistenza della morale, peraltro una morale del tutto umanista e pietista che diede origine al celeberrimo "imperativo categorico". Se vogliamo andare all'essenza della morale, quella cristiana ma anche tutte le altre, allora basta citare uno dei "padri" della Chiesa: Sant'Agostino d'Ippona. La sua morale è perfettamente sintetizzata in una brevissima frase: dilige, et fac quod vis (ama, e fà quel che vuoi); non serve altro, a patto che si sappia cosa si intende con "ama" e lo si metta in pratica. Guarda caso Nietzsche esprimeva esattamente il medesimo concetto quando affermava "Quel che si fa per amore è sempre al di là del bene e del male". Se si ama in senso cristiano (o in senso niciano) ovvero adeguandosi all'agape evangelico, ogni comportamento conseguente diventa morale, ma se ogni comportamento è morale non ha più senso la distinzione fra moralità e immoralità perchè tutto sarà amoralità.
#96
Citazione di: Kobayashi il 17 Luglio 2018, 09:58:19 AML'unica perplessità che ho è sulla definizione di N. come autentico cristiano. Io direi piuttosto che N. "acconsente" che quella libertà di spirito che definisce l'oltre-uomo possa essere anche incarnata in un nuovo cristianesimo, così come lo era in Cristo. Cioè, portata a termine la critica a quelle forze negative che N. aveva riconosciuto nella religione, assimilata quella lezione, non c'è nulla che impedisca di riscoprire in Cristo la propria via per essere liberi, per diventare se stessi.

Io ho definito Nietzsche autentico cristiano intendendo con questa definizione "autentico interprete dei principi e dei valori cristiani" e non certo quale fedele ubbidiente di una religione e di una morale che ha criticato nel modo più crudo, argomentato e profondo possibile. Come dicevo a Paul Nietzsche supera le religioni e le morali (anche se ammirava qualche religione e si entusiasmava per qualche sistema morale) e questo lo dimostra soprattutto in Così parlò Zarathustra ove si esprime da puro metafisico con un pensiero che va al di là del tempo e dello spazio ed espone concetti essenzialmente identici a quelli espressi dalle Upanishad, dai sutra buddhisti, dai Vangeli e dal Corano. Nietzsche si può tranquillamente inserire nella cerchia di coloro che Schurè definiva "I grandi iniziati" (anche se non certo fra i più grandi) e se costoro vengono a volte identificati come "fondatori" di religioni di fatto sono solo mezzi di comunicazione di quella che A. Huxley definiva "Philisophia perennis". Un grande studioso di buddhismo riconosceva nella dottrina del superuomo la descrizione del bodhisattva, e maestri sufi hanno tratto grande ispirazione dalle parole di Nietzsche . Il Cristianesimo criticato da Nietzsche è quello degenerato, quella religione che esaltava le debolezze e mortificava le forze volitive e le energie creatrici. Il Cristianesimo "umanista" nato con la Riforma e poi diffusosi anche nei luoghi della Controriforma, che ha perduto il senso degli insegnamenti di Cristo (che ammirava) fino a svuotarli di significato e tradurli in una morale del risentimento e dell'invidia (la sklaven moral). Il suo impegno quindi, certo inconsapevole dato che credeva di conoscere il Cristianesimo visto che viveva in un paese cristiano e suo padre era un pastore protestante mentre conosceva di fatto solo quello in voga in quei tempi, fu quello di distruggere intellettualmente una religione ormai degenerata per riscoprire i "veri" valori, che necessariamente venivano definiti "terrestri" per contrapposizione dato che quelli cristiani erano quelli "celesti", e dedurre da quelli la morale dei signori, la morale creatrice (la herren moral) contrapposta a quella degli schiavi. Nietzsche era un vero "cristiano inconsapevole" (non certo come quelli che vengono definiti tali da alcuni teologi moderni solo perchè mostrano atteggiamenti filantropici anche se appartengono a confessioni diverse o sono atei) e quasi tutto lo Zarathustra testimonia come i valori autentici dei Vangeli siano espressi anche nel suo presunto "controvangelo". E il fatto che questa opera venga definita perlopiù poetica e non filosofica da moltissimi studiosi di Nietzsche dimostra una volta di più come fosse veramente un "inattuale", come lo erano del resto gli iniziati di Schurè.
#97
Citazione di: paul11 il 17 Luglio 2018, 02:01:34 AMHo l'impressione che l'unica regola a cui l'uomo dovrebbe attenersi è quella di natura. Ora, se il dominio naturale per lui dovrebbe essere armonico a quello universale e a quello corrispondentemente umano allora sì, siamo nel periodo antico. Ma vedo delle contraddizioni nei suo modi e in alcune argomentazioni. Si tratta di capire se il suo linguaggio corrosivo è contestativo è verso le figure moderne o lo è anche con il pensiero platonico-socratico e del cristianesimo. Non penso che il suo credo fosse "ama il prossimo tuo come te stesso". La differenza fra ciò che penso e ciò che nella mia ignoranza so di Nietzsche è che ogni persona al mondo è di pari dignità, forte o debole che sia. Semmai ha ragione nel dire che esiste una gerarchia naturale, ma non per soppraffare. Nel mio modo di vedere il mondo chi ha più talento deve metterlo al servizio di chi meno ne ha, così anche le cose materiali. Non siamo uguali è vero, ma siamo tutti dentro un destino. 

Ciao Paul


Nietzsche non diceva "ama il prossimo tuo come te stesso", ma faceva di più e forse di meglio; diceva infatti "Io offro me stesso al mio amore, il prossimo mio come me stesso - così sentono di parlare tutti coloro che creano", ponendo al centro l'amore (per il Cristianesimo Dio è Amore) e accomunando se stesso e il suo prossimo in tale offerta chiarisce meglio il senso dei due comandamenti essenziali di Gesù,  esaltando inoltre la virtù creatrice di ognuno che si esprime nella attualizzazione delle proprie potenzialità per contribuire all'opera di creazione dominata dal Logos divino. Del resto "ama il prossimo tuo come te stesso" è parecchio equivocato di questi tempi, e siccome viene citato sempre disgiuntamente dal primo e più importante comandamento ("amerai Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente") fa apparire il prossimo, e non l'amore, al centro del comandamento. Certo tu sei padronissimo di pensare che ogni persona abbia pari dignità e chi ha più talento lo debba mettere al servizio dei più deboli, ma questo pensiero oltre ovviamente a non essere per nulla niciano non è nemmeno lontanamente cristiano. Cristo diceva che "tutti sono uguali dinnanzi a Dio" e che "Dio fa sorgere il sole sui buoni e sui malvagi e fa piovere sui giusti e sugli ingiusti", ma non che tutti hanno pari dignità, che è altra cosa. La dignità è un attributo che si acquisisce con il comportamento, non è dato alla nascita, e dunque la dignità (ovviamente nei confronti di Dio, non degli uomini) ognuno la guadagna esprimendo ciò che è, compiendo il proprio compito su questa terra indipendentemente dal fatto che questo sia il più nobile come il più umile oppure, detto in termini teologici, facendo "la volontà di Dio". Se Gesù diceva: "sono venuto a compiere la volontà del Padre mio" Nietzsche diceva, nello stesso senso: "Forse che io miro alla mia felicità? Io miro alla mia opera". Del resto, e con riferimento alla seconda parte della tua frase, nella famosa parabola dei talenti il padrone citato  (che rappresenta Dio) premia i servitori che hanno fatto fruttare i loro talenti e punisce quelli che li hanno nascosti gettandoli "là ove sarà pianto e stridore di denti", e al termine di tale parabola Gesù afferma: "Perché a chiunque ha sarà dato e sarà nell'abbondanza; ma a chi non ha sarà tolto anche quello che ha". A me sembra piuttosto chiaro che questa è da un lato la conferma della gerarchia naturale con una diversa distribuzione dei talenti, e dall'altro una netta condanna degli ignavi danteschi, di "color che visser sanza infamia e sanza lodo", che sono poi gli "ultimi uomini" di Nietzsche, quelli che considerava gli esseri più spregevoli, che anzichè far fruttare il loro sia pur misero talento preferiscono nasconderlo e campare sulle spalle altrui. Se è vero che siamo tutti dentro un destino è altrettanto vero che ognuno ha il suo, ed è suo dovere compierlo in modo da contribuire in modo comunque singolare, unico e irripetibile alla creazione del destino comune.
#98
Citazione di: paul11 il 13 Luglio 2018, 10:55:07 AMLa sua concezione dell'uomo è il semplice prendere atto della natura umana intesa come limite ,per cui ritiene che solo alle regole naturali l'uomo debba rispondere.Non ha,anzi nega, nessuna spiritualità o religione intesa come costruzione cosmogonica. Questa concezione del mondo, impone all'uomo di poter e dover reggersi da solo, sulla propria forza fisica e morale, intesa quì come ricerca interiore e non imposizioni o costruzioni ideali esterne da seguire. Ora è chiaro che quest'uomo è "nudo e crudo" e non dovendo rispondere alle condizioni culturali esterne a lui ,deve esercitare la propria volontà sulla natura, poichè è frutto della natura, e su se stesso.
 
Buongiorno Paul


Nietzsche nega la religione intesa essenzialmente come struttura sociale, anche se ammira alcune religioni come il Buddhismo e l'Islam (e parla in termini molto elogiativi, ad esempio, delle Leggi di Manu), perchè il suo pensiero semplicemente le supera. Una delle frasi più famose di Meister Eckart, inarrivabile interprete del Cristianesimo medievale, era "prego Dio che mi liberi da dio" ovvero prego Dio di liberarmi da tutte le costruzioni umane razionali che ingabbiano la divinità in una struttura limitata e definibile (ovvero nel complesso dalla religione) per sentirla fluire, in silenzio, direttamente dentro di me; le parole di Nietzsche, pur senza raggiungere la profondità di Eckart, dicono essenzialmente le stesse cose, e la sua serrata critica alla morale cristiana (non scordiamoci che viveva in un paese protestante e pietista) è un auspicio alla liberazione dell'uomo da una gabbia di regole che mortificavano la forza, l'energia, la creatività  per esaltare le debolezze, le disabilità, le emarginazioni e i conformismi.

Nietzsche, se lo si legge con attenzione, è un autentico cristiano (è vero che parla del "senso della terra", ma in ultima analisi il senso della terra e il senso del "cielo" coincidono) e lo Zarathustra evoca non a caso innumerevoli passi dei Vangeli (oltre ad essere formalmente simile); la differenza essenziale sta nel fatto che molti ritengono il capolavoro di Nietzsche un "antivangelo" in quanto ribalta a loro dire i valori cristiani, ma nei fatti non è così perchè la "trasvalutazione di tutti i valori" da lui auspicata non è una negazione o un ribaltamento ma una "riscoperta" dei valori originari che nel corso dei secoli sono stati piegati a logiche diverse. Del resto uno dei concetti su cui più ha insistito è la "degenerazione": la degenerazione dei valori è ciò che stava alla base del sistema morale cristiano del suo tempo (soprattutto protestante e che ora si è diffuso anche a quello cattolico) e dunque si tratta di "rigenerare" tali valori riportandoli all'antico significato. D'altronde solo dei "degenerati" come gli uomini moderni possono pensare che la debolezza debba essere salvaguardata a scapito della forza, che il meccanicismo conformista sia più auspicabile della creatività organica, che l'uguaglianza sia un valore più elevato dell'espressione della propria unicità e quindi delle gerarchie che da questa provengono, che l'ideale dell'ultimo uomo debba essere preferito a quello del superuomo. Quelli che criticano Nietzsche perché parla di violenza e sopraffazione sono inconsapevolmente i più violenti e i più sopraffattori perchè non si rendono conto che la sapienza, a differenza della filosofia e soprattutto delle ideologie moderne, è destinata ad ogni singolo uomo per incidere sulla sua psicologia, e le "trasformazioni" da essa operate sono tutte interne all'uomo e determinano il suo modo di concepire e interpretare il mondo, mentre le idee moderne dei critici di Nietzsche, anche quelle apparentemente più indirizzate verso il "bene", sono rivolte all'esterno per "cambiare il mondo" imponendole ad altri contro la loro volontà e provocando con essi e con il mondo nel suo complesso una interminabile serie di cortocircuiti e quindi di conflitti.

La volontà di potenza di Nietzsche è ad esempio, a mio avviso, semplicemente l'energia, la forza vitale, la spinta interiore atta a favorire l'espressione delle potenzialità creative, uniche e irripetibili, dell'uomo (io intendo, credo correttamente, "potenza" come possibilità, potenzialità, non certo come potere in senso stirneriano). Le caratteristiche del "superuomo" niciano sono essenzialmente due: l' amor fati e la volontà di potenza: la prima è quella qualità (che potremmo chiamare volontà passiva) che consente a ciascuno di accogliere, con entusiastica rassegnazione,
ciò che la vita ci riserva di sorprendente e meraviglioso, ma anche di tragico e crudele, mentre la seconda è invece la forza attiva che consente l'espressione e la manifestazione della propria virtù (che non è un concetto morale ma è da intendersi nel senso nobile di talento, di ars, di technè considerata nel suo senso proprio e conforme all'etimologia) ben espressa dall'aforisma del medico che ho citato nel precedente messaggio.
Quindi da un lato accettazione del proprio destino, ma dall'altro e contestualmente il compimento di esso, e solo una crassa ignoranza può pensare che l' aristos (il migliore) di Nietzsche possa assomigliare anche da lontano ad un sopraffattore, perchè per lui è chiarissimo che i migliori non hanno alcun bisogno di dominare gli altri ma al contrario cercano di tenersene distanti per non essere condizionati dalla loro bassa umanità; di qui la sua essenziale misantropia e il suo elogio alla solitudine che è sempre una caratteristica dei migliori. Se la volontà, come nel caso delle ideologie che valorizzano le debolezze, viene utilizzata solo per limitare o annullare gli effetti di ciò che di doloroso e tragico il fato ci riserva, nel complesso le forze vitali e creative si deprimono e si annullano dando luogo all'ideologia dell'ultimo uomo, che si accontenta di "una vogliuzza per il giorno e una per la notte, salva restando la salute", indebolendo sempre più l'uomo e rendendolo progressivamente ipersensibile ad ogni sofferenza che non riuscirà ad affrontare (non è credo un caso che di questi tempi gli psicologi pur essendo così inutili abbiano così tanto successo, e sempre più persone siano dipendenti da psicofarmaci). La volontà di potenza va quindi contrapposta in qualche modo a quella che invece il Cristianesimo chiama "buona volontà" e che viene modernamente intesa come banale pietas, compassione verso i deboli e i derelitti (e questo è un altro caso di "trasvalutazione" di valore).
#99
Citazione di: paul11 il 12 Luglio 2018, 14:15:10 PMSe Nietzsche nega l amorale e nega la cultura che la sostiene ed esalta la volontà di potenza dell avita, probabilmente nega ciò che noi chiamiamo morale ed etica, ma attenzione"come costruzione culturale", non penso proprio neghi il piacere di stare in compagnia, di salutare un passante, di aiutare la vecchietta ad attraversare la strada se questo fa piacere, ma quel che penso e che non voglia il "dovere" morale che crea obblighi.

Ciao Paul

Il torto più grande che si possa fare a Nietzsche è quello di leggerlo come se fosse un "banale" filosofo come Kant, Spinoza o Heidegger, che essendo appunto banali filosofi sono di fatto solamente degli "elaboratori" o dei "sistematizzatori" del pensiero. Nietzsche va letto come si legge un sapiente, che è ben al di sopra del normale filosofo; va letto come si legge un profeta, e non a caso per esprimere il "suo" pensiero più elevato si è servito del nome di un profeta (Zoroastro) ed è quindi indice di incomprensione e conseguente travisamento del suo pensiero citare e criticare brani delle sue opere tralasciando quella principale, Così parlò Zarathustra, che dovrebbe essere la base attraverso la quale decodificare i suoi scritti. Chiunque nella sua vita abbia pensato (o perlomeno tentato di pensare) la verità e non si sia accontentato di leggere il pensiero altrui sa bene che il pensiero evolve: in certi momenti pare che la verità sia una cosa, poi si cambia idea, e poi ancora fino a raggiungere un punto tale che non si può più cambiarla dato che si è raggiunta una profondità tale da cogliere l'essenza immutabile. Quindi tutto ciò che ha scritto Nietzsche prima e dopo lo Zarathustra si può considerare una fase di questa evoluzione, e se è lui stesso ad affermare che lo Zarathustra è il regalo più grande che ha fatto all'umanità bisognerà pur tenerlo presente. In "Ecce Homo", a proposito dell'ispirazione che gli ha consentito di concepire lo Zarathustra, afferma: «...noi siamo soltanto incarnazione, soltanto strumento sonoro, soltanto medium di poteri che ci sovrastano. Il concetto di rivelazione, nel senso di qualcosa che, subitamente, con indicibile sicurezza e sottigliezza, si fa visibile, udibile, qualcosa che ci scuote e sconvolge nel più profondo, è la semplice espressione della verità. Si ode, non si cerca; si prende, non si domanda da chi ci sia dato; un pensiero brilla come un lampo, con necessità, senza esitazioni nella forma - io non ho mai avuto scelta. Un rapimento in cui la enorme tensione d'animo si risolve talvolta in un torrente di lacrime, in cui il passo involontariamente ora precipita, ora rallenta; un essere completamente fuor di sé stessi, con la percezione distinta d'una infinità di sottili brividi che ci scuotono fino alla punta dei piedi; una felicità profonda in cui il dolore e l'orrore non agiscono per ragione di contrasto ma sono parti integranti, indispensabili, sono come una nota di colore necessaria in quest'oceano di luce; [...] Tutto avviene in modo involontario al massimo grado, ma come in un turbine di senso di libertà, di incondizionatezza, di potenza, di divinità. [...] Questa è la mia esperienza dell'ispirazione; non dubito che si debba tornare indietro di millenni per trovare qualcuno che possa dirmi "è anche la mia"». Certe frasi che appaiono disturbanti se scritte da un filosofo acquistano un senso diverso se lette alla luce della sapienza, e anche il concetto di "volontà di potenza" è distante anni luce da quello che anche qui sopra si è descritto.
Nietzsche viene spesso accostato a Stirner dal quale si dice abbia tratto ispirazione (anche se non vi sono testimonianze in tal senso); a tal proposito nella quarta di copertina de "L'unico e la sua proprietà" di Stirner, Roberto Calasso annota: «La vera 'filosofia del martello', che Nietzsche non sarebbe mai riuscito a praticare perché troppo irrimediabilmente educato, si compie nelle brevi, tempestanti, offensive frasi che compongono l'Unico»
A mio avviso questa interpretazione è totalmente sballata, perché l'opera di Stirner esalta un individualismo che è esattamente l'opposto di quello che intendeva proporre Nietzsche. L'individualismo di Stirner è l'egoismo moderno, quello animato dalla volontà di accaparramento a danno altrui, quello che vuole imporsi comunque a scapito degli altri, quello del potere per il potere, l'egoismo quantitativo e materialistico che punta all'accumulo di beni e al soddisfacimento di bisogni, reali o fittizi che siano, in funzione di una mera affermazione del proprio ego.
Stirner diceva "Tu hai il diritto di essere ciò che hai il potere di essere"; Nietzsche invece, pur con altre parole, diceva "Tu hai il diritto di essere ciò che hai il dovere di essere". "Diventa ciò che sei!" è il motto principale di Nietzsche tratto da Pindaro; "Diventa ciò che puoi!" è quello di Stirner che come si vede è completamente differente. L'egoismo niciano è un individualismo mistico, di colui che si ritira sull'alto monte per ottemperare al famoso monito "conosci te stesso", per non far dipendere il proprio essere da tutte le indefinite suggestioni e condizionamenti veicolati dalla "plebaglia", da tutto ciò che è più bassamente umano, e lo afferma chiaramente svariate volte come in questo passo: «Voi costringete tutte le cose a venire a voi e dentro di voi, perché riscaturiscano dalla vostra sorgente come doni del vostro amore. In verità, un predone di tutti i valori deve diventare questo amore che dona; ma io dico sacrosanto questo egoismo. Vi è anche un altro egoismo, troppo povero, affamato, che vuol sempre rubare, l'egoismo dei malati, l'egoismo malato. Con occhio di ladro esso guarda a tutto quanto luccica; con l'avidità della fame conta i bocconi a chi ha da mangiare in abbondanza; e sempre si insinua alla tavola di coloro che donano»; e ancora: «In alto va il nostro cammino, dalla specie si avvia verso la sovra-specie. Ma un orrore è per noi la mente degenerata che dice: "Tutto per me"» Il primo egoismo, che rifiuta tutti i valori dati per farsi esso stesso creatore di valori e manifestarli attraverso la volontà di potenza è quello di Nietzsche; il secondo quello di Stirner.
Nietzsche afferma inoltre: «Medico aiuta te stesso, così aiuterai anche i tuoi malati. Questo sia il tuo aiuto migliore: che egli guarisca guardando con gli occhi colui che risana se stesso». Qui è del tutto evidente la mancanza di volontà prevaricatrice, che altrimenti si sarebbe espressa con "Medico aiuta i tuoi malati così essi dipenderanno da te e tu acquisirai potere su di loro", mentre invece prevale l'esempio del migliore che "egoisticamente" pensa innanzitutto a guarire se stesso e quindi, mostrando le proprie virtù, aiuterà anche gli altri a riconoscere e manifestare le loro.
Cosa dice ancora Nietzsche? «Fate pure ciò che volete. Ma siate prima di tutto di quelli che "sanno" volere!». Questa splendida frase indica chiaramente e inconfutabilmente che la volontà non deve essere espressa in modo indiscriminato, come pura esibizione di egemonia o prevaricazione, come anarchia della violenza e del potere, ma deve essere guidata dalla sapienza. Sapere quel che si vuole, innanzitutto, e per saperlo bisogna prima conoscere se stessi, la propria virtù, e poi manifestarla in tutta la sua potenzialità attraverso una incrollabile volontà.
La volontà di potenza è quindi in definitiva la volontà del mondo che si esprime nel processo creativo universale a cui tutti gli enti devono contribuire ognuno secondo i propri compiti, e a cui anche l'uomo deve adeguarsi secondo la propria virtù e le proprie potenzialità. E se come diceva Eraclito "Polemos è padre di tutte le cose" ovvero la vita si dispiega attraverso un costante conflitto che è la cifra necessaria del divenire allora le parole di Nietzsche già citate da qualcuno non sono altro che una ovvia constatazione, perchè l'assenza del conflitto, della guerra, della violenza, nel mondo del divenire non può che chiamarsi semplicemente "morte". Bisogna inoltre considerare che Nietzsche, nello Zarathustra, non parla ad una tribù, ad una razza, ad una polis con tutte le sue strutture culturali e morali, ma ad ogni uomo che sia in grado di comprendere quello che dice (un libro per tutti e per nessuno) indipendentemente dalla sua cultura e dalla sua morale e dunque in questo senso il giudizio morale sui suoi scritti non ha alcuna valenza, e del resto lo stesso Gesù Cristo diceva: "non giudicate se non volete essere giudicati".
#100
Citazione di: Phil il 24 Giugno 2018, 13:26:24 PM
Citazione di: Sariputra il 24 Giugno 2018, 12:11:16 PMBeh!..Se prendiamo una delle società multietniche per eccellenza, gli Stati Uniti, non direi proprio che il tuo ragionamento funzioni molto... ;)
Vado a memoria (= alto rischio di dire scemenze ;D ), ma mi sembra che lì le elezioni siano state vinte d'un soffio, confermando che quel popolo multietnico è un gregge non omogeneo nemmeno se gli si chiede "testa o croce" (se non erro, lì la lotta è sempre fra due). Ovviamente è solo un caso, magari ce ne saranno anche altri con risultato opposto, non so... Comunque, visto il tema del topic, qui stavo pensando più all'Europa, dove la storia e le tradizioni politiche hanno altre caratteristiche: gli USA sono nati multietnici, hanno un territorio sconfinato, non sono un insieme di stati sovrani, etc. insomma sono più le differenze che le somiglianze... il che non toglie che uno stato multiculturale non possa mai trovare un denominatore comune (come collante sociale o come cappio per farsi soggiogare ;) ). Come al solito si tratta di non vedere tutto "bianco o nero", semplificando ciò che semplice non è in "il multiculturalismo è un bene o un male" (se abbia mai senso una frase del genere, ma non deviamo verso il solito off topic). Ci tenevo solo a far osservare che il multiculturalismo non va necessariamente a braccetto con sbando culturale e sottomissione dei popoli; è un cambiamento di cui è difficile prevedere l'esito, ma non sarei catastrofista (ovviamente non mi riferisco più a Socrate78, né tantomeno a Sariputra, parlo in generale!).
Citazione di: Socrate78 il 24 Giugno 2018, 13:10:00 PMProva a pensarci un attimo, se si attenuano le differenze culturali in che cosa gli uomini della società multietnica potranno uniformemente riconoscersi? La risposta è semplice, nel culto del dio denaro e della civiltà dei consumi!
In merito, il multiculturalismo non mi pare un fattore cruciale: quel culto vige anche in società "uniculturali", ad esempio, qui da noi son almeno 30 anni che è il culto di stato ;D
Citazione di: Socrate78 il 24 Giugno 2018, 13:10:00 PMelite economiche che vogliono la globalizzazione economica, in maniera tale da creare un mercato fatto di docili consumatori che possono essere manipolati nei desideri e nello stile di vita,
Globalizzazione economica non equivale a multiculturalismo, sono parenti, ma non li confonderei (e sulla globalizzazione economica non mi sbilancio per ignoranza in materia :) ).
Citazione di: Socrate78 il 24 Giugno 2018, 13:10:00 PMgli immigrati servono poi a questo sistema perché sono manodopera a bassissimo costo,
Finché restano nel loro paese... qui da noi hanno contratti minimi uguali ai non-immigrati (lavoro nero a parte).
Citazione di: Socrate78 il 24 Giugno 2018, 13:10:00 PMvogliono l'immigrazione, non certo per un ideale di pace tra i popoli.
Qui concordo, tuttavia non (s)cadrei, come accennavo sopra, direttamente alla lettura opposta.



Il multiculturalismo è un concetto-grimaldello inventato e giustificato più o meno in malafede da qualche intellettuale ignorante, e sfruttato dalla "aristocrazia finanziaria apolide e mondialista" (direbbe Fusaro) per i propri interessi. Di fatto l'ideale obiettivo da perseguire (anche se mai effettivamente raggiungibile) è il monoculturalismo, inteso non come cultura unica mondiale, che sarebbe già qualcosa, ma come cultura mononucleare, individualismo culturale che porta all'atomizzazione degli stili di vita e delle visioni del mondo realizzando il perfetto ossimoro. La cultura intesa come weltanschauung non può mai essere individuale, e dunque il trend in atto è quello di una progressiva deculturazione che svuota di qualsiasi carica simbolica ogni manifestazione culturale, ogni istanza di senso che trascenda la mera individualità,  e rimarranno in essere unicamente gli involucri,  consuetudini e abitudini che verranno agite meccanicamente senza che i loro attori sappiano spiegare le ragioni della loro sussistenza.
Se dunque valori e principi diventano mere enunciazioni e non fondamenti veritativi condivisi intorno ai quali edificare l'esistenza e la vita di una comunità l'unico imprescindibile valore di riferimento diventerà il proprio piccolo ego, e la soddisfazione delle sue istanze dovrà essere perseguita come prioritaria ai fini della "buona vita" di ognuno. Se alla progressiva ipertrofia dell'ego si aggiunge l'idea, ormai di dominio mondiale, che la sua soddisfazione possa essere raggiunta solo attraverso il possesso sempre più ampio di oggetti materiali (o di denaro che consenta di ottenerli) allora si può vedere chiaramente come questa situazione sia quella ideale per coloro che ne detengono il monopolio: gli industriali e i finanzieri, che avranno tutto l'interesse ad alimentare queste idee e ad accrescerle e diffonderle.
Se gli USA sono l'esempio paradigmatico di questa situazione ove alla totale mancanza di cultura fa da contraltare una spietata lotta fra egoismi individuali e l'unico collante sociale sta nell'identificazione di un nemico di tutta la nazione che di volta in volta è sempre diverso e che deve essere combattuto perchè minaccia il "way of life" americano; se dunque tutta la storia dell'America è una storia di guerra, che per tenere sotto controllo le tensioni e le contraddizioni interne che altrimenti esploderebbero fragorosamente deve sempre manifestarsi all'esterno,  l'Europa è un po' diversa, dato che aleggia ancora su di essa lo spirito dei nazionalismi di fine '800 e a quello ci si aggrappa per trovare un principio di unità (c'è una differenza addirittura ontologica fra il Trump che grida "America first" e il "prima gli italiani" di Salvini: nel primo caso si intende l'America come "azienda", come "sistema", che come tutte le aziende ha come scopo il profitto, la produttività e l'efficienza e i cittadini sono funzionali a tale scopo, e ove non lo siano vengono marginalizzati ed esclusi, mentre nel secondo si intende perseguire l'interesse del popolo che è un concetto ben diverso). Ma anche in Europa si sta affermando sempre di più il modello americano dell'apolide culturale, del consumatore globale che, in una sorta di "laicismo" coniugato individualmente,  nel privato può vivere la "cultura" che vuole, ma nel "pubblico" deve adeguarsi alle leggi del "produci, consuma, crepa" che ormai sono diffuse ai quattro angoli del globo. Non è più la cultura che determina lo stile di vita ma questo è ormai standardizzato, unificato, e la cultura (o le sue manifestazioni esteriori) sono ridotte alla stregua di accessori, di orpelli, di hobby; non è evidentemente un caso che quando si parla di "integrazione" dello straniero la si ritiene realizzata semplicemente quando costui ha un lavoro, una casa e "paga le tasse", alienando da questo discorso ogni e qualsiasi considerazione di tipo culturale.  Ha dunque ragione Socrate78 ad affermare il culto del dio denaro come principio unificante delle società multietniche e multiculturali, poiché essendo tutta la società basata su tale principio le eventuali differenze culturali, ormai ridotte a pura superstizione,  saranno solo di secondaria importanza e quindi ultimamente irrilevanti. Appare di conseguenza evidente  che a dominare facilmente una società del genere non potranno che essere quelli che detengono il possesso del denaro e della facoltà di distribuirlo, e nell'esercitare tale potere che tutti, di qualunque cultura, riconoscono, saranno guidati dalle loro convenienze e non certo spinti da chissà quali istanze culturali.
#101
Dove ho scritto che bisogna considerare il migrante un nemico? Questa è una tua supposizione, non certo una mia affermazione. Io ho solo detto, in conformità all'argomento del 3d, che la dottrina cristiana non esclude la categoria di nemico con quel che ne consegue, poi ogni popolo decide di volta in volta quali siano i loro nemici e quali no (condizione peraltro sempre temporanea, variabile,  mai definitiva).
Io trovo invece, al contrario di te, che l'agape evangelico sia una forma di amore universale che giustifica anche la guerra e la violenza poichè la vita si genera attraverso i conflitti (Polemos, diceva Eraclito, è padre di tutte le cose) e la dottrina cristiana non è una utopia più o meno buonista come quelle di Moro o Campanella; del resto lo stesso Gesù Cristo disse "Non sono venuto a portare la pace ma la spada; sono venuto a separare il figlio dal padre, la figlia dalla madre, la nuora dalla suocera...". E se è vero che la religione è sempre stata una questione di polis i Vangeli non sono la religione ma la dottrina, ovvero solo una sua parte, seppur indispensabile. I Vangeli sono la "filosofia" sulla base della quale si struttura una religione e poi una polis, che però non può essere per svariati motivi perfettamente aderente ad essa e comunque sempre in divenire. Deve essere chiaro però che se il necessario "aggiornamento" dell'interpretazione della dottrina e quindi della struttura della religione contraddice in modo evidente il dettato della medesima allora è evidente che non si può più parlare di "adeguamento ai tempi" ma di "rivoluzione" o "ribaltamento", che è tutt'altra cosa. La tradizione cattolica di soccorso ai poveri e ai bisognosi è millenaria, ed è presente in ogni dottrina, ma se è vero che non vi sono respingimenti alle porte dei monasteri o degli ospitali questo soccorso veniva (e altrove ancora viene) effettuato in conformità all'insegnamento della parabola del Buon Samaritano.
#102
Citazione di: InVerno il 19 Giugno 2018, 10:03:46 AM
Citazione di: donquixote il 18 Giugno 2018, 06:30:28 AM
Citazione di: Jacopus il 18 Giugno 2018, 00:14:17 AMIl proclama "amate i vostri nemici" si concilia benissimo con il superamento della diade amico/nemico, visto che si promuove l'amore verso il nemico.
Per amare il mio nemico ho necessità che questo sia (e rimanga) un nemico (con tutto quel che comporta, compreso fargli la guerra), perchè se non lo fosse più non potrei ottemperare a tale comandamento. Non è stato detto "Fatevi amici i vostri nemici" bensì "amate i vostri nemici"; a me sembra la cristallizzazione degli opposti in questione e nient'affatto il suo superamento.
A me sembra che l'uso del "nemico" sia solo un estensione paradossale del soggetto "prossimo", ovvero la negazione netta di qualsiasi valutazione identificativa anzichè identitaria e\o ontologica. Ma se i paradossi avessero soluzioni logiche sarebbero banalità, perciò meglio lasciarli come sono e concentrarsi sul capire perchè il verbo amare viene posto in condizione di irrazionalità in un paradosso. In ogni caso la religione cattolica non è una religione del libro (cit. Benedetto), non a caso ne ha ben quattro, cosa che pone l'interpretazione - e perciò la relazione col prossimo - su un piano di rilievo, cosa che l'ha aiutata ad adattarsi nel tempo e provare a rimanere contemporanea (e perciò universale) e ha tralatro (in maniera spesso non accreditata) aiutato la nascita dell'illuminismo e dei moderni diritti umani di cui giustamente la Chiesa si è sempre fatta promotrice. Se si tratta solo di scegliere un punto a caso della storia e dire "questa era la Chiesa che mi piaceva" (tralaltro quella che pure giustificava le guerre) si vada indietro fino in fondo, all'agapè, ai convivi tra poveri nella regione anatolica. Ho forti dubbi che all'entrata di essi vi fosse un doganiere che ponesse l'identificazione (non l'identità) come criterio per essere considerati "nemici".Se la Chiesa perde la sua universalità alle dogane, non è più cattolica di un ONG qualsiasi. I "sinistri-atei" che vedono di buon occhio Bergoglio hanno la semplice presuzione (se si vuole) di riconoscere i giganti della storia quando passano, senza negare che il vigore di Francesco nasce anche dalla rinuncia di Benedetto, che ha chiuso per sempre le porte al passato.

Che il comandamento di amare i propri nemici sia un paradosso è solo ovviamente una tua opinione, ma anche se fosse solo una banale estensione del concetto di prossimo significherebbe semplicemente che bisogna amare tutti, compresi i nemici. Il fatto però che si sia posto l'accento sull'amore nei confronti del nemico è a mio avviso assai significativo e simbolico e tutt'altro che illogico e irrazionale. l'amore cristiano (tradotto in greco con il termine agape che marca una netta differenza con la philia e l'eros) è con tutta evidenza un concetto diverso dall'amore che siamo soliti identificare come sentimento di benevolenza, e dunque è su questo che bisognerebbe concentrarsi se si vuole cogliere il significato di quelle parole. Per il resto è superfluo commentare perchè se partiamo dai convivi dei primi cristiani e ripercorriamo tutta la storia della Chiesa ognuno può trovare ciò che gli sembrerà più consono alla propria sensibilità e dunque ogni discussione sarebbe inutile. Se si vuole fare riferimento alla dottrina espressa nei vangeli è meglio leggere (e capire) innanzitutto quelli, e poi eventualmente confrontare ciò che si è compreso con le interpretazioni storiche che ne sono state date per valutarne la loro conformità alla dottrina e non affidarsi al tanto criticato "principio di autorità", assegnando peraltro la patente di autorevolezza a chi di volta in volta esprime idee più conformi a quelle che già abbiamo.
#103
Citazione di: Jacopus il 18 Giugno 2018, 09:27:17 AMDa quello che scrivi sembra che l'amore di Cristo sia la prosecuzione della guerra con altri mezzi. Mi ricorda molto il codice amico/nemico di Schmitt, con in piu' la valvola di sicurezza dell'autodafe'. Se fosse davvero cosí il messaggio di Cristo non apporterebbe un briciolo di novita' al pensiero filosofico e filosofico-politico nella fattispecie. Considerando che sono fra gli ignoranti mi piacerebbe conoscere meglio la dottrina dell'agape perche' a causa della mia formazione scientifica diffido di chi non spiega le sue ragioni. Ma sono del resto abbastanza sicuro che attorno alle parole di Cristo vi sono numerose interpretazioni anche contrastanti e quindi parlare di malafede e' il primo indizio di essere appunto o in malafede o attratti da una visione integralista del cristianesimo.

I concetti di Schmitt sono meramente politici (ed io peraltro non li condivido affatto) e quindi relativi mentre quelli del Vangelo (che ovviamente non si limitano alla diade amico/nemico) hanno una pretesa universale e non possono riferirsi ad una determinata "polis", ma da un lato ad ogni singolo uomo e dall'altro all'intera umanità al di là delle differenze razziali, culturali e politiche. Sono poi le interpretazioni umane delle parole dei Vangeli ad essere adattate alla vita di una polis, e se queste interpretazioni variano varierà di conseguenza l'organizzazione della stessa polis come possiamo chiaramente vedere nelle polis europee degli ultimi secoli. Per quanto concerne la dottrina dell'agape nel mio primo messaggio in questo 3d ho indicato alcuni spunti di riflessione: sulla base di quelle se interessa puoi riflettere ed esprimere le tue impressioni, e magari poi se ne discute, mentre la questione della malafede è per me evidente in alcuni casi come ad esempio in coloro che si definiscono atei o di ultrasinistra e tradizionalmente ipercritici con la Chiesa e il Cattolicesimo che ora sono diventati tutti devoti di Papa Bergoglio. O loro sbagliavano tutto prima (e allora dovrebbero fare ammenda con tutto quel che consegue), o sbaglia il Papa adesso (e visto che si sono permessi di criticare aspramente la dottrina cattolica si dovrebbe presumere che la conoscano e quindi siano in grado di evidenziare questi errori), oppure guardano solo alla loro "convenienza" ideologica o politica e quindi sono in malafede.
#104
Citazione di: Jacopus il 18 Giugno 2018, 07:43:32 AMPer Don Quixote: non sono un esperto in teologia, ma se fosse davvero cosí il messaggio evangelico mi risulterebbe incomprensibile e auto-contraddittorio. Trattandosi di un messaggio escatologico l'ho sempre interpretato come un impulso al superamento delle pratiche terrene e non come la loro cristallizzazione. "Amare il proprio nemico mentre gli si fa la guerra" e' una posizione che qualsiasi psicologo alle prime armi qualificherebbe come sadomasochistica.

Certo che la dottrina del Vangelo è un superamento delle cose terrene ("Il mio Regno non è di questo mondo") ma superamento significa "andare oltre", al di là, non significa "ribaltamento" o "rivoluzione" delle cose terrene. L'amore predicato da Cristo non è assimilabile a quello che uno può provare nei confronti della moglie, o dei figli, o della sua automobile, o della musica o di altro; l'amore evangelico (agape) non c'entra nulla con la cosiddetta "filantropia", e dunque coloro che si servono delle parole del Vangelo per auspicare l'accoglienza indiscriminata dello straniero o sono semplicemente ignoranti oppure sono in malafede.
#105
Citazione di: Jacopus il 18 Giugno 2018, 00:14:17 AMIl proclama "amate i vostri nemici" si concilia benissimo con il superamento della diade amico/nemico, visto che si promuove l'amore verso il nemico.  

Per amare il mio nemico ho necessità che questo sia (e rimanga) un nemico (con tutto quel che comporta, compreso fargli la guerra), perchè se non lo fosse più non potrei ottemperare a tale comandamento. Non è stato detto "Fatevi amici i vostri nemici" bensì "amate i vostri nemici"; a me sembra la cristallizzazione degli opposti in questione e nient'affatto il suo superamento.