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Messaggi - 0xdeadbeef

#901
Ciao Phil
A parer mio Severino individua acutamente la radice del moderno nichilismo (l'essente che sorge dal, e ritorna nel, nulla è,
intrinsecamente, nulla), però non capisco affatto questo suo intendere il "diventare altro" come l'equivalente del diventare
nulla.
Come dicevo, condivido l'affermazione sull'impossibilità di sorgere dal, e tornare nel, nulla (la condivido, naturalmente,
non da un punto di vista, diciamo, moralistico - come antidoto al nichilismo, cosa che qui non interesserebbe affatto-; la
condiviso altresì su una base logica e persino scientifica, visto che la stessa fisica ci parla di "conservazione dell'energia".
Il punto è però il "diventare altro", che ovunque Severino afferma essere equivalente al diventare nulla (e su questo punto
condivido senz'altro quel tuo sostendere lo "zenonismo" di Severino).
Ciò che ne consegue è una visione filosofica che trovo francamente molto "pesante" da proporre (l'eternità di ogni essente in
ogni attimo, cioè praticamente la presenza come di infiniti, immobili universi paralleli - appunto in maniera simile a Zenone).
Mi chiedo però, visto che ho comunque la massima stima di Severino, che su altri e fondamentali punti dimostra una non certo
comune profondità di analisi e conoscenza, se sono io (assieme a molti altri...) a non possedere, come dire, "occhi per vedere"
(immerso forse, per usare la sua terminologa, nella "terra isolata dal destino"), oppure se è lui ad aver preso un colossale
abbaglio.
Grazie per la risposta e per la segnalazione.
(mi spiace non poter citare su qualche punto le parole precise di Severino, ma adesso non ho la mia "biblioteca" sotto mano)
#902
Dopo aver letto qualche opera di E.Severino ("Intorno al senso del nulla"; "Il tramonto della politica"; "Dispute sulla
verità e la morte", oltre ad altri frammenti e vari articoli), mi sembra di poter affermare che, a parer mio, il filosofo
non distingua a sufficienza fra il "diventare altro" e il "diventare nulla".
In altre parole, a me sembra che mentre appare plausibile (ma direi proprio condivisibile) sostenere l'impossibilità che
un qualsiasi essente provenga dal nulla ed al nulla ritorni, al tempo stesso mi sembra però sia assurdo sostenere che
quell'essente non divenga (o non possa diventare) "altro".
Forse che "diventare altro" vuol necessariamente dire "diventare nulla"? Rifacendomi ad un celebre esempio dello
stesso Severino: forse la legna che diventa cenere non diventa "altro" pur non diventando "nulla"?
E invece sembra proprio che per Severino non si dia differenza fra il diventare "altro" e il diventare "nulla"...
Voi che ne pensate?
(mi scuso anticipatamente per il ritardo -anche notevole...- con cui risponderò. Purtroppo i molti e gravosi impegni
che ho in questo periodo mi impediscono la frequenzazione che vorrei. Leggerò comunque con grande piacere e interesse
le vostre eventuali risposte)
mauro
#903
Beh, direi che l'espansione (anzi: la necessità del capitalismo all'espansione) è frutto non di meccanismi psicologici,
ma piuttosto economici.
Ormai diversi anni fa, a seguito del "crack" della Parmalat, a Calisto Tanzi fu posta la seguente domanda: "ma lei,
invece di cercare strade impervie e rischiose, perchè non è rimasto il lattaio di Parma?"
Così rispose Tanzi: "vede, questo sistema economico non ti consente di stare fermo".
E il punto è esattamente questo, ben analizzato già da Schumpeter (che tutto era fuorchè di sinistra...) ormai una
settantina di anni fa.
L'azienda "fordista" si trasforma in SpA (in ciò appoggiandosi ed aprendosi al capitale bancario) per meglio reggere
la competitività; perchè all'interno dell'economia capitalistica una azienda grande assorbe NECESSARIAMENTE una azienda
più piccola che produce la stessa merce (legge delle "economie di scala").
Questo è il motivo per cui, dicevi, il ceo della FIAT afferma che la "macchina", oggi, è solo una questione di brand, di
griffe: perchè è solo attraverso la diversificazione del prodotto finale che una azienda piccola può salvarsi dal
meccanismo perverso della legge delle economie di scala.
La domanda è però sul "quanto"; sul "fin dove"; la diversificazione del prodotto finale può consentire all'azienda più
piccola di sopravvivere (soprattutto nel momento in cui i trattati commerciali internazionali sempre meno consentono
questa, chiamiamola, "ancora di salvataggio"). Sicuramente la tendenza, necessaria, all'espansione è da tenere ben in
considerazione laddove si considerino i "grandi numeri" di una economia globale (ad esempio quando si parla di gas,
di acciaio, di petrolio o di strumenti finanziari).
Per realizzare un "plusvalore" maggiore (dunque per realizzare una forma capitalistica efficiente) occorre quindi essere
grandi e grossi, oppure agire in una cosiddetta "nicchia di mercato" (il brand di cui dicevo); oppure ancora agire in
mercati "protetti" (pensiamo solo al settore dei servizi essenziali); ma siamo, in quest'ultimo caso, già fuori da una
forma capitalistica efficiente.
La cosa fondamentale da capire è che in un regime di mercato "libero" o si è grandi e grossi (naturalmente I PIU' grandi
e grossi...) o si devono trovare nicchie di mercato in cui il "valore aggiunto" compensi un costo marginale necessariamente
più alto (sempre per la legge delle economie di scala). Ma si tratta, ripeto, di volumi produttivi relativi, non tali da
modificare sostanzialmente la "legge" che vuole il pesce piccolo mangiato dal grande.
saluti
#904
Citazione di: green demetr il 10 Aprile 2018, 08:16:10 AM

Il punto focale dell'analisi marxista sta a monte il funzionomaneto strutturale del capitale.




Un'imprenditore che conosco (fra l'altro titolare di una grande azienda di rilievo nazionale), molto intelligente,
una volta mi raccontò che alle riunioni di Confindustria cui spesso partecipa fece un intervento nel quale in
sostanza disse: ma come si fa a far crescere sempre il PIL? Io mangio tre volte al giorno, devo forse
crepare di indigestione per farlo crescere?
Nessuno, aggiunse, rispose al suo intervento, solo qualche risatina...
Mi sembra significativo, no? E nessuno in verità poteva rispondere, visto che quella era la pura e semplice
verità (come del bambino che grida: "il re è nudo!"), cui non può esservi risposta "sensata" senza che questa
faccia cadere tutta l'impalcatura ideologica (e che ideologia grossolana poi...).
Dunque sì, dicevo che il capitalismo ha bisogno di espandersi, sempre. Per cui, tanto per riprendere l'aneddoto,
chi soffre di colesterolo alto, ipertensione, diabete e altri malanni dovuti ad un eccesso di cibo DEVE SEMPRE
E COMUNQUE mangiare. Ma anzi, direi che più importante è quanto si mangia OGGI, al momento (per cui un affamato
che mangia al momento molto è "capitalisticamente" più efficiente di un grassone che, già sazio, mangia meno di lui).
Non sfugga, insomma, che per il sistema capitalistico è più importante l'andamento del PIL che non l'accumulo (tanto
che un paese come il nostro, con una grande propensione al risparmio ma un PIL basso, non viene ritenuto, appunto,
capitalisticamente efficiente).
A mio parere, questo succede proprio perchè la caratteristica primaria del capitalismo è, più dell'accumulo,
l'espansione.
Per il capitalismo, che la produzione sia "reale" o meno non ha nessuna importanza (importante è che si registri
sempre e comunque un plusvalore - ed esso si registra sempre e solo nell'espansione).
Dunque terrei innanzitutto fermo questo punto dell'espansione, che certo Marx intuì ma che forse troppo subordinò
al principio di accumulo.
A tal proposito, "storicizzare" Marx potrebbe, ad esempio, voler dire rileggere le sue (fondamentali) tesi alla
luce di quanto affermò Schumpeter in "Capitalismo, socialismo e democrazia" già negli anni 40 del 900 (opera
nella quale si analizza la trasformazione dell'economia "fordista" e l'avvento, di fatto, della finanza come
evoluzione strutturale dell'ecomonia di mercato).
Discorso lungo, ma estremamente interessante.
saluti
#905
Citazione di: stefano il 18 Aprile 2018, 10:08:54 AM
Oxdeadbeef,
Poi arrivi te e come se niente fosse ci spieghi con disinvoltura che "il Comunismo è morto perche non ha saputo dotarsi di strumenti di analisi diversi...ecc.ecc." Fine.
Inoltre ti chiedi dove sia finita la classe proletaria dei bei tempi passati e come sia possibile che i "dominati" siano oggi cosi stupidi e pecoroni da credere nella democrazia.Mi sembra di capire che per te Oxdeadbeef i "dominati" sono "stupidi" di natura e che la loro vita ha un senso solo se qualcuno provvede a irregimentarli in una massa compatta.Tu Oxdeadbeef hai forse qualcosa di alternativo da proporre? Qualche nuovo tipo di regime,qualche magico dittatore? A quale nuova ideologia dovrebbe prestarsi oggi la classe proletaria? Non ti è mai venuto in mente che proprio il Comunismo,la sua storia,quello che tu ora vuoi ignorare,sia stata la rovina dei poveri e della loro classe sociale?



Chiarisco un paio di punti essenziali (sennò la discussione non ha senso e non potrebbe proseguire).
Il comunismo propriamente detto per me non è mai esistito (e probabilmente non potrebbe esistere...).
Quello che tu chiami "comunismo" era null'altro che una dittatura totalitaria; una dittatura che, sì, sventolava una
bandiera rossa, ma che avrebbe potuto essere anche di diverso colore.
Il comunismo, come "idea", nasce e muore con Marx, geniale economista nonchè pessimo politico (e proprio per aver
teorizzato la "dittatura del proletariato", alfin ridottasi a dittatura e basta...).
I partiti "comunisti" dell'occidente sono stati in realtà dei partiti socialdemocratici, e da questo punto mi
sembrerebbe opportuno "partire".
Proprio in quanto geniale economista, Marx non andava certamente buttato con l'acqua sporca, per così dire, ed
invece questo hanno fatto i partiti di sinistra occidentali (e gli esiti di questa operazione sono sotto gli
occhi di tutti...).
Questo volevo dire con quel "Quanto al "comunismo", esso è morto sostanzialmente perchè non ha mai saputo andare
"oltre" il pensierodi Marx; ovvero perchè non ha saputo dotarsi di strumenti di analisi diversi da quelli
dell'ideologiadei dominanti (leggasi: accettazione acritica del concetto di "merito")" che sembra tanto
averti scandalizzato...
Insomma, questo tanto per, come dire, "stabilire una lingua comune", un "sostrato" su cui meglio intenderci.
saluti
#906
Citazione di: stefano il 12 Aprile 2018, 11:25:17 AM
Il comunismo è morto,perchè?
Forse perche ha usato intere popolazioni come cavie per esperimenti sociali fallimentari,con deportazioni,repressioni,
campi di rieducazione? Forse perchè si basava su un regime poliziesco che aboliva ogni stato di diritto con sistemi da inquisizione?
Ma no! "esso è morto sostanzialmente perchè non ha mai saputo andare "oltre" il pensiero
di Marx; ovvero perchè non ha saputo dotarsi di strumenti di analisi diversi da quelli dell'ideologia
dei dominanti (leggasi: accettazione acritica del concetto di "merito")"

Grazie Oxdealbeef ora è tutto chiaro.


Si, devo dire che sentivo davvero la mancanza di un simile commento...
Altrove affermo di non essere più nemmeno di sinistra, quindi figuriamoci se mi sento di fare la parte dell'avvocato
difensore del comunismo...
E' chiaro che non stavo parlando di fatti storici, per così dire, ma di filosofia politica. Se proprio volessimo
parlarne (di fatti storici) non potremmo, spero, certo negare che ogni potere politico ha i suoi lati oscuri.
Ad esempio (se proprio occorre un esempio...), l'ultimissima cronaca ci parla dell'ennesimo, sciagurato, maldestro
(oltre che criminale) intervento occidentale. Che segue altri, ormai innumerevoli, sciagurati, maldestri
e criminali interventi che hanno avuto come unico effetto quello di destabilizzare mezzo mondo.
Particolare: questi interventi hanno provocato non so quanti morti (certamente non pochi); morti che, forse, a causa
del nostro "occidental-centrismo" poco o nulla "percepiamo"...
Trovo non sia, caro Stefano, questione riguardante il colore di una bandierina...
Quella di Stalin era certamente rossa; quella di Hitler altrettanto certamente era nera; io francamente non vedo fra
questi due totalitarismi grandi differenze ideologiche o di cultura in generale...
Quanto al "supercapitalismo comunista cinese" si è vero, in fondo a sventolare c'è sempre la bandiera rossa; ma davvero
quella definizione non ti appare (almeno un tantino...) illogica, insensata e contraddittoria?
Poi, certo, c'è da mettersi d'accordo circa il livello cui vogliamo riferirci nelle discussioni. Per quel che mi riguarda,
se il livello è quello, appunto, delle bandiere io alzo immediatamente quella bianca...
saluti
#907
Ciao Anthonyi
Ti dico francamente che a me pare che la visione "ideale" sia quella di Von Hayek quando afferma (e non è una
affermazione fra le tante...) che l'ordine spontaneo creato dal mercato è anche un ordine giusto.
Probabilmente aveva in mente la celebre "mano invisibile" del Reverendo (...) A.Smith, ma soprassediamo.
Tanto per occuparci un pò di "reale", ci sarebbe da dire che attualmente (notizie fresche di cronaca...) è
una dittatura (la Cina) ad ergersi a paladino del libero mercato. Noto anche che di tale dittatura tutto può
dirsi fuorchè sia economicamente poco sviluppata (benchè le interpretazioni di tale termine possano non
essere univoche...).
Qualche anno fa, l'ho citato in una precedente risposta, in una delle pochissime (almeno così mi risulta) ricerche
sul rapporto che intercorre fra democrazia e mercato, l'economista francese J.P.Fitoussi affermava che il
"miglior" (leggasi: economicamente più efficiente) rapporto era raggiunto dal Messico (ora non ricordo se
nell'attualità o nel recente passato), che non mi pare possa essere portato ad esempio di liberalità democratica...
Credo in definitiva che dovremmo tutti un pò, come dire, "aggiornarci", ed evitare di trasferire acriticamente
al presente teorie economico-politiche nate (anche per esigenze ideologiche) nell'immediato dopoguerra o nel
periodo della guerra fredda.
saluti
#908
Se osserviamo la storia del capitalismo, vediamo chiaramente che la sua forse maggior caratteristica è la
necessità dell'espansione.
Ieri questa espansione era geografica, poi produttiva fino ad arrivare all'attuale espansione finanziaria.
Tale caratteristica è facilmente deducibile dallo strumento che più di altri forma e costituisce il
capitalismo: quello che Marx chiamava "plusvalore".
Il capitalismo, senza "plusvalore", ovvero senza espansione, non è più capitalismo, e quindi si esaurisce,
"muore".
Questo però significa che quantificare i limiti dell'accumulazione di capitale risulta di fatto impossibile.
Perchè un capitalismo "limitato" non è più un capitalismo "strictu sensu", ma qualcos'altro.
Ma, ancora, questo può solo voler dire che pensare di avere, nel medesimo tempo, politica E capitalismo
è impossibile (a meno di, consapevolmente, subordinare una di queste categorie all'altra).
Concordo quindi senz'altro laddove Paul11 afferma: "è così difficile quantificare i limiti patrimoniali,
vale a dire di accumulazione del capitale? Senza questo è inutile parlare di politica".
E questo era ben chiaro agli antichi Greci, che infatti subordinavano l'economia alla politica...
Perchè alla fin fine a questo si riduce tutto il nostro ragionamento.
Pensare di lasciar "briglia sciolta" al capitalismo significa solamente accettare che l'economia subordini
la politica (anzi, che la determini); mentre pensare ad un ruolo "attivo" della politica non necessariamente
significa riesumare il "socialismo reale" (come qualche "eruditissimo" liberale darebbe ad intendere...),
ma significa primariamente ribadire la supremazia della politica; il suo ruolo di guida dei processi strumentali
economici d cui, essa, è chiamata a stabilire gli scopi.
saluti
#909
Secondo me le classi esistono eccome; è invece scomparsa la "coscienza" di far parte di una classe.
O per meglio dire: a me sembra che solo nei "dominati" sia scomparsa la coscienza di classe, mentre i
"dominanti" sembrano averla ben chiara...
Provocatoriamente, potrei dire che i "dominanti", essendo in genere più intelligenti dei "dominati",
hanno sempre capito molto bene di essere una classe, e difendono strenuamente i loro "simili" quando
sono sotto attacco come se stessero difendendo se stessi. I "dominati" invece, essendo per la gran parte
stupidi, hanno bevuto e bevono come acqua di fonte tutto quel che gli propina l'ideologia dei dominanti,
arrivando persino ad essere contenti della loro condizione (ritendendola comunque il migliore dei mondi
possibili...). E comunque mai considerando il danno inferto ai loro simili come inferto a loro stessi.
Quanto al "comunismo", esso è morto sostanzialmente perchè non ha mai saputo andare "oltre" il pensiero
di Marx; ovvero perchè non ha saputo dotarsi di strumenti di analisi diversi da quelli dell'ideologia
dei dominanti (leggasi: accettazione acritica del concetto di "merito").
saluti
#910
X Paul
Beh, c'è da dire che le steli mesopotamiche, che come accennavo venivano in genere poste nei luoghi di mercato (...),
intendevano rimarcare il potere sovrano proprio quando tale potere era particolarmente debole...
I modi per aggirare la norma erano anche allora tanti (fra i tanti, degne di menzione sono le finte "adozioni",
metodo usato per aggirare il divieto di cessione di terreni ai non appartenenti ad un certo nucleo familiare),
comunque non c'è dubbio che vi fosse piena consapevolezza sui possibili guasti cui poteva condurre un "affarismo"
estremo; una consapevolezza che oggi manca drammaticamente...
Da questo punto di vista, a proposito dell'usura, che si sia giunti a sanzioni molto più deboli non mi soprende
affatto. Bah, a quei tempi il surplus era costituito perlopiù dall'orzo, poi attraverso molti (ma nemmeno tanti)
cambi di paradigma si è giunti all'attuale finanza (alias: aria fritta...). Insomma: non mi pare davvero il
caso di pensare che un potere capitalistico possa colpire duramente l'usura (...) senza colpire duramente la sua
medesima essenza, non credi?
Ci sono però un paio di cose su cui dissento (almeno parzialmente) dal tuo ragionamento.
L'individuo è senz'altro "emerso" attraverso varie tappe. Però, se proprio dovessi indicarne la "data di nascita", mi
sentirei di dire la divisione; la specializzazione del lavoro (la cui retribuzione era perlopiù individuale).
Soprattutto, penso che la "nascita" dell'individuo corrisponda con quella del "capitalismo" (inteso naturalmente come
io lo intendo; e cioè genericamente, come l'arricchimento privato e la fortuna familiare - nel senso di famiglia
"moderna", cioè mononucleare).
Dunque un capitalismo chè è presente fin dall'arcaicità; che è quasi "connaturato" all'uomo, e che dunque è possibile
solo cercare di limitare nei suoi aspetti più deleteri. Come?
Beh, l'osservazione empirica (avevo più che altro in mente questo quando parlavo di "pragmatismo"...) mi sembra ci dica
chiaramente che solo un rinnovato senso comunitario; un senso dunque di stato come "nazione"; può porre argini alla
globalizzazione affaristica mondiale.
Su questo punto devo dissentire da Baylham, laddove afferma: "Lo Stato è il più potente strumento a favore del privato
e dell'ingiustizia". Certo, è possibile che lo stato sia questo; ma è anche possibile non lo sia, e gli esempi
storici sono innumerevoli.
Non ho mai detto che lo stato sia "necessariamente" il miglior strumento a nostra disposizione; ho detto che "in
possibilità" lo stato è l'unico antidoto al dilagante mercatismo; che, questa volta invece proprio "necessariamente",
consente alla parte contraente forte di prevaricare quella debole.
Infine sul reddito di cittadinanza: giusto ma non mi pare al momento (e per chissà quanto...) possibile.
Perchè? Sostanzialmente perchè siamo nell'euro, e qualsiasi aumento (anche momentaneo) del debito pubblico dà
il via ad una sfilza di conseguenze negative. E poi anche perchè un'inflazione della moneta (sempre perchè essa
è l'euro...) su iniziative di un solo stato è di fatto resa impossibile.
Le cose da dire su questo argomento sarebbero tante. Per quel che mi riguarda, non sono di quelli che credono
alle politiche monetarie "espansive". Certo esse aiutano non poco nel breve-medio periodo (e sono di fatto
impossibili...), ma nel lungo termine un paese deve dotarsi di una solida struttura agricola e industriale, o
sono comunque dolori...
saluti
(per InVerno: a me risulta - i testi su cui mi baso sono "Antico Oriente" e "Uruk, la prima città" di Liverani-
che i primi silos siano stati "pubblici", e ben antecedenti la metallurgia)
#911
Ciao Paul, contraccambio di cuore il tuo augurio di una buona Pasqua.
Sto proprio adesso leggendo un saggio di M.Liverani ("Uruk, la prima città"), magnifico come del resto lo sono gli altri
di questo acuto storico e pensatore.
Fin dalle prime pagine, l'autore di interroga sulla cosiddetta "accumulazione originaria", mettendo in risalto il fatto
che le notizie cui siamo pervenuti sembrerebbero avvalorare l'ipotesi di un "surplus" produttivo che va a beneficio di
tutti (non sembrano esservi differenze sostanziali nella costruzione delle abitazioni private, così come le sepolture,
tutte simili, non mostrano mai segni di quell'opulenza nei corredi funerari che sempre è indice dell'avvenuta emersione
delle elites).
Sembra, insomma, che in questa forma proto-statuale la magnificienza, la ricchezza ottenuta dal surplus produttivo vada
ad esclusivo beneficio del "tempio"; sempre più grande ed opulento rispetto agli standard abitativi "privati".
Non facile è però risalire al momento in cui il surplus va ad arricchire anche i privati, o comunque le elites che
governano ed amministrano lo "stato-templare".
Secondo Liverani la fase immediatamente precedente la formazione proto-statuale (che Liverani chiama, mi pare sulla scia
di Childe, "chiefdom") già delinea una differenza; una distinzione che ancora nè le abitazioni né le sepolture rilevano.
Questa differenza, questa distinzione di "rango" verrebbe poi replicata all'interno del proto-stato templare.
In parole povere: "dove" comincia e in cosa consiste il "capitalismo"? La risposta non mi sembra facile; e neppure che
questa risposta possa avere i tratti della univocità.
Il capitalismo è forse l'arricchimento privato e la fortuna familiare? Certo questa risposta è molto generica, ma ci
evita di fare i conti con troppe definizioni "tecniche", non credi?
Sicuramente il Cristianesimo presenta molte affinità ed analogie con certe dinamiche e "meccanismi" del capitalismo.
Certo, tu parli (e non a sproposito) di "dispositivo culturale originario"; ma io preferisco, oltre a non fare una
troppo netta distinzione fra natura e cultura (come ti dicevo), pensare che questo "dispositivo originario" sia
in "ultima istanza" l'emergere dell'individuo.
Dal mio punto di vista il capitalismo non riguarda solo la cultura occidentale (diciamo "greco-cristiana-illuministica"),
anche se nella cultura occidentale il capitalismo ha, per così dire, trovato il terreno più fertile per la sua
affermazione. Ma lo ha trovato, e secondo me è questo il punto, perchè nella cultura occidentale è stato più forte
ed incisivo che altrove l'emergere dell'individuo.
Del resto a me sembra che lo stesso Cristianesimo sia intimamente legato, anzi che trovi la sua stessa ragione di esistere,
nei concetti di "merito" e di "colpa"; che sono concetti individualistici.
Per aggiungere qualcosa alle tue interessanti argomentazioni sul legame (indubbio) che sussiste fra Cristianesimo e
capitalismo, dirò che la Riforma Protestante offre forse quello che è un decisivo passo nella direzione di uno,
chiamiamolo, "sdoganamento" delle pulsioni egoistiche individuali (ma la Riforma è già, in nuce, nella distinzione
francescana di "ratio" e "fides").
Ora, qual'è il punto di maggior divergenza delle nostre rispettive posizioni?
Lo accennavo in una precedente risposta che forse ti è sfuggita. Tu sembri ritenere questo processo irreversibile,
come se questa forma estrema di capitalismo (che io chiamo "mercatismo") fosse inscritta nei nostri "cromosomi"
e nessun pragmatismo o ragionamento possa scalfirla.
Io invece penso che proprio il pragmatismo (altra nostra e decisiva "radice" culturale...) possa dire qualcosa
di importante.
Non è possibile che si continui ad essere ancora tanto miopi da assumere questo articolo di fede (il capitalismo)
come scienza indiscussa ed indiscutibile (contraddicendo in questo la stessa definizione di "scienza").
Prima o poi qualcuno dovrà pur svegliarsi da questo "sonno dogmatico"...
saluti (e ancora auguri)
#912
Citazione di: Phil il 29 Marzo 2018, 17:07:07 PM

L'altro è pensabile in molti modi (tu stesso citavi Levinas, se non erro, che lo pensa ben differentemente da Hegel); possiamo pensarlo in modo esistenziale, in modo religioso, in base all'Isee, in base alla cultura... poi scommetto distingueremo fra l'altro-x e l'altro-y (dove "x" e "y" possono essere, a piacimento: amico/nemico, ricco/povero, buono/cattivo, familiare/ignoto, etc.). Ho il sospetto che gli altri siano sempre (almeno) due  ;)
(Tauto)logicamente non potrebbe essere il contrario... per parlare di uno stato che non privilegia i forti, dovremmo avere quindi uno stato che elimina la differenza fra forti e deboli, abolendo radicalmente l'asimmetria della contrattazione? Scenario interessante, ma bisognerebbe allora rifondare l'economia e il mercato del lavoro praticamente da zero; operazione difficile da fare "in corsa", senza resettare tutto il meccanismo...


L'"altro" è, per me, quel che per gli Idealisti era il "non io"...
Senonchè, nella mia visione ("mia" per modo di dire) non avviene alcuna "sintesi", è l"altro" permane nella sua
irriducibile alterità (in quanto l'"altro" rimane "oggetto" - seppur conoscibile dal soggetto solo come "fenomeno").
La mia visione, in parole povere, è la stessa di Kant...
La differenza fra forte e debole non può essere eliminata (naturalmente...), ma può, e deve, essere "attenuata".
Così come l'asimmetria della contrattazione può (e deve) essere attenuata mediante il ricorso a rappresentanze di
tipo collettivo (l'esempio più tipico è chiaramente quello dei sindacati e delle organizzazioni datoriali).
Perchè mai usare il termine "rifondare" (l'economia e il mercato del lavoro) in un senso che a me pare quasi
richiamare quello di "rivoluzionare"?
Occorre forse tornare indietro di secoli per ritrovare forme di contrattazione collettiva?
Forse che il pragmatismo non ci suggerisce di considerare i guasti che questo recentissimo modello economico ha prodotto?
A tal proposito, vorrei tornare un attimo su quella "domanda interna" cui accennavamo (mi pare proprio con te).
A fronte di "perfomances" brillanti delle esportazioni il PIL non cresce (o cresce poco, in maniera assolutamente
insufficiante a limitare l'aumento del debito pubblico).
Questo è evidentemente dovuto ad una scarsissima domanda interna, eppure quasi nesssuno parla di questo gigantesco
problema. Perchè? Forse perchè questo ci obbligherebbe a ripensare un attimo alle condizioni ed ai salari da fame
frutto di una contrattazione "selvaggia" (leggi: non più regolamentata)?
Non si tratta di discutere di valori e principi morali (certo, anche di quelli ma non solo...); si tratta di cominciare
a discutere di economia "dura" in maniera critica e (molto) meno ideologizzata.
Trovo, francamente, che sarebbe l'ora di cominciare...
saluti
#913
Citazione di: paul11 il 29 Marzo 2018, 09:54:12 AM
Quindi, lo sfruttamento economico è già LEGITTIMATO E LEGALIZZATO nel nostro sistema e ordinamento giuridico.
Nessuno, nemmeno lo Stato può impedire ad una Società di capitali la sua volontà di eliminare una sua PROPRIETA'  da un luogo di lavoro per spostarla e crearne un'altra agli antipodi del mondo: nessuno e ribadisco, nemmeno lo Stato.
Le pantomime dei sindacati e dei partiti  politici, sono sceneggiate .


Quindi la Sovranità del popolo che costruisce una polis, una cives, uno Stato non può superare la volontà di un ente di diritto privato quale una multinazionale o comunque una società di capitali.


Oxdeadbeaf, il contratto giuridicamente è una scrittura privata, è un accordo attraverso un negoziato, è l'incontro attraverso una mediazione di interessi diversi.

Nel'ordinamento esiste una gerarchia legislativa. La scrittura privata è vincolata dalle disposizioni legislative, così come le leggi sono a loro volta legate ai Quattro codici e quest'ultimi alla Costituzione.




A parer mio non tieni nella dovuta considerazione quei concetti di "limite"; di "finitudine"; di "misura" e,
conseguentemente, di "giustizia" cui accennavamo.
Dal tuo discorso traspare (o meglio: a me sembra traspaia) quasi un "tutto o niente"; quasi come se una
volta istituita la proprietà privata ogni cosa ne fosse poi logica, necessaria e, soprattutto, irrimediabile
conseguenza.
Sotto tale luce, mi sembra assai più comprensibile questo tuo dare estrema importanza all'origine...
Eppure, nell'ultima risposta a Phil affermi: "Il problema storico dello Stato è che la Legge deve creare ORDINE 
e LIMITE. Deve necessariamente limitare i privilegi, deve dare un tetto ai patrimoni, deve insomma limitare il
forte se vuole che si conviva con il debole e quest'ultimo non si ribelli.L'ordine non può essere assecondare
l'utilità egoistica perdendo la giustizia".
Ecco, questo è esattamente quel che anch'io penso; ma mi sembra vi sia, come dire, un aspetto conflittuale con
altre tue affermazioni.
Dai, ad esempio, dai una interpretazione molto tecnica del "contratto", che non rispecchia certamente quel che
io intendo con questo termine.
Per me, che ne cerco di dare una interpretazione filosofico-politica, il "contratto" è null'altro che la, diciamo,
"nuova legge": ciò che prende il posto della norma "uguale per tutti" e vi si sostituisce con una non-norma disuguale
per sua stessa natura.
Il "contratto" è, in altre parole, lo strumento-principe dell'individuo laddove la legge lo era delle entità collettive
(e la storia del pensiero ci dice che la contemporaneità rappresenta il trionfo dell'individuo e l'obliarsi di
ogni entità collettiva).
Ora, era forse il trionfo del "contratto" già inscritto nei, per così dire, "cromosomi" del concetto di proprietà
privata fin dall'origine? Era cioè "destino" che esso trionfasse?
Ecco, da quanto hai scritto mi sembra, e forse sbaglio, di vedere che per te era proprio questo il destino delle
società umane e dell'uomo stesso.
saluti
#914
Citazione di: Phil il 27 Marzo 2018, 15:50:37 PMIncapace di pensare politicamente e digiuno di politica, mi rimetto alla clemenza della corte  :)
Il fatto è che sento spesso parlare di tale "salvaguardia statale" dei facoltosi privilegiati, ma altrettanto spesso non viene poi esplicato in che modo il sistema, di diritto e/o di fatto, tuteli i privilegiati; esempi concreti e pertinenti, intendo... se parliamo di mafie, evasione fiscale etc, mi si conceda che non sono elementi legislativamente fondanti lo stato, quindi il discorso "tutela statale" del forte a scapito del debole, va fuori-fuoco. Sicuramente c'è dell'altro, ma lo ignoro...

P.s.
A la Marzullo: il ricco è tale perché è privilegiato oppure è privilegiato perchè è ricco?

P.p.s.
Interessanti le questioni su Hegel, la religione e il postmoderno, anche se l'off topic è dietro l'angolo  ;)




A parer mio non è questione di "salvaguardia statale" (dei facoltosi privilegiati), quanto del fatto che lo "stato"
va sempre più assumendo la connotazione di "minimo" (come nella fondamentale teoria di R.Nozick).
Lo "stato minimo" è, nella teoria di Nozick (che ad esempio R.Reagan riprese nel celebre: "lo stato non è la
soluzione del problema; lo stato è il problema"), quello stato che si occupa solo ed esclusivamente della
sicurezza interna ed esterna e che, soprattutto, garantisce il rispetto dei contratti.
Dunque uno stato che lascia campo libero al "contratto" come unico strumento della risoluzione delle controversie.
Nessuna "mediazione"; nessun corpo intermedio (ad esempio sindacato e rappresentanza datoriale) che si frappone
fra le parti contraenti. Ma dirò di più: nessun tipo di rappresentanza alcuna; foss'anche il "partito" democraticamente
inteso (che bisogno c'è dei partiti; che bisogno c'è della stessa democrazia laddove lo stato è già inteso,
dogmaticamente, come "minimo"?).
E' dunque importante saper vedere il "contratto" nella luce che esso ha assunto nel tempo (certo non è
più quello, diciamo, come lo si è sempre inteso). Da questo punto di vista, "vedere il contratto" vuol dire
vedere il Mercato (la maiuscola è voluta...) nella connotazione "ontologica" che sempre più va assumendo.
Uno stato siffatto (cioè minimo), salvaguarda i facoltosi privilegiati in quanto, nel contratto, la parte
contraente forte ha necessariamente la meglio su quella debole.
Su Hegel sì, l'off topic è dietro l'angolo; ma è anche vero che una riflessione su Hegel (e, naturalmente, su
tutto l'Idealismo) si impone laddove da certi, diciamo, punti di vista non è possibile pensare l'"altro", cioè
pensare uno degli elementi fondamentali su cui poi costruire la "comunità" (che, secondo quanto vado esponendo su
questo post, è la sola alternativa al contrattualismo dilagante).
saluti
#915
Citazione di: paul11 il 26 Marzo 2018, 01:12:14 AM
ciao Mauro (Oxdeadbeaf).
sono d'accordo su entrambi i tuoi due punti, ma come dato iniziale.
Anch' io penso che l'uomo occidentale abbia una cultura ontologica dell'io troppo sviluppata da arrivare alla costruzione di un ego
smisurato.
Ma si tratta di capire se lo è per natura, per indole rispetto alle altre etnie del pianeta, e se qualche dispositivo culturale lo abbia posto in luce. Personalmente ritengo che siano esistite entrambe le circostanze.
Così come penso che viviamo un tempo umanamente decadente, ma gratificato da un tempo altrettanto imponente tecnicamente e tecnologicamente che ,per così dire, equilibra lo squilibrio.L'uomo si sta illudendo che le conquiste tecnologiche possano renderlo felice.

Come ho sostenuto in altre discussioni il controllo sociale fra individui, compreso il cittadino verso il potere, lo si può avere a misura di luogo circoscritto in comunità.Quando geograficamente il potere si allontana dalle comunità diventa difficile sia amministrare il governo e sia mantenere il contatto fra individui in comunità diverse.
A questo punto il federalismo potrebbe essere una soluzione ,che tanto per capirci fu in italia portato avanti da Carlo  Cattaneo nell'Ottocento.





Mi chiedo se sia lecito disgiungere, nell'uomo, natura e cultura...
Dirò di più: cos'altro è la "natura umana" se non la capacità dell'uomo di essere (parafrasando Aristotele) "animale
culturale"?
Ma se questa mia interpretazione fosse plausibile, perchè mai questa "smania" di ricercare sempre e comunque l'origine
come se da essa non fosse possibile nessun "ritorno"?
L'individuo è emerso nella cultura occidentale da gran tempo; con Socrate, con il Cristianesimo; ma già prima i segni
della consapevolezza dell'uomo di essere individuo sono ben presenti.
Eppure ciò non ha impedito periodi di preminenza della comunità. Già nella Mesopotamia il potere regale "restaurato"
si inaugurava in genere con una cancellazione della schiavitù per debiti (cosa che avveniva regolarmente in assenza,
o in debolezza, di un potere politico sovrano). Le stesse "steli" dei sovrani venivano in genere poste nei luoghi
deputati al mercato (puro caso?).
Insomma: proprio il pragmatismo tanto caro a certi (incerti...) conoscitori della filosofia anglosassone e
americana dovrebbe portarci a riflettere un attimo sui guasti cui ha condotto l'acritica e passiva accettazione
di questo modello di sviluppo, non credi?
E allora, questo "animale culturale" sa ancora domandarsi cosa sia una "legge"?
Ebbene, fino a prova contraria una legge (questa volta parafrasando Machiavelli) o si, diciamo, "auto-nomina da se"
o è per convenzione generale. Ma sempre e comunque è intesa come assoluta (o altrimenti mai potremmo dire che essa è
"uguale per tutti").
Dunque, mi dicano i "pragmatici" come è possibile avere leggi senza questo riferimento all'assolutezza (e mi dicano
anche se per loro è possibile fare a meno delle leggi...).
Un riferimento all'assolutezza che, con ogni evidenza, non può darsi al di fuori di valori e principi condivisi, cioè
non può darsi al di fuori della comunità (anche pensandola "materialmente", come classe - ma è un modello almeno
per il momento storicamente perdente-, tale assolutezza permane sempre e comunque).
Io non credo sia ancora tempo di pensare ad una "cura" (ancora troppo vaga ed incerta è la diagnosi).
Per me sarebbe preferibile avere una Europa coesa; una Europa "comunità"; ma la strada è ancora troppo lunga (e mi
sembra che in ben pochi intendano percorrerla...).
Non vedo favorevolmente il modello federalista. Tanti staterelli con una ben limitata sovranità mi sembra che a poco
possano giovare (anche perchè, e stavolta Hegel aveva ragione, "nell'arena internazionale non v'è pretore").
saluti