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Messaggi - Apeiron

#916
Tematiche Filosofiche / Re:Dadi e probabilità
20 Febbraio 2017, 22:47:14 PM
Citazione di: sgiombo il 20 Febbraio 2017, 21:12:04 PM
Citazione
Secondo me ci si deve intendere sui termini del discorso (il significato delle parole). E' un affermazione che è vera alla condizione indimostrabile (Hume!) che il divenire naturale sia ordinato secondo modalità o leggi universali e costanti; perché in questo caso se il dado non è truccato (ovvero le facce sono perfettamente regolari, il materiale di cui è fatto perfettamente omogeneo, ecc.) e se i lanci sono fatti "a caso" (in un' "infinità" di maniere simili e non calcolate in determinati modi) in un numero sufficientemente elevato di lanci i fattori causali tendenti a farlo cadere su ciascuna faccia si equilibrano. Tuttavia è un' affermazione alquanto imprecisa, in particolare per quanto riguarda i numerosi concetti che ho evidenziato in grassetto, i quali sono decisamente vaghi e non realistici (in realtà non esiste la perfezione!). Cosicché (in linea teorica, di principio) in un numero "ulteriormente sufficientemente elevato di lanci" ci si dovrebbe aspettare qualche pur minima differenza della distribuzione statistica dei risultati di ciascun dado concreto (costante per ciascun dato in un numero sufficientemente elevato di lanci, ma diversa fra i diversi dadi, nessuno dei quali, per quanto non deliberatamente "truccato", può essere perfetto). Ma a parte questo mi sembra che Apeiron intenda suggerire un problema più di fondo nel concetto di probabilità, che io stesso credo di aver colto per conto mio in precedenti riflessioni. Un divenire (della realtà fisica materiale) ordinato secondo leggi universali e costanti di tipo "deterministico - meccanicistico" mi sembra un concetto del tutto sensato, privo di contraddizioni: ogni singolo evento è determinato da "ciò che lo precede e circonda" e in linea teorica di principio prevedibile, calcolabile). Invece un divenire probabilistico - statistico (non ogni singolo evento è universalmente e costantemente e in linea teorica di principio prevedibile, calcolabile, ma sono invece universali e costanti e dunque in lenea di principio prevedibili, calcolabili, i rapporti fra -le frequenze di- diversi eventi che possono accadere ed accadono alternativamente gli uni agli altri a seconda dei singoli casi dipendentemente da "ciò che li precede e circonda" purché si consideri un numero sufficientemente grande di osservazioni) mi sembra problematico, mi sembra implicare inevitabili paradossi insolubili, che hanno a che fare con la questione infinito potenziale/infinito attuale. Innanzitutto: quando è che un numero di casi può essere considerato "sufficientemente grande"? Quale significato potrebbe mai avere tutto l' assunto sulla distribuzione dei casi reciprocamente alternativi in proporzioni universali e costanti nel caso di serie "sufficientemente numerose" di essi? Quanto numerose? E' possibile stabilirlo in una qualche maniera? Può darsi un qualche senso a questo concetto di "sufficientemente numerose"? Inoltre -sia pure- all' infinito (nel tempo e/o nello spazio) anche le cose più improbabili possono accadere (e tendono ad accadere; e forse accadono): per esempio anche in un numero "grande" (?) di casi (grande quanto si vuole?) le proporzioni delle osservazioni (dei casi) reciprocamente alternativi possibili possono talvolta, prima o poi (per quanto "rarissimamente" -?-), discostarsi da quelle previste dalla rispettiva legge probabilistica (nella fattispecie 1/6 per ciascun numero da 1 a 6). Fra un "numero sufficientemente grande" di casi -per quanto elevato esso sia- ed "infiniti" (un "numero infinito" di) casi c' è sempre inevitabilmente un abisso incolmabile (o solo potenzialmente, concettualmente e mai attualmente, effettivamente colmabile), il quale inficia (destituisce di significato) il concetto di "numero (sufficientemente) grande (di casi, osservazioni, rilievi)": qualsiasi numero, per quanto grande (o piccolo) sia, è (sempre insuperabilmente) infinitamente piccolo (o infinitamente grande) relativamente all' infinito (in confronto al numero "infinitamente grande" o "infinitamente piccolo"). Nel caso di frequenze probabilistiche-statistiche del divenire, al tendere all' infinito dei casi (osservati) le proporzioni delle alternative possibili tendono ad avvicinarsi sempre più a determinati valori (per esempio a 1/6 la frequenza di ciascun esito possibile nel nostro caso del lancio di un dado non truccato); ma anche serie sempre più improbabili tendono sempre più ad accadere (per esempio serie ininterrotte sempre più numerose di "6" consecutivi: queste ultime al crescere dei casi osservati tendono sia ad essere sempre più numerose e lunghe in assoluto, sia a essere sempre più rare relativamente alle altre serie più probabili. Dal momento che il concetto (umano, di fatto considerabile) di "(numero) infinito" comporta necessariamente una infinità inesauribile di (numeri) infiniti "di ordini successivi" come sue "parti", nella "infinità inesauribile dell' infinito" numero di casi, anche infinite sequenze di casi "anomali" (improbabili: contraddicenti la probabilità considerata), ognuna delle quali di lunghezza infinita (sic!), possono (e anzi tendono ad) accadere, per quanto le proporzioni complessive fra la totalità degli infiniti casi che accadono siano comunque quelle determinate proporzioni probabilistiche (1/6 per ciascun numero da 1 a 6): non è questo contraddittorio? E' questa un' aporia del concetto di "infinito", ovvero che "tendendo (le osservazioni de-) i casi all' infinito, le loro proporzioni tendono ad avvicinarsi sempre più a determinati valori probabili (1/6 nella fattispecie), per quanto inevitabilmente tendano anche sempre più ad accadere casi di discostamenti sempre più grandi da tali valori. L' infinito in quanto concetto (umano: in quanto oggetto di considerazione teorica, eventualmente di predicazione, eventualmente di conoscenza umana) non può mai essere attuale (potrebbe esserlo solo nella mente di Dio, se esistesse), bensì è sempre, inevitabilmente potenziale dal momento che qualsiasi considerazione teorica è finita (non continua all' infinito ma prima o poi si arresta). Laddove l' infinto in quanto reale (in quanto caratteristica della realtà) può benissimo essere in atto. MI sento in dovere di aggiungere il mio accordo con quanto acutamente ha scritto Davintro (soprattutto che il dubbio -humeiano- insuperabile circa l' induzione non lo é nemmeno attraverso il concetto di "probabilità", che può oggettivamente significare unicamente "frequenza statistica" la quale, per quante volte sia stata confermata, é sempre altrettanto e anzi più degna di dubbio della costanza "univoca" dell' induzione "deterministica - meccanicistica".

Sì c'era anche questo aspetto per cui un divenire probabilistico è problematico. Il problema è che lo stesso determinismo non è per nulla "dimostrabile", nemmeno se avessimo un tempo infinito per vivere. Il punto è che tra l'altro le generalizzazioni accidentali possono "durare" un'infinità di tempo. Sempre con l'esempio del dado. Se faccio un'infinità di lanci e trovo che il 6 esce con frequenza relativa 1/6 non possono a rigore nemmeno in questo caso dire che la probabilità è 1/6. Allo stessso modo se verifico che un'infinità di volte un oggetto lasciato cadere dal tavolo arriva al pavimento non posso dire che vi è una necessità che lo "costringe" a cadere. Posso solo dire che "è sempre caduto".

In ogni caso non riusciamo mai a distinguere una generalizzazione accidentale da una vera regolarità (e qui il mio scetticismo va oltre Hume e segue WIttgenstein). Infatti con l'induzione, anche se essa disponesse di un numero infinito di prove non potrebbe dimostrare una "legge", o meglio non può distinguere tra una "legge" e una mera "generalizzazione accidentale".
#917
Tematiche Filosofiche / Re:Dadi e probabilità
20 Febbraio 2017, 22:37:25 PM
Forse mi sono espresso male col termine "misticismo". Questo termine non lo intendo come denigratorio, bensì in un certo senso ritengo che esso sia la chiave per una conoscenza di cose che né empiricamente né aprioristicamente possiamo conoscere. Questo "misticismo" lo collegherei all'"intuizione". Noi intuiamo che ci sono regolarità nella natura ma non possiamo veramente dimostrarlo né induttivamente né deduttivamente. Anzi: visto che spesso i nostri concetti sono nostre "imposizioni" sulla realtà si finisce per avere l'illusione di capire cosa sono queste regolarità. Ora rispondo.

Citazione di: Eretiko il 20 Febbraio 2017, 18:57:07 PMIl modello predittivo NON TENTA di fare predizioni, FA predizioni: è una bella differenza (anche quando fa predizioni probabilistiche). Se l'astrofisico ti dice che il giorno X al tempo T tu osserverai la luna nel punto P della volta celeste (al netto da errori di approssimazione nel calcolo) tu puoi star certo al 100% che sarà così, mentre non potrai avere questa certezza se l'astrologo ti predice che tra un mese tu vincerai il primo premio al superenalotto. Se la natura non fosse regolare non si potrebbero fare predizioni (forse nemmeno probabilistiche), non si potrebbe fare scienza, comprese le previsioni meteorologiche. Sarebbe strano che una legge che "impongo" io coincide poi con l'evoluzione (misurabile sperimentalmente) di un sistema fisico, non credi?

Appunto è strano. D'altronde: "l'eterno mistero del mondo è la sua comprensibilità" (Einstein). Il punto è che non c'è nessuna ragione (che posso ricavare tramite l'esperienza o tramite un ragionamento aprioristico) per cui anche la previsione dell'astrofisico vale. Tu stai assumendo che la regolarità dei fenomeni non sia dovuta a mera accidentalità. Ma non hai davvero un modo per dimostrarlo. All'atto pratico concordo con te che un astrofisico ci azzecca sempre (d'altronde se non la pensassi così avrei sprecato una parte rilevante della mia esistenza  ;D ).

Citazione di: Phil il 20 Febbraio 2017, 18:39:18 PMCredo che la domanda stessa vada disambiguata: se lancio sempre lo stesso dado con la stessa forza, la stessa traiettoria, sullo stesso piano d'atterraggio, etc. il risultato sarà sempre lo stesso. Pensiamo sia "casuale" (modo in cui l'ignoranza delle cause ci fa leggere la parola "causale"), e quindi tiriamo in gioco la probabilità, solo perché non riusciamo a calcolare tutte le varianti coinvolte nel lancio e, anche se fosse, non riusciremmo facilmente a ripeterle per confermarne l'esito (è un "dado eracliteo", non si fa due volte lo stesso lancio ;D , anche se i risultati possibili sono, inevitabilmente, solo sei). Non sono affatto esperto di calcolo delle probabilità, ma ad occhio, per parlare di probabilità, tale lancio andrebbe contestualizzato: è il primo lancio di una serie? Se è così l'incidenza statistica dei lanci precedenti credo sia un fattore da considerare... quale numero è uscito al lancio precedente? Anche questo credo possa orientare le probabilità dell'esito successivo... etc. Sul rapporto fra le "leggi" e la regolarità o ricorrenza di risultati prevedibili, sarei piuttosto pragmatico: la legge di gravità ci dice che sulla terra i corpi cadono in un certo modo (se escludiamo ambienti con gravità artificiale), direi che la casistica attuale è piuttosto unanime nel darle ragione... e molte altre leggi scientifiche o matematiche (per quanto siano sempre formalizzazioni basate su un linguaggio convenzionale) sembrano essere state, per ora, al riparo da falsificazioni e forniscono una prevedibilità decisamente affidabile (i calcoli per far galleggiare una nave o far volare un aereo, etc.). L'induzione, per quanto biasimata, non è dunque misticismo, proprio perché il misticismo manda in vacanza la ragione (quindi anche la probabilità, la dimostrabilità, la falsificabilità, etc.), mentre l'induzione, se non radicalizzata fideisticamente, fornisce dei parametri indicativi, la cui "tolleranza" di errore è inversamente proporzionale all'esattezza dei dati che si possiedono (sempre lasciando fuori concetti metafisici come "eternità", "assolutezza", "verità assoluta", etc. in favore di una contestualizzazione concreta, seppur limitata). Proposizioni come "tutti i corvi sono neri" (suonerà familiare a qualcuno ;) ) sono verificabili se si parla del contesto attuale (avendo modo per monitorare tutti i corvi del mondo adesso); la proposizione "tutti i corvi sono stati e saranno sempre neri" è infalsificabile (poiché non possiamo verificare facilmente il passato, e di sicuro non possiamo predire il futuro con il 100% di esattezza), quindi apre le porte al suddetto misticismo... Sintetizzando: 1) Si, è problematica, ma perché è troppo povera di informazioni sul contesto... 2) la realtà è regolare se presenta una ricorrenza verificata, ma tale verifica non deve illudersi di poter coprire la totalità dei casi possibili, ma solo gran parte di quelli osservabili (magari da domani la forza di gravità non funzionerà più, ma il fatto che abbia funzionato per secoli, rende probabile, o meglio, "regolare" che funzioni anche domani...).

Questo è più o meno il mio pensiero "pratico". Ma in una discussione filosofica si deve cercare di porre in dubbio le certezze (con ciò concordo anche se non proprio totalmente con Angelo Cannata ). Motivo per cui in questa discussione devi partire dall'idea che non sai assolutamente niente del fenomeno in questione. Per il "misticismo" come ho già detto non intenderlo come l'assoluto rifiuto di ragionare. Tuttavia è semplicemente la realizzazione che le certezze che abbiamo non hanno un completo fondamento.

Citazione di: davintro il 20 Febbraio 2017, 20:25:11 PMil punto fondamentale della questione mi pare sia quello di mantenere una coerenza tra un certo modello metodologico di ricerca nello svolgere le previsioni e la pretesa di scientificità (o razionalità) dei risultati a cui si ritiene di pervenire. L'induzione non solo, sulla base della celebre argomentazione del tacchino, è secondo me impossibilitata a fondare verità apodittiche, ma neanche probabilistiche. Per parlare di probabilità è necessario raffrontare una misura di casi in cui la probabilità si verifica e una "totalità", una serie FINITA di casi che effettivamente sono realizzabili nel contesto della previsione. Se ho di fronte un sacchetto con 100 cioccolatini di cui 90 alla nocciola, ha senso dire che razionalmente ho il 90% di possibilità che scegliendo a caso dal sacchetto di prendere un cioccolatino alla nocciola. Posso farlo perché la totalità dei casi possibili ha un limite ben definito, i 100 cioccolatini totali del sacchetto. Non è il caso del lancio dei dadi, nel quale l'induzione presume di ricavare previsioni, ma in modo del tutto irrazionale, perché nel caso del lancio dei dadi non esiste una totalità conclusa, ma per compiere previsioni è necessario ripetere in continuazione all'infinito l'esperienza del lancio dei dadi. L'esperienza non è un sistema chiuso ma infinitamente aperto, e non si arriverà mai a concepire una serie chiusa, un 100% da cui ricavare una percentuale vicina o lontana. Sono dunque d'accordo con il primo post di Apeiron. La vera razionalità non può che essere deduttiva, perché se razionale un discorso lo è in quanto giustificato da argomenti che hanno in loro stessi la loro validità fondativa epistemica, allora solo la razionalità che parte da un'evidenza stabile, un punto fermo di cui si è riconosciuta l'indubitabilità (come nel dubbio metodico cartesiano o nella riduzione fenomenologica) può fondare la pretesa di verità dei discorsi, non l'ingenua osservazione induttiva dei casi particolari dell'esperienza, metodo adeguato e vincolato alla contingenza dei contesti empirici verso cui si rivolge, e tale contingenza si rispecchia inevitabilmente nei risultati. Senza l'apodissi si perde anche la probabilità, dato che questa è solo un'approssimazione verso la certezza indubitabile, tolta questa cade anche l'altra. Non è certo un caso che nella modernità razionalismo ed empirismo erano visti, mi sembra, come fra loro contrapposti

Su questo sono d'accordo. Razionalismo ed empirismo erano opposti, oggi si tende a dire che il razionalismo è l'empirismo ma io usavo i termini nel senso seicentesco. Il problema è che entrambe le posizioni in realtà sono fallimentari in quello che si ripromettono ossia quello di giustificare la scienza.

Citazione di: Angelo Cannata il 20 Febbraio 2017, 22:04:26 PM
Citazione di: Apeiron il 20 Febbraio 2017, 15:45:35 PMRisposta ragionata: la proposizione in realtà è problematica perchè è sia "indimostrabile", "infalsificabile"
Mi sembra che la proposizione ti risulti problematica perché la tratti come proposizione di scienza empirica, piuttosto che come affermazione puramente matematica. Le leggi di probabilità non consentono dimostrazioni empiriche perché esse sono matematica pura, così come è matematica pura il concetto di numero immaginario. Matematica pura significa che fa parte delle regole del gioco stabilite da noi e non richiede riscontri nell'esperienza. Ora, le leggi matematiche di probabilità non richiedono alcun riscontro sperimentale per essere valide. Infatti, il fatto che ci sia 1 probabilità su 6 che uscirà un certo numero del dado non condiziona minimamente ciò che c'è da aspettarsi nella sperimentazione. Sappiamo benissimo infatti che un certo numero del dado potrebbe anche non uscire mai, proprio mai, e ciò non inficerebbe in alcun modo la validità della legge di probabilità che abbiamo stabilito. Ciò significa che le leggi di probabilità non contengono nessuna informazione riguardo alla realtà. A questo punto nasce la domanda: come mai allora tali leggi spesso si realizzano? Qui azzardo la mia seguente risposta, che sarebbe tutta da verificare. Infatti non è vero che all'atto pratico si realizzano. Non è vero che, se davvero getteremo un dado un milione di volte, ciascun numero sarà uscito un numero di volte in proporzione di 1 a 6 rispetto agli altri. In teoria dovrebbe essere così, ma nella pratica ciò non succede.

Risposta interessante. In fin dei conti il problema che ho alzato in realtà è doppio: non solo non abbiamo certezza fondata che la regolarità che vediamo non sia accidentale ma anche se tale regolarità è essenziale i nostri concetti che usiamo sono fallibili ossia non possono descrivere perfettamente tale regolarità.
#918
Tematiche Filosofiche / Re:Buddhismo
20 Febbraio 2017, 22:17:26 PM
Sari, mi sono fatto un po' sfuggire la mano oggi pomeriggio e ho attaccato tutti e tutto. Fa anche questo parte del mio carattere (spero che nessuno si sia offeso dalle mie declamazioni, che a rileggerle mi rendo conto che erano un po' "drastche").
Secondo me il problema non è tanto la non-plausibilità del buddismo. Il problema è che noi occidentali abbiamo avuto nella nostra vita un risveglio "diverso" che ha messo al primo posto la questione del "senso" e del "valore". Invece Buddha ha messo in luce il problema di dukkha, il mal-essere. A mio giudizio la domanda sul "valore" e la ricerca della fine della sofferenza sono due questioni parallele, non necessariamente contrastanti. Il punto è che secondo me dopo tutti gli anni che sono si deve un po' "uscire dagli schemi" e cercare di prendere entrambe le prospettive.

Nel caso del cristianesimo la mia declamazione (o forse provocazione?) era indirizzata a far notare in quanti modi si può interpretare il messaggio biblico. Questa "gamma" di interpretazioni dovrebbe aiutare ad essere più aperti anche ai "non-credenti" (d'altronde ricercare è anche amare, o almeno spero  ::) ).

In sostanza volevo far vedere che anche la nostra filosofia (e religione) occidentale non è un errore, ma coglie aspetti della realtà che altre tradizioni non vedono. E viceversa. Così almeno mi pare...
#919
Tematiche Filosofiche / Re:Dadi e probabilità
20 Febbraio 2017, 17:22:35 PM
Anzitutto grazie della rapida risposta  ;)

Citazione di: Eretiko il 20 Febbraio 2017, 16:43:57 PM1) E' errato il punto di partenza: quella che tu fai non è una proposizione, ma il risultato di un calcolo probabilistico. Semmai chiediti se è problematico il sistema formale nel quale tu formuli il problema e se sono specificate le condizioni al contorno (ad esempio il fatto che ogni faccia del dado è equiprobabile è assunto vero, ma nel caso reale, fisico, non è detto che sia così). 2) Nessun misticismo nel ritenere che il mondo che ci circonda è "regolare" e che si comporti "razionalmente", è la nostra rappresentazione interna della realtà esterna: il mondo ci appare in questo modo, composto da enti reali separati nello spazio e nel tempo, che possono interagire tra loro solo quando sono sufficientemente vicini. E questo non ci deriva né dal semplice empirismo, né da una deduzione logica (forse un'intuizione apriori?). Ma se non fosse così sarebbe impossibile indagare la natura. In un altro post tu dici che la scienza non scopre leggi di natura, ma elabora "modelli predittivi": e cosa è un modello predittivo se non una legge?

1) è vero il punto di partenza ha un assunzione molto forte, ossia quella dell'equiprobabilità. Tuttavia per quanto scriverò nel punto "2" è diretta conseguenza del fatto che per analizzare i dati dobbiamo prima fare delle assunzioni, ossia dobbiamo assumere che ci sia una regolarità. Assunto questo facciamo una predizione. Il fare una predizione è del tutto indipendente dal fatto che la natura sia effettivamente regolare. Potrebbe essere "un caso" che ad esempio il mio modello predittivo sia efficace oppure potrebbe proprio essere che la natura sia intrinsecamente fatta così. Tu dici che la realtà è regolare perchè è la tua rappresentazione.
2) Ma tu assumi che la rappresentazione sia regolare. Non hai modo di provarlo da "principi primi". L'ho definito "misticismo" proprio perchè in fondo è un'assunzione che non deriva da niente, ma piuttosto ci viene come "di istinto" assumere che sia così.

Un modello predittivo è un sistema formale che mi serve per tentare di fare una predizione. Una regolarità dei fenomeni è una regolarità "intrinseca" ad essi, un modello predittivo è una legge che "impongo" io. Se anche fosse confermato per tutta la storia dell'umanità non saprei comunque distinguere se "è una regolarità dai fenomeni" o se è una mera generalizzazione accidentale.

Riformulando la 2) Le leggi della fisica quindi sono generalizzazioni accidentali?
L'assunzione per cui la natura sia regolare è indipendente dalla mia possibilità di fare modelli che tentano di prevedere i fenomeni.

P.S. Per fare un esempio un modello predittivo potrebbe essere: "dato che c'è vento da ovest allora domani arriverà una perturbazione atlantica". Posso fare questa predizione anche se in realtà non c'è nessuna regolarità naturale.
#920
Citazione di: Eretiko il 20 Febbraio 2017, 13:10:01 PM
Citazione di: acquario69 il 20 Febbraio 2017, 12:10:36 PMNon sono in grado nei dettagli specifici di sapere quali siano le scoperte specifiche della scienza moderna che riscoprono le verità di sempre...penso sicuramente che fanno comunque riferimento alla fisica quantistica che dimostrerebbe che l'universo o il reale sottostante e' un campo di informazioni sottili,che tutto non e' un processo meccanicistico ma olistico e spirituale,che non siamo enti separati,che tutto e' già in tutto,che e' il "vuoto" ad essere l'essenza stessa del "pieno"...le stesse "cose" che in forma e "linguaggio" diverso era già secondo sapienza delle "antiche" (più che antiche sarebbe corretto dire "senza tempo") scienze sacre. Ma ripeto non sono ne uno scienziato ne un fisico...pero si può cogliere perfettamente e senza alcun dubbio nella citazione riportata da Duc di Agostino d'ippona che dimostra pure come il paradigma sia stato rovesciato e che fondamentalmente si sta riscoprendo proprio questo come base per qualsiasi valutazione scientifica a priori sui massimi livelli e non il contrario come poteva accadere fino a non molto....certo poi il cambiamento di un paradigma necessita di un tempo necessario per vederne i suoi effetti concreti
Mi permetto di fare 2 osservazioni. 1) E' ovvio che la scienza non "inventa" le leggi di natura, ma le scopre: è la sua missione. Ma il fatto che queste leggi di natura siano insite, appunto, nell'universo, non significa che noi le conosciamo da sempre, e soprattutto non è semplice scoprirle. 2) Capisco che la meccanica quantistica possa favorire certe suggestioni, ma è importante sempre saper distinguere verità di scienza da semplici ipotesi o opinioni personali. In particolare che l'universo sia "olistico" è solo l'opinione di qualcuno, e non è "verità scientifica", anche perché se fosse vero non si potrebbe fare nessuna "scienza". Ancora più assurdo (scientificamente parlando) è ritenere che nei fenomeni fisici intervenga in qualche modo la coscienza umana o che ci sia qualcosa di spirituale.

Strettamente parlando la scienza non inventa e non scopre "leggi naturali" ma fa solo modelli predittivi. Ho aperto questa discussione proprio per questa questione: https://www.riflessioni.it/logos/tematiche-filosofiche-5/dadi-e-probabilita/. In sostanza che ci siano "regolarità nella natura" è una certezza infondata: non è né giustificata dall'esperienza e nemmeno dal puro ragionamento. In un certo senso empirismo e razionalismo sono entrambi errati.
#921
Tematiche Filosofiche / Dadi e probabilità
20 Febbraio 2017, 15:45:35 PM
Proposizione: la probabilità che il lancio di un dado non truccato a sei facce dia come risultato "sei" è 1/6. Domanda: è corretta?
Risposta breve: sì.

Risposta ragionata: la proposizione in realtà è problematica perchè è sia "indimostrabile", "infalsificabile" e per certi versi "insensata"! Infatti è indimostrabile: per provare che davvero sia così dovremo provare un'infinità di volte il lancio del dado oppure dovremmo conoscere totalmente l'universo. Siccome ciò non è possibile allora la proposizione è indimostrabile.
Infalsificabile: se anche mi venissero 1000000000000 cinque, 10000 tre, 5 quattro, 100000000000000 due, dodici uno e mai una volta un sei in realtà non ho falsificato la proposizione. Infatti pur essendo un "caso rarissimo" se si assume che il dado sia truccato in realtà non ho falsificato un bel niente.
Insensata: la probabilità è un concetto matematico e forse lo è anche il dado (figuriamoci il "dado non truccato"). Per cui se la proposizione ritiene parla di qualcosa di reale allora non è né vera e nemmeno falsa ma insensata perchè appunto vuole dare alla realtà proprietà che esistono solo nella nostra testa.

Qui dunque si vede come lo spirito distruttivo della critica - se si agisce con la coerenza assoluta del filosofo - ci mostra che anche una proposizione così innocente e così "plausibile" in realtà è problematica. Motivo? Il motivo è che parla di una regolarità intrinseca dei fenomeni. Tale regolarità però non la si può ricavare dall'esperienza ("Hume") e nemmeno da un ragionamento aprioristico ("Wittgenstein"). In realtà la proposizione "ci sono regolarità" non è né scientifica e nemmeno razionale ma è una sorta di "misticismo", un'intuizione che logicamente non potremo avere dalla nostra esperienza e dal nostro razionicinio.

Quindi lo scopo del thread è un'opinione su queste domande
1)secondo voi la domanda iniziale è problematica e perché?
2)qual è la ragione per cui diciamo che la "realtà è regolare"? Come è possibile che noi abbiamo un tale concetto se non possiamo derivarlo da nulla?
#922
Tematiche Filosofiche / Re:Buddhismo
20 Febbraio 2017, 15:32:18 PM
Citazione di: Duc in altum! il 18 Febbraio 2017, 20:56:41 PM** scritto da Apeiron:
CitazioneLa grossa differenza è che nel cristianesimo l'obbiettivo di tale lotta è la salvezza del proprio e dell'altrui "io" mentre nel buddismo mahayana l'obbiettivo è la salvezza propria e altrui dall'io.
Conosco poco il buddismo, e quel poco che conosco non mi permette di argomentare sui suoi obiettivi o lotte, ma posso affermare che il cristiano non ha nessun obiettivo di salvezza, nel senso che essa è merito di Gesù, noi non abbiamo nessun merito, se non quello di credere (con tutto) che già è così. Per meglio intenderci l'obiettivo del cristianesimo già è stato raggiunto: il Messia già è venuto, Gesù già ci ha redenti (ha pagato, con e per amore, un riscatto ai nostri sequestratori col suo sangue) dal peccato, il Cristo già ha sconfitto la morte, che obiettivo ulteriore potrebbe annettere l'uomo?

Citazione di: donquixote il 18 Febbraio 2017, 15:11:38 PM
Citazione di: Apeiron il 18 Febbraio 2017, 14:20:02 PMLa grossa differenza è che nel cristianesimo l'obbiettivo di tale lotta è la salvezza del proprio e dell'altrui "io" mentre nel buddismo mahayana l'obbiettivo è la salvezza propria e altrui dall'io.
Non è affatto così, anche se fa scena la sottile distinzione; entrambe le dottrine ambiscono al medesimo risultato, ovvero all'estinzione dell'io che si risolve nel Sé universale. Usano simboli ed espressioni differenti ma l'essenza è la medesima. Poi qui si conosce il Cristianesimo più dal punto di vista sociale che dottrinale mentre il Buddhismo è stato studiato più dal lato "filosofico" (ma più che una filosofia io direi che è una "via di liberazione") e quindi emergono più facilmente certe cose piuttosto che altre, ma questa è una mera contingenza. Se si studiassero i fondamenti del Cristianesimo con lo stesso spirito con cui si studia il Buddhismo (cioè non dando per scontato che tutti qui conosciamo il Cristianesimo perchè più o meno ci viviamo in mezzo) si potrebbe comprendere; magari non così facilmente perchè il Cristianesimo è stato massacrato negli ultimi secoli da ogni sorta di esegeta parvenu, ma comunque si può ancora fare.

Ma chiedo io: Duc ritiene cristiano donquixote e donquixote ritiene cristiano Duc? Avete due prospettive completamente diverse. Giusto l'uomo non ha nessun merito perchè l'agape è "amore gratuito" indipendentemente dai miei meriti (non sono giustificato dalle opere, ossia non posso considerare il Paradiso come un mio merito). Eppure viene richiesta la "fede", "credere". Ma cosa vuol dire? Ho sentito tanti pareri e pochissima concordanza. Se lo chiedessi ad ogni cristiano (e non) presente qui nel forum mi darebbero una risposta diversa. D'altronde in Paradiso (forse) non ci vanno tutti, forse ci vanno solo gli "eletti", forse anche alcuni tra gli "eletti" non ci vanno. Ci sono veramente un sacco di interpretazioni. Come potrei dire di no ad uno che mi salva?? Dubitare della dottrina non significa rifiutare la salvezza. Significa dubitare della dottrina!

Esempio:
1) credere a TUTTO quello che c'è scritto nella Bibbia, ritenere che ogni reazione di "malessere" nella lettura ad esempio dei passi dell'Antico Testamento come la famosa piaga d'Egitto sia dovuta alla nostra incapacità di ubbidire, ossia dall'inevitabilità del peccato. Peccato è anche sostenere che la Terra non è piatta perchè "così c'è scritto";
2) credere solo che Gesù ci ha salvato ed "accettare" il suo amore. Ma se la cristianità fosse così semplice perchè continuare a segnalare un pericolo eterno? Davvero devo credere che un "fedele" che uccide un sacco di "infedeli" sia "salvo" mentre un "infedele" che realmente "ama" va spedito nella Geenna?
3) credere significa non rifiutare. Ma qui d'altronde io posso non rifiutare ed avere tutti i dubbi del mondo (ma qui va contro il fatto che il dubbio viene descritto come "peccato").
4) credere=completa sottomissione.
5) credere=ricercarlo con tutto il cuore e la mente. Quindi in questo caso paradossalmente il dubbio è previsto. (D'altronde se voglio avere un rapporto con Lui è inevitabile che dubito, mi arrabbio, finisco per pensare che non esista perchè d'altronde Dio non è "presente" come la tastiera su cui scrivo...).
6)credere=amare (L'agape è la massima virtù, perfino più della fede secondo San Paolo).
7)credere=rinunciare a tutta la propria libertà perchè noi in realtà siamo solamente delle entità pseudo-diaboliche che dovrebbero auto-fustigarsi ogni volta che fanno qualcosa contrario alla legge o hanno qualche dubbio.

Ci si perde in interpretazioni. Quello che vedo io è una quantità spropositata di "cristianesimi". Vedo che nella stessa Chiesa il cristianesimo del mio amico prete e teologo è diverso da quello di un tradizionalista ed entrambi sono diversi da quello di Duc. Il mio ricercare e dubitare, quello di Sariputra, quello di Angelo Cannata sono solo "peccati mortali" o sono in verità modi con cui si cerca Dio? Probabilmente sentirò risposte diverse. Davvero devo pensare che un ateo o uno che dopo aver sentito il Vangelo non crede sia maligno?

Il nucleo sembra essere che Gesù si è sacrificato ed è risorto per noi. Non rifiuto l'amore (o forse sì ma non me ne rendo conto, così come non mi rendo conto della distinzione tra Eutanasia e Nirvana) ma dubito della dottrina.
#923
Tematiche Filosofiche / Re:Buddhismo
20 Febbraio 2017, 15:11:10 PM
In ogni caso credo che tutto quanto sia dovuto ad una grandissima confusione. Ad esempio Sariputra forse davvero hai ragione per quanto riguarda l'anatta, ossia che non la capisco perchè mi manca la pratica. Posso vedere la cosa come una "fuga" proprio perchè così leggo dalla "dottrina". Tuttavia a questo punto la domanda è: se veramente l'Estinzione è il "sommum bonum", la "salvezza" o come vogliamo chiamarla, perchè usare parole ed espressioni che la fanno assomigliare al Nulla? Non credo che nessuno sia davvero felice di sapere che dopo la Morte c'è il Nulla. Il mio "rifiuto" dell'ateismo materialistico è proprio per questo motivo: se davvero siamo qui per nascere, crescere e morire allora a questo punto Schopenhauer, Cioran, Leopardi e simili hanno ragione! Se davvero la vita è così senza senso allora l'unico atteggiamento sensibile e coerente con essa è quella di voler che essa finisca. Questa è una visione materialistico-atea-razionalistica: visto che "il valore della vita" è un puro concetto umano e quindi "irreale" (una semplice "antropomorfizzazione" della realtà) allora la vita in sé è senza valore e quindi anche le nostre sofferenze, le nostre gioie e le nostre opere sono senza valore (alla cieca natura d'altronde non cambia assolutamente nulla se noi esseri umani esistiamo ma non perchè è maligna ma perchè infinitamente indifferente. Una persona sensibile - "buona", "etica" - non può essere indifferente!). Buddha secondo me era davvero una persona buona, non era indiffferente, tuttavia il "sommum bonum" non mi sembra per niente diverso da una "fine-vita" senza rinascite, ossia una eutanasia. Ma d'altronde qual è la differenza effettiva tra la noluntas di Schopenhauer e il Nirvana? Dottrinariamente ci vedo poca differenza, forse perchè i miei pensieri (la mia "visione del mondo" è influenzata da una filosofia influenzata da cristianesimo e platonismo?) sono incompatibili con essa? D'altronde non mi sembra comunque una visione del mondo diversa da quella "scientifica": visto che nonostante tutti i nostri sforzi non potremo mai oltrepassare vincoli come il Secondo Principio della Termondinamica, quasi certamente (non "certamente", in scienza la "certezza" non esiste...) la nostra vita ("nostra" intendo dell'umanità o per estensione di tutti gli esseri viventi) è impermanente. Un semplice battito di ciglia in un'infinita eternità dominata dal Caso e dal Nulla. Nessuno scopo, nessun valore, niente di niente. L'uomo si inventa scopi e valori e da qui si nota quanto "contro-natura" egli sia. Dovremo quindi "estinguere" proprio la ricerca di scopi, valori, speranze, aspettative?

Sinceramente non vedo alcuna differenza (di fondo) tra la noluntas, l'eutanasia, il Nulla, l'Eterno Oblio, l'estinzione delle specie viventi, il Piacevole Stato meno disturbato del Sonno senza Sogni (unione con "Brahman") ecc. Solo che in certi casi si "muore male" e in altri si "muore meglio". Non a caso Nulla, eutanasia ecc sono tutti "senza morte, senza divenire, senza "io", senza aspettative, senza sofferenze". Quanto questo non sia nichilismo non so dire. Ma forse appunto come ho già detto ciò è dovuto al mio condizionamento culturale.
#924
Tematiche Filosofiche / Re:Buddhismo
18 Febbraio 2017, 14:20:02 PM
Ma con le mie parole non volevo denigrare nessuna filosofia, anche perchè non me ne viene in tasca nulla  ;D

Sì so che anche nel taoismo c'è una forte componente esistenziale (e ci mancherebbe, d'altronde anche qui si richiede di abbandonare il lusso, le ricchezze, gli studi (!),...) tuttavia volevo semplicemente mettere in evidenza una "proprietà" presente in molte "religioni della rinuncia": ossia quello di considerare il fattuale/reale come "giusto" e di considerare il "dover essere" una "mera invenzione". Secondo ad esempio il taoismo la sofferenza nasce dall'opposizione che noi abbiamo contro i fatti. Da questa opposizione, nasce la sofferenza e dalla sofferenza nascono le cattive intenzioni, le cattive parole e i cattivi gesti. Quello che un taoista ti direbbe è: "abbandonati alla corrente del grande Fiume del Tao". In modo simile Spinoza - non a caso definito lo stoico del '600- ti dice: "è perchè caro mio non capisci che tu in realtà non puoi davvero far niente contro il Destino, per questo soffri!". Poi eh in entrambi i casi il Realizzato diventa compassionevole, gentile, perfetto ecc. Però se devo dire onestamente la mia sul loro concetto di "rassegnazione" secondo me è errato, che vi devo dire  ;D Poi eh il taoismo è una religione veramente strana in quanto è forse la più pragmatica di tutte: è tutta basata sul Quì e Ora. Ma secondo me un sistema religioso-filosofico deve anche cercare di andare oltre al Quì e Ora. In sostanza credo che siano religioni e filosofie "innocenti" (ossia che non vedono il "male" proprio perchè sono un po' infantili - ma nel senso della parole inglese "childlike" non "childish")


Nel buddismo invece trovo una consapevolezza del dolore più sviluppata. Non è perchè "tu non ti rassegni" ma perchè d'altronde è proprio a causa della natura dell'esistenza condizionata che si prova dolore. Anzi gli stessi piaceri "sensuali" (non "condannati" dal taoismo!, il taoismo semmai "condanna" il modo con cui le fai.) vengono ora visti come "tentazioni" della Morte. La prospettiva mi pare che sia completamente diversa, seppur l'obbiettivo sia identico: la Liberazione della Sofferenza tramite l'annullamento dell'io (o meglio di pensieri legati a tale "io"). Anzi sinceramente credo che qui valga davvero il concetto di "sincretismo": sono semplicemente due strade diverse per arrivare alla stessa meta. Solo che per me il buddismo mi pare più "onesto". 

Il cristianesimo invece ti sfida. In sostanza qui si distingue tra buona e cattiva volontà e l'io è visto come l'agente di tale volontà. In un certo senso è come se in questo contesto si tenta di "valorizzare" l'io. In sostanza il "male" qui è condotto alla cattiva intenzionalità e alle cattive azioni e all'io è richiesta proprio la rinuncia al piacere che tali azioni possono dare. La sofferenza stessa è rivalutata: non è una cosa da cui bisogna liberarsi ma è una cosa che a volte può essere pedagogica. C'è poi l'idea di soffrire-per-l'altro che in un'ottica orientale potrebbe essere vista come un ennesimo attaccamento. Tuttavia è anche interessante notare che questo tipo di compassione in realtà è presente anche nel buddismo Mahayana (e non solo Theravada) in cui il bodhisattva ritarda volontariamente la sua Estinzione proprio per "insegnare il Dharma" agli altri. In sostanza nel buddismo mahayana e nel cristianesimo è più attivo l'aspetto "missionario", ossia la "lotta" contro il male. La grossa differenza è che nel cristianesimo l'obbiettivo di tale lotta è la salvezza del proprio e dell'altrui "io" mentre nel buddismo mahayana l'obbiettivo è la salvezza propria e altrui dall'io. 

Per me, in questo momento l'idea di "abbandonare l'io" mi sembra non una ritirata per un successivo ritorno ma proprio l'idea di fuggire. Ciò non significa che però possa apprezzare la saggezza che mi sembra di trovare nelle varie tradizioni. E magari questa fuga la vedo solo io, in questo momento. Come ho già detto altrove la nostra comprensione di una determinata cosa muta nel tempo: forse non sono semplicemente pronto. Però sono abbastanza convinto che filosofie come spinozismo e stoicismo mi paiono davvero fughe in una "realtà di fantasia". Forse il taoismo e il buddismo non li conosco abbastanza, vuoi il mio background, il mio carattere ecc. D'altronde è possibile che per un buddista il concetto di "liberazione dall'io" sia ben diverso dal mio di quando leggo tale espressione. Ogni tradizione va capita nel suo contesto e da qui ci sono tutte le difficoltà...
#925
Citazione di: Angelo Cannata il 17 Febbraio 2017, 19:52:54 PML'idea che ho proposto non dovrebbe sostituire la scuola, così come non la sostituisce Wikipedia: essa sarebbe soltanto un luogo di avvio soprattutto alla sensibilità per un conoscere in forma di cammino umano, amichevole. A differenza di quello che già si fa su Logos, l'utente dovrebbe avere la possibilità di trovare molti itinerari, tra cui poter scegliere non solo quello che preferisce, ma anche ricevere stimoli a dare un'occhiata a percorsi a cui non aveva pensato. Una piccola iniziativa del genere potrebbe anche servire proprio a non passare il tempo inutilmente ad auspicare per la scuola cose che essa, almeno nel presente, non lascia prevedere che farà. D'altra parte, una volta che la cosa, con gli anni, diventasse sempre più seria, nulla vieterebbe di organizzare modalità di incontro anche di presenza.

Sì sapevo benissimo che il mio discorso era utopico e irrealizzabile, perchè per farlo ci vorrebbe una vera e propria rivoluzione. Sì era uno sperare inutilmente però d'altronde questa speranza esprime anche chiaramente l'obiettivo: stimolare la sensibilità e appunto essere più disponibili ad aprirsi a percorsi diversi. La tua proposta è certamente più fattibile di quanto avevo "proposto" (ci metto le virgolette perchè il mio discorso era utopico) io tuttavia secondo me con la mentalità che si sta via via diffondendo anche un ambiente come lo pensi tu sarebbe riservato a pochi, ossia a coloro che già sono interessati.

Prova ad immaginarti di entrare in una scuola superiore (perchè d'altronde è nella ribellione adolescenziale che si comincia a cercare la "propria via") e a fare la proposta. Farebbe poco successo. Perchè d'altronde la "mentalità comune" odierna è per la specializzazione. Ognuno sceglie il suo ramo e si accontenta di una preparazione esigua nel resto. Ci sono anche persone che ammiro molto che fanno ad esempio volontariato ma anche loro devono specializzarsi e questi anche se magari avrebbero voglia non hanno tempo.

In sostanza la tua proposta mi piace tuttavia secondo me affinché abbia un vero successo il sistema educativo dovrebbe cambiare. Se il "modello di vita" è il cosiddetto "uomo di successo", ossia colui che a scuola è bravo in tutto, è competitivo perchè si adatta come un mago alle peripezie e alle "brutte cose" del mondo del lavoro e quindi fa carriera e poi famiglia non credo che molti seguirebbero la tua proposta (che appunto è contro questo ideale). Se invece ci si accontenta di un discreto successo allora ok, sono d'accordo. Certamente avere la possibilità di fare esperienza delle conoscenze acquisite sarebbe ottimo per chi è interessato.  

Voglio poi riprendere una questione che avevo lasciato in sospeso prima. In un certo senso la mia generazione ha già iniziato a condividere esperienze, informazioni, passioni grazie ad Internet. Tuttavia quello che è accaduto è che tutta questa condivisione ha causato un "livellamento" delle esperienze: in sostanza è passata l'idea che tutte le esperienze e i percorsi sono "uguali" e la cosa ha fatto in modo che molti non sanno trovare il loro "percorso" (tra questi "molti" ci sono io, che tra l'altro sono consapevole di ciò ma in genere manca anche la consapevolezza!). Perciò secondo me se fin dall'inizio dell'età scolare non viene insegnato il "valore" dell'esperienza e dei percorsi alla fine si rischia che anche la tua proposta venga utilizzata esattamente come Wikipedia, ossia come un accumulo di conoscenze.

Quindi in conclusione: sì con l'idea sono d'accordo però sono un po' scettico su quanto successo possa avere.

P.S. Sarei interessato anche a sentire l'opinione di altri forumisti :)
#926
Beh che dire bel tema ;)

Più che ad un'enciclopedia preferirei una cosa come questo forum: ossia un luogo dove ci si confronta, si discute e si parla all'altro sia dei propri interessi sia della propria esperienza personale. Si potrebbe poi fare in modo che in questo "luogo" tutti fossero liberi di esprimere la propria opinione, nei limiti della decenza (non a caso un forum deve comunque avere moderatori e amministratori...). In sostanza si potrebbe pensare, più che ad un'enciclopedia, una "città vrtuale" dove ciascuno da il suo contributo.

Tuttavia questo progetto ha i suoi limiti e le sue problematiche. Non ultima la dipendenza da internet che tale progetto potrebbe creare. Ossia persone che discutono, conversano virtualmente e poi nella "vita vera" non riescono a vivere. In sostanza questo ipotetico forum se sostituito alla scuola "vera" finirebbe per causare l'asocialità e a inasprire tutti i problemi relazionali che la tecnologia causa. Un mondo popolato di Apeiron non lo vorrei mai  ;D

Come fare? A mio giudizio si dovrebbe mutare completamente tutto il sistema educativo. La scuola dovrebbe interessarsi non solo a trasmettere nozioni ma anche ad insegnare a fare le "cose pratiche" che la famiglia ora non riesce più a trasmettere. Si può notare che con entrambi i genitori che lavorano fuori di casa ai figli manca spesso la capacità di imparare le "piccolezze quotidiane" che però sono fondamentali per l'autostima ecc. Inoltre ora sappiamo che i bambini non sono tutti uguali ("neurodiveristà"). Ciò significa che specie nei primi anni dell'istruzione l'insegnamento dovrebbe essere adattato al bambino di modo che il bambino riesca ad appassionarsi e a conoscersi meglio. Solo dopo un po' di anni semmai si può richiedere allo studente di "adattarsi" (come si pretende ad esempio che tutti i bambini di sei(!) anni siano pronti a studiare come viene deciso dalla scuola?). Inoltre farei anche qualche oretta di diritto, di modo che le nuove generazioni conoscano meglio la nazione in cui vivono.
In Giappone per esempio la pulizia delle aule viene affidata anche agli studenti e credo che questo servirebbe sia a far imparare gli studenti i "mestieri", sia a dare loro un "senso civico" e mostrare a loro il "valore" di tali piccole cose (poi eh il Giappone ha i suoi problemi sociali, ma d'altronde nessuno stato è perfetto, però si possono prendere le cose buone e tralasciare le cose problematiche). Altrimenti si rischia di crescere persone che sanno molte cose e sono completamente ignari di tantissimi aspetti della vita.
Inoltre nelle scuole sarei più severo con il bullismo e cercherei di insegnare l'apertura all'altro. Di modo che ognuno sia libero di conversare e trasmettere la propria personale esperienza.

Quindi sì più che ad un megaforum virtuale che col tempo secondo me si farà (anzi in verità tra di noi giovani in un certo senso è già iniziato...) cambierei la scuola. Portando il mio esempio nello studio sono al quinto anno di università e anche se sono messo abbastanza bene devo dire che mi sento ancora incapace a studiare perchè mi manca proprio il metodo personale nello studio!!!

Quindi in sostanza vorrei dalla scuola: meno "nozioni" ma più praticità, meno insegnamento "distaccato" ma più conversazione e soprattutto meno bullismo. Come potremo come umanità comprenderci a vicenda di più se perdiamo l'abilità di conversare? Come potremo vivere se non impariamo a destreggiarci negli infiniti meandri della società? Come potremo riuscire a vincere i problemi se abbiamo un carattere non formato? L'uomo non è solo conoscenza e me ne sono accorto proprio grazie alla mia esperienza personale.
#927
Tematiche Filosofiche / Re:Buddhismo
17 Febbraio 2017, 14:26:30 PM
acquario69, sì penso di aver capito dove vuoi arrivare e capisco anche la tua obiezione alla mia obiezione  ;D

In ogni caso il taoismo ha rispetto al buddismo il vantaggio di avere meno "suovrannaturalismo" (ossia non ci sono devas, rinascite, inferni ecc). Nel taoismo in particolare la morte è vista come un processo naturale di "trasformazione". Ciò penso che sia dovuto al fatto che il taoismo nasce da un contesto culturale dove si aveva una concezione positiva della vita. In India invece le religioni dharmiche sono molto più "negativiste": infatti la stessa concezione del samsara è come una sorta di una perpetua prigione dove gli esseri nascono, soffrono e muoiono. L'obbiettivo finale mi pare però lo stesso, solo espresso in modi diversi: la cancellazione totale dell'individualità, la liberazione completa da pensieri del tipo che sono legati al soggetto. Ossia il Silenzio, il "suicidio epistemologico", la rinuncia totale alla volontà, la noluntas.... Non a caso da buddismo e taoismo è nato lo Zen che a mio giudizio è ancora più aggressivo nei confronti del ragionamento analitico di buddismo e taoismo (vedi le koans).
Lo svantaggio del taoismo è in verità proprio la sua concezione "positiva" dell'esistenza: dire che ogni cosa è una "manifestazione del Tao" mi pare un'assurdo, una sottomissione rispetto al male che dilaga nel mondo. Nel taoismo (e anche nell'Advaita Vedanta) in ultima analisi si evita il problema del male non pensandoci più, ossia dissolvendo il problema stesso: tuttavia è davvero la dissoluzione, ovvero il non pensarci più, una soluzione al problema? A mio giudizio no! In occidente anche Spinoza diceva "quando capisco che la sofferenza è causata da Dio, allora non è più sofferenza ma diventa piacere". Tuttavia a questo punto diventiamo tutti catatonici e ci "scolleghiamo" dalla realtà, tanto anche in questo caso non si soffre più. A dire il vero molti "risvegli" che ho avuto sono stati dolorosi, in quanto mi hanno fatto capire proprio la realtà del male.

Così invece il buddismo riconosce il problema dell'esistenza, dukkha. Nel buddismo il Male è proprio l'Esistenza Condizionata. Il problema del male fa nascere in noi Samvega, il pungolo esistenziale, che ci porta alla rinuncia e quindi all'Estinzione. Paradossalmente però gli individui "perfetti" delle due tradizioni sono descritti allo stesso modo: hanno superato i desideri, non producono più distinzioni, cessano il karma (concetto in realtà presente anche nel taoismo), si liberano dall'io.  Personalmente mi trovo più incline ad apprezzare il buddismo proprio perchè mi pare che abbia uno sguardo più disincantato rispetto alla realtà. Inoltre da un punto di vista pratico il Dharma vanta di una tradizione molto più salda del taoismo (anche perchè da quel che so io non c'è davvero un "taoismo").

Sul discorso dell'io la mia obiezione è la seguente (dovuta molto probabilmente al fatto che apprezzo anche il cristianesimo). In sostanza mi sembra che abbandonare l'io mostri una volontà di "fuga" dalla realtà anzichè una volontà di "combattere", ossia di "agire attivamente". Poi eh magari tutta questa mia "ostilità" deriva dal mio attaccamento all'io e dalla mia limitata comprensione, tuttavia tutto questo "rinunciare all'io" mi sembra una fuga (seppur molto comprensibile). Poi eh riconosco anche che il buddismo ha un fortissimo stampo etico (non so quanto ciò valga per il taoismo e lo Zen) e infatti anche il buddismo ha una forte componente di "attivismo" (penso che Sariputra sappia benissimo farti esempi in cui "metta", l'amore, viene messo in pratica in modo eccellente da azioni concrete dei buddisti).

P.S. Più che altro voglio far presente che a dire ciò sono molto ipocrita. Sono personalmente un codardo e un'ipocrita. Uno che fugge quando sa di non doverlo fare. E ho paura che il fascino che mi danno appunto le religioni orientali ("liberazione dalla sofferenza, dall'io") è dovuto al mio carattere. Forse non sono la cosa giusta per me adesso. Quindi sì sono il primo che fugge anche se sono convinto che "non si deve fuggire"...
Forse Kierkegaard aveva ragione quando diceva che bisognava soprattutto cercare una verità per se stessi?
#928
Citazione di: Fharenight il 17 Febbraio 2017, 13:44:29 PMSariputra, se il problema che riscontri succede solo a te, forse è causato dal tuo pc, c'è qualche software che non funziona, probabile a causa di un virus.

Succedeva anche a me e fino a stamane avevo problemi anche a citare i post altrui... Ora mi sembra che vada!
#929
@Angelo Cannata,
sì in realtà dovevo esprimermi meglio (come al solito...). Volevo rassicurare Sariputra che secondo me il suo non era "off-topic" o almeno lo era tanto quanto i post che non rispondevano più alla domanda inziale. Poi con la discussione in realtà non ho problemi a continuare anche se era off-topic  :D
#930
Tematiche Filosofiche / Re:Buddhismo
16 Febbraio 2017, 14:40:12 PM
acquario69, non è vero che c'è poco interesse per il buddismo. Personalmente lo ritengo una filosofia MOLTO interessante. Tuttavia in questo thread ho enunciato le mie perplessità sullo "scopo finale": https://www.riflessioni.it/logos/tematiche-spirituali/nirvana-moksha-karma-e-'eutanasia'/

Ci sono concetti davvero molto belli come ad esempio: l'impermanenza, la sofferenza che nasce dall'errata identificazione, la sofferenza che nasce dall'illusione del possesso. Inoltre è anche una filosofia che non è molto antropocentrica (anche se in verità una rinascita umana è "speciale" e l'uomo e l'animale sono sempre distinti). Non c'è nemmeno il problema secondo me del "risentimento", anzi c'è l'idea che si possa avere un progresso spirituale tra una vita ed un'altra.

Ritengo il Canone Pali (ne trovi una parte consistente qui: http://www.canonepali.net/index.html) un'opera di una genialità incredibile e ne consiglio la lettura. Magari per iniziare leggi il Dhammapada http://www.canonepali.net/dhp/dhp_index.htm.

In sostanza trovo nel buddismo molte cose buone, tuttavia non mi considero "buddista" appunto perchè non sono d'accordo con tutto.

In ogni caso il taoismo è praticamente identico anche in riferimento alla dottrina dell'anatta anche se ad un buddista non piacerebbe l'idea di "unirsi al Tao", anche se nel taoismo questo concetto mi sa tanto di puro valore "metaforico" (nel senso che l'importante anche qui è liberarsi del'io):
"«L'uomo perfetto è senza io, l'uomo ispirato è senza opera, l'uomo santo non lascia nome». [...]
La grande intelligenza abbraccia, la piccola discrimina [...].
Come ha potuto il Tao oscurarsi al punto che vi debba essere distinzione tra il vero e il falso? Come ha potuto la parola offuscarsi al punto che vi debba essere distinzione tra l'affermazione e la negazione? [...] Il Tao è offuscato dalla parzialità. La parola è offuscata dall'eloquenza. [...]
Che l'altro e se stesso cessino di opporsi, questo è il perno del Tao. [...]
È camminando che si traccia la via; è nominandole che le cose sono. [...] Ogni cosa ha la sua verità; ogni cosa ha la sua possibilità. [...]
È così che lo stelo sottile e il grosso pilastro, la brutta donna o la bellissima Xi-shi, il grande e lo straordinario, l'astuzia e la mostruosità, si riassorbono tutti nell'unità del Tao. [...]
La comprensione conduce all'unità [...].
Compiere senza sapere perché, ecco il Tao"
(dal Zhuang-zi, capp. I-II).
In generale come dice Sariputra forse sarebbbe più saggio non soffermarsi sulla dottrina ma concentrarsi sulla pratica e chiamare il buddismo "Dharma".

P.S. Ho problemi a fare le citazioni degli altri post. Anche a voi succede?