Citazione di: sgiombo il 20 Febbraio 2017, 21:12:04 PMCitazioneSecondo me ci si deve intendere sui termini del discorso (il significato delle parole). E' un affermazione che è vera alla condizione indimostrabile (Hume!) che il divenire naturale sia ordinato secondo modalità o leggi universali e costanti; perché in questo caso se il dado non è truccato (ovvero le facce sono perfettamente regolari, il materiale di cui è fatto perfettamente omogeneo, ecc.) e se i lanci sono fatti "a caso" (in un' "infinità" di maniere simili e non calcolate in determinati modi) in un numero sufficientemente elevato di lanci i fattori causali tendenti a farlo cadere su ciascuna faccia si equilibrano. Tuttavia è un' affermazione alquanto imprecisa, in particolare per quanto riguarda i numerosi concetti che ho evidenziato in grassetto, i quali sono decisamente vaghi e non realistici (in realtà non esiste la perfezione!). Cosicché (in linea teorica, di principio) in un numero "ulteriormente sufficientemente elevato di lanci" ci si dovrebbe aspettare qualche pur minima differenza della distribuzione statistica dei risultati di ciascun dado concreto (costante per ciascun dato in un numero sufficientemente elevato di lanci, ma diversa fra i diversi dadi, nessuno dei quali, per quanto non deliberatamente "truccato", può essere perfetto). Ma a parte questo mi sembra che Apeiron intenda suggerire un problema più di fondo nel concetto di probabilità, che io stesso credo di aver colto per conto mio in precedenti riflessioni. Un divenire (della realtà fisica materiale) ordinato secondo leggi universali e costanti di tipo "deterministico - meccanicistico" mi sembra un concetto del tutto sensato, privo di contraddizioni: ogni singolo evento è determinato da "ciò che lo precede e circonda" e in linea teorica di principio prevedibile, calcolabile). Invece un divenire probabilistico - statistico (non ogni singolo evento è universalmente e costantemente e in linea teorica di principio prevedibile, calcolabile, ma sono invece universali e costanti e dunque in lenea di principio prevedibili, calcolabili, i rapporti fra -le frequenze di- diversi eventi che possono accadere ed accadono alternativamente gli uni agli altri a seconda dei singoli casi dipendentemente da "ciò che li precede e circonda" purché si consideri un numero sufficientemente grande di osservazioni) mi sembra problematico, mi sembra implicare inevitabili paradossi insolubili, che hanno a che fare con la questione infinito potenziale/infinito attuale. Innanzitutto: quando è che un numero di casi può essere considerato "sufficientemente grande"? Quale significato potrebbe mai avere tutto l' assunto sulla distribuzione dei casi reciprocamente alternativi in proporzioni universali e costanti nel caso di serie "sufficientemente numerose" di essi? Quanto numerose? E' possibile stabilirlo in una qualche maniera? Può darsi un qualche senso a questo concetto di "sufficientemente numerose"? Inoltre -sia pure- all' infinito (nel tempo e/o nello spazio) anche le cose più improbabili possono accadere (e tendono ad accadere; e forse accadono): per esempio anche in un numero "grande" (?) di casi (grande quanto si vuole?) le proporzioni delle osservazioni (dei casi) reciprocamente alternativi possibili possono talvolta, prima o poi (per quanto "rarissimamente" -?-), discostarsi da quelle previste dalla rispettiva legge probabilistica (nella fattispecie 1/6 per ciascun numero da 1 a 6). Fra un "numero sufficientemente grande" di casi -per quanto elevato esso sia- ed "infiniti" (un "numero infinito" di) casi c' è sempre inevitabilmente un abisso incolmabile (o solo potenzialmente, concettualmente e mai attualmente, effettivamente colmabile), il quale inficia (destituisce di significato) il concetto di "numero (sufficientemente) grande (di casi, osservazioni, rilievi)": qualsiasi numero, per quanto grande (o piccolo) sia, è (sempre insuperabilmente) infinitamente piccolo (o infinitamente grande) relativamente all' infinito (in confronto al numero "infinitamente grande" o "infinitamente piccolo"). Nel caso di frequenze probabilistiche-statistiche del divenire, al tendere all' infinito dei casi (osservati) le proporzioni delle alternative possibili tendono ad avvicinarsi sempre più a determinati valori (per esempio a 1/6 la frequenza di ciascun esito possibile nel nostro caso del lancio di un dado non truccato); ma anche serie sempre più improbabili tendono sempre più ad accadere (per esempio serie ininterrotte sempre più numerose di "6" consecutivi: queste ultime al crescere dei casi osservati tendono sia ad essere sempre più numerose e lunghe in assoluto, sia a essere sempre più rare relativamente alle altre serie più probabili. Dal momento che il concetto (umano, di fatto considerabile) di "(numero) infinito" comporta necessariamente una infinità inesauribile di (numeri) infiniti "di ordini successivi" come sue "parti", nella "infinità inesauribile dell' infinito" numero di casi, anche infinite sequenze di casi "anomali" (improbabili: contraddicenti la probabilità considerata), ognuna delle quali di lunghezza infinita (sic!), possono (e anzi tendono ad) accadere, per quanto le proporzioni complessive fra la totalità degli infiniti casi che accadono siano comunque quelle determinate proporzioni probabilistiche (1/6 per ciascun numero da 1 a 6): non è questo contraddittorio? E' questa un' aporia del concetto di "infinito", ovvero che "tendendo (le osservazioni de-) i casi all' infinito, le loro proporzioni tendono ad avvicinarsi sempre più a determinati valori probabili (1/6 nella fattispecie), per quanto inevitabilmente tendano anche sempre più ad accadere casi di discostamenti sempre più grandi da tali valori. L' infinito in quanto concetto (umano: in quanto oggetto di considerazione teorica, eventualmente di predicazione, eventualmente di conoscenza umana) non può mai essere attuale (potrebbe esserlo solo nella mente di Dio, se esistesse), bensì è sempre, inevitabilmente potenziale dal momento che qualsiasi considerazione teorica è finita (non continua all' infinito ma prima o poi si arresta). Laddove l' infinto in quanto reale (in quanto caratteristica della realtà) può benissimo essere in atto. MI sento in dovere di aggiungere il mio accordo con quanto acutamente ha scritto Davintro (soprattutto che il dubbio -humeiano- insuperabile circa l' induzione non lo é nemmeno attraverso il concetto di "probabilità", che può oggettivamente significare unicamente "frequenza statistica" la quale, per quante volte sia stata confermata, é sempre altrettanto e anzi più degna di dubbio della costanza "univoca" dell' induzione "deterministica - meccanicistica".
Sì c'era anche questo aspetto per cui un divenire probabilistico è problematico. Il problema è che lo stesso determinismo non è per nulla "dimostrabile", nemmeno se avessimo un tempo infinito per vivere. Il punto è che tra l'altro le generalizzazioni accidentali possono "durare" un'infinità di tempo. Sempre con l'esempio del dado. Se faccio un'infinità di lanci e trovo che il 6 esce con frequenza relativa 1/6 non possono a rigore nemmeno in questo caso dire che la probabilità è 1/6. Allo stessso modo se verifico che un'infinità di volte un oggetto lasciato cadere dal tavolo arriva al pavimento non posso dire che vi è una necessità che lo "costringe" a cadere. Posso solo dire che "è sempre caduto".
In ogni caso non riusciamo mai a distinguere una generalizzazione accidentale da una vera regolarità (e qui il mio scetticismo va oltre Hume e segue WIttgenstein). Infatti con l'induzione, anche se essa disponesse di un numero infinito di prove non potrebbe dimostrare una "legge", o meglio non può distinguere tra una "legge" e una mera "generalizzazione accidentale".