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Messaggi - 0xdeadbeef

#916
Citazione di: paul11 il 20 Marzo 2018, 11:53:45 AM
Il problema non è Hegel in sè e per sè,anche se lo storicismo superò il giusnaturalismo umanista come concezione storica.

Sono gli atti che dichiarano oggi più che mai le coerenze di appartenenza ad un a tradizione politica.
Se si accetta che la legge è mobile e va modificata in funzione del mercato, l'uomo è merce e non più cittadino.



Devo innanzitutto scusarmi con tutti voi per la scarsa "presenza" sugli ultimi sviluppi della discussione.
Ahimè, vorrei ma ho davvero pochissimo tempo libero a dispoaizione...
Dunque, il problema non è Hegel in sé e per sè ma lo sono le strutture profonde del pensiero occidentale (di
cui Hegel e l'Idealismo sono tappa fondamentale).
Come E. Levinas, io penso che in sostanza tutto il pensiero occidentale si sia risolto in una specie di
"ontologia dell'io".
Certo, l'Idealismo non ha coscienza di questo "produrre" l'oggetto da parte del soggetto; ma questo, nei fatti,
è ciò che avviene.
Del resto, come spiegare che la "volontà", già con Schopenauer, sia sia venuta a costituire come snodo centrale
di tutto il pensare? Come spiegare che ancora oggi si dica tranquillamente ai bambini: "con la volontà si
ottiene tutto"?
A me sembra chiarissimo che la volontà ottiene tutto se il soggetto di tale volontà è inteso come produttore e
creatore (e perciò anche "distruttore"). L'oggetto (e dunque gli altri soggetti, che per il soggetto che li
pensa sono comunque oggetti), nel pensiero occidentale, si è sempre più venuto a costituire
come "cosa", cioè come termine su cui il soggetto ha, per così dire, "pieno potere" (come anche in Severino).
Ora, non è che si presenta un filosofo qualsiasi, scrive un'opera grandissima e l'occidente cambia prospettiva
(questo è creduto semmai solo all'interno di una prospettiva idealistica); è solo per indagare un attimo
quelle che chiamavo "strutture profonde" (e perlopiù inconsce) del pensiero occidentale; un pensiero che, a
mio parere, non può per sua stessa natura contemplare l'"altro" nella giusta luce.
Vorrei però tornare un attimo a quella che è la tesi centrale del mio discorso (quella per cui non posso più
dirmi di sinistra): c'è una sola forza che può opporsi alla globalizzazione individualista (e quindi al mercato
suo strumento d'elezione). Questa forza è la comunità (intesa come gruppo che condivide valori, principi e
tradizioni comuni).
Perchè è solo all'interno della comunità che può sorgere la "legge", cioè la categoria "immobile" (io direi
assoluta) per la quale l'uomo è cittadino, non merce.
Ritengo non occorra far ricorso alle "strutture profonde ed inconsce del pensiero" per rendersi conto di questo.
Nessuna "legge" sta sorgendo negli istituti internazionali; solo "contratti" e mercato: questo dovrebbe far
riflettere...
Quanto alla "sinistra", essa è di fatto scomparsa proprio perchè non ha capito che nella dimensione internazionale
non può sorgere alcuna "legge" (cioè non può sorgere l'unico strumento di una possibile - possibile...- difesa del
debole dalle angherie del forte).
saluti (scusandomi ancora se non risponderò a breve).
#917
A Paul11
Tutto l'Idealismo tedesco, dunque anche Hegel, "parte" da una errata interpretazione della "cosa in sè" kantiana,
che gli Idealisti ritengono non necessaria "interpretazione" (come nel "fenomeno" di Kant), ma, di fatto, "creazione".
Per l'Idealismo, nel soggetto si attua una "sintesi" di pensiero e realtà, cioè di soggetto E oggetto (che
invece per Kant erano distinti), e questo è chiaramente esplicitato da Hegel nella celebre affermazione: "il
reale è razionale e il razionale è reale" (Fenomenologia dello spirito).
Sulla conseguenze della sintesi idealistica illuminanti sono le parole di Fichte: "il procedimento sintetico
consiste nel ricercare negli opposti quella nota per cui essi sono identici".
Come si faccia, da queste basi, a riconoscere l'"altro" (come non-sintetizzato all'"io") non saprei...
La "destra" e la "sinistra", come noto, sono termini che nascono dal posizionarsi nel Parlamento Francese
degli "interpreti" (e già questa è una contraddizione) del pensiero di Hegel (tant'è che si chiamavano
esplicitamente "destra" e "sinistra" hegeliana). Marx, come accennavo, in realtà "ribalta" solo l'
interpretazione della destra hegeliana (quella che dà preminenza al "razionale"), prendendone però
tutti i caratteri fondanti (il soggetto "creatore"; la "sintesi") ed adattandoli alla sua pur brillantissima
teoria economica.
Ora, questa sia pur scandalosamente sintetica (...) descrizione per dire: attenti, perchè l'Idealismo, o
Hegelismo, è tutto fuorchè morto o superato, ed ammorba oggi più che mai ogni aspetto del vivere.
L'Hegelismo, dicevo, non ci permette non di "considerare nella giusta luce", ma neppure di pensare l'"altro".
Sia esso un immigrato o un nostro familiare, non viene "pensato" come "altro"; ma sempre e solo come un,
diciamo, "prodotto" del nostro "io"; ed in esso, di conseguenza, sempre cerchiamo "quella nota per
cui essi, l'altro e l'io, sono identici" (per usare le parole di Fichte).
All'Hegelismo è sconosciuto quel concetto di "limite" che era invece fondante di tutta la filosofia "classica"
greca. Per questa visione (che è, ripeto, la nostra) finito e infinito sono termini privi di significato
in quanto anch'essi "sintetizzati" in un "reale" che assume perciò le sembianze dell'infinito irreale (Hegel,
vedendo Napoleone a cavallo, lo definirà "Iddio reale").
E com'è possibile, chiedo, pensare la "giustizia" senza pensare il limite, il finito?
Quale limite come "giusto limite" posso mai pensare se sono incapace di pensare il limite? Quale "misura" sarò
in grado di adottare nei confronti dell'immigrato o di un mio familiare se non contemplo nessuna misura?
Naturalmente tutto questo vale per il "compromesso", che è esso stesso presa d'atto di finitudine, di limite,
di misura e di giustizia.
Ed infatti il compromesso è sempre meno "com-promesso"; cioè è sempre meno espressione di un accordo comune
su una base "arbitrata" (in genere da regole intese come assolute) per diventare "contratto", cioè accordo in
cui la parte forte, semmai, si degna di concedere qualche briciola ...
Per vivere in pace, non conflittualmente, a mio parere è innanzitutto necessario riconoscere l'"altro", ove
tale riconoscimento vuol dire, sì, rispetto e solidarietà, ma anche, se occorre, esclusione.
saluti
#918
Citazione di: paul11 il 18 Marzo 2018, 01:48:08 AM

Intendo dire che il debole una volta avuta la rivincita sul forte, se fosse solo la condizione economica  a spingerlo alla rivalsa, una volta divenuto adesso forte continuerebbe le stesse contraddizioni del suo nemico,

Penso, che oltre alla paura ancestrale umana che la conoscenza non riesce a vincere seppur costruisce dei dispositivi culturali dei surrogati di antichi riti,abbiamo un'etica.C'è chi riesce a spingersi non oltre un confine, c'è chi proprio non gli riesce.
Il senso del limite è etico se sociale e morale individuale e aggiungerei, appartiene ad un altro aspetto della natura umana, la coscienza.
Mi fermerei quì perchè il discorso è spinoso e arduo e sentirei, per chi ne ha voglia, altri pareri.

Il problema per come lo vedo io, lo accennavo, è essenzialmente nel modo in cui ci poniamo davanti all'"altro".
Il problema dell'"altro" non è risovibile con gli strumenti della filosofia hegeliana (che, ripeto, ammorba ora
più che mai tutto il nostro modo di pensare).
O per meglio dire, è risolvibile con gli strumenti della filosofia hegeliana nel senso della soluzione "finale";
cioè con una sintesi "pratica" che annulla uno dei due termini (l'"io" o l'"altro").
Non mi meraviglia né mi scandalizza che qualcuno pensi a una tale soluzione; solo che, credo, occorre esserne
consapevoli...
Del resto questo è quel che successe con il nazismo, che pensò di annullare l'"altro" inteso come razza, cultura,
religione. E quel che successe con il "socialismo reale", che pensò di annullare un "altro" inteso materialmente,
come classe al proletariato avversa.
O come avviene oggi, in forme certo meno tragiche ma non per questo meno gravi e drammatiche, con un "altro" non
compreso nella sua "alterità" di cultura e posizione sociale (e, certo, oggi l'"altro" non finisce nei lager o nei
gulag, ma finisce in quella specie di limbo costituito dalla cosiddetta "invisibilità").
Sicuramente si ha paura dell'"altro". Ma se ne ha paura appunto perchè la sua irriducibile alterità non viene
compresa. Da questo punto di vista la comunità non può essere intesa come comunità di "uguali" contrapposta ad
comunità "altre" da annientare ("sintetizzare") secondo gli schemi hegeliani.
Riconoscere l'"altro" come alterità-assoluta comporta essenzialmente una "responsabilità", un "posizionarsi" di
fronte all'"altro" che comporta primariamente una "scelta" di ordine etico e morale.
Una scelta che quindi, dice giustamente Paul11, rimanda alla "coscienza" (ma sempre e comunque ogni problema
filosofico è rimandato ad essa; non esiste in realtà alcuna "soluzione", e tutti siamo sempre e comunque
irrimediabilmente "soli" davanti alla, per certi versi, tremenda necessità della scelta).
Sorge allora spontanea una riflessione su una categoria dell'antica filosofia greca oggi quasi del tutto
dimenticata: la "misura" come giustizia.
Ma qui, almeno per il momento, vorrei fermarmi.
saluti
#919
A InVerno e Paul11
Mah, c'è poco da aggiungere alle vostre intelligenti considerazioni...
Devo dire di essere...un tantino più in accordo con il pessimismo di Paul, laddove afferma che ormai i partiti non hanno
più una base sociale e, in sostanza, vendono solo un prodotto commerciale.
Tanto per voler per forza aggiungere qualcosa (ma cos'altro, ormai?) e riportare il discorso ai "fondamenti", io direi
che tutto questo è l'effetto dell'emergere dell'individuo.
Dunque aveva ragione Von Hayek quando affermava che le entità collettive (stati, partiti, sindacati etc) non esistono se
non negli individui che le pensano?
Beh, si, non esistono in quanto, effettivamente, gli individui non le pensano (più).
E perchè non le pensano più? A parer mio perchè gli individui non pensano l'"altro": non lo pensano come "altro-da-sè"
e non lo pensano quindi come in "relazione-a-sé".
In altre parole, l'individuo-"monade" non riconosce altro che se stesso (questo, tra l'altro, politicamente, si traduce
nel non riconoscere l'interesse dell'altro come il proprio interesse).
Qui, in questo preciso "punto", perdono di senso i sindacati, i partiti, gli stati e ogni altra entità collettiva.
Non meravigli che in un simile quadro l'individuo, e quindi il mercato e il "contratto", assumano un significato di
relazione "assoluta".
Se l'economia è lo studio dei mezzi più efficaci per raggiungere un dato fine e il contratto è il mezzo più efficace,
cioè economico, per dirimere le controversie fra gli individui, allora ciò vuol dire che l'individuo è allo stesso
tempo mezzo e fine (visto che il fine, nella mancanza di una visione collettiva, è comunque riducibile all'interesse
individuale).
Tutto ciò risponde ad una logica che già Max Weber aveva individuato (la celebre "gabbia d'acciaio", cioè il fare i
soldi per fare altri soldi), e che consiste nell'indistinzione contemporanea di mezzo e scopo (in Severino, più
"ontologicamente", la volontà di potenza serve ad accrescere essa stessa indefinitamente).
Da questo punto di vista è inutile parlare di "base sociale" o entità similari cui i partiti dovrebbero appoggiarsi.
Non solo queste non esistono (in quanto gli individui non le pensano); ma non esistono gli stessi partiti (in quanto
non più pensati come veicolo di interessi e valori collettivi).
O meglio, esistono ma nella maniera descritta da Paul11: "public relation; product manager; marketers" (in quanto
pensati come tali).
Che fare allora? Per me occorre appunto recuperare quel poco del "pensare collettivo" rimasto nella cosiddetta "cultura".
Poco mi importa se qualcuno giudica questa base "di destra": non c'è alcuna alternativa allo strapotere dell'individuo e
di ciò che ne è intimamente correlato (il contratto; il mercato).

A Green Demetr
Non è certo parto della mia mente che Marx "ribalti" Hegel mantenendone inalterate tutte le basi filosofiche.
Da una parte (quella di Hegel) la sovrastruttura, lo "spirito", la storia etc; dall'altra (quella di Marx) la
struttura, la materia etc: sempre e solo di, come dire, "circolazione a senso unico" si tratta.
E, per me, questo si chiama riduzionismo (e va senz'altro superato).
Non solo, ma ritengo l'hegelismo (assieme a certe filosofie anglosassoni) "malattia mortale dell'occidente";
vero e proprio impedimento a qualsiasi nuova prospettiva; vero autentico motivo per cui ci si è ridotti alle
condizioni in cui siamo (includendovi, beninteso, le tragedie del 900).
Mi spiace dirlo per l'ammirazione che ho verso l'economista, ma il "politico" Karl Marx di hegelismo fu letteralmente
impregnato.
Infine, ritengo non estranee all'hegelismo certe nefaste degerazioni del pensiero anglosassone, come quelle presenti
nel pensiero dei "marginalisti", che sono alla radice dell'attuale situazione politica, sociale ed economica.
Naturalmente, non estraneo all'hegelismo fu anche il nazista Carl Schmitt (quantunque la sua alta statura di giurista
fu, per certi versi, innegabile).
La mia considerazione sul debole che va difeso dal forte è, ovviamente, debolissima (...); ma è per ricordare che
la "sinistra" si deve giudicare dall'azione concreta, non dal colore di una bandierina sventolata.
saluti
#920
Citazione di: green demetr il 15 Marzo 2018, 15:31:57 PM
Bizzarro che oggi uomini di sinistra pensino come uomini di destra.




A mio parere, bizzarro è che non si sia ancora capito che "destra" e "sinistra" siano termini politici legati
ad una precisa stagione (quella che va da metà 800 a tutto il 900); molto lunga, se vogliamo, ma che dimostra
ormai chiari segnali di presentare ormai poche similitudini con la contemporaneità.
A parer mio ci vogliono altri strumenti di analisi che non quelli otto-novecenteschi; e questa analisi, per
avere almeno una parvenza di credibilità, deve partire come si suol dire, dall'inizio, cioè partire dai
fondamentali filosofici.
Da questo punto di vista, e scusami la franchezza, non è snocciolando i Bertinotti, i Grasso, le Comunione
e Liberazione; cioè la politica "strictu sensu"; che potremo tentare di capirci qualcosa.
Nella risposta a Paul11 vedo che affermi la necessità di rimettere al centro dell'attenzione il tema
comunitario...
Beh, bisogna vedere che intendi, visto che, presumo, la tua idea di comunità è assai diversa dalla mia (dal
momento che sembri svalutare non poco l'aspetto sovrastrutturale...).
Ma poi in cosa consistono questa "struttura" e questa "sovrastruttura"? Non sono forse esse, in un certo qual
modo, retaggio di una filosofia hegeliana che fa del riduzionismo forse la principale delle sue caratteristiche?
Ad esempio, non credo sia agevole dire se il "mercatismo" (che, ripeto, per me è l'attuale ed estrema forma del
capitalismo) sia struttura o sovrastruttura: probabilmente è entrambe le categorie; ma questo dimostra appunto
la necessità di andare oltre le strutture filosofiche (...) hegeliane.
In attesa di tue delucidazioni (mi interesserebbe in particolare sentirti dire qualcosa sulla comunità), concludo
sostenendo quello che per me dovrebbe essere l'imperativo categorico di qualsiasi "sinistra": il debole va sempre
difeso dalla possibile prepotenza del forte.
Questo dovrebbe valere sia in prospettiva futura, sia nell'immediato.
saluti
#921
La negoziazione riguarda ormai la stessa categoria della giustizia.
Prendiamo ad esempio il "Jobs Act" varato dal governo Renzi. Il licenziamento per "giusta causa" c'è sempre
stato, ma c'è sempre stata la possibilità di ricorrere ad un giudice qualora si ritenesse che il licenziamento
fosse per "ingiusta causa".
Orbene, quel governo ha semplicemente sostituito la "giustizia" con il "mercato", dando a chi licenzia la
possibilità di scegliere di licenziare, anche per ingiusta causa, pagando qualche mese (ora non ricordo nemmeno
quanti) di stipendio.
La medesima cosa, pur senza quel clamore, si è verificata e si verifica un pò in tutto il "diritto" (almeno
stando a quanto affermava il compianto e valente giurista Guido Rossi).
Beh, a me la cosa pare di una gravità inaudita, e quando ci renderemo conto (se ce ne renderemo) di dove
questa deriva ci porterà (ma in parte ci ha già portati) sarà sempre troppo tardi.
Quello che ci aspetta è dunque un nuovo "totalitarismo"? A me sembra di non poterlo escludere.
Sia chiaro però che quella che è in crisi non è la politica, come tanti affermano, ma la democrazia. Se, infatti,
definissimo la politica in maniera "weberiana" (in sostanza la distinzione fra chi comanda e chi è comandato),
vedremmo molto chiaramente che il mercato tende a diventare, esso stesso, forza politica.
L'antica distinzione fra "oikos" (famiglia) e "polis" (città) era funzionale ad una concezione dell'"oikos"
come formazione nella quale i rapporti di forza erano pre-determinati dal "sangue" (per cui la "oekonomia",
l'economia, era intesa come "governo della famiglia"). E si contrapponeva, l'"oikos", ad una "polis" dove
invece i rapporti di forza erano da determinare (da qui la "polis" come "istituzione").
A mio modo di vedere, è chiarissimo che se l'"oekonomia" invade lo spazio della "polis" i rapporti di forza
non vengono "istituiti politicamente", ma sono essenzialmente gli stessi, pre-determinati, dell'"oikos", cioè
dell'"oekonomia" (e nell'economia che invade il campo politico comanda essenzialmente chi ha il potere economico).
Dunque in gioco c'è ben di più che non la sinistra o un'altra formazione politica. In gioco ci sono
nientemeno che i principi-cardine che hanno caratterizzato i momenti più "alti" della nostra civiltà, quali
appunto il sentimento di giustizia e la democrazia.
Non vedere questo concretissimo rischio (ma che già è realtà sotto molti aspetti) è, a parer mio, davvero
miope.
saluti
#922
Citazione di: paul11 il 13 Marzo 2018, 00:37:31 AM
cerco di rispondere un poco a tutti gli ultimi post.
mauro(ox...) io penso che l'epistemologia di Paul Feyerebend sia la migliore.
hai dato una classica definizione di economia ed è incentrata sul comportamento.
E di nuovo siamo alla contraddizione.Di quali comportamenti  e di quale natura umana?



Il comportamento, la condotta, più efficace ed efficiente nel senso cui pensava G.d'Ockham quando affermò il celebre
"pluralitas non est ponenda sine necessitate" (che poi in sostanza si tradurrà con: "ottenere il massimo risultato
con il minimo sforzo").
Non è certo un caso che quella affermazione venga proprio da Ockham e dall'allora nascente filosofia anglosassone.
E' infatti proprio dalla critica degli "universali" che il particolarismo che segnerà tutta la storia del
pensiero anglosassone prende le mosse, ma non voglio divagare su queste pur pertinenti tematiche.
Fatto è che oggi quel particolarismo sembra dimenticato (per la verità, dicevo, è dimenticato persino che il valore
di un bene come valore di scambio pone tutta l'economia su un piano soggettivo).
In altre parole, per le volontà dominanti valgono solo i principi che portano un utile immediato. Per cui quando
fa comodo l'economia è intesa in senso soggettivo; quando non fa comodo in senso oggettivo (ecco la "scienza"...).
Tutto ciò, naturalmente, è in linea con le teorie di Von Hayek (che io ritengo il massimo pensatore del "mercatismo"),
il quale afferma le "conseguenze inintenzionali dell'agire intenzionale", cioè afferma che basta perseguire il
proprio utile immediato per far sì che questo formi un "sistema", o "ordine", che è anche, intrinsecamente, il
miglior sistema che potremmo avere (ecco perchè il "complottismo" non ha significato).
Dal punto di vista di Von Hayek (che è il punto di vista di tutti i "mercatisti") il "mondo" come salubrità e
sostenibilità di risorse è null'altro che un "universale", quindi letteralmente non esiste.
O per meglio dire, esiste ma solo in relazione con l'individuo che lo pensa come utile. Per cui se ci saranno molti
individui a pensarlo come tale, esso assumerà una connotazione oggettiva, e quei problemi diventeranno "reali" (la
salubrità e la sostenibilità costituiranno allora la base di un sistema economico e politico volto alla loro
preservazione).
E' però chiaro che, prima di quell'ipotetico momento, la salubrità e la sostenibilità saranno visti come "impicci".
Detta così sembrerebbe solo ed esclusivamente un problema di maggioranza (quindi di democrazia, e sotto certi aspetti
lo è anche). Ma vanno considerate le categorie di "forte" e di "debole" (e qui mi riallaccio a quella "fenomenologia
della debolezza" di cui parlava Phil).
E' chiaro infatti che l'utile del forte ha peso ben maggiore di quello del debole (e quindi condiziona, anche
"democraticamente", le scelte politiche ed economiche).
Ma "chi" è il debole?
Per me, nella società dell'oggi, è debole colui che nell'atto del "contratto mercatistico" rappresenta la parte
svantaggiata.
Il "contratto", lungi dall'essere solo lo strumento che tutti conosciamo , nel moderno emergere dell'individuo
rappresenta il mezzo più efficace, cioè economico, di risoluzione delle controversie fra soggetti privati (da
qui il suo debordare in ogni dove).
Non ritengo esagerato chiamare la società contemporanea come la "società del contratto". Nel processo di
ritrazione di ogni sfera collettiva (o pubblica), il contratto sta sempre più sostituendo la stessa legge,
ormai oggetto di valutazione non "in sè", ma a seconda che convenga o meno rispettarla.
Dunque, oggi essere deboli vuol dire essere deboli "nel" contratto. A questa debolezza dovrebbe rimediare
l'istituzione statuale, con una azione che, di per se stessa, non può che essere limitante dello stesso
istituto del contratto (in quanto il contratto è la forma con cui maggiormente si esplica l'utilitarismo).
In parole povere, ad una concezione del "bene" inteso come perseguimento del proprio utile (che è tipico
di tutta la filosofia anglosassone) dovremmo opporre una concezione del "bene" inteso come perseguimento
di un ideale assoluto di giustizia.
saluti
#923
Citazione di: anthonyi il 12 Marzo 2018, 07:36:47 AM


Ciao 0xdeadbeef, per carità nessun problema per la tua interlocuzione.
La tua definizione di economia è forse un po' restrittiva, nel senso che la stessa (Scienza o dottrina) economica si occupa anche dei problemi inerenti la formazione delle scelte politiche.
Conosco bene il dibattito epistemologico sulla natura della (Scienza o dottrina) economica e anche nel post che tu hai letto sottolineo la falsa oggettività dei numeri economici.
Quello che però mi preme è sottolineare la differenza tra la rilevazione di detti problemi e l'affermazione, a mio parere calunniosa, che certi metodi di analisi siano stati creati appositamente per imporre un certo modello di economia e società.
Un saluto.




Questa la definizione di L.Robbins (una delle più celebri): "l'economia è la scienza che studia la condotta umana nel
momento in cui, data una graduatoria di obiettivi, si devono operare delle scelte su mezzi scarsi applicabili ad
usi alternativi".
Io l'ho certamente "ridotta" (del resto: "pluralitas non est ponenda sine necessitate", diceva G.d'Ockham implicitamente
affermando proprio uno dei principi cardine dell'economia); ma credo, forse a torto, di averne messo in evidenza un
punto saliente: lo studio dei mezzi (condotta umana) per raggiungere uno scopo (data una graduatoria di obiettivi) vuol
semplicemente dire che lo scopo è stabilito (dato) politicamente, cioè ideologicamente.
E quindi che vi può essere "scienza" (con tutti gli annessi e i connessi che tale termine implica) solo dei mezzi, non
certo degli scopi.
Il "problema", per come la vedo io, è che adesso il mainstream dominante ci vuol far credere che siano scientifici anche
gli scopi (anzi, non si fa proprio menzione di mezzi e di scopi, visto che tutto è aggregato come "scienza economica").
Ora, io non credo (sono decisamente avverso ai complottismi...) che qualcuno si sia messo ad un tavolo e, intenzionalmente,
abbia creato certe metodologie allo scopo di imporre un certo modello di economia e società.
Questo no; a parer mio è che si è semplicemente perseguito il proprio interesse, per cui si sono prese "qua e là" quelle
teorie che meglio si adattavano allo scopo (e si sono scartate quelle che invece lo rendevano problematico).
Oggi, ad esempio, chi conosce economisti come P.Sraffa, che pure demolì letteralmente la teoria dell'equilibrio perfetto
dei mercati (su ammissione dello stesso P.Samuelson)?
Esattamente come per una confessione religiosa, gli "eretici" sono semplicemente oscurati prima, e dimenticati poi (è
noto che nelle facoltà di economia si studino solo le teorie "politically correct").
Tutto questo non fa parte di un "piano" (magari segretissimo; pluto-giudaico-massonico...); la realtà è molto più
semplice e meschina: questi fanno solo il proprio interesse particolare. E il fatto che da questo sorga un certo modello
di economia e di società è solo una conseguenza, come dire, "inintenzionale".
saluti
#924
Citazione di: Phil il 11 Marzo 2018, 16:14:58 PM
Questa è solo la mia "sensazione"... per cui ecco il domandone da mille punti: ci sono dati che trattano questo rapporto fra risparmio/spesa-frivola (ovvero non per bisogni primari) per la famiglia media negli ultimi decenni?



Naturalmente, c'è una montagna di dati a tua disposizione. Come ti dicevo, vanno sotto la voce "domanda interna"
(per cui basta cercare quella dicitura), che è uno dei problemi più gravi che ha il nostro paese (fra l'altro
la bassa cifra del PIL è principalmente dovuta a questo fattore; e questo a sua volta determina un aumento del debito
pubblico etc.).
Naturalmente non si fa distinzione fra spesa "frivola" e spesa "necessaria"; ma va anche detto che tale distinzione
non ha alcuna rilevanza economica (una spesa è sempre una spesa e, facendo "girare l'economia", determina un aumento
della domanda interna, quindi del PIL, e dunque indirettamente provoca un abbassamento del debito pubblico).
Sul risparmio invece mi risulta che le cose non vanno così male (si tratta però pur sempre di dati aggregati, che
non tengono delle specificità - c'è chi risparmia molto e chi invece, per tirare avanti, si indebita).
saluti
Questo mi pare un buon link
https://www.google.it/url?sa=t&rct=j&q=&esrc=s&source=web&cd=6&cad=rja&uact=8&ved=0ahUKEwjyjKTP0uTZAhWMSsAKHR1uAyUQFghGMAU&url=http%3A%2F%2Fwww.corriere.it%2Feconomia%2F17_aprile_01%2Fnon-c-ripresa-economica-senza-domanda-interna-caa08662-1715-11e7-8391-fba9d6968946.shtml&usg=AOvVaw2IEj_9mlPkwRlxWwfIz-VA
#925
Citazione di: anthonyi il 11 Marzo 2018, 07:38:12 AMQuello che però non mi piace dell'uso della parola "ideologia" è l'idea che esista una scienza economica che sia stata costruita ad Hoc per giustificare il mercato. Nell'ambito del dibattito economico sono presenti molteplici analisi che sono state sviluppate per spiegare i cosiddetti fallimenti del mercato i quali spiegano e giustificano varie forme di intervento istituzionale e pubblico e lo fanno con gli stessi strumenti formali con i quali, in altre situazioni, viene dimostrata l'ottimalità del mercato.
Un saluto



Scusatemi, Paul11 e Anthony, se mi inserisco nel vostro discorso, ma c'è questo passo che mi piacerebbe commentare.
Allora, se prendiamo per buone le teorie marginaliste sul valore di un bene economico come il valore che ad esso
attribuiscono gli attori dello scambio (teorie che costituiscono il fondamento assoluto dell'ideologia mercatista),
cioè (allargando il discorso alla visione filosofica di Von Hayek) se consideriamo tutto in relazione alla sfera
soggettiva, allora non esiste UNA razionalità economica, cioè non esiste UNA scienza economica.
Questo è facilmente intuibile: se io devo andare a Milano e ho molti soldi e poco tempo ci andrò in aereo; mentre
se ho pochi soldi e molto tempo ci andrò in autostop (scusate l'esempio scemo, ma credo che calzi).
Credo sia ora di interrogarsi sul portato di "scientificità" di una disciplina "umana" quale l'economia; cioè
credo sia arrivata l'ora di chiedersi: "razionalità a favore di chi?"
E del resto, quella che io credo la più calzante definizione di "eonomia" così recita: l'economia è quella scienza
che studia i mezzi più efficaci per raggiungere uno scopo politicamente prestabilito.
Dunque, per quanto mi riguarda, vi può essere un, diciamo, elevato grado di scientificità per quel che riguarda lo
studio dei mezzi; non ve ne è alcuno per quel che riguarda un fine politicamente, cioè ideologicamente, prestabilito.
saluti ad entrambi
#926
Ciao Phil
Beh, sicuramente è meglio pane e acqua di niente...
Questo però se vogliamo vedere le cose esclusivamente dalla parte del lavoratore in stato di "bisogno" (e beninteso
sottolineo proprio quell'"in stato di bisogno" - intendendolo come immediato); perchè in realtà le cose viste con gli
occhi dell'economista, o con gli occhi di chi ha a cuore le sorti del paese, stanno diversamente.
Dunque tralasciamo il fatto che qui si sta letteralmente cancellando la cosidetta "classe media", di cui facevano
parte anche quei lavoratori mediamente specializzati (e certamente non in stato di bisogno immediato) che nei passati
decenni hanno fatto la fortuna del paese, e concentriamoci sull'economia, come dire, "dura e pura".
A proposito di "domanda interna" (cui accennavo): qui si stanno tirando su intere generazioni che non potranno mai
formarsi una famiglia; il che, economicamente, si traduce nel fatto che non compreranno mai una abitazione (con
annessi e connessi).
Più in generale, intere generazioni non godono e non godranno mai di un reddito che gli permetta di fare qualche
"spesuccia" (oltre che vivono e vivranno una condizione di paura e instabilità che li dissuade e li dissuaderà
dallo spendere anche pochi euro).
Non sto con ciò parlando di "giustizia sociale" o altro argomento di ordine morale: qui siamo in presenza di milioni
di persone che non fanno e non faranno mai "girare l'economia", come si suol dire.
Tutto questo si traduce in scarsa "domanda interna", che è uno dei problemi più gravi che affliggono il paese (secondo
solo forse al debito pubblico).
Il contratto "anomalo", dicevo, giova quindi solo al lavoratore in stato di bisogno immediato. E, ora aggiungo, giova
a quelle aziende cosiddette "a basso valore aggiunto", cioè che producono beni in cui la differenza fra costo (di
produzione) e prezzo (alla vendita) è bassa.
In realtà i contratti anomali non fanno risparmiare soldi alle imprese (anzi, direi tutt'altro). Il vero vantaggio
per le imprese è dato dall'enorme grado di flessibilità che questa tipologia di contratti consentono di avere.
Proprio perchè, nella stragrande maggioranza, si tratta di aziende con produzione a basso valore aggiunto, le
aziende che più si avvalgono dei contratti anomali non hanno un gran bisogno di "formare" i loro dipendenti.
Questo, in genere, perchè il basso valore aggiunto significa una produzione incentrata non, ad esempio, sulla
qualità o sul contenuto tecnologico; ma una produzione, come dire, "di basso profilo" che non necessita di
elevata specializzazione e formazione dei dipendenti.
Ma anche su questo specifico punto torniamo a uno dei grandi problemi di cui soffre il paese.
Abbiamo, come noto, perso tutte quelle "eccellenze" che avevano reso prospero il nostro paese negli anni del "boom".
Eccellenze produttive (penso alla chimica come al tessile, alla siderurgia o all'elettronica) che avevano, appunto,
un "alto valore aggiunto", e che perciò necessitavano di personale altamente o mediamente specializzato.
Allora, magari dirai, che facciamo? Rimettiamo indietro le lancette dell'orologio?
Naturalmente no, ma sarebbe bene rendersi conto che, soprattutto dopo l'adozione di una moneta forte come l'euro,
questa caccia al "basso profilo" (conseguenza del basso valore aggiunto) non ci porterà davvero da nessuna parte.
Ci salverà, magari, nell'immediato (consentendoci di mangiare appunto pane e acqua), ma stiamo sicuri che nel
medio-lungo termine condurrà ad autentici disastri.
saluti
#927
Citazione di: Phil il 10 Marzo 2018, 13:34:54 PMLa questione, se ho ben inteso, è allora come rovesciare (o disinnescare?) il rapporto di forze fra "mercato" (forza d'impatto in crescita) e "politica" (sempre più debole, in quanto dipendente dal mercato).
Una "entità collettiva" nazionale, servendosi di leggi protezionistiche (anti-globalizzazione) e di un economia fortemente statalizzata-interventista, non rischierebbe, nel panorama attuale, la chiusura in un anacronistico isolamento?
Intendi che sarebbero comunque più i vantaggi sociali di tale chiusura che gli svantaggi?

Sull'interessate tema della "debolezza", credo sia necessario mettere bene a fuoco cosa essa significhi concretamente (fermo restando che ogni "quantificazione", anche quella della debolezza, è relativa al suo contesto storico-culturale, come ben osservato qui: http://www.indiscreto.org/perche-vincono-populisti/).
Se il precario è debole nei confronti di chi gli dà lavoro (multinazionale o imprenditore che sia), come possiamo renderlo meno debole? Se ci sono già sindacati, sostegni al reddito, etc. la sua "debolezza" è: di fatto, nell'avere poco capitale da usare e, di diritto, nel non poter scegliere quale contratto avere?




Inutile nascondere, caro Phil, che la fase propositiva è di grandissima problematicità.
Siamo tutti immersi in una economia globale, con interscambi così fitti che qualsiasi idea di un ritorno "autarchico"
al potere politico deve fare i conti (e che conti...) con una realtà che ad essa si oppone irriducibilmente.
A rendere il quadro ancor più complesso ci si mettono anche aspetti, direi, antropologici e filosofici quali
l'emergere di un individuo che, senz'altro, ad un potere "collettivamente inteso", come quello politico, si
oppone in maniera radicale.
Quindi sì, senza alcun dubbio nel panorama attuale è di fatto impossibile non finire in un isolamento (se si
perseguissero politiche diverse dal, diciamo, "mainstream" dominante).
Però diciamo anche che da qui a non usare per nulla la nostra capacità critica ne passa...
Mi chiedi: se il precario è debole, come possiamo renderlo meno debole? Ad esempio rendendolo, come dire, un pò
meno precario...
Come? Magari ripristinando la legge sul lavoro così come era stata originariamente scritta dal povero Marco Biagi
(36 mesi da precario, poi o assunzione a tempo indeterminato o licenziamento). Magari togliendo tutte quelle
forme contrattuali nate negli ultimi anni e rispristinando una trattativa contrattuale nazionale. O in molti
altri modi.
A tal proposito, come fai a dire che queste forme contrattuali "anomale" giovano anche al lavoratore?
Conosco abbastanza bene la materia, e posso assicurarti che forme contrattuali "anomale" ci sono sempre state (ad
esempio in agricoltura, dove la stagionalità necessita di mano d'opera non numericamente costante); il problema è
che adesso queste forme contrattuali sono diventate la regola: perchè? Forse perchè il lavoratore precario è più
ricattabile? Forse perchè la paura che non gli venga rinnovato il contratto lo spinge a "sputare sangue"?
Io credo queste cose probabili...
Intendiamoci, nessuno (a meno che non sia...) sta pensando ad economie pianificate o a, comunque, pesanti interventi
statali. Ma saltare di palo in frasca, come sta avvenendo, non è nè socialmente giusto né economicamente razionale.
Perchè di questo secondo aspetto (la razionalità economica) abbiamo poco o nulla parlato; ma c'è anch'essa, eccome.
Ad esempio (poi ci sarebbe da scriverne intere biblioteche...), pensiamo che questo andamento al ribasso dei
salari (e all'aumento delle rendite) sia economicamente razionale?
Eppure da più parti si avverte che uno dei principali problemi del paese è la scarsa domanda di beni (la "domanda
interna"). E allora, se la gente non compra perchè non ha soldi, pensiamo di togliergli ulteriori soldi? E non
pensiamo che questo deprime ulteriormente la domanda interna?
Un altro esempio è quello relativo al debito pubblico.
Abbiamo un debito altissimo, d'accordo, che impedisce qualsiasi forma di "interventismo" statale o di spesa pubblica.
Ma perchè nessuno ci dice mai com'è possibile che un paese, il nostro, che ha da oltre 20 anni il miglior dato
primario ("avanzo", se positivo) d'Europa si vede crescere costantemente il debito (qui urgerebbe un controllo per
verificare le mie parole, visto che la cosa è grossa assai e che siamo in pieno clima di "fake news"...)?
Che il debito pubblico NON sia dovuto solo alle nostre allegre spese come qualcuno vorrebbe darci a bere (riuscendoci)?
Ma qui mi fermo, sennò vado avanti fino a domattina.
saluti e stima
#928
Citazione di: anthonyi il 10 Marzo 2018, 07:50:17 AM
Ciao 0xdeadbeef, perché rappresenti il mercato come un'entità personalistica? Il mercato è uno strumento, un sistema di regole, discutibili per carità, ma non è che si può dire che il mercato ha strapotere.
Sarebbe come dire che un sistema elettorale ha strapotere perché pretende di nominare con le sue regole tutti i deputati di un'assemblea.
E comunque le entità collettive non sono in antitesi al mercato, basta rispettare il diritto degli individui di scegliere se appartenere o meno a dette entità collettive.


Per tutta l'economia detta "classica" (fino a Marx e Ricardo) il valore di un bene economico è determinato dal
cosiddetto "valore-lavoro", cioè dalla quantità di lavoro necessario a produrlo (celebre l'esempio di Marx circa
i diciannove - mi pare - passaggi per fare uno spillo).
Questo fino alla Scuola Marginalista, che affermò il valore di un bene economico essere il valore che ad esso
attribuiscono gli attori dello scambio (che è il concetto che vige nella contemporaneità).
Cioè, in linea con la cosiddetta "rivoluzione copernicana del pensiero" (Kant), ovvero con la "messa al centro"
del soggetto in un mondo che fino ad allora aveva appunto "messo al centro" l'oggetto, anche in economia sono
i soggetti attori dello scambio ad assumere preponderanza sugli oggetti costituiti dalla quantità di lavoro
necessario per produrli (l'esempio più "facile" di quanto vado dicendo è lo "schizzo" di un grande artista, che
benchè necessiti di ben poco tempo per essere realizzato assume però grande valore sia per il venditore che per il
compratore).
Questo vuol semplicemente dire che tutto il mercato si fonda su "valori" (mercatistici) soggettivi, individuali.
L'aggettivo "libero", che sempre più si accompagna al sostantivo "mercato", dimostra che esso, il mercato, è sempre
più inteso come "sciolto" da regole e norme (celebre la definizione, mi pare di R.Reagan, di un mercato libero da
"lacci e lacciuoli" normativi). Direi anzi che tutta la tradizione "mercatistica", da Adam Smith ai Marginalisti,
fino ad arrivare agli odierni economisti sostenitori della teoria dell'equilibrio perfetto dei mercati, abbia sempre
predicato e predichi esattamente la non-invadenza normativa da parte dello stato (secondo il noto giurista R.Nozick
lo stato dev'essere "minimo", cioè garantire esclusivamente la sicurezza interna ed esterna e il rispetto dei
contratti stipulati in regime di libero mercato).
Tutte teorie che, anche se non esplicitate chiaramente nelle loro forme, riempiono ogni "interstizio" della
nostra vita nell'attualita'.
O almeno così a me pare...
saluti
#929
Citazione di: InVerno il 08 Marzo 2018, 22:37:02 PME' proprio il prezzo marginale, azzerato lentamente dalla digitalizzazione, a mettere in atto quell'esaurimento del sistema. Leggendo però Socrate (l'utente) che contrappone una sinistra egalitaria e classista, ad una destra libertaria e meritocratica, mi rendo conto di una contraddizione. La forza politica che ragiona per classi orizzontali, ad oggi, è la destra. Non la destra riformista (o centralista) e neoliberista che bene o male sta seguendo lo stesso andamento della controparte, ma quella destra nazionalista (in europa "lepenista") che sta invece guadagnando terreno, spaventando proprio quel capitale che riconosce nelle pastoie nazionali una iattura "antimeritocratica". Se tanto mi da tanto, quando Benoist descriveva il fascismo come "un socialismo senza materialismo e internazionalismo" , Socrate e noi dovremmo ben ponderare le analisi. E' inutile comunque paventare spauracchi "fascisti", esistono esempi ben più gentili di queste transizioni politiche, come accadde in America a cavallo dell'ultimo secolo dove partito Repubblicano e Democratico si scambiarono  diametralmente di posizione ruotando intorno all'idea della dimensione dello stato, tensione che poi terminerà nel New Deal, da parte di quella forza politica che trentanni prima predicava turboanarcocapitalismo.



Ciao InVerno
Ti confesso che per quanto mi sia sforzato non sono riuscito a capire quanto affermi nella prima riga della risposta...
Ti rispondo quindi sulla base del poco che mi pare di intuire. La digitalizzazione azzera semmai il valore aggiunto, non
credi? Il prezzo marginale dovrebbe invece scendere all'aumentare dei volumi produttivi; almeno secondo la teoria dell'
economia di scala cui mi riferivo.
Da questo punto di vista, per "esaurimento del sistema" si dovrebbe intendere la saturazione dello spazio "fisico" (la
globalizzazione, una volta "globalizzato il globo", per usare un gioco di parole, non troverebbe più alcuno spazio).
Ma se lo spazio fisico è saturato, non saturato nè, per certi versi, saturabile è lo spazio virtuale; da qui l'espansione
del mercato nella finanza (come del resto aveva già intuito J.Schumpeter negli anni 40 del 900).
E comunque ribadisco che importante è capire come la globalizzazione risponda ad una precisa logica di ordine economico:
il sistema capitalistico o si espande o implode (in quanto il "plusvalore", nella stasi, tende ad azzerarsi).
Trovo invece molto pertinenti le tue successive argomentazioni.
Il motivo, infatti, per cui non posso più dirmi di sinistra è esattamente quello. Ma a proposito cade anche il tuo
riferimento agli USA. Chissà, forse un giorno certa sinistra (anzi, il pochissimo che ne resta) capirà che è andata ben
oltre quel "morire democristiani" che era lo spauracchio dei comunisti di decenni orsono...
saluti e stima
#930
Citazione di: Phil il 08 Marzo 2018, 21:37:03 PM
non intendevo affatto che la povertà non stia avanzando (non conosco i dati, mi fido senza esitazione di te :) ), quanto piuttosto che sul piano politico, oggi la debolezza economica non è anche necessariamente una debolezza di diritti, una mancanza di difesa del debole (l'aspetto che hai individuato come perno fondamentale del discorso).
Chiedo: lo stato sociale di oggi è meno "accudente" di quello dei rampanti anni ottanta, soprattutto al netto della differenza di andamento economico ("boom vs crisi")?

Bisognerebbe forse fare una "fenomenologia della debolezza", distinguendo accuratamente il piano politico da quello economico, non perché i due non siano intrecciati (indubbiamente!), ma perché talvolta l'economia opprime ma il welfare decomprime, o almeno ci prova (fino a un secolo fa, il debole era oppresso in entrambi i settori, economia e diritti-sussidi, ora la debolezza economica va ripensata nel contesto democratico vigente). In questo senso scrivevo che il paradigma di sinistra "classico" va rivisitato nel cuore delle sue categorie, figlie di un'epoca differente (e, sempre a scanso di equivoci, non dico fosse un'epoca migliore o peggiore: nessuna teleologia storicistico-metafisica  ;) ).



Innanzitutto devo scusarmi, caro Phil, di aver usato espressioni non proprio "felici" (come quella degli occhiali...).
Così come di aver espresso delle tesi in maniera non chiarissima (me ne accorgo solo adesso rileggendo il mio post).
A mia parziale scusante, diciamo che avevo avuto una giornata piuttosto pesante (tanto dovevo,anche perchè capisco di
trovarmi davanti una persona estremamente gentile ed educata, e che quindi merita altrettanto riguardo).
Quello che io sostengo è che se lo stato va sempre più obliandosi, necessariamente anche le sue leggi seguono il medesimo
destino.
Ogni cosa, e lo vediamo quotidianamente, è sempre più regolata non da "leggi", ma da "contratti" (il compianto e valente
giurista Guido Rossi, ad esempio, già qualche anno fa sosteneva che di fatto il Codice Fallimentare risultava privatizzato).
Direi, anzi, che la stessa "legge" è sempre più intesa come "contratto", laddove sempre più si giudica non dell'"in sè"
normativo, ma della privata convenienza o meno di ripettare quell'"in sè".
Guarda, tanto per fare un esempio davvero "classico", alla miriade di contratti di lavoro sorti negli ultimi anni. Si è
sempre meno rispettato un contratto nazionale unico di categoria (che non è certo "legge" ma che ad una legge è, tutto
sommato, molto somigliante) per dare sempre più spazio a contratti detti "di secondo livello", o aziendali, ove non
addirittura personali, visto che di fatto nulla impedisce più alle aziende di applicare contratti personalizzati.
Tutto questo ha forse portato benefici ai lavoratori (che, in questo caso specifico, rappresentano i "deboli")?
Sicuramente negli anni 80 lo stato sociale era ben più "accudente" di quello di oggi.
Questo è dovuto, naturalmente, a vari motivi. Forse oggi quel modello non è riproponibile, ma non c'è a mio parere
dubbio che tutto ciò sia dovuto "anche" ad una redistribuzione sempre meno equa della ricchezza prodotta (certi
squilibri non sono dovuti a nessuna "crisi", ma rispondono a criteri "meritocratici" che sempre meno tengono conto
delle condizioni di vera ed autentica sofferenza delle classi meno abbienti - e che sono, in ultima analisi, i criteri
introdotti dalla forma-mentis mercatistica).
Mi pare piuttosto che da certe tue considerazioni emerga una distinzione fra i cosiddetti "diritti civili" e quelli
detti "sociali".
A mio modo di vedere, il "diritto" è sempre e solo stabilito dall'autorità statuale; e lo distinguerei dalla "libertà"
così come da sempre intesa nel mondo anglosassone (la libertà preesiste all'autorità statuale, che deve solo rispettare
la sua originarietà). Ma non intendo divagare ed andare a parare in un campo che poco c'entra con quello di cui stiamo
discutendo.
Al "mercato" poco importa dei diritti "civili" (secondo il mio paradigma parlerei comunque di "libertà civili"...).
Al mercato interessa solo ed esclusivamente che il "diritto sociale" non vada ad intaccare i principi su cui si regge
la sua impalcatura ideologica (spacciata spudoratamente per scienza economica).
Al mercato interessa che ogni cosa sia soggetta ad esso stesso. Per cui non può esistere un contratto nazionale unico
(tanto per restare al nostro esempio) stabilito da due parti contraenti "ufficiali" (ad es. Confindustria e il Sindacato)
che rappresentano la pluralità delle parti contraenti; ma tale pluralità deve poter esplicarsi "privatamente", cioè senza
nessuna rappresentanza "collettiva".
Questo perchè il Mercato è, in ultima analisi, l'antitesi di qualsivoglia "entità collettiva" (e l'entità collettiva è,
come vado dicendo lungo tutto questo post, l'unico rimedio al suo strapotere).
saluti