Penso che si tratti di due piani diversi, Claudia. Il soggetto prevaricatore va fermato, punito, contenuto. Non c'è alcuna uguaglianza fra vittima e carnefice rispetto al fatto "hic et nunc" perpetrato o che si pensa di perpetrare. Ma in una accezione più socio-filosofica, occorre tener presente come la "cattiveria" sia un fenomeno complesso, che va considerato nelle sue origini ambientali, individuali e casuali e nella dinamica storica di ogni gruppo umano. Vista in questa prospettiva la "cattiveria" diventa più difficile da confinare secondo una distinzione netta fra "buoni" e "cattivi". Ti assicuro in modo piuttosto certo che, salvo problematiche neurologiche, la "cattiveria" è un percorso di apprendimento e di sviluppo di comportamenti routinari che diventano "modi di essere" (o modelli operativi interni, secondo Bolwby), a loro volta interagenti con il carattere individuale, l'ambiente dove vive il soggetto e il caso. Ciò non toglie, ripeto, che ognuno di noi sia responsabile, al cento per cento di ciò che fa, salvo perizia psichiatrica che affermi il contrario.
Per aggiungere carne al fuoco, si pensi come un certo comportamento e i relativi stati affettivi possono anche essere ereditati geneticamente. Quindi un ambiente che sollecita risposte predatorie, creerà un gruppo di dimoranti in quell'ambiente geneticamente inclini alla violenza, secondo un processo di feed-back che si autoalimenta e riproduce quel livello di predazione. Il tutto secondo i canoni della teoria evolutiva.
Per aggiungere carne al fuoco, si pensi come un certo comportamento e i relativi stati affettivi possono anche essere ereditati geneticamente. Quindi un ambiente che sollecita risposte predatorie, creerà un gruppo di dimoranti in quell'ambiente geneticamente inclini alla violenza, secondo un processo di feed-back che si autoalimenta e riproduce quel livello di predazione. Il tutto secondo i canoni della teoria evolutiva.