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Messaggi - Jacopus

#946
Tematiche Culturali e Sociali / Ordini ed Albi
25 Giugno 2023, 22:33:42 PM
Nei limiti della mia conoscenza vorrei fare un po' di chiarezza fra Ordine ed Albo, prendendo spunto dalla discussione di Eutidemo e Claudia sui casi di morte psicotica all 'estero. L'ordine è una associazione di professionisti che, per svolgere quella professione debbono avere dei requisiti formativi e/o pratici che permettono di affrontare un esame di stato, che garantisce uno standard alla professione. L'Ordine ha in seguito dei poteri di controllo e di supporto ai suoi appartenenti per garantire la qualità della professione. L'albo è invece più di natura privata, allorquando dei professionisti si riconoscono in un certo modo di fare quella professione, oppure in quei casi in cui l'ordine non è stato istituito. In certi campi, come in psicologia è normale essere accreditati presso l'Ordine degli psicologi, che avviene tramite esame di stato, ma poi si scelga anche di entrare in un albo specifico come ad esempio la SPI, società psicoanalitica italiana, che raccoglie gli psicoanalisti italiani, che potrebbero anche essere dell'Ordine dei medici oppure di nessun Ordine, visto che i criteri per accedere allo SPI sono molto più rigorosi e severi ( e lunghi) di ogni esame di stato per accedere alla professione di psicologo e medico.
Questa premessa per dire che non è vero che gli Albi sono sempre "fuffa", perché si paga qualche associazione che ti prepara un corso per 3000 euro e poi ti appioppa la qualifica di "counseling" oppure "monitoring worker coach" et similia. Esiste anche questa triste realtà ma specularmente anche gli Ordini non brillano e spesso sembrano una riproduzione in piccolo dei meccanismi farraginosi di una burocrazia kafkiana, che stigmatizza ogni atto creativo, fuori dai binari e che diventa una passerella o un trampolino di lancio verso la carriera politica o più prosaicamente per evitare il lavoro quotidiano.
#947
Attualità / Re: Questione di lessico?
23 Giugno 2023, 12:50:30 PM
CitazionePer non parlare del pensiero unico politicamente corretto che mi ha portato a rivalutare eresie semantiche proibite come: negro, zingaro, frocio, puttana, vecchio, disabile, cieco, sordo, zoppo, al posto degli eufemismi che li hanno esclusi dalla liceità linguistica.

È certamente un terreno scivoloso, ma di fronte alle albionate che aboliscono "woman" dalle cartelle cliniche, mettendoci "individuo con una cervice uterina", trovo che la distinzione tra "donna" e "frocio" sia intellettualmente molto più onesta.
Come dire: "Tu sei zoppo? E allora io, per dispetto divento paralitico!".
#948
Attualità / Re: Questione di lessico?
23 Giugno 2023, 09:53:54 AM
La lingua è una delle manifestazioni più importanti di una cultura e la riflette come in uno specchio. Ben più grave di questi neologismi ritengo l'appiattimento del linguaggio e la comprovata diminuzione delle parole conosciute da una persona media. Se infatti è possibile pensare anche senza parole, la ricchezza del linguaggio e la conformazione della sue regole grammaticali strutturano lo stesso pensiero ed anche lo stesso cervello dei pensanti, al punto che pensare in inglese comporterà un tipo di pensiero "algoritmicamente medio" diverso dal tipo di pensiero, pensato in un'altra lingua.
Rispetto al concetto di contaminazione invece lo ritengo un concetto molto produttivo, essendo noi stessi il risultato di una contaminazione fra due dna diversi, quelli dei nostri genitori. Per non parlare della continua contaminazione dovuta ai circa 100 miliardi fra virus e batteri che ospitiamo normalmente nel nostro corpo, alcuni dei quali simbiotici (al punto che senza di essi vivremmo peggio o non vivremmo affatto), altri neutri ed altri più o meno patogeni. La purezza e la non contaminazione sono sempre stati modi di pensare molto pericolosi. La purezza del sangue è uno dei principi fondamentali delle teorie autoritarie di destra (con questo non voglio dire che Pensarbene sia di destra, ma mi ha dato lo spunto per scrivere quello che ho scritto).
#949
Sicuramente Bob, l'etica non è una esclusiva dell'uomo. Anzi a partire dagli animali è possibile riflettere sui principi etici fondamentali, come primo fra tutti, la necessità di ripartire equamente le risorse. Ma di fronte ad una preda straziata, pur di fronte all'etica sarà sempre il membro più forte del gruppo a cibarsi meglio e di più, contando solo sulla propria forza. L'umanità invece avrebbe la possibilità di contrattare i criteri per dividere le risorse, evitando che esse si concentrino in modo così ingiusto e irrazionale.
L'etica è un principio di responsabilità (per parafrasare Jonas) e la nostra responsabilità è una responsabilità diffusa e globale.
#950
È possibile che tu abbia ragione Alberto.
Ma sono le utopie che hanno cambiato il mondo. Un po' surrettiziamente mi viene da pensare che la malattia mentale non sia altro che il doppelganger delle mente visionaria dell'uomo, a partire da quel nostro progenitore che da una selce ha utopisticamente estratto un coltello. Penso che proseguirò su questo cammino che è lo stesso di Edipo. Non importa il prezzo da pagare perché alla fine resta della nostra vita solo lo sguardo che sei riuscito a scambiarti con la Sfinge. Sulla confusione dei nostri tempi hai ancora una volta ragione e non esistono facili ricette di pronta guarigione. È possibile che lo stesso progetto homo sapiens sia viziato fin dall'origine, ma allora, a maggior ragione, perché non provarci a cercare ognuno nella sua piccola o grande vita, la giustizia, quel sentimento che ti fa dire: "questa è la via più comoda ma io sceglierò l'altra, perché è la via più giusta".
#951
Koba. Ritengo che la distinzione che fai fra il piano della critica e quello della prassi non mi appartenga. L'irriducibilità dell'uomo ad istanze metafisiche teologiche o naturali che siano, comporta ovviamente il relativismo o nichilismo, come giustamente fai notare ma il passaggio successivo è proprio quello di creare attraverso un lavoro su sè stessi, un mondo giusto, un mondo di giusti come nella tradizione ebraica e non un mondo di santi, come in quella cristiana. E la ricerca della giustizia deve essere una ricerca fra soggetti che si riconoscono reciprocamente, senza la distinzione servo/padrone di hegeliana memoria. Ma affinché quella ricerca sia autentica non si può prescindere dalla propria storia o da pezzi ideali della propria storia. Quindi la bildung è un processo che pur rinnegando teologie divine o naturalistiche, le deve accettare come radice del proprio pensiero e della propria azione. In fondo quello che sto dicendo lo ha detto in modo molto più elegante Kant in was ist Aufklarung. Io  sono solo un modestissimo glossatore. Kant però viveva in un epoca in cui si poteva sperare in un "progresso" tecnico esterno all'uomo che avrebbe forgiato le chiavi definitive della sapienza e della giustizia. Oggi, che questa speranza non si è avverata dobbiamo partire da altre basi, senza dimenticare il modello dell'Occidente, che non è relativo ma che può e deve assumere le maschere di ogni epoca che attraversa. Ma il prototipo dell'Occidente, oscurato poi da altri eventi che hanno rischiato di soffocarlo, è l'eroe tragico greco. Ad esso si è aggiunto l'eroe messianico ebreo. Ora bisognerebbe distillare da questi due eroi la sostanza per un nuovo mondo, in cui l'uomo possa superare finalmente e collettivamente lo stato di minorità imputabile a sè stesso. Scusate la scarsa chiarezza ma sono concetti su cui medito da molti anni ma rispetto ai quali non ho mai potuto sviluppare un pensiero sistematico, visto che faccio il filosofo solo nei ritagli di tempo. Ovviamente sono ben accette le critiche a quanto espresso, ma questo è implicito e in un certo senso affine a ciò che sto dicendo, che si fonda sulla necessità di critica e di non assoggettamento a qualsiasi "ipse dixit".
#952
Direi la terza, che preferisco definire percorso pedagogico o di bildung, come ama dire la tradizione filosofica classica tedesca. O se preferisci andare indietro nel tempo "gnothi sauton" (conosci te stesso).
#953
Hai ragione Duc, mi sono lasciato prendere la mano. Di sicuro l'ambiente condiziona ma ognuno ha la possibilità di affrancarsi da quell'ambiente. Del resto ho detto nello stesso messaggio una cosa all'inizio e il suo contrario alla fine. Ovviamente posso anche giustificarmi tirando in ballo Spinoza: Omnis determinatio negatio est. ;D

Aggiungo anche che le conversioni "in articulo mortis" sono sempre grottesche, mentre ritengo degnissime le conversioni avvenute ad un certo punto del percorso di ognuno di noi, quando ci si volta indietro e  si esclama "mio Dio, ma cosa sto combinando?".

#954
Penso, per esperienza personale che le persone possano cambiare. Per la stessa esperienza personale penso che B. non sia cambiato e sia morto con le stesse convinzioni con le quali è vissuto, e genericamente sotto la legge del marchese del Grillo, ovvero perchè "io so io e voi non siete un cazzo", con in più una indole imbonitoria che serviva per rendere più dolce la fregatura.

Ma al di là di B. ciò che rende questo paese, l'Italia, un paese non del tutto europeo, è aver assistito a tutte queste nefandezze nel corso di più generazioni. Infatti forse non tutti sanno che, il padre di B. era sospettato di organizzare il passaggio di fondi neri (per non pagare le tasse o per riciclarli), dall'Italia alla Svizzera. E' da questo mileiu che nasce B., che avrà conosciuto fin dalla sua adolescenza, faccendieri, uomini di stato corrotti, malavitosi con la cravatta. Non poteva andare altrimenti. E' stato semplicemente l'apoteosi di un mondo corrotto e facilmente corruttibile, nel quale non vi è stata mai nessuna "rivoluzione" etica e spirituale, essendo sempre asservito economicamente e culturalmente a Santa Madre Chiesa e alla sua tradizione di corrutele che si perde nella notte dei tempi.
#955
Forse diciamo le stesse cose con parole diverse. Quello che non accetto è la presenza di un dato oggettivo ed esterno all'uomo che possa definirne l'etica, sia che si chiami natura o Dio. L'etica, il bene e il male nelle relazioni umane sono il frutto delle relazioni stesse. E in questo processo relazionale emerge sempre anche la forza individuale in grado di modificare le concezioni dell'etica. Esattamente come accade in natura, nella quale avvengono mutazioni biologiche che dal soggetto singolo si trasferiscono alle specie. Ancora in altre parole occorre saper tener insieme le fondamenta "naturali" ed anche quelle "trascendentali" (che non nego), definendo l'uomo misura di sè stesso. E nel fare ciò non rivendico il potere dell'uomo che si svincola dai limiti ma esattamente il contrario, l'uomo che, finalmente affrancato dal dominio di enti autoritari definisce il suo destino come responsabilità. La scommessa è la stessa, in realtà, di quella descritta nel secondo libro della Repubblica di Platone, nel quale Glaucone racconta la storia del pastore Gige, che trovando un anello che lo rendeva invisibile, lo usò per usurpare il potere legittimo. Glaucone irride così la teoria di Platone della bontà intrinseca dell'uomo. Noi oggi siamo nella condizione di Gige. Abbiamo l'anello che ci rende invisibili (tecnè) ma lo usiamo senza responsabilità. Seguiamo lo stesso principio di potere assoluto intrinseco al concetto di Dio o di Natura. Se sapremmo modificare questo uso dell'anello in modo responsabile, cambierebbe in profondità la stessa struttura della società occidentale. La domanda successiva è: come fare per ottenere questo risultato? In ciò sta l'irriducibilità dell'uomo, poiché per farlo serve la pedagogia, l'addestramento all'incontro e alla riflessività. Un detto buddista che Platone avrebbe sicuramente accettato recita: semina un atto e otterrai un comportamento, semina un comportamento ed otterrai un carattere, semina un carattere ed otterai un destino. Che questo processo possa riguardare anche i cani è plausibile, ma i cani non dispongono della nostra tecnologia e delle nostre società complesse. In altri termini l'irriducibilità dell'uomo discende da due circostanze, la complessità del suo SNC e dalla successiva creazione della tecnè, fattori interagenti che nessun altro essere vivente condivide attualmente con noi. Questa irriducibilità ha come conseguenza la responsabilità dei nostri atti e la libera volontà in una dimensione esclusivamente immanente.
#956
Non entro nel merito della psicologia, perché quello che sto facendo qui è un discorso strettamente filosofico. In modo sintetico l'irriducibilità dell'uomo consiste nel rispondere no a quattro domande.
1) il male dell'uomo proviene dalla sua natura inevitabilmente malvagia? No.
2) il male dell'uomo proviene da un allontanamento dal divino? No.
3) il bene dell'uomo proviene dalla sua natura intrinsecamente buona? No.
4) il bene dell'uomo si realizza con l'avvicinamento dell'uomo alla divinità? No.
#957
Non entro nel merito di Bettelgeuse ma a proposito dell' asteroide che comportò la fine del dominio dei sauridi sulla terra non si tratta di ipotesi ma di dati certi. L'asteroide cadde 65 milioni di anni fa sull'attuale Yucatàn (Messico), sconvolgendo la biologia del pianeta a causa dell'oscuramento del sole da parte di tutti i detriti che si sollevarono a seguito dell'impatto. Se la cavarono meglio gli animali marini ma sulla terraferma si estinsero molte specie e se ne affermarono altre, ovvero i nostri primi antenati mammiferi, che essendo piuttosto piccoli poterono sopravvivere anche grazie alle tante carcasse dei sauridi. Questo per dire che l'asteroide non portò dna alieno, o perlomeno questa ipotesi non è stata dimostrata. La vita semplicemente proseguì come poteva nel mutato ambiente. Fu la quinta ed ultima estinzione di massa. La sesta, a cura dell'uomo, è in corso.
#958
CitazioneLa contingenza che (probabilmente) siamo qui ed ora i soli a poter agire "eticamente e globalmente" rispetto alle piante e alle bestie non e' importante.
A questo punto penso che la differenza fra di noi, Niko, a proposito di questo tema sia qui. Pensare che siamo dentro un flusso dove comunque qualcosa accade è tipicamente "orientale". Ripeto, non ho alcun sogno antropocentrico o teologico, l'uomo si estinguerà, prima o poi e in seguito potranno esserci specie autocoscienti o non auto coscienti, dipenderà dalle condizioni dell'ambiente. L'unica legge evoluzionistica è lo sviluppo della vita e il suo adattamento all'ambiente. Ma finché ci saremo, dovremmo sentire il bisogno di conoscere e praticare la "giusta etica", indipendentemente dal riuscirci o no. In merito al libero arbitrio hai ragione. Questa mia visione dell'uomo non può che presupporre come conditio Sine qua non, la presenza del libero arbitrio o come preferisco dire della libera volontà.

Per Alberto: il volume del encefalo è solo uno dei fattori che influenzano l'intelligenza, che dipende anche dalla sua architettura interna. Se vogliamo usare una metafora abusata, il volume del cervello può essere un hardware più o meno grande, ma al suo interno vi devono essere dei programmi interconnessi fra di loro per permettergli di funzionare al meglio e i programmi interconnessi sono le quantità di sinapsi che collegano fra di loro i neuroni. Il numero delle sinapsi in un cervello sano è smisurato, nell'ordine di miliardi di connessioni. Quindi un cervello piccolo di un piccione, con molte connessioni potrebbe essere più efficiente di un cervello più grande ma più povero di sinapsi.
#959
D'accordissimo Niko. La contingenza però dice che ora ci siamo noi umani e solo noi umani in questo pianeta terra "oggi", possiamo fare eticamente. Il mio discorso tende a denaturalizzare ogni ideologia che si giustifica sulla base della natura compresa quella di un evoluzionismo inteso come progresso, anche solo biologico. La teoria evoluzionistica sintetica parla di equilibrio fra le specie viventi, non c'è alcun disegno verso una complessità emergente. È probabile che i sauridi fossero complessivamente più intelligenti dei primi protomammiferi. E tende anche a responsabilizzare l'uomo, perché se è un soggetto extra-natura allora non deve sottostare a supposte leggi naturali ma è egli stesso l'artefice del proprio destino. Non dobbiamo pertanto aspettarci nè indicazioni divine, nè indicazioni naturali, ma esclusivamente umane. Eppure dobbiamo farlo attingendo al sacro, intendendo con ciò tutto ciò che lega ed unisce. Capisco che sono riflessioni forse confuse e poco chiare ma in realtà sto usando questo forum e le vostre risposte per provare a chiarire questo panorama attuale di una umanità che usa Prometeo senza ascoltare Atena.
#960
Niko. In questo discorso è facile confondere i piani. Personalmente non dimentico Darwin, che è anzi uno dei miei maestri insieme a Freud e Kant. Nel mio discorso sulla specificità dell'uomo non c'è un virus antropocentrico o teologico. Sono certissimo che prima o poi homo sapiens si estinguerà e al suo posto verranno nuove specie. Così come sono sicuro che sono esistite specie molto simili alle nostre ed anche oggi ve ne sono alcune che hanno comportamenti analoghi ai nostri. Tutti gli uccelli (che sono sauri in origine) e i mammiferi hanno emozioni come le nostre. I meccanismi neurali e biologici così come la replicazione a dna sono uguali, ma homo sapiens ha fatto un salto attraverso la cultura e il suo interagire con un sistema nervoso centrale molto complesso. Siamo natura? Naturalmente. Ma siamo anche altro. Come per ogni fenomeno possiamo ingrandire il focus su "Homo sapiens appartenente a Natura", oppure su "Homo sapiens diverso da Natura". Se vogliamo potremmo dire che ogni religione nasce dalla constatazione dell'uomo come organismo biologico diverso dal resto degli altri organismi biologici. Il passaggio è da Natura naturata (intesa come natura perfetta una volta per tutte) a Natura naturans (intesa come natura dinamica che si evolve, ma non più in modo indipendente dall'uomo bensì con l'uomo come interpolatore e creatore della natura), obiettivo a cui siamo sempre più dentro ma che in realtà coltiviamo già da almeno cinquemila anni, attraverso la selezione dei semi e delle specie. Il passaggio successivo come fa notare Ipazia è domandarsi se, dopo aver inventato la bicicletta (tecnica), sappiamo anche usarla bene (etica). O in altri termini abbandonare la consolatoria navicella delle religioni ed affrontare la nostra unicità in termini di responsabilità, gli uni per gli alti.
Il nostro status unico, che forse avremmo potuto condividere con Neanderthal, Denisova e Floriensis, è riscontrabile dalla plasticità delle nostre culture, ognuna delle quali assume come principi di comportamento, leggi opposte o diversissime, prova della artificialità del nostro essere nel mondo. Ovviamente non è una prova definitiva, poiché si può sempre replicare che questa stessa plasticità è frutto della natura, ovvio ma così non si coglie l'oggetto della tesi, che rischia di scivolare via. Anche un automobile può essere definita come appartenente all'insieme "metallo più plastica", senza però individuarne in questo modo la sua identità e la sua funzione.