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Messaggi - Apeiron

#946
Varie / Re:Pseudonimi
13 Febbraio 2017, 19:43:05 PM
Il mio Apeiron (traduzione non letterale: "senza confini") non dovrebbe essere troppo complicato. L'ho scelto perchè il concetto introdotto da Anassimandro, il primo scrittore-filosofo greco, è il primo tentativo di comprendere l'Incomprensibile Assoluto e inoltre è il primo concetto che si oppone alla nostra realtà finita (ossia "peirata"). Ho scelto l'iniziale maiuscolo per dare al concetto la sua giusta importanza. Avevo pensato anche di chiamarmi "Logos", tuttavia per un motivo abbastanza ovvio non l'ho fatto  :P

Citazione di: Sariputra il 13 Febbraio 2017, 11:16:53 AMIl mio è semplicissimo: Sariputra, Sari per gli amici. Il tuo è complicatissimo, sbaglio sempre la posizione delle H...

Ecco solitamente ti chiamo Sariputra ma se ti chiamo Sari non arrabbiarti. Ti considero un amico ma siccome non leggo nella mente degli altri non potrò mai capire se potrò chiamarti "Sari".  ;D  ;D  ;D  ;D 

P.S. Magari tra errori di battitura e di lettura può essere che mi sia capitato di sbagliarmi. Chiedo perdono anche per futuri errori.
#947
Mi spiace ma mi trovo in una situazione per cui posso scrivere poco, quindi spero che la qualità di quanto scriverò in questo post non rispecchi la quantità  ;D 

Primo: criticare la metafisica perchè "pretende" di assolutizzare le verità che sono tali solo in certe prospettive si basa sul presupposto che la metafisica debba necessariamente parlare solo di una realtà assoluta, ossia indipendente dalle prospettive. Il prospettivismo una sorta di versione "metafisica" del relativismo sostiene che pur non essendoci una realtà assoluta è possibile usare la metafisica (ossia il modo di spiegare la realtà tramite distinzioni/enti) anche solo per stabilire ciò che è vero secondo le varie prospettive. Per questo motivo ritengo doveroso "creare" una sorta di "teoria" (mappa) che in qualche modo tenta di descrivere il mondo-come-lo-vedo-io (territorio). Ma visto che mi pare impossibile costruire mappe senza usare i concetti della metafisica - ossia dividere la realtà in enti - allora la metafisica sono costretto ad utilizzarla comunque, per quanto la cosa possa darmi fastidio. Il discorso semmai si sposta sulla seguente domanda: la mappa è più simile ad una "approssimazione" della realtà o ad un semplice modello concettuale? Ossia: le mappe che creo hanno la stessa forma, una forma simile o completamente diversa dal territorio. Visto che a tale domanda non possiamo mai avere risposta (la quale risposta sarebbe infatti un'altra mappa) mi fa scegliere di ritenere la teoria una approssimazione della realtà, per quanto imperfetta essa sia. Certo mi rendo conto che è un'approssimazione ma questo spiega perchè certe approssimazioni sono meglio di altre nel confronto con la realtà.

Secondo: il concetto di prospettiva implica il concetto di soggetto, il quale è un concetto metafisico. Se si ritiene la metafisica superata bisogna anche superare il soggetto e le prospettive. Frasi come "mi sembra", "secondo me" ecc in realtà sono ancora metafisiche. Perciò il relativismo non è un vero superamento della metafisica, quanto invece una metafisica mascherata. Nuovamente certe interpretazioni del buddismo (scusami Sariputra se lo cito  ;D ) ci vengono in aiuto: negando il soggetto si nega anche l'oggetto e ciò che rimane è la Realtà Ineffabile sulla quale si deve stare in silenzio (e così ci ho messo anche il buon Ludwig Wittgenstein  ;D ).

Terzo: il problema del concetto di Essere è appunto che come opposto ha il concetto di Non-Essere o Nulla. Ma se il Nulla Non è allora non può essere nemmeno pensato. Motivo per cui non può essere nemmeno pensato l'Essere.  Essere e Nulla perciò sono "fuori dalla filosofia" nel senso che sono pseudo-concetti che indicano che la filosofia non potrà descrivere tutto. Se tenta di farlo cade in contraddizioni (dove non sono previste), insensatezze ecc. Come direbbe L.W. "il linguaggio è andato in vacanza". Per evitare che il linguaggio vada in vacanza è meglio tacere.

Quarto: la contraddizione è inseparabile secondo me dal divenire. Per comprendere questa mia affermazione chiedo a tutti di non identificare per forza il proprio sé con qualche elemento stabile del proprio corpo o della propria mente bensì proprio con l'atto di vivere. Ma le parole e i concetti in realtà sono fissi e "morti" mentre l'esperienza vivente è "mobile", "viva" ecc Motivo per cui o si accetta la dialeteia oppure nuovamente si deve accettare che domande come "esiste un io?" sono in realtà insolubili oppure addirittura insensate. Perciò o si usa la dialeteia oppure come nel caso di Essere e Nulla l'io è uno pseudoconcetto che indica qualcosa di "oltre", qualcosa di incomprensibile, di ineffabile. Perciò risulterebbe che l'io, l'Essere, il Nulla e "concetti" simili in realtà sono come il famoso "dito che indica la Luna" della filosofia Zen.
#948
Citazione di: sgiombo il 12 Febbraio 2017, 19:42:24 PM
Citazione di: Apeiron il 12 Febbraio 2017, 14:20:43 PM


Il problema è l'abuso della stessa. Ad esempio pensare di essere un "ente" e ritenere che per noi funzioni il principio di non-contraddizione aristotelico. Invece secondo me la nostra facoltà di scegliere e di cambiare ci conduce a ritenere vere le seguente proposizioni:
"io sono lo stesso di 10 anni fa"
"io non sono lo stesso di 10 anni fa"
Ma questo NON è dovuto al fatto che ci sia una substantia, un atman che non cambia, dentro di noi. E qui si arriva ad una metafisica "paradossale" secondo la quale una cosa cambiando rimane se stessa.

CitazioneNon ci vedo nulla di paradossale.
Semplicemente può darsi mutamento relativo, limitato, parziale ovvero (è la stessa cosa detta con parole diverse) fissità relativa, limitata, parziale.
Qualcosa del me di oggi é uguale al me di dieci anni fa, qualcos' altro é cambiato ed ora é diverso.



Tutto il mio pensiero, tutte le mie cellule ecc sono cambiate nel corso degli anni. Non puoi trovare niente di materiale e nemmeno tra i pensieri che sia rimasto identico. Ritengo invece che nuovamente io "vivo" ossia permango nel cambiamento.
#949
Citazione di: Angelo Cannata il 12 Febbraio 2017, 14:45:16 PM
Citazione di: Apeiron il 12 Febbraio 2017, 14:09:00 PM... quella di E può essere definita "più assoluta" nel senso che può essere ricondotta facilmente alle altre. ... Infatti nel relativismo in cui la gerarchia è negata la proposizione di E non è per niente "più generale" di quella ad esempio di A
Sì, il problema è proprio lì: cioè, anche quella di E non è altro che una prospettiva. E quando individuiamo delle gerarchie, cioè che E si trova in un punto di vista più inclusivo, più vasto, quindi più valido rispetto agli altri, dimentichiamo che anche noi stiamo parlando dall'interno della nostra prospettiva; ne consegue che non è possibile stabilire gerarchie assolute, non esistono punti di vista privilegiati, oggettivi, proprio perché sono tutti punti di vista.
Citazione di: Apeiron il 12 Febbraio 2017, 14:09:00 PM... Il problema di questa posizione è appunto che non solo nega che per noi umani è impossibile arrivare alla verità e alla realtà ma che in realtà queste proprio non ci siano.
No, il relativismo non può negare l'esistenza della realtà e della verità, altrimenti sarebbe anch'esso una metafisica che avanza certezze. Il relativismo avanza dubbi, sospetti e il problema è che a questi dubbi non vengono date risposte.
Citazione di: Apeiron il 12 Febbraio 2017, 14:09:00 PM... il relativismo ... finisce per banalizzare il processo della ricerca stessa.
Non lo banalizza, perché una ricerca può essere sensatissima pur riconoscendo la propria soggettività. Tutte le scoperte scientifiche sono sensatissime, sebbene nessuna di esse abbia la pretesa di non poter essere mai smentita. Anzi, proprio se avanzassero tale pretesa, diventerebbero all'istante invalide perché infalsificabili. Un problema della metafisica è proprio il suo timore che ciò che è soggettivo, opinabile, sia senza valore, inutile; invece le cose stanno proprio al contrario: in base al principio di falsificabilità, ciò che vale è proprio ciò che si autoriconosce soggettivo, opinione, conclusione provvisoria aperta alle smentite; viceversa, sono le cose che si pretendono assolute, indubitabili, a risultare proprio per questo invalide, perché incapaci di resistere al dubbio. Ma il problema non è che non resistono al dubbio, poiché anche le opinioni non resistono al dubbio. Il problema è che esse dicono di essere al di sopra del dubbio, mentre invece, all'atto del confronto, dimostrano di non reggere. Al contrario, l'opinione ammette di essere dubitabilissima e proprio questo suo giocare a carte scoperte la rende affidabile, valida.

Ma le gerarchie sono talmente evidenti che mi sembra assurdo negarle. La prospettiva di E contiente molte più affermazioni di quella di A, la quale è appunto contenuta in quella di E. Credo sia innegabile che una prospettiva che ne contenga un'altra sia più "oggettiva". Ad esempio la prospettiva di E ci spiega che destra e sinistra sono concetti relativi e che non c'è alcun conflitto tra le prospettive di A e di B. Se pensiamo a persone reale dire che anche quella di E è "una prospettiva come le altre" lascia passare il messaggio che quella di A è completa, cosa che non ha senso. Anzi si rischia che ad esempio A dice: "questa è la mia prospettiva, siccome qualsiasi prospettiva che trovo rimane una prospettiva non migliore della mia allora posso tenermi la mia e ignorare quelle altrui". Poi magari contatta che A contatta B e si mettono a litigare sulla questione della posizione dell'albero. La negazione delle gerarchie secondo me tende a promuovere la soppressione della curiosità e della voglia di mettersi in discussione perchè se uno è relativista arriva a dire "beh perchè devo passare la vita a ricercare se tanto la prospettiva che troverò non è superiore a quella di un altro".  

Altro discorso: la metafisica non nega il soggetto o almeno lo nega quanto allo stesso modo della scienza. In entrambi i casi il "soggetto metafisico" da una parte e l' "osservatore" dall'altra in linea di principio vengono presi come "uguali". Per capire cosa sto dicendo si pensi al fatto che nella scienza le osservazioni non devono dipendere dal fatto che le faccia io, il mio vicino o un computer. In ambo i casi si devono fare delle assunzioni che dovrebbero essere chiarite prima di iniziare a teorizzare.

Citazione di: maral il 12 Febbraio 2017, 17:45:45 PM
Citazione di: Apeiron il 12 Febbraio 2017, 14:20:43 PMIl problema è l'abuso della stessa. Ad esempio pensare di essere un "ente" e ritenere che per noi funzioni il principio di non-contraddizione aristotelico. Invece secondo me la nostra facoltà di scegliere e di cambiare ci conduce a ritenere vere le seguente proposizioni: "io sono lo stesso di 10 anni fa" "io non sono lo stesso di 10 anni fa" Ma questo NON è dovuto al fatto che ci sia una substantia, un atman che non cambia, dentro di noi. E qui si arriva ad una metafisica "paradossale" secondo la quale una cosa cambiando rimane se stessa. Come si può vedere anche pensando in termini di enti e ritenendo che esista una realtà oggettiva è possibile progredire (d'altronde ci può essere progresso, se tale progresso non ha un fine?) nella nostra comprensione della realtà.
Il problema in termini non contraddittori si può risolvere così: Io sono adesso e adesso accade pure il mio pensare di me stesso 10 anni fa. ossia quel qualcosa che non sono io adesso, ma che nella storia che sto adesso pensando appare, per astrazione, come se fosse sempre me.

Il problema è che il "tu" di "adesso" è una pura astrazione. Ciò che fonda il mio "io" è la "somma" delle mie scelte passate, delle mie emozioni, delle relazioni umane ecc. In sostanza preferisco pensare alla mia identità come un qualcosa che pur cambiando rimane indentica. Non sono nemmeno la somma delle mie esperienze interiore ed esteriori perchè non sono un libro ma sono un essere umano vivente. Proprio il fatto che io sia vivente implica che io ogni istante cambio ma ogni istante "conservo" la mia identità (motivo per cui un fiume viene chiamato con lo stesso nome nel tempo anche se ogni istante il suo contenuto cambia). Si può pensare in questo modo se si comprende che si è più simili a processi che a sostanze fisse. La teoria dell'atman indiana (Adviata Vedanta a parte) e della sostanza aristotelico-platonica è problematica perchè vuole trovare un qualcosa di immutabile. Infatti ad ogni istante io cambio in "toto".

Citazione di: Angelo Cannata il 12 Febbraio 2017, 18:59:12 PMSono d'accordo con l'idea di considerare la metafisica non un filosofare da buttare nella spazzatura, ma un punto oltre il quale progredire. Non esistono filosofie che possano essere buttate nella spazzatura. Tutta la storia della filosofia può essere riletta in quest'ottica: ogni filosofo si è accorto dei problemi presentati dalla metafisica e in fondo non ha fatto altro che tentare il proprio modo di gestire il rapporto con essa. La proposta di Apeiron mi sembra un tentativo di considerare la metafisica come un grande, generoso contenitore, in grado di avere spazio anche per la contraddizione. Ma in questo modo non si fa altro che voler salvare la metafisica e tentare di farci entrare tutto. La proposta di maral mi sembra simile, solo che lui invece di tentare di includere nella metafisica la contraddizione tenta di includervi la storicità. Anche questo mi viene a risultare un tentativo di fare della metafisica un contenitore di tutto. Credo che contraddizione e storicità, introdotti a forza all'interno della metafisica, non farebbero altro che disturbarla e destabilizzarla in continuazione. Perché non esaminare i tentativi che già oggi si fanno, evitando di perdere tempo a scoprire ciò che è già stato scoperto? A me sembra che oggi i tentativi di gestire il rapporto con la metafisica, cioè di fare filosofia, si pongano in questi termini: - vie analitiche, che cioè si concentrano sui meccanismi formali dei linguaggi; ciò somiglia a quello che Ceravolo ha cercato di fare, solo che, come ho detto, il suo tentativo non mi sembra puramente formale, ma si sbilancia ad occuparsi di significato, cioè di rapporto con la realtà; anche sgiombo viene a risultare occuparsi di meccanismi formali, nel momento in cui segue la via dei giudizi analitici apriori, ma il problema che io vedo è che egli pretende di attribuire a tali giudizi una qualità di certezza che non fa altro che ridurli ancora a metafisica, pur rimanendo giudizi formali; - vie pratiche, che cioè scelgono di far tesoro di tutta la filosofia per aiutare i popoli a prendere coscienza delle loro oppressioni, smascherare i dittatori che oggi esercitano il loro potere in tutto il mondo, svelare i meccanismi dell'economia che rendono l'uomo schiavo della borsa, andare a protestare insieme alla gente per appoggiare i loro movimenti di liberazione, di progresso; - vie umanistiche, che cioè scelgono di contaminare la filosofia con le arti, la letteratura, la musica, non per creare torbidi miscugli, ma perché la filosofia è anche arte, è emozione, psicologia, studio estetico delle forme espressive. Queste vie non spazzano via la metafisica, ma ne fanno un uso diverso, critico; in fondo la metafisica non è altro che il linguaggio della gente e come tale è uno strumento ottimo per intendersi, ma sempre trattandola con la consapevolezza delle critiche che essa ha già ricevuto in tutta la storia della filosofia.

Vedo sinceramente la metafisica come quell'insieme di ipotesi che si fanno sulla realtà esterna, sulla nostra identità ecc che si basano sui nostri sistemi formali. Il fatto che io "accetto la contraddizione" è dovuto al fatto che invece di partire dalla teoria parto dall'esperienza e da lì cerco di costruirmi una "teoria" che tenta di spiegare ad esempio la persistenza dell'identità nel cambiamento. Anche se la contraddizione sembra una blasfemia negli ultimi anni alcuni logici di un certo livello lavorano sulla dialeteia, ossia su proposizioni A per le quali sia A che non-A risultano essere vere.

N.B. Preciso che non accetto la contraddizione sempre altrimenti finirei nel paradosso dell'esplosione, ossia nel paradosso in cui ogni affermazione risulta essere  vera.
#950
La metafisica, come ho già detto altrove, è irrinunciabile. Così come è irrinuncaibile pensare per "enti" e ciò lo si vede dal fatto che se vogliamo dire qualcosa siamo costretti ad usare proposizioni e nomi, ossia siamo costretti ad usare definizioni.
La mia personale opinione è che sia vero il fallibilismo, ossia che la realtà sia oggettiva ma che sia inconoscibile, motivo per cui non dovremmo essere troppo attaccati alle nostre teorie (vedi la storiella giaino-buddista degli uomini ciechi e dell'elefante).
Avevo altrove pensato all'esperimento mentale di un essere dotato di intelligenza in un ambiente in cui non sono presenti distinzioni. Tale essere comunque a mio giudizio farebbe la distinzione tra "sé" e "l'esterno", perciò almeno una sorta di sistema di pensiero binario lo svilupperebbe.
La metafisica perciò è una nostra immagine (distorta, imperfetta...) della realtà.

Il problema è l'abuso della stessa. Ad esempio pensare di essere un "ente" e ritenere che per noi funzioni il principio di non-contraddizione aristotelico. Invece secondo me la nostra facoltà di scegliere e di cambiare ci conduce a ritenere vere le seguente proposizioni:
"io sono lo stesso di 10 anni fa"
"io non sono lo stesso di 10 anni fa"
Ma questo NON è dovuto al fatto che ci sia una substantia, un atman che non cambia, dentro di noi. E qui si arriva ad una metafisica "paradossale" secondo la quale una cosa cambiando rimane se stessa. Come si può vedere anche pensando in termini di enti e ritenendo che esista una realtà oggettiva è possibile progredire (d'altronde ci può essere progresso, se tale progresso non ha un fine?) nella nostra comprensione della realtà.

P.S. Matematicamente si possono definire sistemi algebrici per cui "1+1=0". Ma ciò non implica che "1+1=2" sia falso.
#951
Nemmeno io capisco il relativismo. Per capire dove sta il problema faccio questo esempio:
"la mela dell'albero a destra è caduta" dice l'osservatore A
"la mela dell'albero a sinistra è caduta" dice l'osservatore B
Ora se supponiamo che entrambi parlino dello stesso evento, chiaramente siccome l'albero non può essere sia a destra che a sinistra, per risolvere la contraddizione si dice che:
"la mela dell'albero a destra di A e a sinistra di B è caduta".
Poi arrivano C e D, che si trovano sotto l'albero e sopra l'albero, dicono rispettivamente: "la mela dell'albero sopra (C) è caduta" e "la mela dell'albero sotto (D) è caduta". Come prima arriva E un altro osservatore e dice:
"la mela dell'albero a destra di A, a sinistra di B, sopra C e sotto D è caduta".
Ora mentre dunque è vero che ognuna di queste proposizioni è vera nel riferimento scelto, quella di E può essere definita "più assoluta" nel senso che può essere ricondotta facilmente alle altre. Arriva il relativismo e ti dice in sostanza che fare questa continua crescita della "conoscenza" è inutile perchè tanto l'obbiettivo - ossia l'assolutezza - è irraggiungibile. Il problema infatti è che se neghi l'assolutezza come obbiettivo neghi anche la gerarchia delle proposizioni (che a sua volta deve essere "assoluta"), altrimenti non puoi né affermare né negare niente. Motivo per cui anche se il relativismo concede una buona apertura alla novità finisce per banalizzare il processo della ricerca stessa. Infatti nel relativismo in cui la gerarchia è negata la proposizione di E non è per niente "più generale" di quella ad esempio di A. Il problema di questa posizione è appunto che non solo nega che per noi umani è impossibile arrivare alla verità e alla realtà ma che in realtà queste proprio non ci siano.
#952
@sgiombo

Ma il giudizio sintetico a priori è appunto un'applicazione della logica e della matematica (che come dici tu sono a-priori ossia "trascendentali") all'esperienza. Il punto è che: se un giorno io tirando via tre mele dal sacchetto di cinque trovassi ancora cinque mele anziché due avrei davvero falsificato la posizione secondo la quale la matemtica si può applicare alla realtà? Probabilmente esclamerei: "questo è un miracolo!". Tuttavia in modo analogo ai miracoli delle religioni uno per vedere un miracolo deve pensare che essi siano possibili. Ma che i miracoli siano possibili o impossibili è una questione irresolvibile dalla sola esperienza (la quale è l'unica fonte di conoscenza!). La stessa introspezione è a-posteriori: quando indago ad esempio le mie emozioni la mia indagine riguarda fenomeni e nient'altro.

Il discorso della generalizzazione accidentale pensalo in questo modo: il fatto che tu fai quel giudizio sintetico a-priori è dovuto al fatto che tu applichi le nozioni matematiche a-priori all'esperienza. Se invece mettessi in un sacchetto contenente una mela una seconda mela e dopo questa operazione trovassi che ci sono zero mele nel sacchetto, userei un'altro sistema algebrico. Precisamente userei il seguente:
Ossia quel sistema algebrico tale per cui: "0+0=0", "1+0=0+1=0" e "1+1=0". Perchè non usiamo questo sistema per fare i nostri giudizi sintetici a posteriori? Non c'è davvero alcuna ragione che necessariamente ci impone di non farlo eppure se lo facessi verrei contraddetto dall'esperienza. Tuttavia siccome l'intera esperienza è accidentale dobbiamo dire che i nostri giudizi sintetici a posteriori sono essi stessi accidentali (non stiamo realmente dicendo cose diverse...).

Ma allora la realtà è accidentale? Noi se vogliamo essere onesti dovremo ammettere di sì, la successione di fatti è accidentale e ogni regolarità che troviamo in essi è puro accidente. Ma è davvero così? Uno potrebbe dire: non è così "sub specie aeternitatis". Ma qui si va già oltre la filosofia (amore della "saggezza")...

In modo simile per le questioni dell'etica (da non confondersi con la "morale" ossia il sistema di regole assunto da una cultura): esse sono trascendentali ossia "a-priori". L'etica infatti tratta del dover-essere che di certo non è deducibile dall'essere. Perchè non ci è permesso ad esempio "frodare il prossimo"? Lo studio dei fatti ci dice che "frodare il prossimo" è un evento come un altro, l'etica invece ci dice che non dovrebbe essere così. L'etica cambia la prospettiva della realtà, ossia cambia il modo con cui tu ti rapporti al tuo mondo, ossia la totalità delle tue esperienze. Per questo motivo l'etica è trascendentale. Non potrò mai dimostrarti che "frodare il prossimo" è sbagliato così come non potrò mai realmente convincerti che il lancio di un dado ha una necessità di dare il risultato "6" con la probabilità di 1/6.
#953
Citazione di: Angelo Cannata il 10 Febbraio 2017, 22:05:39 PMNon so se ho capito tutto, non sono addentro nella logica formale, voglio solo provare ad esprimere ciò che mi sembra di aver capito, in modo da provare ad imparare qualcosa. A quanto sembra, il problema della contraddizione del nulla consisterebbe in questo: il nulla non è altro che il non essere. Dunque, se diciamo che il nulla è, stiamo dicendo che il non essere è. Dire che il non essere è significa introdurre nel nostro pensare un'indifferenza totale di ogni significato; ultimamente significa non poter pensare, è una specie di suicidio del pensare, un buttarsi la zappa sui piedi. Mi sembra che tutto ciò abbia a che fare con l'origine del nostro linguaggio, nato per gestire piccole quantità e poi dalla filosofia stirato a più non posso per fargli gestire quantità smisurate, quali sono i concetti di tutto, nulla e simili. Infatti, se ci limitiamo a piccole quantità, è possibilissimo parlare del nulla, poiché esso è sempre relazionato a pochi altri esseri: possiamo benissimo dire "in questa stanza non c'è nulla di quanto tu hai detto"; in questo senso è possibile parlare anche di esistenza della mancanza: c'è mancanza di denaro, mancanza di risorse. Questo mi fa pensare al fatto che in matematica è possibile sommare numeri negativi: 5 + (-3) = 2. Come dicevo, le cose si complicano se questo linguaggio viene stirato per esprimere quantità smisurate. In questo senso già il concetto di "tutto" è problematico: com'è possibile pensare di aver pensato il concetto di "tutto", una volta che nessuno di noi l'ha mai visto? In matematica il concetto di "tutto" è riferito alle possibilità future: per esempio, possiamo dire che, se ad un numero qualsiasi sottraiamo se stesso, il risultato sarà sempre zero. Come facciamo a sapere che ciò vale per tutti i numeri? Siamo noi ad aver deciso che ciò è vero, sulla base delle verifiche e delle corrispondenze che finora abbiamo trovato; tuttavia potrebbe sempre succedere in futuro di scoprire qualche tipo di calcolo che smentisca che x-x fa sempre zero. Questo mi sembra un problema fondamentale dei concetti totalizzanti, quali "tutto", "nulla" e simili: sono scommesse sul futuro, di cui è impossibile avere prove definitive, perché è umanamente impossibile verificare tutti i casi possibili. Siamo, insomma, nel problema del tacchino induttivista. Da ciò consegue che un difetto fondamentale di ogni matematica e di ogni logica è quello di trascurare la loro impotenza riguardo a ciò che si potrà scoprire in futuro. Anzi, direi piuttosto, che una vera matematica o una vera logica contengono già quest'umiltà, anche se per semplicità non la esprimono; chi dimentica quest'umiltà siamo noi, nel momento in cui utilizziamo questi strumenti dimenticando che esistiamo nel tempo e non abbiamo potere sul futuro. Ciò non vieta di fare matematica o logica; basta che lo si faccia con consapevolezza dei loro limiti. Oltre a quello del tempo, un altro limite della logica mi sembra essere quello dei paradossi che si verificano quando si vogliono creare affermazioni totali che includano la negazione di se stessi: è il caso del catalogo che voglia contenere la lista di tutti i cataloghi che non includono se stessi; ne consegue che un paradosso simile sarà quello del concetto di "tutto", che in quanto tale dovrebbe includere ogni negazione di stesso, teorica o reale, quindi dovrebbe includere anche il nulla, con i conseguenti problemi che finora avete evidenziato. Ma anche lasciando da parte i problemi specifici creati dai paradossi, mi sembra che già l'ipotesi teorica di pensare il "tutto" in modo filosofico e non semplicemente matematico crei dei problemi. Infatti, se voglio pensare il tutto, è ovvio che in questo concetto dovrò includere anche me stesso che sto pensando il tutto. A questo punto però ho creato una nuova entità: il concetto di me stesso che sto pensando il tutto. Cioè, io mi sono creato dentro il mio cervello un'idea di me come di uno che sta pensando il tutto. Ma quell'uno che sta pensando il tutto, che si trova nel mio cervello sotto forma di concetto, sta davvero pensando tutto? Credo di no, altrimenti significa che sarei riuscito a creare nel mio cervello non un concetto, ma una vera persona che è in grado di pensare a me. Da questa difficoltà mi sembra dover dedurre che il tutto è pensabile solo in contesti matematici, che come tali includono esclusivamente enti matematici, e quindi non si tratta davvero del tutto, o in contesti logici che, occupandosi esclusivamente di funzionalità formali, neppure essi si occupano davvero di tutto. Non è pensabile in filosofia poiché implicherebbe il trattare il concetto di me stesso come se fosse non un concetto, ma un essere reale in grado di pensare a me che sto pensando ad esso.

Aggiungo solo che matematica e logica in generale non si applicano all'Esperienza. Non si può dimostrare che la probabilità che il lancio del dado dia 6 perchè non possiamo avere infinite prove, ma soprattutto - mi ero scordato di dirlo - anche se avessimo a disposizione infinite prove la generalizzazione potrebbe ugualmente essere accidentale.
Ad esempio per la logica:
La validità generale logica potrebbe chiamarsi essenziale, in contrapposizione alla accidentale, come quella della proposizione: "Tutti gli uomini sono mortali". (Wittgenstein)

La logica non si può applicare alla natura perchè dall'esperienza possiamo solo desumere generalizzazioni accidentali, non essenziali. Perfino applicare i concetti della fisica alla natura è "improprio" nel senso che nulla nell'esperienza ci garantisce che tra i fatti ci sia un legame. Causalità, regolarità della natura... sono tutti concetti che noi imponiamo sulla natura in modo errato. Infatti non vengono dall'esperienza.


"Il senso del mondo dev'essere fuori di esso. Nel mondo tutto è come è, e tutto avviene come avviene; non v'è in esso alcun valore - né, se vi fosse, avrebbe un valore.

Se un valore che ha valore v'è, dev'esser fuori d'ogni avvenire ed essere-così. Infatti ogni avvenire ed essere-così è accidentale.

Ciò che li rende non-accidentali non può essere nel mondo, ché altrimenti sarebbe, a sua volta, accidentale.

Dev'essere fuori dal mondo.  
...
Non come il mondo è, è il mistico, ma che esso è" (Wittgenstein)

non rimane quindi che rinunciare a filosofare a riguardo di domande che non possono avere una risposta. Non possiamo desumere in alcun modo una "spiegazione" che qualcosa è. Possiamo fare una teoria su "perchè" il periodo di rivoluzione della Terra è circa 365 giorni e non 1244 (numero a caso  ;D ) ma non possiamo dare una spiegazione su "perchè" esistiamo. Alcune - ma non tutte - le religioni cercano proprio di dare una spiegazione a ciò ma la spiegazione è infalsificabile, inverificabile, non deducibile dall'esperienza e non fondata logicamente da alcun assioma che possa essere considerato dato di fatto (non a caso è rischiesta la fede (che può essere ragionevole ma non razionale) in tale spiegazione). Ma le spiegazioni che noi facciamo su particolari fenomeni naturali sono appunto testabili e per questo motivo sono soggette ad errore. Dove non c'è possibilità di verifica/falsificazione/test non vi è possibilità d'errore e quindi propriamente non si tratta nemmeno di una spiegazione scientifica. Dove non v'è possibilità d'errore non si può nemmeno propriamente parlare di "aumento della conoscenza". Motivo per cui le spiegazioni "sul senso delle cose" non sono nemmeno "vere" spiegazioni. Ma qui trattiamo di argomenti su cui la razionalità non può avere nulla a che fare. Le spiegazioni filosofiche che si fanno sono speculazioni oppure sono rielaborazioni ossia tentativi di capire meglio le "spiegazioni religiose". Ma qui chiaramente ormai la filosofia è sparita - in quanto la filosofia si ferma prima.

P.S. Angelo Cannata non sono di certo un esperto di logica simbolica e infatti moltissime cose del Tractatus di Wittgenstein non le ho capite, ma mi pare d'aver afferrato ciò che penso sia l'essenziale per me. Ti consiglio, se non lo hai già fatto, di leggere le sue opere sia del primo periodo sia del secondo. E inoltre anche le opere non prettamente filosofiche  ;) Comunque il senso del discorso mi pare che tu l'abbia capito.

5+(-3)=2 non si applica alla realtà. Infatti che (5+(-3))*mele=2mele è una generalizzazione accidentale che faccio da un numero finito di prove. Non posso dimostrare che se da un sacchetto di 5 mele ne tiro via 3 ne rimangono sempre 2. Realizzata questa cosa, si realizza tutto questo discorso (che il mondo segua leggi "matematiche" è un "atto di fede" per quanto sia molto più "plausibile" - ossia "ragionevole" - rispetto ad altri...).
#954
Alla domanda iniziale rispondo così: finchè non si ha una chiara definizione di "nulla" la domanda non è altro che un'espressione della nostra meraviglia dinanzi ad un mistero. Parlare di niente e di nulla ha perfettamente senso quando si pensa all'assenza di qualcosa, tuttavia parlare di niente come l'assenza di ogni cosa è molto problematico. Non appena infatti si fa ciò ne consegue che se si parla del nulla, allora il nulla è qualcosa, ossia non è nulla. La cosa ovviamente sfocia nella contraddizione.

In modo analogo il "Perchè" dell'esistenza, ossia il Senso dell'esistenza è maldefinito. Questo perchè in sostanza la parola "senso" o "perchè"noi la usiamo in contesti di causalità, ossia dove si ha una successione di eventi tra loro connessi. Motivo per cui l'espressione il "senso dell'esistenza" rispecchia la nostra tendenza alla meraviglia, al mistero. Se anche un senso vi fosse questo per noi non sarebbe comprensibile perchè appunto noi siamo nel mondo (e quindi parliamo del senso di qualcosa o qualche evento)e quell'eventuale "senso" sarebbe di tutta l'esistenza.


Motivo per cui: la domanda perchè c'è qualcosa anziché il nulla? è una domanda religiosa e non filosofica. Ogni parola espressa in quella frase è decontestualizzata e proprio la sua decontestualizzazione la rende una "domanda eterna". Ma la filosofia, che deve attenersi allo studio degli eventi e della realtà non può che rassegnarsi al Silenzio. Rimane dunque il "misticismo" ossia la religione. La filosofia deve "rassegnarsi" ad indagare nella sua sfera di competenza, non può andare oltre. Infatti se va oltre costruisce sistemi senza fondamento (può l'etica avere fondamento? ossia si può dimostrare che un'azione è giusta e una è sbagliata?) o sistemi inconsistenti. La filosofia deve - in modo simile a quanto detto da Kant - essere circoscritta al suo ambito di competenza e su ciò di cui non può parlare, deve tacere.

P.S. Mi è difficile argomentare su queste questioni (che tra l'altro sono le più importanti), motivo per cui non credo che il post sia chiarissimo. Il "consiglio" per capire meglio il post è appunto pensare alla seguente domanda: si possono fondare filosoficamente giudizi assoluti di valore (ad esempio: si può dimostrare che un'azione è giusta?)? oppure: si può dimostrare che la probabilità che il lancio di un dado faccia 6 è 1/6 (qui il problema è che il concetto di "probabilità" è un'astrazione matematica...) ?
#955
Percorsi ed Esperienze / Re:Problemi con l'università
07 Febbraio 2017, 23:28:47 PM
Citazione di: InVerno il 07 Febbraio 2017, 16:48:39 PMVorrei aiutarti di più, ma non sarebbe coerente con ciò che ti sto per dire.. Nella mia esperienza sono 2 le cose che hanno aiutato maggiormente me e le persone che conosco a prendere delle cantonate. A)le preferenze dei genitori B)I voti alle superiori Ora.. è ovvio che abbiamo bisogno di riferimenti per prendere decisioni, ma il fatto che le hai citate cosi espressamente a me onestamente ha un po preoccupato. E' ovvio che è impossibile eliminarle dalla tua vita, ma il mio consiglio è di provare a toglierle temporaneamente dall'equazione e vedere se il risultato è lo stesso, come "controprova" diciamo e poi continuare con le tue scelte. Spero ti sia d'aiuto, buona fortuna.

Sì hai ragione i voti del liceo possono essere del tutto ingannevoli. Nel senso che si tende a giudicarli infallibili: se prendi 4 non è per niente detto che sei senza speranza per quella materia, se prendi 9 non è detto che l'hai veramente capita. E ciò in realtà vale anche per l'università. Ho preso un 30 su una cosa che non ho capito benissimo e un 21 (amara delusione) su una cosa che avevo capito molto di più.

Motivo per cui credo che sia giusto consigliare di fare un'analisi di sé stessi e di cercare di capire le proprie potenzialità.

@Neremijastrial In ogni caso i consigli che possiamo dare qua sono molto vaghi e fallibili, prendili con le pinze.
#956
Percorsi ed Esperienze / Re:Problemi con l'università
07 Febbraio 2017, 00:00:11 AM
Benvenuta sia sul Forum sia nel caotico mondo universitario.
Ti rispondo nel modo più assurdo possibile, ossia raccontandoti la mia relazione con l'università.
Sono uno studente del secondo anno magistrale di fisica. Sono quasi in pari con i tempi e personalmente trovo la fisica una disciplina interessante per due motivi. Motivo numero 1: è uno studio rigoroso della natura. Fin da piccolo io ero un bambino pieno di (eccessiva) curiosità e cosa c'è di meglio che studiare la natura nel modo più metodico e rigoroso possibile? Motivo numero 2: quello che inoltre insegna la scienza è avere una mente metodica e rigorosa in tutti gli aspetti della vita, ossia insegna l'"onestà intellettuale". Visto che a me piacciono conoscenza e metodologia dovrei essere completamente soddisfatto e invece...
E invece no! E invece no perchè fin da piccolo sono convinto che la vera cosa importante nella vita sia come vivere (che coincide d'altronde con l'enigma della vita, ossia la domanda: "cosa voglio fare della mia vita?"). L'etica non è però scientifica. Infatti cosa è "giusto" fare, come è "giusto" agire, cosa è "giusto" credere ecc sono interrogativi irresolvibili. Visto che sono irresolvibili, mi dirai: non pensarci. E invece no! Ogni giorno mi interrogo se la mia scelta di vita è quella "giusta" per me, per la mia famiglia, per l'umanità ecc. E qui davanti a noi c'è il tema della responsabilità! Quello che vedo in te è un (raro) spiccato senso di responsabilità. Ritengo che sia giusto averlo, tuttavia il problema è che non si può vivere solo di dubbi riguardo a ciò che vogliono gli altri. Per due motivi: 1) anche i parenti stretti possono non avere idea di cosa sia meglio sia per te che per loro 2) se segui solo i dubbi l'azione è impossibile e spesso l'azione "decisa" con l'eccessivo dubbio è quella errata.
Ti avviso fin da subito che per pensatori come noi il mondo accademico paradossalmente può "penalizzarci". Dovrai lavorare, se fai ricerca, su un settore molto specialistico e magari non concorde con le tue aspirazioni. Spesso dovrai passare giornate a fare cose che nessuno, a perte i colleghi, capisce e quindi cose con cui spesso non potrai parlare con nessuno. Dovrai poi essere disposta alla mobilità e alla flessibilità (questo per me è un problema ENORME, per me che sono eccessivamente abitudinario - ho una "teoria" che spiega questo mio orribile aspetto del mio carattere). Ma tutto ciò si risolve se hai una "SUFFICIENTE" passione (alcuni si accorgono al dottorato che hanno sbagliato e cambiano strada ben dopo la fine degli studi universitari). E prima dovrai sudare con gli esami nei quali mi è capitato di sentirmi "in dovere" di farli decentemente (non ti dico l'ansia che dopo 5 anni ancora mi viene a dover fare certi esami.).
Tutto ciò per dirti: la strada che hai scelto è impegnativa se ti sembra di non avere abbastanza passione, cambia. Altrimenti rimani e prova a vedere come vanno le cose perchè la scienza ti può offrire "doni" (o maledizioni  ;D  dipende dai punti di vista) unici che non trovi da nessuna parte. Io ero indeciso tra fisica, matematica e filosofia. Ho scelto fisica perchè è una matematica applicata e perchè ritengo la filosofia un'attività che dovrebbero fare tutti. Se eccelli in greco (o nelle lingue) e magari nella letteratura, perchè non provare là?
Ricordati che vivere significa brancolare nel buio, nesssuno ha "la bacchetta magica" per la quale fa la cosa "giusta" sempre. Ogni tanto bisogna "buttarsi" e sperare...
Con la tua famiglia prova a dire loro che ce la stai metttendo tutta per scegliere. Prova a dire loro che cambiare facoltà è la norma (perfino tra i "geni" di vari campi) perchè a 18 anni in verità non siamo per niente maturi nelle nostre scelte. Nessuno ci ha mai mostrato cosa significa vivere l'università e la ricerca.  In sostanza prova a chiedere aiuto e comprensione., così almeno i tuoi dubbi diventano occasioni per conoscerti meglio e non orrendi tormenti mentali. E purtroppo una persona seria (ossia che conosce la propria limitatezza...) è più facilmente predisposta ai tormenti mentali!

γνῶθι σαυτόν - non c'è bisogno di tradurla, ma lo faccio lo stesso: conosci te stessa! perchè nessuno (eccetto forse Dio - se esiste) può avere una conoscenza di te maggiore! Dopo averlo fatto, scegli di conseguenza.

Spero di esserti stato utile, anche se ho parlato troppo di me! In bocca al lupo e per quanto possa servire un abbraccio.
#957
@Angelo Cannata, la metafisica non esclude il soggetto. Almeno una metafisica intelligente non lo fa. Ogni affermazione, per non essere un non-senso, deve essere coerente col contesto in cui viene espressa. Sono d'accordo con te che noi ragioniamo da umani perchè siamo umani.
Considera l'affermazione "il Sole è giallo". Di per sé è vaga. Chiarisco meglio "io vedo il Sole è giallo". Ancora vaga. La ribadisco: "io vedo il Sole giallo, dove con "giallo" intendo il colore che è legato ad una determinata lunghezza d'onda". Di certo potrei chiarire ancora meglio, tuttavia di certo non posso fare a meno di parlare di "io" e di "Sole". Ma "io" e "Sole" sono due "cose" con una loro "identità", ossia sono "enti". E finchè ragiono per enti (magari arrivo a scriverti tutta la fisica che ci sta dietro, ma sarebbe ancora un ragionamento di fondamento "metafisico", solo più chiaro), faccio metafisica. Se vuoi ancora parlare di "qualcosa" (qual-cosa, ossia ancora enti), non puoi non partire da una metafisica. Puoi decidere di abbandonare la metafisica, ma a questo punto non rimane che il Silenzio.
La metafisica non dimentica il soggetto, semmai dice che il soggetto è descrivibile come oggetto.

@Duc, prima di tutto ho chiarito che "religione" e "metafisica" sono due cose distinte. Per questo motivo le terrei su piani separati. Angelo Cannata sta negando la metafisica in questo thread e la religione non fa una "teoria" metafisica. Potremo metterci a discutere sul significato "vero" di "creatura" senza venirne fuori, ma alla religione basta che tu accetti di essere una creatura di Dio.
Su metafisica e ontologia, il problema è che tu hai preso una definizione. Non è univoca e non è accettata da tutti. L'ontologia studia enti ed essere. In questo senso è una branca della metafisica, la quale si occupa anche della relazione tra ontologia e etica, ontologia e epistemologia ecc. "Grazie a Dio" da Aristotele ad oggi c'è stato molto progresso nella filosofia e per questo motivo non si tratta più l'essere come ente, ossia si è riconosciuto che la frase "L'essere è" e la frase "il camminare cammina" sono molto più simili di quanto comunemente si crede. Tu mi dirai "Dio è l'Essere".  E io ti rispondo: Dio è "ineffabile", incomprensibile ecc. Visto che è ineffabile e incomprensibile Dio non può essere realmente oggetto della metafisica. Altimenti si creano altre confusioni per niente.
Ma a livello di questa particolare discussione - ossia se si possa abbandonare o no la metafisica - tutto questo discorso interviene in un secondo momento.
L'ontologia che intendevo io comunque era lo studio dell'essere (e ti garantisco che alcuni hanno questa come definizione di "ontologia") - cosa che si è rivelata essere un vaniloquio (nel senso che è stata completamente inutile).

Duc poi sono d'accordo con te che "essere" e "vivere" sono due cose ben diverse...
#958
Citazione di: Angelo Cannata il 29 Gennaio 2017, 22:28:01 PMRiguardo alla critica della spiritualità, trovo ovvio che la spiritualità (intendo una spiritualità seria, non superstiziosa o magica, come quelli che pretendono di compiere viaggi astrali o fruire spiritualmente di energie quantiche) non possa essere criticata da una critica scientifica. Essa però può essere criticata da una critica umanistica, o proprio spirituale. Per esempio, ci sono spiritualità che possono essere accusate di prendere in considerazione solo la vita intima dell'individuo, trascurando troppo l'esperienza spirituale della socialità; oppure spiritualità che si allontanano troppo dalla concretezza, disinteressandosi di politica, problemi sociali; o altre spiritualità che creano sensi di colpa. Tutte queste non sono certo critiche scientifiche alla spiritualità e una spiritualità seria non avrà alcuna paura di misurarsi con esse: da un misurarsi tra la spiritualità e critiche di questo genere può venire solo del bene, solo un entusiasmo di crescere. È questo che mi rende stranito di fronte alla paura che tanti mostrano nei confronti della critica applicata alla spiritualità, come se da un tale criticare potesse seguire nient'altro che rovina, egoismo, presunzione, bombe atomiche e dinamite. Riguardo a Gv 19,19-22 Pilato compose anche l'iscrizione e la fece porre sulla croce; vi era scritto: «Gesù il Nazareno, il re dei Giudei». Molti Giudei lessero questa iscrizione, perché il luogo dove fu crocifisso Gesù era vicino alla città; era scritta in ebraico, in latino e in greco. I sommi sacerdoti dei Giudei dissero allora a Pilato: «Non scrivere: il re dei Giudei, ma che egli ha detto: Io sono il re dei Giudei». Rispose Pilato: «Ciò che ho scritto, ho scritto». Pilato pose un titolo sulla croce. I sommi sacerdoti cercano si sminuire al massimo la portata quel titolo, inteso ad informare i passanti sul motivo per cui quell'uomo era stato crocifisso. Storicamente questa preoccupazione dei sommi sacerdoti è poco fondata: non avevano motivo di temere che i passanti ritenessero Gesù davvero re dei Giudei. È più facile pensare che l'evangelista voglia presentare l'intenzione dei Giudei di relegare il titolo a un'opinione di Gesù. Pilato, per pigrizia o per ribadire chi è che comanda, si rifiuta di correggere il titolo. In questa inesorabilità dell'affermazione che rimane espressa come verità oggettiva, quindi metafisica, e non viene ricondotta ad affermazione soggettiva di Gesù, come i sacerdoti avrebbero voluto, è possibile vedere un'interpretazione dei fatti, da parte dell'evangelista, come di un destino che non è possibile modificare; c'è un destino, che poi sarebbe il piano di Dio, inteso a stampare la verità sulla faccia della terra in maniera inesorabile, facendosi beffe degli uomini in maniera da far loro dire (e in questo caso scrivere) involontariamente tale verità. Si può vedere ciò anche quando Pilato, in Gv 18,37 chiede a Gesù "Dunque tu sei re?" ed egli risponde "Tu lo dici; io sono re", come a dire "il destino inesorabile ha condotto la tua bocca a proclamare la verità, facendosi beffe di te, che credi di avere in mano il destino mio".

Ti ringrazio della spiegazione Angelo.

Eh le critiche di cui parli sono più o meno le critiche che ho in mente io. Sono però "interne" alla spiritualità e non esterne. Ossia posso cambiare l'atteggiamento con la dottrina senza cambiare la dottrina stessa, posso correggere dettagli della dottrina senza che il "nucleo" sia stravolto... Anzi proprio questo serve il dialogo.
#959
Non ci si può liberare della metafisica dunque perchè probabilmente è "il nostro modo di ragionare che non lo permette" come dicevo. In tutta questa discussione mi sono dimenticato di dire cos'è la metafisica, secondo me. La metafisica è il tentativo di comprendere la realtà tramite concettualizzazioni. Ora non appena tu cerchi di creare una spiegazione della realtà sei costretto a usare la metafisica. Si badi però che la metafisica non è l'ontologia. La metafisica non studia l'essere ma studia la realtà tramite gli enti (e non si occupa di dire "cosa" siano gli enti, ma li distingue. Quel "cosa" comincia a sconfinare nella religione...), ossia le "cose" distinte. Se non si crede nell'esistenza delle cose distinte a questo punto si fa come i buddisti e i taoisti e si rimane nel Nobile Silenzio, così come si rimane in Silenzio se non si ha una religione che ci dica "cosa" siano gli enti.

Per quanto riguarda il discorso delle preghiere, quello che volevo dire è che esprimono una disposizione mentale, un modo di vivere. Se ti dico "che Dio ti aiuti" e sei ateo e io credente, per te le mie parole sono "illusioni" che mi faccio da solo o parole prive di senso, per me invece sono importanti. Questo è il sentimento religioso secondo me. Quello di ritenere certe azioni importanti, "alte". Così come pensare che esista un "senso" della vita è una questione religiosa, ossia al di là sia della metafisica che della scienza. Credere in un senso d'altronde nasce se vuoi dal pensiero magico. Tuttavia chi crede nel "senso della vita" proabiblmente condurrà un'esistenza molto diversa da chi non crede.

Poi ci sono credenze e credenze. Posso credere alla Terra piatta visto che nella Bibbia c'è scritto che la Terra è piatta, ma posso anche avere una fede più matura.

Citazione di: Angelo Cannata il 29 Gennaio 2017, 23:01:00 PM
Citazione di: Apeiron il 29 Gennaio 2017, 16:15:15 PMdubitare sempre è come navigare nella bonaccia
Sì, un problema che solitamente vedo nascere di fronte al dubitare è il timore della paralisi. Credo che non ci sia motivo di avere questo timore, si tratta di farsi delle idee chiare su cosa vada fondata un'azione umana positiva, una volta che il dubbio è in grado di demolire ogni motivazione di principio. Queste sono le motivazioni che uso darmi io. Io agisco anzitutto perché esisto. Non nel senso metafisico, ma nel senso di affermare la mia esistenza, eventualmente anche a scapito di altri. Ciò è senza dubbio violenza e farò di tutto per limitare al massimo tale violenza, ma scelgo anche di non rinunciare al mio essere. Faccio un esempio per chiarire: se io respiro, non posso fare a meno di sottrarre ossigeno all'aria che viene respirata anche da altri. Per eliminare il danno dovrei smettere di respirare. Per eliminare al cento per cento ogni violenza causata su questo mondo dalla mia esistenza, dovrei fare in modo di non esistere, per esempio potrei suicidarmi. Invece scelgo di esistere, a costo di sottrarre ossigeno e molte altre cose al benessere altrui. Accolgo la sfida che mi viene data da questo mondo. Questa mia scelta non ha alcun motivo valido: viene solo dal mio istinto naturale ad esistere, l'istinto scritto nel mio DNA. Accolgo la sfida e cerco di fare in modo che in questo mondo si costruisca pian piano un coesistere meno violento possibile. Oggi mangio carne, forse in futuro diventerò vegetariano. Forse. Oggi no, perché preferisco occuparmi di altre questioni. Non ci si può occupare di tutto. Può essere ipocrisia. Accolgo anche questa sfida. Non è detto che la libertà esista, che esista un bene distinguibile dal male. Accolgo anche quest'altra sfida. Forse un giorno penserò che invece sarebbe stato meglio suicidarmi, per non far soffrire le formiche che devo calpestare ogni giorno per poter camminare. Oggi preferisco uccidere le formiche. Ma l'intenzione di lavorare per un mondo meno violento e meno ipocrita c'è. Ammetto apertamente che quest'intenzione non ha alcun fondamento, è criticabilissima. Appena qualcuno mi mostrerà motivazioni migliori per cui vivere, sarò pronto ad adottarle. Finora nessuno è riuscito a demolire questo mio modo di giustificare il mio vivere, né di propormi alternative migliori. Può darsi che ciò sia dovuto anche alla mia chiusura mentale. Ho intenzione di essere sempre più aperto mentalmente e autocritico. Forse è un'intenzione falsa e ipocrita, ma nessuno finora ha saputo mostrarmi strumenti migliori per superare questo dubbio. Dunque, oggi decido di vivere, agisco, ascolto i miei istinti, cerco di ascoltare anche la mia cultura, il cammino storico mio e del mondo intero; in ogni momento cerco di fare la sintesi, provo a raccogliere tutto e a farne uscire mie azioni, miei scelte, mia vita. Ecco, con questo criterio vivo quotidianamente, nonostante il mio dubitare al cento per cento su tutto e su tutti. Nessun limite al dubitare.

Capisco. Però ecco, vedi non capisco come un dubbio completo e senza un fine possa portare al progresso. La ragione per cui non seguo la tua scelta è di pura pragmaticità.
#960
Citazione di: InVerno il 30 Gennaio 2017, 00:57:22 AM
Citazione di: Apeiron il 29 Gennaio 2017, 18:53:47 PM@Inverno se fosse possibile fare quell'operazione avremo compreso il mistero della vita ;D a parte gli scherzi da quanto ci ho capito io Wittgenstein aveva notato delle "rassomiglianze di famiglia" tra i vari riti. E la più forte di tutte è che la parte più "profonda" di questi riti non era testabile. Esulava dall'analisi empirico-razionale. Posso provare scientificamente che se confesso i miei peccati Dio me li ha perdonati? No, altrimenti non sarebbe un rito e "avere fede" non avrebbe senso. Se io ho fede nel rito in questione il rito stesso lo percepirò in modo diverso da uno che è esterno al mio sistema religioso-rituale. Ma questa è "magia"? Forse sì, perchè in comune con la magia è che non è comprensibile. Ma non può essere magia in senso di "occultismo" (usavo in questo modo la parola "magia" nei miei post). Se credo nel karma o nella Provvidenza certi fatti li interpreterò in modo diverso da uno che non crede in nessuna delle due cose. Tuttavia si può parlare di "errori"? Certamente non dal punto di vista scientifico! E Wittgenstein non voleva affatto "creare" un modello, una teoria. A che sarebbe servita? Puoi davvero capire un rito senza viverlo? Wittgenstein si fermò a dire: ci sono dei riti e ci sono chiare somiglianze tra i riti. Ma non posso dire di più anche se ho la tentazione di connettere i punti. Tutto ciò cosa c'entra con la metafisica? Beh se quello che penso io è vero ognuno di noi capisce la realtà in modo che dipende dal contesto in cui è e dalle sue caratteristiche individuali. Quello che capisce un giapponese della parola Dio ("Kami") e quello che capisce un indù possono essere due cose diverse. Questo perchè a causa delle nostre caratteristiche non possiamo che avere una comprensione della realtà incompleta e distorta e quindi "siamo costretti" per capire la realtà a trattarla come una "collezione di oggetti" - enti. In modo simile posso impegnarmi finché voglio a capire la realtà senza ricorrere a pensarla come formata da "parti", "cose", "pianeti" tuttavia non ci riuscirò, secondo me, mai. Perchè? perchè è come "volare con le ali", cosa per noi impossibile. Sottolineo però "in modo simile" perchè a mio giudizio per come siamo, e come ragioniamo (non solo noi occidentali) se vogliamo "costruire" una teoria sul mondo non possiamo rinunciare a ragionare in termini di enti. Per lo meno una teoria che rinuncia a ciò non riesco nemmeno ad immaginarmela! Sarebbe ancora considerabile "teoria"? Qualche anno fa lessi un esperimento mentale. Supponiamo che un'intelligenza viva in un luogo senza distinzioni come ad esempio un oceano estessissimo di modo che non ci sia niente da "contare e distinguere". Esisterebbe il concetto di "numero"? Se no riuscirebbe a fare una "matematica"? E tale disciplina sarebbe conforontabile con la nostra? Ma: una tale intelligenza può veramente esistere in un mondo indifferenziato, dove non c'è l'Altro (ossia un'identità separata, ossia un ente)? Ci può essere una mente senza che questa abbia come idee (innate?) "questo" e "quello", "me" e "l'altro"? Esiste una mente senza differenziazioni? Esiste una mente che è senza concetti come "verità", "etica", "esistenza", "io", "questo", "quello"? Perchè stiamo parlando di questo in questo thread. Eliminare la metafisica in toto secondo me è impossibile perchè servirebbe un'intelligenza diversa. Ma tale intelligenza sarebbe "intelligenza"? Potremo indagare tali intelligenze e teorie senza finire a dire insensatezze?
Anche io ho pensato ad un esperimento simile, non in mare ma di un uomo nato e vissuto in una stanza bianca senza riferimenti. "Purtroppo" nonostante questo tipo di esperimenti disumani fossero comuni durante la WWII non ne ho trovato traccia di realmente realizzati, se non in via ipotetica. Simpatico l'anneddoto invece di un guru indiano che disse "quando arrivano degli occidentali, specialmente molto religiosi, la prima cosa che bisogna fare con loro è "destrutturarli" "sgonfiarli", sono cosi pieni di teoria che si possono impiegare anni, ma è possibile". E' possibile? Non lo so, ma è anche vero che per quanto si può essere puristi, non sempre il "risultato esatto" è preferibile ad un "risultato dallo stesso risultato". Intendo dire, che dubito sia realmente possibile farlo, la propria sopravvivenza sarebbe in grave rischio l'attimo dopo l'esserci riusciti. Tuttavia, è probabile, che si possa immaginare un piano inesistente, immaginario, che corrisponde a quell'oceano di cui parli. Una finzione, e qui bisogna essere disposti ad accettarla, ma che ha lo stesso risultato quando uno vi si adagia, e possa essere spenta e accesa a piacimento. Altra, peraltro, abilità che alcuni guru "vantano", la capacità di accendere e spegnere il cervello quanto di aprire e chiudere la mano. Anche qui bisorrebbe essere prudenti tuttavia, come ben sappiamo, esso non si spegne nemmeno nel sonno. E' tuttavia curioso che quasi tutti lo anelino, in determinate forme. Chissa forse ha a che fare con qualche ricordo uterino? Ne ho sentito parlare. Detto questo, vedi, la mia legatura ha funzionato, ho invocato il tessuto invisibile del mondo e ho legato te al mio bisogno, quello di una risposta interessante, attraverso le maglie invisibili che ci tengono insieme la legatura ti ha raggiunto, e tu me l'hai data. Cosa dovrei credere? Di essere un mago? (il magoi greco sarebbe un ciarlatano in realtà) Sembra stupido ma ci sono tracce di desideri molto più puerili e improbabili che venivano invocati nello stesso modo, se un giorno venisse trovata una tavoletta con scritta la mia legatura non farebbe certo notizia, ne lo farebbe oggi se potessi ascoltare le preghiere di qualcuno. E' interessante notare tuttavia che la segretezza di questi desideri li renda magia, in questo caso parlavi bene dicendo che "nasconde le cose". Le tavolette per esempio venivano seppellite non potevano essere lette, le preghiere sono fatte nel privato riserbo, nella capanna dello sciamano si entrava da soli... Insomma , sembra troppo facile "chiedere pubblicamente" se vogliamo provare davvero a noi stessi che c'è un intreccio tra noi e il "totalmete Altro", dobbiamo autocostringerci a scrivere un biglietto in una bottiglia e lanciarlo nell'oceano e aspettare che arrivi sulla spiaggia dell'altro. Allora e solo allora potremo dire di aver fatto un "miracolo".

La mia risposta in realtà era divisa in due parti, la parte dell'esperimento voleva essere una "critica" all'antimetafisica. Personalmente riconosco che della metafisica si tende ad abusare troppo ma a mio giudizio la metafisica è un modo di spiegare la realtà che abbiamo noi. La vera domanda è: è universale? Ora nell'esperimento mentale volevo fare in modo di far riflettere di quanto le intelligenze che possiamo immaginarci in realtà sono estremamente simili alle nostre, vuoi per il nostro DNA, vuoi perchè Dio ci ha creati così. Se quell'essere in un mondo indistinto potesse avere una logica, una metafisica o come si possa chiamare secondo me per noi sarebbe incomprensibile (e viceversa). Possiamo davvero "capire" qualcosa senza ragionare in termini di distizioni. Si potrebbe anzi dire che tale intelligenza comunque formulerebbe una metafisica minimale in cui esiste solo lei e ciò che è esterno a lei.  Questo si può però portare allo stremo: se il solipsismo fosse davvero la corretta descrizione della realtà sarebbe possibile formualrlo? Potrei io parlare di me senza che ci sia qualcosa di esterno. Per parlare di me dovrei infatti comunque distinguermi almeno da cose immaginarie, ma ciò sarebbe possibile?  Questo era il senso dell'esperimento mentale e questo è anche a mio giudizio l'argomento a favore della mia convinzione che non possiamo liberarci della metafisica in toto. Al minimo la metafisica infatti è semplicemente una "spiegazione" della realtà sensibile.

Per quanto riguarda i riti. Allora: quello che dici tu è tutto vero però non bisogna confondere religione/magia e superstizione/occultismo. Ad esempio posso delirare e dire che il tumore non si cura con la chemioterapia ma si cura con la sola preghiera. Posso continuare ad auto-ingannarmi e pensare così anche dopo aver fatto il giro di tutti gli ospedali del mondo. Tuttavia questo è una interpretazione errata della preghiera. Visto che il rito della preghiera è l'espressione di una speranza. Se si realizzasse sempre sarebbe come dire una formula magica. Il fatto che non sia così banale la faccenda fa capire che la preghiera è un tentativo di fare un legame con Dio. La "magia" intesa così non è una scienza falsa ma un atto di fiducia.

Buona giornata  :D