@Jacopus
Non sono certo di aver compreso il tuo penultimo post: tutta la serie di condizionamenti e vincoli che hai citato (dalle variabili contestuali ai neurotrasmettitori), depongono a favore della libertà di volere?
Dopo aver elencato molto di ciò da cui il libero arbitrio non è libero, mi pare ancor più legittima l'inevasa domanda: che significa «libero», da cosa? Non dalla volontà che lo genera, non dal contesto empirico e sociale con cui interagisce, non dall'influenza dei neurotrasmettitori, non dal suo stesso passato, etc.
Anche donquixote, parlando di «libertà limitata dalla natura umana», di «poter essere ciò che si è» (determinismo edulcorato), propone una "libertologia negativa" che evidenzia ciò che non c'è di libero nell'essere umano (come quando osserva che «La cosiddetta "libertà di scelta" non esiste per il semplice fatto che ogni scelta volontaria e consapevole, per il solo fatto di essere volontaria e consapevole, non sarà mai "libera" da condizionamenti»). InVerno vede il senso sociale del libero arbitrio nell'imprevedibilità delle azioni individuali, ma ciò non corrobora la fondatezza della libertà di volere.
Risulta che siamo quindi tutti concordi nell'argomentare e constatare ciò che non è libero nella volontà e nelle scelte; quando si tratta di argomentare in favore della libertà, mi pare invece ci si limiti a presupporla "apofaticamente", come ovvia e apodittica, a tutelarla da domande maieutiche e appellarsi alla tradizione che ci crede, o alla società che ne ha bisogno (rovesciamento logico già affrontato) o a mondi possibili/paralleli (che, indimostrabilmente, sarebbero anche potuti essere).
Questa discussione mi sembra alimentare l'ipotesi che «libertà» sia uno di quei concetti magici, oggetto di fede e di culti sociali, ma dalla scarsa attendibilità logico-epistemica. Non insisto con ulteriori domande, perché ormai ho redatto un questionario, ma saranno sempre ben accette argomentazioni non fallaci sulla "libertà di volere".
Non sono certo di aver compreso il tuo penultimo post: tutta la serie di condizionamenti e vincoli che hai citato (dalle variabili contestuali ai neurotrasmettitori), depongono a favore della libertà di volere?
Dopo aver elencato molto di ciò da cui il libero arbitrio non è libero, mi pare ancor più legittima l'inevasa domanda: che significa «libero», da cosa? Non dalla volontà che lo genera, non dal contesto empirico e sociale con cui interagisce, non dall'influenza dei neurotrasmettitori, non dal suo stesso passato, etc.
Anche donquixote, parlando di «libertà limitata dalla natura umana», di «poter essere ciò che si è» (determinismo edulcorato), propone una "libertologia negativa" che evidenzia ciò che non c'è di libero nell'essere umano (come quando osserva che «La cosiddetta "libertà di scelta" non esiste per il semplice fatto che ogni scelta volontaria e consapevole, per il solo fatto di essere volontaria e consapevole, non sarà mai "libera" da condizionamenti»). InVerno vede il senso sociale del libero arbitrio nell'imprevedibilità delle azioni individuali, ma ciò non corrobora la fondatezza della libertà di volere.
Risulta che siamo quindi tutti concordi nell'argomentare e constatare ciò che non è libero nella volontà e nelle scelte; quando si tratta di argomentare in favore della libertà, mi pare invece ci si limiti a presupporla "apofaticamente", come ovvia e apodittica, a tutelarla da domande maieutiche e appellarsi alla tradizione che ci crede, o alla società che ne ha bisogno (rovesciamento logico già affrontato) o a mondi possibili/paralleli (che, indimostrabilmente, sarebbero anche potuti essere).
Questa discussione mi sembra alimentare l'ipotesi che «libertà» sia uno di quei concetti magici, oggetto di fede e di culti sociali, ma dalla scarsa attendibilità logico-epistemica. Non insisto con ulteriori domande, perché ormai ho redatto un questionario, ma saranno sempre ben accette argomentazioni non fallaci sulla "libertà di volere".