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Messaggi - Phil

#976
Citazione di: Alexander il 25 Giugno 2021, 10:40:28 AM
L' ecclesia esprime molte sensibilità diverse. Ci sono stati profondi cambiamenti negli ultimi trent'anni, sopratutto relativamente all'importanza del laicato.
Concordo; eppure, secondo me, da un certo punto in poi, più che di "sensibilità diverse", si può iniziare a parlare di religioni diverse, soprattutto se è il caposaldo, Dio, ad essere inteso in modi molti differenti fra loro (v. esempi sopra), seppur nominalmente coincidenti nella medesima "etichetta". Eutidemo ha giustamente ricordato le diverse correnti religiose basate sui medesimi testi, tuttavia ho l'impressione (ma non ho dati statistici al riguardo) che oggi molti si facciano una religione casalinga a propria immagine e somiglianza, e per poi renderla "autorevole" prendano passi e citazioni dai testi sacri che hanno sottomano (quelli della tradizione che li circonda), spesso giocando (magari in buona fede) sul piano dell'interpretazione metaforica. Questa, a scanso di ulteriori fraintendimenti, non è una critica (né una "colpa"), anzi è per me indice di ragionevolezza, curiosità, senso critico, ricerca filologica, apertura comparativa, etc. tutti antidoti al dogmatismo che solitamente è l'essenza della religione
#977
Citazione di: Eutidemo il 25 Giugno 2021, 06:29:53 AM
a livello biblico, esistono al riguardo diverse "scuole ermeneutiche" (letterale, allegorica, spirituale, critica).
Non solo quella "letterale", come pensi tu!
Anche qui, purtroppo, il «come pensi tu!» segnala invece l'opposto del mio pensiero: se ho parlato spesso di esegetica ed ermeneutica, è proprio perché penso che non esista solo l'interpretazione letterale. Tuttavia, se è scritto «Dio disse» e si sostiene che non è vero che abbia parlato (perché "è certo" che non può parlare non avendo corde vocali), ma che è un "parlare metaforico"(?), allora, sia esegeticamente che ermeneuticamente, si compie, almeno secondo me, una interpretazione indebita perché si valica quel "campo di pertinenza al testo" di cui ho parlato prima (soprattutto se ci si rivolge ad una religione rivelata, se tutta la Bibbia è caratterizzata da Dio che parla e se poi si usano come "appoggi argomentativi" citazioni in cui Dio parla...). Detto altrimenti: quali sono i limiti (se ce ne sono) di un'interpretazione legittimamente metaforica? Davvero trattare i testi sacri come un rorschach (vedendoci ciò che ci piace o che ci pare di vederci) è esegeticamente ed ermeneuticamente legittimo (ricordo che è un ateo a chiederlo)?
Una interpretazione vale l'altra? Per me, no, né storicamente né qualitativamente. Il risultato tipico dell'attuale rapporto critico (pensante, che non è certo un difetto) con la religione, è che probabilmente (magari sbaglio) ci sono milioni di persone unite dal motto «sono credente, però...» e a tale «però» seguono interpretazioni talvolta diametralmente opposte di quella che, apparentemente, si direbbe la medesima religione basta sui medesimi testi; così ci si ritrova nel "paradosso" che due cattolici (o cristiani o altro) sono in realtà di due religioni ben differenti (dal Dio antropomorfo al Dio come puro Essere, passando per il Dio come Ignoto) pur chiamandole con lo stesso nome e frequentando le stesse celebrazioni.
#978
Tematiche Filosofiche / Lo starec Zosima
24 Giugno 2021, 22:38:22 PM
Citazione di: niko il 24 Giugno 2021, 16:17:08 PM
Insomma ogni uomo se accetta l'idea di un dio personale e onnipotente che ha creato l'universo, può farsi anche l'idea che tutto il male dell'universo dipenda da questo dio, non giustificarlo con nessuna teodicea ma accusarlo in modo "diretto" dell'esistenza, e dunque della creazione, del male. Dunque ha una sua valenza logica ed esistenziale e non può essere liquidato come assurdo il pensiero che, quantomeno dal limitato punto di vista dell'uomo che a posteriori lo giudica, se c'è il male nel mondo, dio, (un dio pensato come creatore e onnipotente) non è affatto buono, ma quantomeno amorale se non decisamente malvagio: si riconosce a dio l'attributo di essere creatore e onnipotente, ma non anche buono.
[...]
Quindi la responsabilizzazione, la pace interiore e la potenza creativa dell'uomo in un certo senso secondo me impongono che sia fatta giustizia sul peccato divino della creazione, appunto, dal punto di vista dell'uomo, per isolarlo e contemplarlo al di fuori del sé come colpa e non portarselo dentro ininterrottamente fino a un eterno presente come vergogna, e quindi è necessario che il crocifisso sia realmente colpevole del peccato di essere (non di essersi proclamato) dio e abbia pagato questo suo e non nostro peccato con la morte, per inaugurare una nuova era, insomma secondo me nella narrazione del cristianesimo, che io giudico da un punto di vista assolutamente ateo, e quindi esterno, c'è redenzione non solo assumendo il punto di vista del dio ma anche quello della massa universale dei teicidi, l'universo rinasce a nuova (e plurale) vita una volta fatta giustizia del suo (unico) creatore intenzionale, c'è un senso e una linea di pensiero non ignorabile per cui il creatore è colpevole davvero, e suo atto di amore è accettare finalmente il verdetto delle sue creature, che invocano non solo l'essere per sempre, la salvezza, ma spesso anche il non esser mai, la possibilità sprecata senza un perché della non-creazione. La fine del creatore vuol dire rimanere unici responsabili della creazione, ma se tale fine avviene secondo giustizia, vuol dire che un mondo tutto nuovo, utopico, deve sorgere dal supplizio del creatore in poi, proprio perché tante cose non andavano fino a quel momento nel mondo, e solo fare meglio ad opera dell'uomo, costruire il mondo nuovo, è inverare l'ipotesi, altrimenti solo ipotesi, che il precedente "andare male di tutto" fosse colpa del creatore, e quindi ribadire la realtà giuridica che il supplizio è stato secondo giustizia, e la realtà unitaria che da un certo punto della storia in poi non ci sono altri creatori, da sottoporre a supplizio.
Uno dei ruoli storicamente assegnati alla divinità, oltre a quello di creatore dell'uomo (questione poi "scientizzata" da teorie biologiche) e del mondo (questione "scientizzata" da teorie astrofisiche) è sempre stato anche quello di garante del Bene, legislatore che sa ciò che è bene (oltre magari ad essere egli stesso il Bene) e che giudica dalla sua sapienza l'operato dell'uomo (tale questione non si è ancora prestata ad una "scientizzazione", se mai lo farà; per quanto l'antropologia culturale, la sociologia, etc. abbiano chiarito e demistificato molte carte in tavola). Il pensiero di un dio malvagio o che si redime con un autosacrificio (quasi un'automutilazione, che richiede prima il diventare carne), pone il problema di quali criteri usare per giudicare tale malvagità: se anche l'operato di Dio è male, è suscettibile di giudizio critico, etc. cosa/chi è il garante del Bene (se c'è), su quali tavole leggere gli assiomi etici (non quelli, ben noti, utilitaristici o biologici), soprattutto se si ritiene (opinabilmente) che il male sia ontologico e non solo giuridico-convenzionale? Quale fra le giustizie umane usare per giudicare gli dei?
La prospettiva secondo cui anche dio ha le sue colpe (degradato quasi a "prete che predica bene ma razzola male") "mondanizza" dio nei panni di un architetto (scienza permettendo) maldestro o comunque fallibile, privando il Bene dell'unico criterio che lo avrebbe potuto rendere assoluto (per questo il pluralismo religioso sta arrivando "a singhiozzo", da poco e non ovunque, nella storia dell'uomo, ponendo i ben noti problemi teoretici di fondamento e pragmatici di coesistenza/conflitto, etc.). Il rovesciamento fra giustizia umana e giustizia divina, con la prima che chiede alla seconda di render conto delle proprie azioni, è un ironico contrappasso storico (squisitamente novecentesco), quasi una ritorsione "vendicativa" in cui i figli giudicano il padre, un sovvertimento che, in un'ottica di male/bene ontologici, vede la giustizia umana segare il ramo su cui è stata seduta per millenni... solo per poi accorgersi che il ramo era basso e dopo la caduta si riscopre l'utilizzo delle proprie gambe, tenendo i piedi per terra (terra in cui la vita individuale non è un "fio anassimandreo" da pagare con la morte, ma una condizione ontologica esente da "colpe originarie", essendo causata da altri).

D'altronde, ma potrei sbagliarmi, nella costituzione italiana non vengono mai usate le parole «bene» e «male», a dimostrazione di come si possa organizzare una vita sociale complessa anche senza usare criteri e categorie etico-metafisiche (tali categorie sono i prodromi della costituzione? Certamente, ma sono il classico caso della scala, o zattera, che viene usata per essere poi lasciata alle spalle, altrimenti è stato inutile usarla e, anzi, talvolta si rischia di restarci prigionieri, come nel caso del ddl Zan). Non è dunque esatto, secondo me, affermare che senza un male ontologico, «cadrebbe il concetto di giustizia»(cit. paul11): l'esigenza pragmatica di avere un'organizzazione sociale comporta il giudizio sull'operato altrui, su quelle che sono essenzialmente di fatto «manifestazioni comportamentali umane»(cit. paul11) più o meno funzionali alla società stessa, "al di qua (non al di là) del bene e del male" di cui parlano le (onto)teologie appoggiandosi a narrazioni che risultano sempre meno attendibili (come dimostra il fatto che ci si rifugi sempre più in sincretismi, "religioni fatte-in-casa", rilettura in senso metaforico e personalizzato dei testi sacri, etc. tutti probabili sintomi dell'incubazione del disincanto metafisico che, in fondo, potrebbe essere anche un "male"... tuttavia, a ben vedere, secondo quale "tavola della legge"?).
#979
Citazione di: Eutidemo il 24 Giugno 2021, 07:24:45 AM
Lo credo bene che tu sia ateo (come lo ero io fino a qualche tempo fa); ed infatti, se l'unico modo di credere in Dio fosse quello di tipo "arcaico" e "tradizionale" da te propugnato come l'unico ammissibile, anche io tornerei ad essere ateo al 100%.
Sembra importante ribadire che quando parlo di Bibbia (ma lo stesso varrebbe per il Corano o le Upanishad), non lo faccio da difensore di tale dottrina (né da credente); quindi non c'è nulla di più lontano da me dal ritenere che «l'unico modo di credere in Dio fosse quello di tipo "arcaico" e "tradizionale"» (forse non sono un esegeta, ma di certo non sono un inquisitore). Nondimeno, se parliamo di Bibbia, con attitudine esegetica ed ermeneutica, ci sono dei confini, semantici e testuali, superati i quali si esce dall'interpretazione del testo e ci si mette (indebitamente) del proprio. Se il "paradosso" che hai proposto ad inizio topic, va inquadrato nel contesto biblico, il campo del discorso pertinente avrà determinati confini (esegetici), se invece è uno spunto per parlare di coerenza logica ed ontologia in generale e possibili prospettive riguardo le caratteristiche predicabili di un dio (non il Dio biblico), allora il campo avrà ben altri confini (e mi era parso, probabilmente sbagliando, che tu volessi confinare il discorso al primo campo).

Citazione di: Eutidemo il 24 Giugno 2021, 07:24:45 AM
Il difetto logico del tuo ragionamento, invece, come ti ho ripetuto più volte, sta nell'ostinarti a non voler accettare che:
- un conto è non sapere quel che una cosa sia;
- un altro conto, invece, è sapere quel che una cosa non può essere.
Voglio dire che noi non possiamo sapere in alcun modo, con certezza, cosa sia Dio; ma, sicuramente, possiamo sapere cosa non è!
Ad esempio, dubito fortemente che Dio sia una torta al limone!
Eppure mi sembra di aver scritto che (soprattutto per chi prende le distanze dai testi) non si possono sapere le caratteristiche di Dio, come Dio è o non è, cosa può e non può fare, e non "cosa" Dio è o non è (concordo che non sia una torta al limone, ma non posso escludere che potrebbe assumerne le sembianze, se è onnipotente). Potremmo poi parlare del fatto che Dio (forse) sia stato anche uomo, tirando in ballo il cristianesimo (non il cattolicesimo), la duplice natura (fra sfinteri, corde vocali e miracoli, resurrezione, etc.) ma meglio non divagare ulteriormente. Per il resto, riguardo il "sentire come vero" e i "denominatori comuni" alle varie fedi, restano cruciali le due famigerate domande, a cui ognuno può rispondere (o no) a piacere (ma non è questo il topic).
#980
@Eutidemo
Come ho "confessato" nel mio secondo post, sono ateo; ciò è certo irrilevante quando provo a praticare l'esegesi di un testo (anche se religioso) o quando approccio una posizione filosofica o teologica con un'attitudine ermeneutica, che, aspetto fondamentale, per me non è necessariamente quella veritativa (a differenza di altri approcci possibili). Nondimeno, avendo fatto "outing" sulla mia posizione, puoi facilmente intuire che non sono un araldo della teologia positiva, né che deduco che Dio abbia davvero parlato o si adiri, se per "deduzione" intendi credere ciò come vero, a prescindere dal contesto esegetico in cui siamo (quello dei testi biblici).
Se il terreno della nostra discussione sono alcuni passi della Bibbia o dei Vangeli (come nell'incipit del topic), nelle loro complessità e contraddizioni ("sic et non"), possiamo interpretarli avendo una base comune; se invece mi chiedi di interpretare il "vangelo secondo Eutidemo", dovrei prima leggerlo tutto e rifletterci un po' sopra. Quando mi appello al cristianesimo, e al suo conseguente sbriciolamento se vengono toccati alcuni suoi capisaldi (come la differenza ontologica, etc.), non lo faccio da credente che difende la sua verità, bensì da interprete che riconosce che una certa struttura dottrinale e concettuale, se privata di alcuni pilastri, non regge più, diventa altro, forse un'altra religione, forse un "cristianesimo 2.0", etc.
Le due famigerate domande che ho posto come fondamentali, trovano risposta (anche) nel cristianesimo; possono trovarla anche nel "vangelo secondo Eutidemo"? Certamente, basta decidere di quali testi (o posizioni) si sta parlando, fermo restando che la credibilità e la coerenza logica non sarà a priori equivalente, ma da saggiare con adeguata analisi e, appunto, domande.
Parlando di interpretazione:
Citazione di: Eutidemo il 23 Giugno 2021, 11:43:25 AM
non intendeva minimamente indagare quello che Dio può avere in mano, ma intendeva semplicemente evidenziare un difetto logico del tuo ragionamento
qual è tale difetto logico? Distinguere per sostanza, conoscibilità e potenzialità, l'essere-divino dall'esser-umano? Se è così, si tratta di un "difetto logico" basato tanto sul vocabolario quanto sulle principali tradizioni religiose occidentali (e che anche gli atei, quando si vestono da ermeneuti, non possono ignorare, se vogliano capire il senso di alcuni testi religiosi).
Ad esempio:
Citazione di: Eutidemo il 23 Giugno 2021, 11:43:25 AM
parlare o fare la cacca (perchè non puoi presumere la possibilità dell'una, senza presumere la possibilità dell'altra),
sarebbe contraddittorio affermare che un uomo, parli ma non defechi (in qualche modo), tuttavia, di nuovo, parlando di Dio a quale evidenza o deduzione ci appelliamo per ritenerlo impossibile (concetto che con Dio solitamente stona)? Se sosteniamo che Dio «non può certo avere delle caratteristiche tipicamente umane»(cit.), con una certezza che manca di prove (quindi epistemologicamente debole, ancor più se non si parla del mondo umano ma di una divinità) diamo una bella picconata alla credibilità di Cristo come incarnazione di Dio, all'immacolata concezione (poco affine alla biologia umana, direi), etc. e quindi iniziamo a fare "cherry picking" dai vangeli basandoci su... ma questo sarebbe un altro topic.
Se dubitiamo delle testimonianze "de relato" (puoi ben capire che con un ateo sfondi una porta spalancata, anzi, divelta) non ha troppo senso appellarsi poi ai testi religiosi per usarli in modo argomentativo, o addirittura veritativo, come auctoritas (Dio disse a Mosè... San Paolo ha detto... nel Vangelo è scritto... etc.). Inoltre, se partiamo del presupposto che «Dio non si è mai affacciato di persona dalle nuvole, per dichiararlo espressamente davanti alle TV»(cit.) forse tale presupposto non rispetta né la deontologia esegetica, né è ermeneuticamente fertile, nel rivolgersi a testi basati sulla fede nell'esistenza di un dio (e ricorda che non te lo dice un suo sfegatato sostenitore). Può essere invece un'osservazione utile per redigere il proprio vangelo.
#981
@Eutidemo
La precisazione fondamentale del mio discorso riguardo le deduzioni negative circa le caratteristiche di Dio, è in sintesi questa: «una "deduzione" che funzionerebbe solo per gli umani, applicandola indebitamente a ciò che, per umana definizione, umano non è»(autocit.). Nella mia mano chiusa non può esserci un Boeing 747 perché sono umano, in quella chiusa di Dio potrebbe esserci un intero cosmo (semmai Dio abbia mani), proprio perché i ragionamenti e le deduzioni umane non necessariamente si applicano alla divinità (e ancor meno le spiegazioni biologico-evoluzionistiche, direi). Chiaramente bisogna intendersi su come si descrive tale divinità, e stando a ciò che è scritto nella Bibbia, se la divinità ha creato il mondo solo parlando, la sua incarnazione può comunque resuscitare i morti e compiere altri miracoli, etc. dire cosa la divinità biblica (non una divinità fai-da-te) non possa fare o essere, porle dei limiti, è un azzardo che non trova riscontro né nelle scritture, né, ovviamente, in alcuna evidenza empirica dirimente.
Secondo me, tutta l'identificazione della divinità parte dalle domande: cosa sappiamo di Dio? Da quali fonti? Ogni eventuale descrizione o deduzione umana, per esser sensata, deve render conto di tali risposte, anche se si basa sulla fede (per quanto sia sempre possibile fare un "patchwork teologico", ma allora il valore "veritativo" dei testi sacri diventa piuttosto relativo).
Il fatto che Dio possa aver parlato (o parlare) anche senza corde vocali, etc. può anche essere inteso come «un trucco verbale di carattere sofistico»(cit.), l'importante è trarne poi le debite conseguenze alla luce delle suddette domande (non mi interessa discutere circa l'esistenza di Dio, i paradossi della teologia negativa, etc. ho solo voluto chiarire quale era "lo spirito" del mio discorso nel tratteggiare l'eventuale differenza ontologica dio/uomo).

P.s.
Se
Citazione di: Eutidemo il 23 Giugno 2021, 06:35:32 AM
Dio è:
- intra omnia non inclusum;
- extra omnia non exclusum;
- supra omnia non elatum;
- infra omnia, non prostratum.
Proposizione, questa, che corrisponde alla concezione neoplatonica del rapporto di "immanenza" e "trascendenza", non molto diversa da quella che ho io;
allora affermare che
Citazione di: Eutidemo il 23 Giugno 2021, 06:35:32 AM
già adesso noi "siamo Dio"; nè potrebbe "essere" altrimenti, visto l'"Essere" che è in noi!
non comporta forse una certa "elasticità esegetica" nel descrivere cosa Dio sia e quale sia la sua sostanza?
Inoltre come interpretare questo:
Citazione di: Eutidemo il 23 Giugno 2021, 06:35:32 AM
per spiegarmi meglio, avevo anche ricordato che Dio disse a Mosè "Nessun uomo può vedere il volto di Dio e restare vivo!". (Esodo, cap. 33); ed infatti, nel momento in cui un uomo "vede il volto di Dio", e si rende conto che è "il suo stesso volto", non può far altro che morire, cioè "estinguersi" come individuo!
alla luce della convinzione che Dio non abbia potuto parlare davvero a Mosè essendo privo di corde vocali, etc.? Secondo quale deduzione umana (tolta dai giochi la "voce divina") il "volto di Dio" corrisponde al "volto" umano e la sua "visione" porta all'"estinzione" come individui?

P.p.s.
Citazione di: Eutidemo il 23 Giugno 2021, 06:35:32 AM
con riferimento al passo di San Paolo "Deus est omnia in omnibus"
Credo che il passo da San Paolo (Epistola ai Colossesi 3, 11), come già segnalato, parli di «Cristo» non di «Dio» (fonte).
#982
Percorsi ed Esperienze / YOUTUBE è forse telepate?
22 Giugno 2021, 10:22:59 AM
Usando un browser "pulito" (cookies, cronologia, etc. "vergini" e tracking ridotto al minimo) digitando «i tuoi o» su youtube i risultati consigliati sono stati, nell'ordine:
i tuoi occhi sono fari abbaglianti
i tuoi occhi erano la mia colazione
i tuoi occhi sono pieni di sale
Quindi forse l'algoritmo non ha "preso di mira" Eutidemo, ma ha dato risposte standard (d'altronde non sempre i suggerimenti di completamento sono ragionevoli e prevedibili come ci aspetteremmo: mi ha stupito ad esempio vedere cosa mi ha consigliato youtube quando ho digitato «perché», mi aspettavo altre domande... qui c'è una lista in inglese riferita a Google e qui tre pagine su Google in italiano).
#983
Citazione di: viator il 21 Giugno 2021, 17:25:26 PM
E perchè  mai la Bibbia - se narrazione di fatti accaduti - dovrebbe perdere credibilità a seguito di una constatata od ipotizzata voce (fonetica) di Dio ?.
Con «se venisse meno la voce diretta di Dio, non metaforica bensì fonetica ed udibile»(autocit.) mi riferisco a quando Eutidemo afferma che Dio non abbia parlato davvero, non avendo corde vocali, etc. e dunque «quando accenniamo alla "parola di Dio", non possiamo farlo se non in senso prettamente "metaforico"»(cit. Eutidemo). Detto altrimenti: se non si crede che Dio abbia parlato vocalmente con i suoi interlocutori, usando una lingua che essi potessero comprendere, allora tutti i passi biblici in cui è scritto «e Dio disse...» non descrivono la voce/parola di Dio (e la sua volontà o azione che tale voce conteneva), con ripercussioni dottrinali piuttosto destabilizzanti in termini di solidità e credibilità (ad esempio, se sia stato Dio a dettare vocalmente i comandamenti a Mosè, o se questa sia solo una metafora per alludere ad un'ispirazione divina del profeta, segna la differenza, teologicamente non trascurabile, fra una religione rivelata ed una no; altra differenza rilevante sarebbe quella fra la scrittura dei comandamenti da parte del "dito di Dio" o quella del "dito umano"; tutte differenze, quelle fra azione-divina/azione-umana, interne alla fede e ai suoi fondamenti, ovviamente).
#984
Citazione di: Eutidemo il 21 Giugno 2021, 06:30:55 AM
Dio, naturalmente, "non parla", essendo privo sia di lingua, sia di corde vocali, sia di laringe, nonchè, ovviamente, dei centri di Broca e di Wernicke per la composizione del del pensiero linguistico; per cui, quando accenniamo alla "parola di Dio", non possiamo farlo se non in senso prettamente "metaforico".
Per ritenere "naturale" che Dio sia privo di lingua o altro, dovremmo conoscerlo e aver verificato tale assenza; purtroppo (o per fortuna) trattandosi di una divinità, non possiamo escludere che "naturalmente" sia in grado di parlare anche senza lingua, laringe, etc. perché, proprio in quanto divinità, non è necessario sottostia ai limiti e vincoli della biologia umana (questo è il paradosso di ogni teologia negativa: considerare vera la negazione degli attributi umani alla divinità, senza aver verificato tale assenza, seguendo una "deduzione" che funzionerebbe solo per gli umani, applicandola indebitamente a ciò che, per umana definizione, umano non è e che in onestà si afferma di non conoscere, sebbene se ne postuli l'esistenza definendone alcuni caratteri; affermare che esiste qualcosa di non umano non comporta che ciò debba necessariamente non avere assolutamente niente di umano... ma questa "affermazione del negativo che presuppone l'affermazione del positivo" è un paradosso, o meglio un circolo vizioso teo-logico nettamente off topic).
Da un punto di vista dottrinale, se venisse meno la voce diretta di Dio, non metaforica bensì fonetica ed udibile, gran parte della Bibbia (dieci comandamenti, citazioni da discorsi con Mosè, etc.) perderebbe di fondamento e lo stesso concetto di "religione rivelata" si indebolirebbe, restando giustificata solo dalla voce umana (fonetica ed udibile) di un predicatore autoproclamatosi figlio di Dio (caso forse non unico a quei tempi... e dopo).

Citazione di: Eutidemo il 21 Giugno 2021, 06:30:55 AM
Per cui, come correttamente hai scritto, se Dio non crea il mondo e l'uomo dotati di una sostanza differente dalla sua, allora tutto è "ontologicamente" Dio; così come, appunto, le onde sono "consustanziali" al mare.
Tuttavia, a differenza di alcune concezioni orientali, bada bene che, almeno secondo la mia concezione (e non solo la mia), le onde non sono affatto delle mere "illusioni" o "miraggi", bensì sono semplicemente delle "manifestazioni" del mare, e, quindi, sono concettualmente diverse da lui, ed hanno individuali comportamenti "ondivaghi": ed infatti, tu non diresti mai che "il mare ha rovesciato una barca", bensì diresti che ""quell'onda ha rovesciato una barca".
Oltre che di «manifestazione» e di «differenza concettuale», l'ontologia religiosa è fatta anche di sostanza, e la questione della sostanza unica non mi sembra compatibile con la religione cristiana (almeno, come detto, quella "standard"), perché il fatto che le onde e il mare siano entrambi fatti di acqua non è affatto un problema ontologico, mentre, se la sostanza di Dio è la medesima del creato, allora viene meno la differenza ontologica fra divino ed umano (che è l'a priori fondamentale di tutte le religioni occidentali), da cui mi pare derivi, con effetto domino, l'inconsistenza di gran parte della dottrina cristiana, cattolica, ortodossa, etc. (i cui ministri, infatti, non credo affermino o insegnino che gli uomini siano consustanziali a Dio; al massimo la consustanzialità può essere quella di Cristo, in quanto parte della trinità e anche in questo caso, se non erro, ci sono state migliaia di pagine di dibattito teologico).
Se invece si fa di Dio un "sinonimo laico" dell'Essere, spogliandolo degli aspetti dottrinali e cultuali (creazione del mondo, giudizio post-mortem, predilezione per gli uomini, etc.) il supporto dei testi biblici è tanto rilevante quanto quello di un qualunque altro testo di altra religione o di esoterismo, interpretato in chiave non religioso-dottrinale ma ontologica (per quello che è l'ontologia nel 2021, ma anche questo è un altro topic).

Citazione di: Eutidemo il 21 Giugno 2021, 06:30:55 AM
Quanto alla circostanza che la preghiera di Gesù sull'"esser uno", non descriva una "condizione di unità in atto", ma soltanto "in potenza",  auspicando che tale "unità universal-metafisica" possa essere "spiritualmente" raggiunta da tutti soltanto dopo la morte, sono perfettamente d'accordo con te; ed infatti è "esattamente" quello che avevo scritto io, altrimenti saremmo tutti dei Gesù viventi!
Lo stesso dicasi per il passo di San Paolo, di cui tu parli nel tuo successivo post!
Quindi concordiamo che non è esatto che «Deus est omnia in omnibus»(cit.), ma tale eventuale compresenza/unità/ricongiunzione "totalizzante" (omnia in omnibus) è semmai da rinviare nel futuro, e quindi, proprio in virtù della differenza ontologica fra la fonte di luce e gli specchi che la riflettono, non siamo onde nel mare di Dio, bensì ben altra "acqua" che attende di evaporare per (ri)unirsi al cielo da cui è piovuta (per dirlo metaforicamente, senza voler insinuare una visione ciclica di nascita/morte, decisamente poco cristiana).
#985
Citazione di: Eutidemo il 20 Giugno 2021, 14:38:55 PM
Altrimenti, dovrebbe considerarsi "panteista" ed "eretico" anche San Paolo, il quale testualmente scrisse che "Deus est omnia in omnibus" (Epistola ai Colossesi 3, 11)
Non sono affatto esperto né di Bibbia né di San Paolo, ma pare che un altro testo dica «ut sit Deus omnia in omnibus», ovvero "affinché sia...", con la stessa prospettiva di attesa del futuro segnalata sopra riguardo l'invocazione di Gesù sull'"essere uno"; tensione verso il futuro ancora più credibile se consideriamo che il passo parla con toni escatologici: «E quando tutto gli sarà stato sottomesso, anche lui, il Figlio, sarà sottomesso a Colui che gli ha sottomesso ogni cosa, perché Dio sia tutto in tutti» (1 Corinzi 15, 28).
In Colossesi 3, 11 e in Galati 3, 28 l'unità viene riferita a Gesù (non a Dio), ma non è un'unità sostanziale (difficile possa esserlo, trattandosi di un'unità acquisita con la conversione e il battesimo); quindi ontologicamente resterebbe la differenza fra Dio e il creato, con Gesù che cerca di riunificare nella fede (non nella sostanza) le genti (almeno per quello che mi pare di capire, dovrei chiedere lumi ad Abelardo...).
#986
Citazione di: Eutidemo il 20 Giugno 2021, 14:38:55 PM
Il Logos, infatti, non era "di Dio", ma, come dice Giovanni "era Dio stesso"; e, poichè, ovviamente Dio non può "creare se stesso", dire -per semplicità espositiva- che "creò" il mondo, significa solo che "manifestò se stesso" nella "molteplicità" fenomenica del mondo visibile.
"Dio creò il mondo" può anche significare semplicemente che lo creò usando la sua parola ("dalla" sua parola) che in quanto parola di un dio può produrre effetti che quella dell'uomo non ha, come appunto il creare qualcosa di totalmente differente e indipendente da ciò che lo crea (i principi della termodinamica erano ignoti all'epoca, forse, in ambito religioso, c'erano quelli delle sefirot; senza voler sminuire Lucrezio). Sostenere che "Dio manifestò se stesso nella molteplicità fenomenica del mondo visibile" pone il suddetto problema (dal retrogusto medievale, lo ammetto) della sostanza e della eventuale consustanzialità: se Dio non crea il mondo e l'uomo dotati di una sostanza differente dalla sua, allora tutto è ontologicamente Dio (come le onde sono "consustanziali" al mare). Ipotesi che sbriciolerebbe molti capisaldi della dottrina cristiana; sbriciolamento, come detto, che è eretico «almeno se si resta fedeli alla narrativa biblica ed evangelica»(autocit.), "restare" che può essere parte della deontologia filologica ed esegetica, ma non è un vincolo inscindibile (come dimostra la storia della chiesa e, più in piccolo, questa nostra stessa conversazione).
La preghiera di Gesù sull'"esser uno" (non l'ho trovata in Atti 20:28, ma in Giovanni 17,20-23) non descrive la condizione di unità (come forse propone san Paolo), ma la auspica pregando Dio (il che significa che tale unità non era/è già in atto) affinché tale "unità universal-metafisica" venga raggiunta in futuro (o nel regno dei cieli?). D'altronde, affinché sia possibile (almeno nel cristianesimo "standard") sostenere tematiche come il peccato, la tentazione, la redenzione, il perdono, etc. è necessario che ci sia differenza sostanziale fra le creature e il creatore, fra l'imperfezione e la perfezione, fra la possibilità del male come peccato e l'assenza assoluta di male (in quanto sommo Bene), etc.

P.s.
Credo che nell'esegesi di un corpus di testi vasti e complessi, per distillarne una dottrina più coerente possibile, sia necessario filtrare i passi che appaiono spuri e in contraddizione con gran parte degli altri, altrimenti ci si incaglia nell'"indecidibilità" e la dottrina diventa un "rorschach" (il buon Abelardo ne trattò a fondo nel suo «Sic et non», che tuttavia non intende sdoganare l'anarchia esegetica per rendere autorevoli cristianesimi fai-da-te basati su singoli passi  tratti ad hoc dai testi; il che non è certo un rimprovero, così come l'eventuale esito panteista di certe posizioni non è oggetto di mio biasimo, per quel che vale).
#987
Citazione di: Eutidemo il 20 Giugno 2021, 06:42:09 AM
"Ex nihilo, nihil fit"!
Questa è una "legge umana" (della scienza, non della fede religiosa) mentre, stando a come Dio viene presentato in generale nella Bibbia, la sua non applicabilità a Dio è proprio ciò che rende Dio tale. Volendo essere puntigliosi: nel racconto biblico Dio non crea il mondo dal nulla, ma dalla (con la) sua parola-logos che non è un nihil, ma appunto una forza/"soffio" creatrice (aspetto che l'ebraismo ha ben rimarcato con la sua "mistica delle emanazioni"). La manifestazione dell'"Uno come molteplice" (inteso come distinto ma non separato, come nel caso dell'onda/mare) è un'eresia (e te lo dice un ateo), almeno se si resta fedeli alla narrativa biblica ed evangelica: verrebbe meno la differenza sostanziale fra uomo e Dio («a sua immagine», non "con sua sostanza"), il cristianesimo sarebbe quasi un panteismo o panpsichismo, etc. probabilmente, magari sbaglio, Giovanni era più vicino al «rozzo popolo ebraico»(cit.) che al "tutto è uno" orientaleggiante (e poco affine alla predicazione di Cristo...) e ai principi della fisica umana applicati al divino (ovviamente, oggi possiamo speculare su come interpretare tali passi biblici, ma il voler-dire originario ed originale credo vada rintracciato, con tutte le innegabili difficoltà annesse, nel contesto dell'epoca).
#988
L'apparente paradosso logico può essere risolto considerando esegeticamente tale esordio come un riferimento alla Genesi, in cui con la parola/logos Dio crea il mondo e l'uomo («tutto è stato fatto per mezzo di lui e senza di lui nulla è stato fatto di ciò che esiste. In lui era la vita» dice infatti Giovanni) e la parola è una tipica manifestazione divina, come capita altre volte nella Bibbia (se non sbaglio), in cui Dio è (almeno) una voce che parla dal cielo. Anche l'espressione «in principio era il logos» può essere intesa come un riferimento all'attività creatrice di Dio: in quanto eterno, Dio non ha principio, ma principia la realtà mondana parlando, con il suo logos, per questo si può affermare che in principio era il logos, perché è stato il logos divino a dare un principio alla storia del mondo e dell'umanità. «Il logos era presso Dio ed era Dio» allora significherebbe che la parola di Dio era presso di lui (nel senso che da lui traeva origine) ed "era" lui poiché era, dal punto di vista umano, la sua principale manifestazione che lo identificava.
Umanizzando: se parlo con qualcuno che non mi conosce da dietro un paravento, io sono (per lui) la mia voce e la mia voce è (per lui) presso di me, nel senso che l'interolcutore può rapportarsi a me solo in quanto "sono" voce, pur sapendo egli che tale voce non può esistere da sola, bensì, proprio in quanto voce, è generata da un parlante, sebbene "misterioso" (un'esperienza simile si ha quando si segue un programma alla radio: il conduttore è per noi una voce che ci accompagna mentre magari guidiamo, ma al contempo sappiamo che la sua voce è presso di lui, essendo lui plausibilmente non solo la sua voce, pur essendo almeno la sua voce... escludendo voci artificiali di AI e programmi informatici, che comunque il buon Giovanni non poteva nemmeno immaginare).
#989
Citazione di: viator il 12 Giugno 2021, 14:38:41 PM
l'essere è l'intero, le cause (lo stare) e gli effetti (il divenire) sono le due metà dell'intero.
Dunque l'essere è sia l'intero che la condizione, ovvero, se ho ben inteso, l'essere sarebbe: l'"intero come condizione per cui le cause producono i loro effetti"?
Se così fosse, alla luce della considerazione che «le cause (lo stare) e gli effetti (il divenire) sono le due metà dell'intero»(cit.), sarebbe in atto un rovesciamento logico: l'intero non è la condizione per cui le parti si relazionano, ma è la relazione delle parti a esser condizione costituente l'intero (l'auto non è la condizione per cui i suoi vari pezzi interagiscono, ma ne è il risultato, in quanto è una determinata interazione fra le parti a identificare l'auto; sulla questione dell'intero avevo già anticipato che, per me, la categoria non va confusa con il contenuto, che la proprietà dell'esser-parte non va confusa con il criterio dell'insieme, ovvero l'esistente non va confusa con l'esistere).
Direi allora che l'essere, se inteso come intero, non può essere condizione per cui le cause sono cause e quindi producono i loro effetti, ma sono piuttosto le cause, in quanto per definizione causanti gli effetti, a produrre (assieme agli effetti) l'"essere come intero" (o meglio «l'esistente», se rispettiamo la distinzione fra categoria e suo contenuto). Tuttavia affinché la cause causino, la cause devono già essere; ecco che quindi l'essere delle cause presuppone già un essere (il loro) che non è né l'intero (che è concetto di quantità estensionale di cui la cause sarebbero solo parte, stando a quanto dici), né la condizione della causazione (che è già implicità nell'esser-causa... e qui si riallaccerebbe il suddetto discorso dell'essere come presenza).

Citazione di: viator il 12 Giugno 2021, 14:38:41 PM
Secondo me non è che si presti meglio come definizione del divenire. Si presta ugualmente bene
credo concorderai che solitamente la definizione di un intero è differente dalla definizione delle parti (vedi la definizione di «causazione» e quelle di «causa» e di «effetto», con cui intendo almeno le definizioni generali), così se il divenire è una parte dell'essere (come sostieni), allora la definizione di essere (intero) non può «prestarsi ugualmente bene»(cit.) a quella del divenire (parte).
Citazione di: viator il 12 Giugno 2021, 14:38:41 PM
Perciò la definizione che riguardi l'intero varrà (risulterà sinonima) per l'insieme delle parti che lo compongano.
Questa osservazione o è un truismo lapalissiano, se si intende gemericamente con «intero» l'insieme delle parti che lo compongono, oppure non è esatta perché la definizione dell'intero è uguale a quella dell'insieme delle parti che lo compongono solo se queste sono in una determinata relazione fra loro (vedi il classico monito che una sedia non è l'insieme dei suoi pezzi messi a caso).

P.s.
Ho cercato di non scollarmi troppo del tuo ragionamento, sebbene, come scritto, la mia opinione sul tema sia differente nonostante di tutto il bouffet sia stato raccolto solo un fazzoletto di carta per farci degli origami che forse richiedano altro tipo di "carta".
#990
Per inquadrare l'essere non mi pare necessario ricorrere alla causalità, per quanto sia la chiave di lettura del mondo solitamente più calzante e scientifica, abitualmente memore della differenza (im)portante fra la categorizzazione umana (causa/effetto) dell'esistenza e l'esistenza come condizione a prescindere dalla sua lettura umana (il solito "non confondere la categoria con il contenuto della categoria").
Il punto di partenza di ogni (onto)logica, come già scritto recentemente e in passato, è l'identità: identificare «x» significa affermare che «x è, esiste», ovvero x ha l'esistenza come sua proprietà, x è nella situazione di essere, x è presenza situata (nella mente, nel mondo esterno o altrove).
Essere (con la maiuscola solo perché siamo ad inizio paragrafo) sarebbe quindi l'atto di avere esistenza, ovvero essere-presenza o, se non si vuole usare «essere», risultare presenza (empirica, mentale, ideale o altro), il far parte dell'insieme di tutto ciò che ha la proprietà dell'esistenza («far parte dell'insieme» non equivale a «essere l'insieme»). L'essere non è forse sempre un risultare-presente (per quanto la presenza sia declinabile in differenti modalità)?
Persino, pensando ad una possibile falsificazione per assurdo, un dio o altro ente incausato e non causante sarebbe, ovvero risulterebbe-presenza (a suo modo, ma non divaghiamo), sarebbe nella situazione di essere, pur non causando nulla, né essendo causato. Meno cervelloticamente: posso guardare un sasso ed affermare che è, senza considerare minimamente da cosa esso sia causato, né cosa esso causi (senza voler qui cavillare gnoseologicamente se esso causi percezione o sia effetto di percezione, se esso esista anche se nessuno lo percepisce, causalmente o meno, etc.).
La «condizione per la quale le cause producono i loro effetti» (cit.) si presta forse meglio come definizione del divenire (o del determinismo), e seppur sappiamo che (ovviamente usando le nostre categorie) tutto l'essere è in divenire, il nostro sasso, muto e immobile, è emblema di come anche qualcosa che non divenisse (non fosse nella condizione di produrre effetti), potrebbe nondimeno essere (se non altro perché, ontologicamente parlando, è l'essere a dare senso alle categorie che se ne occupano, non viceversa; detto altrimenti: è l'esistenza della carta che dà un senso alle varie "categorie" di origami, non viceversa, e affermare che la carta consiste nella condizione per cui le pieghe modificano la forma dell'origami è darne una visione parziale, per quanto non certo scandalosa).
Se l'essere è risultare-presenza (definizione che ha già una sua storia, non invento nulla), cos'è la presenza? La presenza è l'esser-oggetto; l'esser-oggetto è, umanamente parlando, l'essere identificabile (nello spazio e nel tempo) da un soggetto, che può "oggettificare" anche se stesso nell'autocoscienza (risultando "presente a se stesso" ed affermando «io sono»).
Si può dunque rivolgersi all'essere anche fuori dalla dicotomia causa/effetto, trattandolo come "presenza precategoriale", senza che ciò comporti affermare che l'essere non è.