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Messaggi - Sariputra

#976
@Green Demetr scrive:
Ma poi non vedo cosa c'entri con tutto quello che ho scritto.

Io non mi riferisco certo al culto dell'immaginetta dell'ambulante di turno.

Io mi riferisco al fatto che Dio si è trasformato in Uomo.

E che persino un personaggio come Ravazzi ai nasconda dietro alla frase "ma la carne è debole" quando fa capire chiaramente come il messaggio cristico sia tutt'altro che popolare per pochi eletti.
Una captatio benevolentiae ridicola, che testimonia solo come la chiesa sia totalemte addentro al mondo degli oggetti.

Non diciamo sciocchezze: Dio non è un oggetto.


Caro Green, tra noi è rimasto in sospeso da tanto tempo un bel discorso sulla Paura. Non la pauretta di questo o di quello, del robot  da acquistare al super market per i single che vogliono farci l'amore ( che poi sappiamo tutti che gran parte della produzione di quei "cosi" finirà così...) ma la Paura, quella con la P maiuscola, ossia la paura della Morte ( con la M maiuscola ). Che poi, ci si gira intorno intorno, chi con la logica formale, chi con la razionalità , chi con gli archetipi e le visioni solo per cercar di dimenticarsi che corriamo insieme alla nostra compagna, quella che dorme sotto il nostro letto, quella che abbiamo Paura che ci afferri per le caviglie mentre sogniamo e progettiamo cose e vacanze...E quindi...per parlare della Paura e della Morte , e quindi di Dio, quello vero intendo, ci si dovrebbe ritrovar per intendersi dove ci eravamo lasciati: in quella caverna primordiale , in cerchio attorno al fuoco, con i visi anneriti dal fumo. Se ci dimentichiamo della morte...che ci sta a fare Dio? Non è precisamente dentro alla morte stessa che dobbiamo cercarLo?...O abbiamo paura dell'abisso?...Non è anche in questa vertigine d'abisso che lo intuiamo?...Ma cos'è questa vertigine che ha a che fare con la nostra paura e con la nostra morte?...Non so se sbaglio, spiegami tu...ma a me sembra una domanda filosofica questa; che però ha bisogno di metterci dentro Passione, qualcosa pure di angoscioso mettiamo, qualcosa di veramente "umano"...Perchè sento tanta angoscia e paura attorno al fuoco e con il buio che si muove alle mie spalle...è un'"oscuro terrore" di Dio per caso? Perchè lo abbiamo "tradito"  e come dei vili traditori adesso ci nascondiamo dietro la logica formale, la razionalità, gli archetipi e le visioni e i nostri volti anneriti dal fumo dell'ipocrisia? ...In questo buio sembra che il fantasma di Dio ci insegua dappertutto...
Mah!...ecco gli effetti di scrivere a un'ora tarda con il silenzio della campagna come unico amico...

P.S. Riletto con la luce dell'alba questo ha tutto il sapore dell'incubo... :(
#977
Tematiche Filosofiche / Re:Buddhismo
28 Settembre 2017, 09:37:40 AM
"All'inizio tutto appariva nuovo e strano, ineffabilmente eccezionale, delizioso e bello. Ero un piccolo straniero che, entrando nel mondo, fu festeggiato e circondato da innumerevoli gioie.La mia conoscenza era divina. Conoscevo per intuizione quelle cose che ricordavo di nuovo per mezzo della ragione più alta. La mia ignoranza era un vantaggio. Sembravo una persona ancora nello stato d'innocenza.Tutte le cose erano immacolate, pure e gloriose: sì, e infinitamente mie, e piene di gioia e preziose. Ignoravo che esistessero peccati, sofferenze o leggi. Non pensavo a povertà, controversie o vizi. lacrime e contrasti erano nascosti ai miei occhi. Tutto era pacifico, libero e immortale. Non sapevo nulla di malattie, di morte, di divisioni o di esazioni, sia di denaro sia di pane.  In assenza di tutte queste cose, m'intrattenevo come un angelo nelle opere di Dio, con il loro splendore e la loro gloria e vedevo tutto nella pace dell'Eden. Cielo e Terra cantavano le lodi del mio creatore e non potevano essere più melodiche per Adamo che per me. Il tempo era eternità e un perpetuo sabato di festa. Non è forse strano che un bambino sia l'erede del mondo intero e veda quei misteri che i libri dei dotti non hanno mai spiegato?
Il grano era un frutto immortale che nasceva da solo e che non doveva essere né mietuto né essere seminato. Credevo che esistesse da sempre. La polvere e le pietre della strada erano preziose come l'oro: cancelli chiudevano i confini del mondo. I verdi alberi, quando li vidi per la prima volta attraverso uno dei cancelli, m'incantarono e mi affascinarono; la loro dolcezza e la loro eccezionale bellezza mi fecero balzare in petto il cuore e mi fecero quasi impazzire di estasi, tanto erano strani e meravigliosi. E gli uomini...oh, quali venerabili e nobili creature sembravano i vecchi! E i giovani sembravano  angeli sfolgoranti e sfavillanti e le fanciulle strani e serafici modelli di vita e di bellezza! I ragazzi e le ragazze, mentre camminavano per le strade e giocavano, sembravano gioielli viventi. Ignoravo che essi fossero nati e dovessero morire; ogni cosa sussisteva eterna, al suo giusto posto.
L'eternità si manifestava alla luce del giorno e qualcosa d'infinito appariva dietro a ogni cosa, il che corrispondeva alle mie aspettative e veniva incontro ai miei desideri. la città sembrava far parte dell'Eden o essere costruita in Cielo. Le strade erano mie, il tempio era mio, la gente era mia, i loro vestiti e il loro oro e argento erano miei, così come i loro occhi sfavillanti, la loro gradevole pelle e i loro rosei visi. I cieli erano miei, così come il sole e la luna e le stelle, e tutto il mondo era mio, e io ne ero il solo spettatore e fruitore. Ignoravo ogni rozza proprietà, ogni legame, ogni divisione; tutte le proprietà e tutte le divisioni erano mie, nonché tutti i tesori e i loro possessori. Così, soltanto con molto fastidio, io fui corrotto e imparai gli sporchi meccanismi di questo mondo. Devo perciò dimenticare queste cose e diventare di nuovo, per così dire, un bambino per poter entrare nel Regno di Dio."

Questo è un passo tratto da uno scritto di Thomas Traherne, poeta metafisico del XVII sec, mistico e santo della chiesa anglicana.
E' interessante notare come, nel solco delle considerazioni fatte sulle similitudini tra buddhismo e daoismo, o per meglio dire sull'eventuale comune esperienza di una realtà ineffabile, troviamo sponde anche nell'esperienza mistica cristiana. Non sembra , con un linguaggio diverso, che venga additata la stessa esperienza di medesimalità  che è la base dello stato mentale che nel buddhismo zen, per esempio, viene definito come sono-mama? Quello che William Blake definiva come "tenere l'infinito nel palmo della mano e l'eternità in un'ora"?
Per quanto sia difficile guardare il mondo in questa maniera scopriamo che poi non è diverso da come lo guardavamo "da bambini" ( e questo si riallaccia prepotentemente alle ragioni e al valore della "semplicità"...). E' il bambino che si meraviglia della scoperta di un fiore tra le sterpaglie...

Quando meno te lo aspetti
scopri un nazuna in fiore
sotto la siepe
(Basho, haiku del XVIII sec.)

P.s. Scusate i "justify" disseminati. sembra che utilizzando il copia/incolla non si riesca ad evitarli. Però era un passo troppo lungo quello del Traherne per ricopiarlo ribattendolo interamente...certo che rovinano la lettura :(
#978
Tematiche Filosofiche / Re:Buddhismo
27 Settembre 2017, 10:01:56 AM
@Apeiron, grazie per l'esauriente e onesta risposta.
Dal canto mio posso raccontare di come la mia vita sia una specie di lotta per "restare semplice". Spesso uso o faccio dell'ironia proprio per questo, perchè una risata ha il potere immediato di ricondurre alla sua semplicità la mente. In effetti restare semplici non è facile in un mondo in cui facciamo continuamente accumulo di una quantità enorme, eccessiva di informazioni. Penso , in questo momento, alla quantità di informazioni che conservo in questo pc con cui sto scrivendo. Tutte informazioni a cui posso accedere con un click, mentre fino  a 10-15 anni fa dovevo per forza recarmi in una biblioteca, o cercare sulla scrivania...Tutti concordano che questo è un progresso, una semplificazione della vita e della fatica. Così mi trovo con suttas, testi vari, interpretazioni di tutti i tipi, news le più disparate...
Visto che stiamo parlando di buddhismo , spesso mi chiedo se , tutto questo Dhamma a cui posso attingere, se lo voglio, in ogni momento, sia davvero necessario per me...
Si dice che, ai tempi del Buddha, ad alcuni bastava ascoltare un solo sutta per comprendere in profondità l'Insegnamento e trovare un pò di felicità/equilibrio nella propria vita, Oggi invece molti divorano informazioni, fanno un'autentica raccolta d'informazioni. Così, come abbiamo il corpo in sovrappeso per l'eccesso di buon cibo ( accompagnato da un buon vinello di casa...), ci troviamo la mente obesa e in sovrappeso per un eccesso d'informazioni. Un filosofo o uno scienziato penso che istintivamente rifiutino questa immagine della mente cicciona, con palle di lardo informativo che la appesantiscono, ma se questo eccesso non è ben digerito può solo creare confusione. Così a volte, per ritrovare un pò di "leggerezza" mentale mi ripeto che non devo dimenticare il valore della semplicità. Essere semplici è anche un operare con gentilezza verso gli altri e verso se stessi. E, nel caso del buddhismo, è ricordare che l'Insegnamento è semplice: non fare il male, fare il bene, purificare la mente.
Spesso gli insegnamenti semplici sono i migliori. In questo periodo di lutto per la morte di mia mamma ( per la fine della sua penosissima sofferenza sarebbe più corretto dire...) ho compreso come gli insegnamenti semplici che mi ha dato, nella sua semplicità contadina, siano quelli che più profondamente hanno inciso in me e siano i migliori che posso "trattenere".
L'importante è il modo come agiamo e le azioni giuste si riconoscono dai risultati. Questo kamma  :) semplice  non viene dalla valle del Gange, dal Magadha, ma dalle storie che ci raccontava da piccoli, attorno al tavolo, quando parlava di "buona semina" e del "bravo contadino"...
La gioia che può dare la semplice leggerezza è una sorta, almeno per come la vivo io, di libertà e di pace. Però è qualcosa di vissuto nella mente, dato che la sofferenza fisica è inevitabile . Più si procede negli anni e più la sofferenza del corpo , che si logora, tende ad aumentare il suo peso nella nostra vita, il suo condizionamento. La meditazione aiuta anche da affrontare il disagio di avere un corpo che finirà ( quasi sempre male purtroppo :(). E' chiaro che per un giovane questo fatto sembra sempre più in là, non urgente da affrontare. Lo pensavo anch'io... :'(
Il Dhamma mi ha aiutato ad osservare la sofferenza e vederla come un fatto ineludibile della vita. Questo non lo accettavo ( ancor oggi mi è a volte indigesto...).
Nei sutta i grandi arahant affermano che il mondo è solo sofferenza che sorge e sofferenza che passa. Questo insegnamento spesso lo ritrovo quando una vecchietta con le borse della spesa mi ferma per chiedermi notizie dei vecchi. In realtà non vuole avere notizie, vuole solo qualcuno che ascolti il racconto delle sue sofferenze. Quasi sempre, in vario modo, terminano con:"Cosa vuto...a vita a xe solo tribolar!" ( trad. dal dialetto tipico della Contea: "Cosa vuoi...la vita è solo tribolazione!") :)
Un giorno , rispondendo a Upali, Siddhartha disse che per capire se qualcosa è in accordo con il Dhamma, in accordo cioè con il sentiero, bisogna osservare se fa nascere in noi una buona sensazione di libertà e pace ( credo lo si trovi nell' Anguttara Nikaya...). La via corretta quindi, sempre ricordando questa frase, non è l'accumulo di informazioni sul buddhismo , ma bensì tutto quello che porta alla libertà, alla tranquillità e alla pace ( nei limiti imposti dalla nostra condizione umana, impermanente e soggetta alla sofferenza...):Che questo richieda anche la comprensione  è chiaro, però questa comprensione si può fondare su una "manciata di foglie", tutto quello che serve...
Personalmente, proprio perché sono spesso contorto, trovo nell'atto di "restare semplici" uno dei valori più alti, totalmente non settario, della spiritualità.
#979
Tematiche Filosofiche / Re:Buddhismo
26 Settembre 2017, 11:30:34 AM
Citazione di: Apeiron il 26 Settembre 2017, 10:06:41 AM@Sariputra, probabilmente avevo dormito male ieri, ti giuro che non ho proprio letto la parola "anatta" (e dire che la cosa mi aveva pure un po' sconvolto) ;D ;D ;D c'erano le tre caratteristiche scritte chiaro e tendo, che figura di m.... ;D ;D ;D Sì ok forse ho capito (finalmente) perchè si dice che "Nibbana è anatta" anche se ritengo la cosa non così evidente come sembra e nemmeno così "unica" come sembra - anche se il Dhamma come ben ti sforzi a far notare "trascende" ciò che hanno insegnato gli stessi Buddha, Sari ecc ;D Sulla questione dell'assolutismo "epistemologico" direi che è una conclusione necessaria e che risponde proprio alle mie domande sull'"infallibilità del Buddha", ossia che il Buddha è colui che oltre ad avere una conoscenza perfetta della Verità, è anche perfetto nel saperla insegnare (e più passa il tempo, più l'imperfezione dell'uomo fa in modo che quindi non si capisca più nulla del Dhamma ;) ). Poi il Dhamma non è realmente "relativo" come sostieni Sari, proprio perchè come si è detto secondo i buddisti la paticcasamuppada è universale. Ergo dire che la paticcasamuppada è relativa mi pare che sia un (mal) celato sofismo, completamente inutile (dire che il Dhamma insegnato dal Buddha è relativo al tempo in cui è stato esposto non è di certo una "prova" che la verità del paticcasamuppada sia relativa, anzi mi pare una conferma della sua assolutezza). A livello esperienziale, poi, come ben dici tu ovviamente è assolutismo. La cosa interessante è se davvero l'anatta esclude ogni tipo di "assolutismo"... A mio giudizio NO. Per esempio non riesco sinceramente a ben distinguere la differenza tra la filosofia del Dao a quella buddista a parte che il Dao talvolta viene pensato come "principio". Ma se il Dao non viene pensato come "principio" non mi pare così diverso (non fraintendermi, so che è diverso ma credo che la diversità sia compatibile con il fatto che due saggi possono descrivere la medesima cosa in modo diverso). O almeno rimane comunque un assolutismo metafisico nel senso di quel meraviglioso e particolare assolutismo del "tutte le cose sono in una e una cosa è in tutte le cose" o dell'interpenetrazione, come sostiene l'Avatamsaka sutra (che perarltro devo ancora leggere e probabilmente non riuscirò mai a leggere) e della filosofia Huayan - motivo per cui la "dissoluzione" dell'io non è solo dissoluzione ma anche "trascendenza" ;) Inoltre secondo la mia interpretazione il buddismo ha come obbiettivo quello di "purificare" la mente, ossia togliere tutte le "cose in più" per ottenere una mente "perfetta", proprio come dicono i rappresentanti della Tradizione della Foresta Thailandese. E questa "mente" si è raffreddata perchè non fa più attività, non crea più nulla perchè non è più stabilita. Ma forse dire che il Parinibbana è un tipo di "mente" è troppo, ma è l'unico modo per cui io posso apprezzare il buddismo, perchè continuare a non "dire nulla sul Nibbana perchè è trascendente" mi pare che sia un ostacolo alla concretezza stessa del buddismo. E poi un certo supporto questa mia "teoria" la prende anche dal fatto che nella filosofia Mahayana l'idea torna con la "Natura di Buddha", presente in ogni essere senziente. Per @Carlo "tutto è relativo" in senso metafisico, ossia che non puoi trovare una "cosa" che è ontologicamente separata dal "resto". Ma non è un relativismo (vedi la mia risposta al Sari)... il Dhamma è la Verità. O più precisamente se vuoi la parte "verbale" del Dhamma, l'assoluto "verbale" è a mio giudizio la teoria del paticcasamuppada, dell'originazione dipendente - se vuoi è la "mappa perfetta" con cui il Buddha ha descritto il territorio. E qui è presente l'infallibilità del Buddha (altro assolutismo, se vuoi) in quanto è solo per fede che posso accettare (a meno che non ne abbia avuto esperienza io stesso) la verità che "tutte le cose condizionate sono impermanenti" (per esempio) o la verità del paticcasamuppada - posso fare argomenti di natura scettica su tale principio ma ciò non toglie che in ultima analisi per coloro che non hanno ancora avuto tale esperienza, tutto ciò è da prendersi per fede (per quanto ragionevole o meno sia). @Per quanto riguarda l'ecumenismo... sì sarebbe bello vedere una cosa con una simile chiarezza anche nel cristianesimo. Però c'è da dire che il Secondo Concilio forse ha ispirato quello buddista visto che quello buddista mi pare posteriore. Ma il problema di fondo è che per come è stato impostato il cristianesimo, con la rigida aderenza alla dottrina, la vedo dura. Per esempio nella pratica di tutti i cristiani potrebbe esserci la coltivazione dell'agape ma è utopia, secondo me.

Anch'io dormo spesso male... :(
Sul fatto che vedi profonde similitudini tra il daoismo e il buddhismo sono d'accordo. Il daoismo è più letterario, poetico ( infatti ha influenzato e liberato tutta la poesia e letteratura cinese e dell'Estremo Oriente; i cui effetti sono quasi palpabili ancor'oggi) meno freddo e sistematico. In un certo senso è forse anche più vicino ad alcuni aspetti della nostra sensibilità occidentale. Non è un caso che un appassionato di buddhismo lo sia spessissimo pure di daoismo ( come l'inadeguato  Sari... :) ). Questo sarebbe strano se non vi fossero profonde affinità tra le due forme di spiritualità/filosofia. Affinità "elettive" che non potevano non riconoscersi nell'incontro tra i due e che, dall'arrivo di Bodhidharma in Cina in poi, ha dato origine alla grande stagione del buddhismo Chan e Hwa Yen ( Con un'immagine simbolica possiamo immaginare Siddhartha che ha dato il primo giro alla ruota dell' Insegnamento, Nagarjuna il secondo  e Hui Neng, il sesto patriarca, il terzo...). Come si può leggere e non amare le pagine di Ciuang Tze?...
Se però cerchi un insegnamento concreto, pratico , attuabile, con qualche maestro che ti può dare delle indicazioni, dei suggerimenti...beh! Sei quasi costretto, in presenza di questa attrattiva verso ambedue, a rivolgerti al buddhismo. Troppo "etereo" il daoismo, troppo legato alla personale esperienza, tradotta in altissima letteratura, di questi Antichi...
Ed essendo il Sari più portato e amante della letteratura che non della filosofia pura, confessa che spessissimo trova più ispirazione nel leggersi qualche storia tratta dall'opera di Ciuang Tze, che non le spesso infinite ripetizioni di un sutra buddhista del Canone Pali... :P
Sulla tua considerazione:"credo che la diversità sia compatibile con il fatto che due saggi possono descrivere la medesima cosa in modo diverso". La domanda è: E' possibile che, in un linguaggio diverso, entrambi indicassero la stessa esperienza? ...E qua, personalmente, non ho una rsposta e credo francamente sia impossible trovarla. Si può provare una grande ammirazione per ambedue, senz'altro...

P.S.  Vorrei ora porti una domanda un pò personale ( sei ovviamente padrone di ignorarla...): Cosa ritieni che sia cambiato , nella tua visione della vita, nel tuo rapporto con gli altri, con la tua weltanshauung (ho scritto corretto?...) personale da quando hai avvicinato e ti sei interessato a queste forme di spirtualità/filosofia? Come vedi le cose "concrete" dell'esistenza adesso?
Ti faccio questa domanda per uscire un pò dalla parte teorica che abbiamo abbondantemente sviluppato. Penso che qualche cristo che ci legge potrebbe essere interessato anche a questo. Altrimenti: "Sì, bello interessante...ma poi?"...
#980
Tematiche Filosofiche / Re:Buddhismo
26 Settembre 2017, 08:46:55 AM
Citazione di: Carlo Pierini il 26 Settembre 2017, 00:31:16 AM
Citazione di: Sariputra il 25 Settembre 2017, 17:51:06 PM
Citazione di: Carlo Pierini il 25 Settembre 2017, 17:29:39 PM
Citazione di: Sariputra il 25 Settembre 2017, 09:52:52 AM
affermiamo che tutto è relativo... e che niente nell'universo è assoluto, permanente e duraturo. .... c'è un unico e solo sentiero di purificazione (visuddhimagga) e una sola e unica purificazione (visuddhi) e nessun'altra
Se nell'universo <>, allora nemmeno l'insegnamento buddhista è assoluto, permanente e duraturo. Quindi potrebbe esistere più di UN sentiero di purificazione, come sostenevo io giorni fa. Oppure tutto è relativo tranne ciò che predica il buddhismo? :)
Il buddhismo non ha in sé il concetto di "eternità" e quindi vede l'insegnamento stesso come contingente all'apparire di un buddha nel ciclo dell'esistenza. Solo la presenza e l'insegnamento di un liberato mette in moto la ruota del Dharma ( dà il primo giro ...), ruota che può continuare a girare se l'insegnamento viene trasmesso o se altri liberati appaiono nel mondo condizionato, come sparire in assenza delle condizioni adatte. Prima di Siddhartha, su questo pianeta ( su altri non lo sappiamo... ;D ) non vi era conoscenza di questa possibilità di liberazione. Adesso, dopo 2.500 anni, ne è rimasta "pochina" e sta via via scomparendo o snaturandosi in altro ( vedo tanti spinotti attaccati sulle zucche di bonzi attualmente... :( ). E' come dire. ci può essere insegnamento senza insegnante? Ecco quindi che anche il buddhismo, in assenza de un insegnante, non è assoluto, non è permanente e purtroppo ( a gusto mio ma molti altri ne sarebbero felici...) non può durare. Ecco quindi l'importanza della trasmissione di questo insegnamento per tenerlo "vivo"... :) Nel buddhismo, pur rivendicando per sé l'aderenza al "vero ascetismo", non c'è denigrazione degli altri sentieri purchè conducano alla liberazione... In ogni caso si tratta di una religione e ogni forma religiosa, chi più e chi meno, chi in modo tollerante e chi in modo intollerante, è un pensiero "forte", quindi vitale, che porta all'agire, ecc.
Vuoi dire che nell'universo tutto è relativo e impermanente, tranne le verità rivelate dei liberati? I liberati non fanno più parte dell'universo?

Se noti, nel testo che ho riportato ( riteniamo che tutte le cose condizionate (sankhara) siano impermanenti (anicca) e imperfette, e pertanto insoddisfacenti (dukkha) e che tutte le cose condizionate e non condizionate non abbiano un sé (anatta). , il concetto di impermanenza e di carattere insoddisfacente viene applicato, nel buddhismo, ai fenomeni condizionati che vengono definiti come sankhara. Ciò che è invece incondizionato ( come l'elemento Nibbana/Nirvana ) non soggiace all'impermanenza e a dukkha ( carattere insoddisfacente) ma  soggiace all'anatta/anatman (non-sé come trad.), questo per evitare che venga concettualizzato o ritenuto come un Dio, un'essenza eterna, ecc. come ho scritto nella risposta ad @Apeiron. Il Nibbana infatti necessita di essere realizzato seguendo il Dhamma/Dharma ( o qualunque altro sentiero ove sia presente il "vero ascetismo"). In mancanza di colui che lo realizza non si manifesta, come si può intendere la manifestazione di un Dio, di una divinità, di un'essenza eterna, ecc.
Quando si parla di relatività nel buddhismo si parla dell'interdipendenza dei sankhara, dei fenomeni condizionati:
"Ogni cosa dipende nella sua natura da tutte le altre, ogni fenomeno preso di per sé è vuoto di una sua "sostanzialità" inerente (non esiste di per sé ma solo in relazione agli altri)." T.R.V. Murti.
Sul discorso interessante che fai sui simboli del religioso e sugli archetipi non mi avventuro perché, come ho già scritto, non ho competenza in materia. Ne intuisco le possibili relazioni e profondità ma mi sembra veramente difficile ottenerne un "sistema" ( per di più di evidenza inoppugnabile , "oggettiva" come mi sembra sia il tuo obiettivo dichiarato, dimmi se sbaglio...).

Come fruitore di sogni e di visioni ne vedo l'incredibile molteplicità, ma anche il pericolo inerente...Per esempio io ho sempre una "visione" e un sogno relativo ricorrente: vedo donne nude ( sigh :-[)..Che sia per effetto del kamma/karma accumulato nelle precedenti esistenze nel samsara? Se è così trattasi sicuramente di vite passate...nell'"astinenza"!... ;D ;D .Scherzo ovviamente! Non te la prendere, son fatto ( male) così... ;D;D
#981
Tematiche Filosofiche / Re:Buddhismo
25 Settembre 2017, 17:51:06 PM
Citazione di: Carlo Pierini il 25 Settembre 2017, 17:29:39 PM
Citazione di: Sariputra il 25 Settembre 2017, 09:52:52 AM
affermiamo che tutto è relativo... e che niente nell'universo è assoluto, permanente e duraturo. .... c'è un unico e solo sentiero di purificazione (visuddhimagga) e una sola e unica purificazione (visuddhi) e nessun'altra
Se nell'universo <>, allora nemmeno l'insegnamento buddhista è assoluto, permanente e duraturo. Quindi potrebbe esistere più di UN sentiero di purificazione, come sostenevo io giorni fa. Oppure tutto è relativo tranne ciò che predica il buddhismo? :)

Il buddhismo non ha in sé il concetto di "eternità" e quindi vede l'insegnamento stesso come contingente all'apparire di un buddha nel ciclo dell'esistenza. Solo la presenza e l'insegnamento di un liberato mette in moto la ruota del Dharma ( dà il primo giro ...), ruota che può continuare a girare se l'insegnamento viene trasmesso o se altri liberati appaiono nel mondo condizionato, come sparire in assenza delle condizioni adatte. Prima di Siddhartha, su questo pianeta ( su altri non lo sappiamo... ;D ) non vi era conoscenza di questa possibilità di liberazione. Adesso, dopo 2.500 anni, ne è rimasta "pochina" e sta via via scomparendo o snaturandosi in altro ( vedo tanti spinotti attaccati sulle zucche di bonzi attualmente... :( ).
E' come dire. ci può essere insegnamento senza insegnante? Ecco quindi che anche il buddhismo, in assenza de un insegnante, non è assoluto, non è permanente e purtroppo (  a gusto mio ma molti altri ne sarebbero felici...) non può durare. Ecco quindi l'importanza della trasmissione di questo insegnamento per tenerlo "vivo"... :)
Nel buddhismo, pur rivendicando per sé l'aderenza al "vero ascetismo", non c'è denigrazione degli altri sentieri purchè conducano alla liberazione...
In ogni caso si tratta di una religione e ogni forma religiosa, chi più e chi meno, chi in modo tollerante e chi in modo intollerante, è un pensiero "forte", quindi vitale, che porta all'agire, ecc.
#982
Tematiche Filosofiche / Re:Buddhismo
25 Settembre 2017, 17:32:18 PM
@Apeiron
Penso che, per arrivare alla stesura di un testo condiviso, ogni posizione abbia dovuto ingoiare dei bei "rospi". Il fatto che sia stato approvato all'unanimità è sicuramente un bel risultato.
Dover digerire , per un seguace del Mahayana, che i tre modi della bodhi siano praticamente equiparati nella pari dignità deve esser stato piuttosto duro, come il fatto di accettare l'autorità di un testo come il Visudhimmagga, che è un testo fondamentale di Buddhaghosa e della scuola Theravada. Mentre per i thera sarà stata indigesta questa espressione: "Accettiamo come l'atto più alto, nobile ed eroico seguire la via del bodhisattva e divenire un samyaksambuddha per salvare tutti gli esseri. ". Mi sembra comunque un buon equilibrio ( o equilibrismo?... ;D ) raggiunto, che accontenta tutti.
Però pensa se il cristianesimo, nonostante tutti gli incontri e le tavole ecumeniche siano quasi sterili, arrivasse ad un testo condiviso tra cattolici, protestanti e ortodossi...almeno sui punti chiavi di quello che dovrebbe intendersi per "cristianesimo". E' ancora pura utopia...

La terza: non vedo nominato il trittico anicca-dukkha-anatta, nella forma delle tre caratteristiche dell'esistenza    

Lo trovi qua:  "Seguendo l'insegnamento del Buddha, riteniamo che tutte le cose condizionate (sankhara) siano impermanenti (anicca) e imperfette, e pertanto insoddisfacenti (dukkha) e che tutte le cose condizionate e non condizionate non abbiano un sé (anatta)."
Si può notare l'estensione del concetto di anatta/non-sé non solo ai sankhara condizionati e soggetti quindi a paticcasamuppada ma anche alle cose non condizionate. Ritengo fondamentale questa precisazione per evitare la possibilità che l'incondizionato venga concettualizzato come un' essenza o un Dio. L'elemento Nibbana è dunque "privo di un sé"...estensione della dottrina dell'anatta anche all'incondizionato ( punto molto difficile da introiettare questo, a parer mio...ma direi conseguenza logica e coerente ).

In ogni caso è ben evidente come il buddismo anche se probabilmente non è un assolutismo metafisico (perchè nulla viene proclamato come "entità sostanziale assoluta") è comunque un assolutismo per quanto concerne l'esistenza di una Verità "assoluta", ossia è un "assolutismo epistemologico"

Sono d'accordo che non si tratti di un assolutismo metafisico ed anche sul fatto che comunque propugna una forma di verità assoluta esperienziale ( il Dhamma).

P.S: Si possono trovare in rete alcune traduzioni leggermente diverse di questo testo ( come sempre purtroppo...) ma ho visto che si discostano di pochissimo. Quindi possiamo prendere la traduzione postata come sufficientemente buona...
#983
Tematiche Filosofiche / Re:Buddhismo
25 Settembre 2017, 09:52:52 AM
Una  svolta , nel percorso di rendere unitarie le varie "anime" e tradizioni/scuole buddhiste si è avuta nel 1967 in un importante concilio tenutosi a Colombo nello Sri Lanka, dove si è trovata un'intesa su quelli che sono i punti fondamentali ai quali sia i Thera meridionali che il Mahayana si attengono. Riporto il testo per coloro che hanno seguito la discussione  tenuta fin'ora e che possono forse trarre un'impressione di "confusione" in merito all'interpretazione della dottrina di questa particolare religione. Questa è l'interpretazione ufficiale approvata all'unanimità:

Quelle che seguono sono le credenze di base del buddismo espresse in una formula unitaria Mahayana-Theravada presentata al primo congresso del World Buddhist Sangha Council nel gennaio 1967 dal Ven. Walpola Rahula e approvata all'unanimità. Tratto da Paramita n. 50.

Al primo Congresso Internazionale del World Buddhist Sangha Council tenutosi a Colombo, Sri Lanka, nel gennaio 1967, su richiesta del fondatore segretario generale, il compianto ven. Pandita Pimbure Sorata Thera, ho presentato una formula concisa per l'unificazione del Mahayana e del Theravada, che è stata APPROVATA ALL'UNANIMITÀ.


La formula è la seguente:
Qualunque sia il nostro gruppo, denominazione o sistema, in quanto buddisti, noi tutti vediamo nel Buddha il maestro che ci ha dato l'Insegnamento. Prendiamo rifugio nella tripla gemma: il Buddha, nostro maestro, il Dhamma, il suo insegnamento e il Sangha, la comunità. In altre parole, prendiamo rifugio nel maestro, nell'insegnamento e nell'insegnato.

Sia come Theravada sia come Mahayana non crediamo che il mondo sia stato creato e sia governato da un dio a suo piacimento. Seguendo l'esempio del Buddha, nostro maestro, che è l'incarnazione della grande compassione (maha-karuna) e della grande saggezza (maha-prajna), pensiamo che lo scopo della vita sia di sviluppare la compassione per tutti gli esseri, senza discriminazione, e di operare per il loro benessere, la loro felicità e la pace, sviluppando la saggezza che conduce alla realizzazione della verità ultima.

Accettiamo le quattro nobili verità insegnate dal Buddha, ovvero:

1) dukkha, il fatto che la nostra esistenza in questo mondo è una situazione difficile, impermanente, imperfetta, insoddisfacente, piena di conflitti;

2) samudaya, il fatto che questo stato è dovuto al nostro attaccamento egoico, basato su un'errata idea dell'io;

3) nirodha, il fatto che c'è comunque una possibilità di liberazione, di abbandono, di libertà da questo stato, attraverso lo sradicamento completo dell'io egoistico; e

4) magga, il fatto che tale liberazione può essere raggiunta con l'ottuplice via di mezzo, che mena alla perfezione della condotta etica (sila), della disciplina mentale (samadhi) e della saggezza (pañña).

Accettiamo la legge universale di causa ed effetto insegnata nelpaticcasamuppada (origine interdipendente o genesi condizionata) e, in accordo con questo, affermiamo che tutto è relativo, interdipendente e interrelato e che niente nell'universo è assoluto, permanente e duraturo.

Seguendo l'insegnamento del Buddha, riteniamo che tutte le cose condizionate (sankhara) siano impermanenti (anicca) e imperfette, e pertanto insoddisfacenti (dukkha) e che tutte le cose condizionate e non condizionate non abbiano un sé (anatta).

Accettiamo le 37 qualità che conducono all'Illuminazione come aspetti diversi del sentiero insegnato dal Buddha, che conduce alla liberazione, ovvero: le quattro basi della consapevolezza (satipatthana), i quattro giusti sforzi (sammappadhana), le quattro basi dei poteri yogici (iddhipada), le cinque facoltà (indriya: fede, energia, consapevolezza, concentrazione, saggezza), i cinque poteri (bala, lo stesso che le cinque facoltà sopra elencate), i sette fattori dell'illuminazione (bojjhanga), il nobile ottuplice sentiero (ariyamagga).

Ci sono tre modi per conseguire la bodhi o liberazione a seconda dell'abilità e della capacità di ciascun individuo:

1) come uno sravaka (discepolo),
2) come un pratyekabuddha (buddha individuale) e
3) come un samyaksambuddha (un buddha perfetto e compiutamente illuminato).

Accettiamo come l'atto più alto, nobile ed eroico seguire la via del bodhisattva e divenire un samyaksambuddha per salvare tutti gli esseri. Ma questi tre veicoli sono sullo stesso sentiero e non su sentieri diversi. Infatti il Sandhinirmocanasutra, un importante sutra mahayana, dice in modo chiaro e sottolinea che coloro che seguono la linea dello sravakayana (veicolo dei discepoli) o la linea del pratyekabuddbayana (veicolo dei buddha individuali) o la linea dei tathagata (mahayana) conseguono il supremo nirvana sul medesimo sentiero e che c'è un unico e solo sentiero di purificazione (visuddhimagga) e una sola e unica purificazione (visuddhi) e nessun'altra e che non ci sono sentieri diversi e purificazioni diverse e che lo sravakayana e il mahayana costituiscono l'unico veicolo, il solo yana (ekayana) e non veicoli o yana distinti e diversi.

Ammettiamo che in paesi diversi ci siano differenze rispetto ai modi di vita dei monaci buddisti, delle credenze popolari, delle pratiche, dei riti e rituali, delle cerimonie e delle abitudini.
Queste forme ed espressioni esteriori non devono però essere confuse con l'insegnamento fondamentale del Buddha.

Ven. Walpola Rahula
#984
Tematiche Filosofiche / Re:Buddhismo
24 Settembre 2017, 09:33:32 AM
Citazione di: Carlo Pierini il 24 Settembre 2017, 02:47:47 AM
Citazione di: Sariputra il 23 Settembre 2017, 21:51:05 PM
Citazione di: Carlo Pierini il 23 Settembre 2017, 21:03:51 PM
Citazione di: Sariputra il 23 Settembre 2017, 18:09:08 PM@C.Pierini scrive: Continuo a vedere il buddhismo come una filosofia gravemente mutilata. Se all'uomo togli il mondo e il corpo (maya, impermanenza), la verità nella parola e nell'intelletto (la conoscenza), il suo "io" e la sua relazione con Dio, resta solo un ombellico individuale che, perdipiù, è ...vuoto! ...C'e qualcosa che non torna! No, resta un "regno" di consapevolezza non egoistica, non fondata sull'Io/mio, sui suoi attaccamenti e sul suo ritenersi altro da ciò che lo circonda.
La "con-sapevolezza" presuppone l'esistenza di un soggetto cosciente e di un oggetto di cui il soggetto è con-sapevole ("con-" presuppone una dualità). Ma se tu mi togli l'"io" - che rappresenta il soggetto - e poi mi presenti come illusorio sia il mondo esterno (maya) sia la realtà interiore (il vuoto), cosa resta da considerare come "con-sapevolezza"? Il Nulla assoluto? Se l'io è illusorio, come fa ad "attaccarsi" a qualcosa di altrettanto illusorio? Chi "si attacca" a cosa? Va bene rifiutare il Logos, ma se poi si vogliono scrivere dei testi sul buddhismo utilizzando il Logos, se ne devono rispettare le regole più elementari; oppure si sta in silenzio e non si scrivono libri. Insomma, non si può pretendere la botte piena e la moglie ubriaca. Vedo che c'è più Logos in questo topic sul buddhismo che in qualunque altro topic di questo forum. Per cui decidetevi, ...o buddhisti! O rifiutate il Logos e state in silenzio, oppure ne fate uso rispettandone i canoni. Altrimenti mi sembra troppo comodo fare affermazioni e poi nascondersi alle critiche con il pretesto che esse seguono le regole inaccettabili del Logos, come se le vostre affermazioni non facessero parte del Logos. ...Dico bene? L'angolo musicale: MARIE LAFORET - La vendemmia dell'amore https://youtu.be/q4oPhGUxFRk
Posto un contributo di Riccardo Venturini:
Il silenzio del Buddha sulla Realtà ultima non è dunque un silenzio agnostico o strumentale, ma — per usare un termine della tradizione cristiana — un silenzio "apofatico", aspetto essenziale non solo dell'insegnamento, ma della stessa dottrina. L'inesprimibilità della Verità ultima non ha, cioè, origine da un'insufficienza conoscitiva umana, ma è un carattere costitutivo della verità. Solo una via apofatica, una via "negativa", può essere quindi proposta riguardo a essa, una via che si ponga al di là di tutti i dualismi propri dell'intelletto discorsivo e discriminante. L'insegnamento supremo di tutti i Buddha è giocato continuamente nella dialettica tra verità convenzionale (e mezzi didattici "provvisori"), da un lato, e Verità ultima, inesprimibile, dall'altro. Leggiamo nel Sutra del loto:

Questo Dharma è inesprimibile, è al di là del regno dei termini, [...] non è cosa che possa essere compresa mediante il ragionamento discorsivo e la discriminazione; solo i Buddha possono conoscerlo.
Il rischio del metodo "apofatico" è che, se non è bilanciato dal suo opposto complementare "catafatico", a forza di "togliere" si finisce col non far restare nulla. Voglio dire: è vero che la Realtà ultima in sé è inesprimibile, ma è anche vero che se Essa fosse assolutamente separata e isolata dalla realtà immanente, se fosse una assoluta "Vacuità", nessuno ne avrebbe mai avvertito la presenza, né mai se ne sarebbe sentito parlare. Mentre, al contrario, la storia umana è stracolma fino all'inverosimile di testimonianze di "contatti" attorno ai quali si sono cristallizzate miriadi di religioni e di civiltà fondate sui loro insegnamenti. Inoltre, non è concepibile che la nostra realtà immanente non abbia alcun legame con la Realtà assoluta, che sia, cioè, una sorta di accidentalità cosmica assolutamente illusoria e priva di senso e da cui non resta che "staccarsi" ("non attaccamento", ascetismo) per poi fuggire quanto prima e tornare al "Grembo materno" dell'Assoluto. Mi sembra molto più ragionevole credere che, se siamo stati "catapultati" da quel "Grembo materno" in questo nostro Mondo materiale, una ragione dovrà pur esserci; e mi pare altrettanto ragionevole pensare che questo stesso nostro Mondo non sia affatto un capriccio del caso, ma che derivi in qualche modo dall'Assoluto, che ne sia una emanazione "fatta a Sua immagine e somiglianza" e che, pertanto, come intuiva Tommaso, nella conoscenza profonda di esso sia possibile vedervi rispecchiato l'Assoluto stesso. Se così fosse, allora, il nostro scopo non sarebbe quello di fuggire attraverso il "non-attaccamento" e l'ascetismo, ma quello di amare il nostro Mondo e di conoscerlo profondamente, sapendo di amare in lui l'immagine dell'Assoluto; un'immagine non più ineffabile e inesprimibile, ma perfettamente dicibile e rappresentabile come Principio del Mondo. ...E chissà che il famoso detto: "Chi vede me, vede il Dhamma", non voglia significare proprio questo; che il Buddha, cioè, non sia che un simbolo del Mondo in cui si rispecchia il Dhamma Assoluto, il Verbo creatore. L'angolo musicale: CATHERINE SPAAK: Quelli della mia età https://youtu.be/hQJJR59LZU4

L'esperienza della vacuità ( di esistenza intrinseca dei fenomeni, ma anche della brama, dell'odio e dell'illusione) non è un rifiuto, una fuga, ma punta verso uno stato di Medesimalità assoluta, di vuoto assoluto che è assoluta pienezza. Essa parte dal presente assoluto che è esperienza pura, una esperienza in cui non vi è differenziazione e tuttavia non è uno stato di puro nulla. Nell'esperienza pura non vi è distinzione tra "dovrebbe" ed "è", tra forma e contenuto, e quindi non vi è in essa giudizio.
La distruzione dei desideri e delle brame, a cui nel buddhismo viene data tanta enfasi, tanto rilievo ( in particolare nel buddhismo delle origini...), non deve essere intesa in senso negativistico ( "E poi cosa mi resta?"...Come scrivi :) ), ma nella pratica si tratta di trasformare questo attaccamento al "mondo" nel karuna, trasformare cioè l'amore egocentrico in compassione autentica, non "pelosa", utilitaristica o basata sulla paura (Di punizioni divine , dell'altrui opinione, del giudizio sociale, ecc.).
La filosofia e la pratica del Dhamma inizia con ciò che è primariamente dato alla nostra coscienza/vinnana, che sopra ho defintito come "pura esperienza" ( tieni sempre presente che l'uso dello strumento del linguaggio è. un "dito che indica", uno "mezzo provvisorio"...infatti dire "pura esperienza" significa impegnarsi in qualcosa che sembra già collocato in qualche altro luogo, e quindi l'esperienza cessa di essere pura...). Il Dhammapada riflette questo pensiero quando definisce il punto di partenza della filosof: buddhista come "senza impronta" (apada), illimitabile e vuoto (quindi vacuità/sunna), senza dimora, senza forma e liberato.
In termini psicologici viene descritto così: libero dal dolore, libero da ogni lato (punto di vista), senza paura e senza brama egoistica. Se questi termini vengono interpretati
superficialmente e linguisticamente possono essere facilmente fraintesi, arrivando a considerarli come negativismo.
L'esperienza della buddhità, come viene interpretata nel buddhismo ( ché buddhità e buddhismo sono ovviamente due cose diverse...essendo il buddhismo una sorta di galassia di opinioni/papanca sulla buddhità,compresa la mia ovviamente... ;D ) ha qualcosa di noetico (concepito col pensiero) ma, nello stesso tempo, ha pure qualcosa di volitivo o affettivo, che viene inteso come riflettente la natura della Realtà stessa, costituita da prajna ( saggezza trascendente/visione intuitva, ecc.,, è intraducibile nelle lingue occidentali...)  e da karuna (compassione/agape).  :)

P.S.Il Buddha non è un dio. Il buddhismo non nega l'esistenza degli dèi ( nel Canone Pali, quindi i testi più antichi a disposizione, sono presenti, sono soggetti all'impermanenza come ogni cosa, e vengono ad ascoltare il Dhamma predicato da Siddhartha) ma nega l'esistenza di un Dio personale che si prende a cuore il desino di ogni sua singola creatura. La prima Nobile verità, quella del dolore, ritiene insuperabile la contraddizione insita in questa idea di Dio.
In questo il buddhismo è simile , per esempio, all'epicureismo, come ha già sottolineato @Apeiron...
#985
Tematiche Filosofiche / Re:Buddhismo
23 Settembre 2017, 21:51:05 PM
Citazione di: Carlo Pierini il 23 Settembre 2017, 21:03:51 PM
Citazione di: Sariputra il 23 Settembre 2017, 18:09:08 PM@C.Pierini scrive: Continuo a vedere il buddhismo come una filosofia gravemente mutilata. Se all'uomo togli il mondo e il corpo (maya, impermanenza), la verità nella parola e nell'intelletto (la conoscenza), il suo "io" e la sua relazione con Dio, resta solo un ombellico individuale che, perdipiù, è ...vuoto! ...C'e qualcosa che non torna! No, resta un "regno" di consapevolezza non egoistica, non fondata sull'Io/mio, sui suoi attaccamenti e sul suo ritenersi altro da ciò che lo circonda.
La "con-sapevolezza" presuppone l'esistenza di un soggetto cosciente e di un oggetto di cui il soggetto è con-sapevole ("con-" presuppone una dualità). Ma se tu mi togli l'"io" - che rappresenta il soggetto - e poi mi presenti come illusorio sia il mondo esterno (maya) sia la realtà interiore (il vuoto), cosa resta da considerare come "con-sapevolezza"? Il Nulla assoluto? Se l'io è illusorio, come fa ad "attaccarsi" a qualcosa di altrettanto illusorio? Chi "si attacca" a cosa? Va bene rifiutare il Logos, ma se poi si vogliono scrivere dei testi sul buddhismo utilizzando il Logos, se ne devono rispettare le regole più elementari; oppure si sta in silenzio e non si scrivono libri. Insomma, non si può pretendere la botte piena e la moglie ubriaca. Vedo che c'è più Logos in questo topic sul buddhismo che in qualunque altro topic di questo forum. Per cui decidetevi, ...o buddhisti! O rifiutate il Logos e state in silenzio, oppure ne fate uso rispettandone i canoni. Altrimenti mi sembra troppo comodo fare affermazioni e poi nascondersi alle critiche con il pretesto che esse seguono le regole inaccettabili del Logos, come se le vostre affermazioni non facessero parte del Logos. ...Dico bene? L'angolo musicale: MARIE LAFORET - La vendemmia dell'amore https://youtu.be/q4oPhGUxFRk

Il "logos" buddhista  ha la finalità di indicare una via da praticare. E' semplicemente il dito che indica la Luna. Non è la Luna. Tu invece, mi sembra di capire, ritieni che il logos sia la Luna stessa.  Questo concetto non è accettato come valido nella filosofia e nella pratica buddhista.
E' la funzione cosciente (vinnana) della mente che è consapevole, il lucido specchio su cui i fenomeni si specchiano , compreso il senso dell'Io/mio ( che è una sensazione come le altre percepita da vinnana/coscienza, sensazione intesa come percezione psicologica, impressione...). Dalla assunzione della sensazione di un "Io" come di qualcosa di durevole, immutabile, stabile, nasce ciò che appartiene all'io, cioè il Mio, e quindi ogni forma di attaccamento.

E' sicuramente molto più saggio stare in silenzio, ma d'altronde si ha pure a volte la necessità di mettere in guardia che si sta prendendo il dito per la Luna... :)
Poi, vista la penuria di utenti che scrivono, diventa quasi un'esigenza , anche solo per bilanciare le varie posizioni e , se uno ci riesce, suscitare un interesse , una curiosità verso modi e mondi di pensiero altri ai nostri consueti occidentali; mondi di fronte ai quali mi sento non più di un'umile apprendista... ;)

Posto un contributo di Riccardo Venturini che lo spiega meglio di me:

Il silenzio del Buddha sulla Realtà ultima non è dunque un silenzio agnostico o strumentale, ma — per usare un termine della tradizione cristiana — un silenzio "apofatico", aspetto essenziale non solo dell'insegnamento, ma della stessa dottrina. L'inesprimibilità della Verità ultima non ha, cioè, origine da un'insufficienza conoscitiva umana, ma è un carattere costitutivo della verità. Solo una via apofatica, una via "negativa", può essere quindi proposta riguardo a
essa, una via che si ponga al di là di tutti i dualismi propri dell'intelletto discorsivo e discriminante.
L'insegnamento supremo di tutti i Buddha è giocato continuamente nella dialettica tra verità convenzionale (e mezzi didattici "provvisori"), da un lato, e Verità ultima, inesprimibile, dall'altro. Leggiamo nel Sutra del loto:
Questo Dharma è inesprimibile, è al di là del regno dei termini, [...] non è cosa che possa essere compresa mediante il ragionamento discorsivo e la discriminazione; solo i Buddha possono conoscerlo.
La Realtà ultima, essendo nel buddhismo definita come Vacuità, risulta non oggettivabile, non concepibile, non raggiungibile dalla coscienza ordinaria. Non si ripeterà mai abbastanza che con Vacuità non si indica il nulla, ma la mancanza di esistenza intrinseca dei fenomeni, ossia l'aspetto relazionale e interdipendente della realtà fenomenica.
È stato detto, dal filosofo Whitehead, che il cristianesimo è una religione che ha cercato una metafisica attraverso la quale interpretarsi, mentre il buddhismo è una dottrina di vita che ha cercato di farsi religione per potersi esprimere. Dobbiamo riconoscere che il buddhismo ha usato felicemente il veicolo religioso, perché, anche se in esso possiamo trovare molti punti in comune, ad esempio, con dottrine etiche dell'antichità classica, queste sono oggi soltanto capitoli di storia della filosofia, mentre il buddhismo continua a essere una grande, vivente realtà spirituale, in cui si riconoscono milioni di uomini. In verità, per rispondere a questa domanda occorre interrogarci su quello che, parafrasando Rolan Barthes, si potrebbe chiamare il "grado zero della religione". Al suo grado zero, il sentimento religioso sembra caratterizzarsi come domanda sul senso ultimo della vita, accompagnata da un sentimento di insoddisfazione nei confronti della realtà del mondo, ovvero dalla convinzione che quella del mondo ordinario non sia l'unica realtà o, ancora, che il modo ordinario di guardare il mondo non sia l'unico modo. Attraverso un diverso
atteggiamento e un diverso modo di guardare è infatti possibile intravvedere una realtà altra, stabilire con essa una qualche forma di comunicazione e, possibilmente, di comunione.
Come si esprime con grande semplicità un sociologo della religione, J. A. Beckford,
sarà sufficiente definire la religione un interesse per un sentimento di universalità o per il significato ultimo delle cose . 

P.S. Il Sari e il giovane filosofo Apeiron, con il contributo di altri, hanno cercato di sviluppare , nei loro limiti, un tema portando le loro riflessioni, critiche ed esperienze personali. In altre discussioni si finisce spesso per "litigare" verbalmente , tutto a scapito dell'approfondimento del tema, approfondimento che così viene a latitare...
#986
Tematiche Filosofiche / Re:Buddhismo
23 Settembre 2017, 18:09:08 PM
@C.Pierini scrive:
Continuo a vedere il buddhismo come una filosofia gravemente mutilata. Se all'uomo togli il mondo e il corpo (maya, impermanenza), la verità nella parola e nell'intelletto (la conoscenza), il suo "io" e la sua relazione con Dio, resta solo un ombellico individuale che, perdipiù, è ...vuoto! ...C'e qualcosa che non torna!

No, resta un "regno" di consapevolezza non egoistica, non fondata sull'Io/mio, sui suoi attaccamenti e sul suo ritenersi altro da ciò che lo circonda. In questa consapevolezza sorge spontanea una vera compassione, non una compassione utilitaristica fondata sulla paura. Resta anche un "regno" di libertà autentica seppur forzatamente limitata dalla condizione umana ( il Kamma che necessariamente deve maturare i suoi frutti...). La vacuità è pure un "regno" di spazio illimitato dove la mente può percepire, nell'impermanenza di ogni cosa, una immensa, struggente Bellezza.
Quello che si toglie  quindi fa spazio a qualcosa di enormemente più alto, più "nobile" ( in senso spirituale...). Perdendo si guadagna molto di più.  :)
#987
Tematiche Filosofiche / Re:Buddhismo
23 Settembre 2017, 00:53:46 AM
Il ruolo centrale, fondamentale nel buddhismo è dato dalla diretta comprensione dell'impermanenza (anicca). Anicca sta all'inizio, al centro e alla fine del cammino di Siddhartha stesso. E' nell'incontro con anicca, nella figura del vecchio, del malato, del morente che Siddhartha matura la volontà di comprensione. E' nell'osservazione di anicca che trova la liberazione. Questo ruolo centrale dell'impermanenza è il tratto tipico del buddhismo che, a parere mio, lo differenzia dalle altre religioni ed è da tener presente nel confronto con i sistemi filosofici sorti sulle Upanishad. Gotama disse:
Meditatori, a colui che percepisce l'impermanenza si manifesta chiaramente la percezione dell'inconsistenza e mancanza di un Io. E in chi percepisce questa inconsistenza, l'egoismo viene distrutto. E, come risultato, ottiene la liberazione persino in questa stessa vita. La comprensione di anicca conduce automaticamente alla comprensione di anatta e dukkha (non-sé e sofferenza), e chiunque realizzi questi fatti si trova naturalmente sul cammino che conduce fuori dalla sofferenza. 
Sul fatto che trovi molte assonanze tra le varie forme spirituali dell'India e financo della Cina, ho trovato un passo di Sayagyi U Ba Khin, grandissimo maestro di meditazione buddhista morto nel 1971:
Le verità di cui egli parlava (il Buddha storico) erano conosciute anche prima di lui, ed erano comuni nell'India dei suoi tempi. Egli non inventò i concetti dell' impermanenza, della sofferenza e dell'inconsistenza dell'Io. La sua unicità e peculiarità consiste nell'aver trovato una via per passare dai discorsi sulla verità alla diretta esperienza della verità.
Per questo motivo il Dhamma è così fondamentalmente "pratico", diretto e, nonostante abbia nel tempo sviluppato una filosofia e una psicologia raffinatissime, mette quasi in secondo piano la speculazione. Questo magari ad un filosofo può in un certo senso dare "fastidio", essendo più attratto dal teorizzare che dal fare, dal meditare, dal perdere tempo ad osservarsi. Ma non è un problema del Dhamma, bensì dell'approccio che ne abbiamo singolarmente, personalmente...
Nel Brahamajala Suttanta il Buddha fa un elenco di tutte le credenze, le opinioni e i punti di vista del suo tempo e poi afferma di conoscere qualcosa molto oltre tutti quei punti di vista:
Avendo fatto esperienza di come realmente sono il sorgere e il passare delle sensazioni, l'attaccamento verso di esse,il pericolo insito in esse e il distaccarsi da esse, l'Illuminato, o monaci, è diventato distaccato e liberato.
In questo passo Siddhartha dichiara che è diventato un Buddha osservando le sensazioni fisiche come manifestazioni di impermanenza. L'impermanenza, ancora, si rivela il fatto centrale che bisogna comprendere. senza comprensione di anicca non può esserci Nibbana. E' osservando l'impermanenza delle sensazioni corporee che il meditante si avvicina allo stadio incondizionato del Nibbana, al di là delle esperienze sensoriali.
Nei sistemi vedici, come ho già scritto, sembra palesarsi una sorta di sdoppiamento: falso Io/ vero Io. Ma nella meditazione questa frattura non esiste. esiste solo la consapevolezza dei fenomeni fisici e mentali e la loro impermanenza, soggetti al sorgere e cessare. Non è dato trovare alcun "falso Io" e nemmeno nessun "vero io". La consapevolezza non può essere un "Io", che è un aggregato.
Non è che possiamo buttare fuori dalla porta il "falso sé" e quello poi rientra dalla finestra ( mistica finestra) come "vero sé". Per il Buddha c'è un unico sè, ed è vuoto di esistenza intrinseca, come tutti i fenomeni che hanno origine dipendente. :)
#988
Citazione di: Carlo Pierini il 22 Settembre 2017, 16:04:50 PM
Citazione di: sgiombo il 22 Settembre 2017, 15:00:03 PM
Citazione di: Carlo Pierini il 22 Settembre 2017, 10:25:18 AMPer cui finiamola con questo piagnisteo del "mi hai offeso perché non rispetti le mie idee": in un confronto dialettico è mio dovere non rispettare delle idee che ritengo ambigue, false, o ignobili, proprio in nome del rispetto che ho per la persona che le professa nell'inconsapevolezza di questa loro natura maligna. Se poi mi sbaglio, vorrà dire che saranno le idee avversarie a rivoltarsi contro le mie e a dimostrare che sono io il portatore di idee fasulle e che me ne devo liberare per il mio bene.
Citazione... Salvo questo malinteso, sono convintamente d' accordo con queste osservazioni, come mi pare dimostri ad libitum (...nei limiti insuperabili di incertezza in inea di principio propri dell' induzione!) il mio comportamento tutt' altro che buonistico (bontà d' animo =/= "buonismo"!) e tutt' altro che politicamente corretto nel forum.
Vuoi dire che una volta tanto le nostre due linee parallele si incontrano? ;) Insomma, quella delle idee deve essere una guerra vera e propria, una lotta per la sopravvivenza di quelle più valide e per la morte di quelle ingannevoli, false, e distorte, perché è solo così che la conoscenza cresce, si evolve, si perfeziona. Sempreché si limiti solo ad una guerra tra idee e non diventi guerra anche tra i loro portatori, come spesso è accaduto in passato (vedi la "Santa" Inquisizione) e come, purtroppo, accade a volte ancora oggi. Insomma, l'ideale di una sana critica è più o meno: <>, ...e così si procede nella discussione, ...di gentilezza in gentilezza reciproche! ;D L'angolo musicale: VIVALDI - Lusinga è del nocchier, Cantata (fino a 5':28'') https://youtu.be/nXWG3UozQwY?t=202

Non sono d'accordo. Penso che dobbiamo sempre vedere la persona che sta dietro le idee e capire che magari quella persona ha investito molto di sé nel formularle. Se non si fosse su un forum virtuale, coperti dall'anonimato, ma davanti a un caffè in un bar, viso a viso, non sarebbe oltremodo scortese e maleducato imbastire una discussione siffatta, dileggiando le altrui idee?  Non si finirebbe magari per litigare pesantemente, rompere delle amicizie o finire per mettersi le mani addosso?
Un conto è far notare e spiegare all'interlocutore dove si pensa stia sbagliando, un altro è apostrofare in malo modo le idee che va esponendo. Un'idea è sempre il prodotto di un essere umano che ci sta dietro e in cui spesso costui si identifica. Quasi sempre dileggiare un'idea finisce per essere percepito come un tentativo di sminuire l'altro interlocutore, ritenerlo inferiore a sé nella capacità di formularle. Quindi io sarei per la ferma e decisa difesa delle proprie senza arrivare a mortificare la sensibilità altrui.
Tutti noi abbiamo sensibilità e temperamenti diversi, a volte macroscopicamente diversi, ma essendo il forum un luogo comune si dovrebbe perlomeno trovare il modo di far convivere queste diverse sensibilità. Questo è un discorso a mio parere in generale e non solo riferito al caso particolare.
#989
Citazione di: Lou il 21 Settembre 2017, 19:14:43 PMEssì, ma l'essere-pragmatici non autorizza nè é sufficiente a ritenersi e dirsi fuori da un processo di cui si è fruitori dei risultati. :P

Naturalmente concordo con te ma , lo stesso, io li trovo FANTASTICI!...Sono una specie di zecca in c..o (ops! sederino) all'"American way of life"...
#990
Tematiche Filosofiche / Re:Buddhismo
22 Settembre 2017, 01:26:03 AM
@Apeiron
Uno dei motivi, a mio parere, della differenza che si pone tra la realizzazione del Nibbana e la moksa nel Brahman è nel punto iniziale ( l'atman individuale come entità sostanziale/reale è negato nel buddhismo dalla concezione onnipervadente dell'impermanenza-anicca). Il buddhismo nega l'esistenza intrinseca di ogni cosa, pertanto la critica dei sistemi atta è radicale. La natura di buddha è la vacuità e il Nibbana è il supremo vuoto (Nibbanam paramam sunnam-Il Nibbana è il supremo vuoto/ Nibbanam paramam sukham-Il Nibbana è la suprema gioia). Nei testi il Buddha insegna a vedere il mondo come vuoto: "Vedete il mondo come vuoto. Se sarete consapevoli della natura vuota del mondo, la morte non vi troverà". Questa frase si potrebbe anche intendere come:"Chi vede il mondo come vuoto si pone al di là del potere di dukkha, della sofferenza, che ha il suo prnicipale rappresentante nella morte". Questo lascia intendere, secondo me, che il vedere il mondo come vuoto fa sì che questo stesso vuoto si riveli la cosa più "alta". Se il Nibbana, l'estinzione totale di dukkha, è identico al supremo vuoto, ne consegue che c'è un vuoto non supremo, un vuoto imperfetto per così dire, incompleto, non totale. In questa incompletezza si insinua l'idea del "Vero sé" advaita, che "profuma" ancora , non so se il termine va bene, di senso ancorchè sublimato, raffinato, dell'Io/Mio, ossia del costruttore della casa del dolore, l'architetto del dukkha. Se non viene reciso l'Io/mio alla radice, attraverso la pratica del Nobile sentiero, ma anzi lo si ritiene il nucleo più essenziale, ciò che è vero, all'interno di noi, è evidente che questa "fusione" dell'atman nel Brahman è una finzione dell'Io/mio, un modo raffinatissimo di sublimarla. L'Io/mio, a mio vedere, è disposto a salvarsi mettendo in campo un'astuto artifizio concettuale: ossia si sdoppia. Da una parte si toglie realtà all'aspetto più esteriore, l'ego, ma dall'altra questo serve a rafforzare il senso interno di essere-qualcosa di duraturo, non soggetto all'impermanenza. Nel supremo vuoto buddhista, nel Nibbana, non c'è traccia di alcun sé; di nessuno "vero sé" e di nessun "falso sé" o di qualcosa appartenente al sé.
Quando però si dice che il Nibbana è la suprema felicità sorge ovviamente la domanda : ma chi la percepisce se nel nibbana non c'è alcun senso dell'Io/mio , del sè? Bisogna andarci cauti quando si usa il termine felicità o gioia perché si salta subito alle conclusione: Wow! il Nirvana è qualcosa di meraviglioso!...
Non si tratta della felicità che sperimentiamo normalmente o quella che sogniamo. E' di tutt'altro significato E' uno stato vuoto di qualunque "cosa" che vortichi, cambi , costruisca, proliferi, scorra. E' appunta la Cessazione, ossia qualcosa di realmente soddisfacente.
Adesso scappo a letto, perché l'argomento è veramente enorme e spero solo di aver messo giù qualche spunto...
Sul consiglio che mi chiedi, ossia qualche testo che parli della comprensibilità del mondo secondo la visione buddhista non mi viene in mente niente...cercherò se trovo qualcosa  tra la polvere della biblioteca della VIlla... :)

P.S. Sono però altresì "assolutamente" ;D ...convinto , come mi par di capire anche te, che , se parliamo di realizzazione esistenziale autentica di questo Incondizionato, non si possono formulare distinzioni. Le distinzioni sorgono sempre quando si passa dal piano esperienziale a quello concettuale, del linguaggio. Se qualcosa di incondizionato è attingibile dall'esperienza umana la domanda allora è: "E' autentica questa mia "realizzazione"?  Il problema mi sembra sempre che sorga quando passiamo nel territorio delle designazioni mentali. Ecco allora che un termine come "vero sé" diventa inaccettabile per un buddhista, che definisce questa realizzazione come Shunya (vuoto/vacuità), mentre la formazione filosofica del vedantino lo porta a definirlo come "vero sé", riferendosi entrambi alla stessa esperienza ( al netto dell'insidiosissimo pericolo che la concettualizzazione come "vero sè" mi sembra contenere, come ho scritto sopra, questa notte...). :)