@paul11
Sorvolando su osservazioni che (ti) ho già sottoposto in precedenza (se non sbaglio) ovvero che Wittgenstein è anche quello dopo il Tractatus (v. Ricerche, "giochi linguistici", etc.), che dopo Husserl (forse l'ultimo dei metafisici davvero attenti alle scienze) l'intenzionalità si è dimostrata sempre meno trascendentale (v. neuroscienze, etc.), osservando inoltre come sia piuttosto audace affermare che «un problema psichico» o «una compulsione, una paura, un'ansia» (cit.) non esistano(?), poiché di fatto si manifestano empiricamente al punto da essere, pur con tutte le inaggirabili difficoltà del caso, talvolta persino studiabili e quantificabili (azione dei neurotrasmettitori, pulsazioni, osservazione clinica, etc.), resterei focalizzato sul tema del ruolo del dubbio nella fede.
I due passaggi portanti mi sembrano questi:
Inevitabilmente, tanto il non-rispondere/"svicolare", quanto il rispondere teologico-dogmatico (assiomatico, se preferisci), non possono scongiurare la legittimità del dubbio, che resta dunque testimonianza della debolezza (empirica, intersoggettiva, epistemologica, etc.) delle risposte che dovrebbero addomesticarlo, ovvero il «non lo sappiamo ancora, ma lo scopriremo in terra» degli scienziati ed il «lo sappiamo già, ma lo troveremo "in cielo"» dei credenti.
E la logica? Avalla tale ignoranza e tale dubbio nel momento in cui la sua deduttiva formalità non è garante di verità (che il domandare invoca) e soprattutto nel momento in cui riconosce l'infalsificabilità delle risposte della fede (che non significa, a scanso di equivoci, mettere in concorrenza le tavole di verità della logica con le tavole della legge divina, perché sono tavole su cui "banchettano" domande ben differenti).
Sorvolando su osservazioni che (ti) ho già sottoposto in precedenza (se non sbaglio) ovvero che Wittgenstein è anche quello dopo il Tractatus (v. Ricerche, "giochi linguistici", etc.), che dopo Husserl (forse l'ultimo dei metafisici davvero attenti alle scienze) l'intenzionalità si è dimostrata sempre meno trascendentale (v. neuroscienze, etc.), osservando inoltre come sia piuttosto audace affermare che «un problema psichico» o «una compulsione, una paura, un'ansia» (cit.) non esistano(?), poiché di fatto si manifestano empiricamente al punto da essere, pur con tutte le inaggirabili difficoltà del caso, talvolta persino studiabili e quantificabili (azione dei neurotrasmettitori, pulsazioni, osservazione clinica, etc.), resterei focalizzato sul tema del ruolo del dubbio nella fede.
I due passaggi portanti mi sembrano questi:
Citazione di: paul11 il 21 Novembre 2020, 19:53:21 PMse chiedo da dove mai è uscita questa legge fisica e non esauritasi nel "come" del fenomeno , ma il "perché" l'uomo è riuscito con le sue qualità a costruire questa legge: ......tutti o tacciono o "svicolano" con argomentazioni generaliste e superficiali, compresi gli scienziati che la studiano e la applicano.Cos'è che lega lo "svicolare" degli scienziati di fronte alla domanda sull'origine delle leggi fisiche e la tua «necessità di riposte» per il (tuo) domandare un senso per l'esistenza? Qual è il tabù che loro dissimulano e che spinge ad individuare le risposte di senso esistenziale nella fede? Il nesso essenziale, almeno dal mio punto di vista, l'hai ben individuato: l'ignoranza, il non sapere, la mancanza (in tutti i sensi); questo (alcuni di) loro si rifiutano di ammettere e questo dà un senso al salto nella fede.
[...]
ho necessità di risposte per dare senso alla mia esistenza.
Inevitabilmente, tanto il non-rispondere/"svicolare", quanto il rispondere teologico-dogmatico (assiomatico, se preferisci), non possono scongiurare la legittimità del dubbio, che resta dunque testimonianza della debolezza (empirica, intersoggettiva, epistemologica, etc.) delle risposte che dovrebbero addomesticarlo, ovvero il «non lo sappiamo ancora, ma lo scopriremo in terra» degli scienziati ed il «lo sappiamo già, ma lo troveremo "in cielo"» dei credenti.
E la logica? Avalla tale ignoranza e tale dubbio nel momento in cui la sua deduttiva formalità non è garante di verità (che il domandare invoca) e soprattutto nel momento in cui riconosce l'infalsificabilità delle risposte della fede (che non significa, a scanso di equivoci, mettere in concorrenza le tavole di verità della logica con le tavole della legge divina, perché sono tavole su cui "banchettano" domande ben differenti).