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Messaggi - Apeiron

#991
Sariputra non fraintendermi, non volevo minacciare né far sentire in colpa nessuno, volevo solo esporre il mio pensiero... Non volevo che dire che l'etica ha origine "sovrumana" implicasse che debba essere fondata sulla Paura. Quello che volevo dire io è che tale etica ha sia base interna che esterna, se fosse solo un'imposizione esterna sarebbe una dittatura. Quindi è anche interna. Semplicemente a causa della nostra limitatezza a mio giudizio dobbiamo "accontentarci" di ragionare in termini di bene e di male. E affinché ciò abbia senso dobbiamo ragionare in termini di "io" e di "responsabilità" e di "libero arbitrio". Il libero arbitrio ha senso solo se la nostra identità è indipendente e allo stesso modo la responsabilità ha senso solo se abbiamo un'identità indipendente. Per dirla in termini "buddistici" a mio giudizio è umano ragionare in termini di "karma", ragionare oltre alla morale mi sembra un po' come dimenticarsi di essere limitati e mortali. Anzi sospetto che nel buddismo prima del Nirvana uno si debba "sottomettere" al karma e non a caso ci sono hiri e ottapa. Se fosse possibile veramente la Liberazione allora ti darei ragione ma secondo me non lo è perchè noi siamo troppo limitati per ottenerla (e non lo era nemmeno per i greci "Pensa come un mortale" secondo l'oracolo di Delfi). Pensiero mio, ovviamente.

In ogni caso a meno che uno non faccia la vita della rinuncia il buddismo dice espressamente che bisogna seguire l'etica e in questo contesto uno non può liberarsi di hiri e ottapa.
#992
Sì vorrei precisare che quello che critico io è l'abuso della logica "aristotelica", non la "logica". Ma appunto secondo me "io" sono proprio quel "senso di continuità" di cui parlate che però non coincide con la memoria. Buddha criticava soprattutto l'idea che il corpo era un "vascello" di una cosa immutabile che passava da un corpo all'altro e tale cosa immutabile era l'atman da liberare. Ma a mio giudizio Buddha è andato un po' troppo "oltre" con l'anatman. Secondo me "io" sono una cosa che pur cambiando rimango identico, ossia un ente processuale. Ossia un ente (x) per cui dato due tempi t1 e t2:
"x al tempo t1 è uguale x al tempo t2" e "x al tempo t1 è diverso da x al tempo t2" sono entrambe proposizioni vere. In sostanza è una logica "paraconsistente". E ripeto che ci sono studiosi che si stanno specializzando proprio su queste nuove logiche.

P.S. acquario grazie del link, molto interessante :)
#993
Quello che Sariputra vuole dire è che per il buddismo ogni contrapposizione è illusoria perchè esiste solo nella nostra testa. Nella realtà non c'è nulla che si contrapponga, perchè non ci sono enti e quindi non ci sono identità.

In sostanza per capire il buddismo non bisognerebbe usare il linguaggio perchè bisogna eliminare il problema dalla radice: si elimina da ogni frase ogni soggetto! In sostanza ogni tradizione che tenta di eliminare le contrapposizioni (quindi anche taoismo e advaita...) ritengono che "l'uomo che sa non parla" (Tao Te Ching) e che "l'uomo Perfetto è privo di Sé" (Zuanghzi). Non c'è veramente per queste tradizioni nessun ente. Ma non sono nemmeno nichilismo perchè il nicilismo è la negazione di qualcosa (per quanto dicono loro...)! In sostanza ragiona così: non puoi trovare nulla che abbia identità separata, quindi nessuna cosa ha una vera identità. Se sparisce l'identità spariscono i dualismi e spariscono i concetti.
#994
Come ho già detto più volte il fatto che (hic et nunc!) non abbraccio uno dei percorsi del trittico buddismo-advaita (e simili) - taoismo è il seguente: se rimuovi a mio giudizio l' "atman" ossia l'identità ossia l'essenza e vedi tutto in qualche senso come vuoto è appunto perchè così facendo vai "oltre" l'etica, cosa che a mio giudizio non è veramente possibile. Il linguaggio dell'etica mostra che per l'etica è fondamentale l'esistenza del bene e del male, del libero arbitrio, della responsabilità, dell'io. Motivo per cui postulo, per fede, che siamo entità separate, pur sapendo che il mio postulato è appunto un atto di fede e non è provabile (anzi "empiricamente" tutto ci va contro!). Se fosse semplicemente in palio l'abbandono di altro ok si potrebbe fare ma sinceramente l'abbandono dell'etica mi pare troppo.

Chiaramente uno può dire che in effetti anche la questione dell'io è una illusione linguistica e non a caso la coscienza il buon Siddharta la descrive come un "qualcosa che è come un gioco di magia" e l'advaita dice che il vederci come entità separate è dovuto a Maya che ha lo stesso significato di "gioco magico". Dunque visto che rinunciare all'etica mi sembra "anti-etico" ritengo che alcune distinzioni siano irrinunciabili e che sia sbagliato lasciarle andare.  Sono convinto inoltre per ragioni che magari spiegherò in un'altra sede che l'etica per la sua naturale assolutezza abbia origine "sovrumana" (motivo: l'etica si basa su giudizi assoluti e oggettivi di valore).

Detto questo acquario69 la tua filosofia mi sembra neo-platonismo. Tuttavia a che pro Dio creerebbe degli enti per poi "rimangiarseli"? Detto questo ritengo che dobbiamo "riavvicinarci" a Dio pù che unirci - restando tuttavia enti separati. 

P.S. Gli abusi linguistici pullulano in filosofia e non a caso ritengo che molta filosofia sia nata come un fraintendimento linguistico, come quello di considerare l'Essere come un Ente.
#995
Divido il post in due, la prima parte sulla (mia e quindi molto probabilmente errata  ;D ) interpretazione di come il buddismo tratta la questione degli enti e la seconda sulla questione degli enti secondo il mio pensiero interpretato da me (e quindi sarà un'interpretazione errata di una filosofia errata  ;D ).

"Caso buddismo". Allora secondo il buddismo theravada ossia la corrente che si basa sul sole canone Pali l'esistenza del samsara è dolorosa (dukkha) perchè noi cerchiamo di indentificarci (cerchiamo il nostro ente/atta) in cose che sono impermanenti (anicca). Buddha arriva in aiuto e assicura una liberazione da odio, attaccamento e ignoranza. Quest'ultima coincide proprio col fatto che noi pensiamo di avere un'identità e per questo motivo la cerchiamo. Realizzato il Non-Sé ossia Anatta "estinguiamo" il male dalla radice ossia finiamo di cercare l'atta e otteniamo la Suprema Estinzione ossia il Nibbana/Nirvana. Chiaramente abbiamo solo parlato negativamente e così il Nibbana e il Nulla sembrano identici. Il punto è che Buddha ci parla anche in modo positivo:
"Vi è, monaci, un non-nato — un non-divenuto — un non-creato — un non-formato. Se non vi fosse quel non-nato — non-divenuto— non-creato — non-formato, non si potrebbe conoscere il processo di salvezza da ciò che è nato — divenuto — creato — formato. Ma poichè vi è un non-nato — un non-divenuto — un non-creato — un non-formato, si può conoscere il processo di salvezza da ciò che è nato — divenuto — creato — formato."

— Ud 8.3
Ora da affermazioni come queste la scuola theravada dice che Nibbana è una Realtà (anzi la Realtà più Sublime) incondizionata! Ora se prima abbiamo detto che le cose sono senza sé perchè esistono in modo dipendente perchè mai anche questa Realtà è anatta, senza sé? Chi segue la scuola theravada non ti risponde. Invece la scuola madhyamaka fondata da Nagarjuna ti da una risposta: il Nirvana non è un ente ma uno stato. In particolare è quello stato mentale che ti libera dalla ricerrca dell'identificazione, perchè d'altronde tutto è vacuo - Vacuità/Shunyata compresa. Ora anche se questo ragionamento è consistente a me sembra un nichilismo mascherato, ma qui ammetto di potermi sbagliare io ;)

"Turno mio". Nel caso della mia esistenza io credo di avere un'identità nella quale il cambiamento gioca un ruolo fondamentale. Ogni volta che scelgo nel bene o nel male cambio la mia identità ossia procedo verso il "perfezionamento" di me stesso o nel modo opposto. Chiaramente in questo mio modello una cosa pur cambiando rimane se stessa, quindi certamente mi trovo costretto ad ammettere che la realtà è contraddittoria, ossia ammetto che "io e il me stesso di ieri siamo la stessa cosa" e "io e il me stesso di ieri non siamo la stessa cosa" sono entrambe vere (nota che il buddismo invece direbbe che sono entrambe false perchè semplicemente l'io non c'è). D'altronde Eraclito diceva la stessa cosa per i fiumi, nell'ormai dimenticato frammento autentico DK12 "a coloro che scendono in fiumi che rimangono gli stessi diverse e ancora diverse acque affluiscono"! Sì la realtà è contraddittoria e quindi? Dobbiamo rinunciare alla pretesa che la nostra logica si applichi perfettamente ad essa! In ogni caso ci sono vari logici moderni che lavorano sulle logiche paraconsistenti, come ad esempio Graham Priest. Quindi Jean e paul11 se ammettete la contraddittorietà siete molto vicini alla mia posizione :)



P.S. Se Sariputra vorrà correggere la mia (errata) interpetazione del Dhamma è bene accetto!
#996
@Paul11 anche io ritengo che un ente per avere identità debba distinguersi e sinceramente non credo che questo sia ritenuto un "male" nelle religioni monoteistiche. Discorso diverso per le religioni non-duali. La descrizione buddista del Nirvana così come è scritta nelle suttas non si capisce se si riferisce ad un ente o no e ciò ha creato divergeneze tra gli interpreti. Comunque l'unità originaria non è presente nel buddismo, anzi Buddha dice proprio che è una visione "errata".

Sul discorso di cosa sia un ente... se non abbiamo un'identità indipendente allora ha ragione il buddismo e quindi la ricerca dell'identità è l'inganno supremo. Personalmente non sono d'accordo ma rispetto il pensiero buddista.

Detto questo potresti rispondermi a questa domanda: l'adulto è lo stesso ente del bambino? E perché? (magari l'hai detto prima e non ho capito...)

P.S. Non ho mai praticato il buddismo. Comunque "saper tante cose non da la comprensione" (Eraclito) motivo per cui anche se "ne so tante" magari della vita e del mondo non c'ho capito nulla  ;D
#997
@paul11
Il Nirvana del buddismo madhyamaka coincide col samsara (!). Non devi considerarlo come un ente ma devi considerarlo come una "liberazione" dalla tendenza a trovare identità. Non a caso la filosofia buddista non afferma mai, il suo scopo è fare in modo di distruggere la tendenza ad identificarci, a dire "questo è il mio io". Ciò causa l'attaccamento. Per il buddista di questa scuola tutto è condizionato e quindi nulla è propriamente un "ente" (perchè non distinguono l'indipendenza dell'identità dall'indipendenza dell'esistenza...).

La scuola Theravada invece dice che "il Nirvana è la negazione del samsara" e in effetti la ritiene la Realtà "più pura", incondizionata, l'elemento "senza morte". Il loro Nirvana è Nicca (permanente) eppure viene descritto come "anatta". Tuttavia mi chiedo io: se una cosa è incondizionata, permanente ecc perchè non è un ente (atta/atman)? La scuola madhamaka semplicemente dice che non essendoci vera differenza tra nirvana e samsara il Nirvana è un semplice "stato" e non una "realtà". L'Advaita invece rifiuta questa soluzione e ti dice che c'è un Ente incondizionato, senza morte, senza nascita e questo è Brahman.
#998
Dunque ogni ente secondo me per essere definito tale deve avere un'identità che non dipende da altro. Io che credo nell'esistenza di Dio lo ritengo chiaramente un ente, anzi l'Ente. Nel caso di Dio c'è anche l'indipendenza per quanto riguarda l'esistenza (ossia necessità). Tutto il resto "deriva", ossia viene "creato", da Dio e perciò l'esistenza degli eventuali altri enti dipende da Dio. Tuttavia quello che nego rispetto ad Advaita e Buddismo è che la dipendenza dell'esistenza di un qualcosa non implica che quel "qualcosa" non abbia un'identità propria. Ora se ci liberiamo dal vincolo di dover abusare la logica mi sembra più che plausibile che un ente possa essere soggetto a mutamento e cioè che la sua "identità" possa essere plasmata e costruita senza che necessariamente ciò significhi la distruzione dell'ente. Il solo fatto che io invecchio non significa che io cambio identità ogni momento ma significa semplicemente che parte integrante dell'ente che sono io sia la possibilità di cambiare. Ossia in sostanza che il mio divenire costituisca la mia entità! Perchè mai dovremmo ritenere solo le cose immutabili come "oggetti" che possiedono un'identità/atman? Il semplice motivo è che per noi un'identità è come un'idea platonica o una substantia aristotelica, ossia immutabile. Eppure il Sole è tale perchè al suo interno continuamente vengono bruciati protoni, il fuoco è tale perchè continuamente brucia il suo combustibile. La nostra essenza perciò comprende il mutamento e non lo esclude! Ora noi esseri umani possediamo l'autocoscienza e quindi secondo me siamo enti, ossia possediamo una nostra identità separata dal resto del mondo. Dire che questo è un auto-inganno (attenzione non nego l'anicca o l'impermanenza...) a mio giudizio è sbagliato perchè d'altronde la percezione di avere un "io" ci eleva rispetto al resto della "natura". Se poi questo "io" muta non significa che questo "io" sia illusorio ma invece significa che è nella sua natura cambiare.

Per quanto riguarda le idee e i concetti secondo me gli unici che possono veramente essere "enti" sono quelli matematico-logici e quelli etici. Tutti gli altri sono sicuramente invenzioni nostre: il concetto di "drago" in realtà è uno pseudo-concetto e quindi "non è un ente". A mio giudizio ciò che è chiaramente invenzione umana (ci metto anche le teorie della fisica...) sono creazioni nostre e non sono enti, anche perchè altrimenti ci sarebbe il problema della proliferazione degli enti.

In ogni caso non funziona nemmeno il discorso di eternalizzare ogni istante. Perchè se ogni "io istantaneo" è eterno allora comunque il mio "io" reale non coincide mai con questi "io" perchè appunto il mio io persiste nel tempo e in ogni caso non percepiamo mai l'istante. Dovremo ritenere che la fantomatico "istantanea" della natura sia "più reale" della natura stessa?
#999
@Phil tu hai chiarito molto bene il concetto di "ente" e anzi qui in questo forum in generale lo si fa. La mia era più che altro un'esortazione "in generale" e non l'ho rivolta a nessuno in particolare. Detto questo anche nel caso di un concetto, affinchè esso sia un "ente" deve avere un'identità propria deve essere in sostanza "qualcosa" - ossia la sua identità (NON la sua esistenza ma la sua identità!) non deve dipendere da altro. Per un buddhista madhyamaka un concetto è un prodotto dell'"aggregato" intelletto e perciò non ha né esistenza né identità (atman) indipendente e perciò è soggetto al mutamento (da cui il trio anitya-dukkha-anatman). Platone non era d'accordo e invece pensava che i concetti avessere "identità propria" e li piazzò nell'Iper-uranio. Per chi crede nell'esistenza dello spirito individuale l'atman è lo spirito, ossia il "tuo io", cioè la tua identità è lì. Chiaramente se uno crede di essere stato creato da Dio non c'è indipendenza esistenziale ma solo di "identità".
Per un advaitin esiste solo Nirguna Brahman in quanto tutto il mondo fenomenico è interdipendente e quindi non puoi trovare "essenze", "atman" in esso. La differenza col buddismo è appunto che per l'Advaitin c'è un Ente/Atman per il buddista no.  Quindi per questi filosofi indiani (ossia Advaita e Buddismo) indipendenza nell'identità=indipendenza nell'esistenza, ergo siccome tutti i fenomeni sono interdipendenti nei fenomeni non troverai mai un "ente", un' "essenza" e un "atman".

@davidintro (ma è rivolto un po' a tutti) in genere per la filosofia occidentale l'esistenza dei concetti è assicurata per la loro indipendenza "di identità" viceversa un buddhista o un advaitin ti direbbe che i concetti stessi sono "creazioni" della mente e perciò anch'essi hanno un'esistenza dipendente e quindi in realtà sono "falsi enti". Per loro io, te, il PC su cui scrivo, il pianeta Terra, la Via Lattea e l'atomo di idrogeno, le teorie della fisica, le opere d'arte sono tutti "enti apparenti", siamo noi nel nostro stato di "ignoranza" (avidya) a ritenere che abbiano un'identità (atman). La Liberazione si ottiene appunto quando si cessa di ritenere che cose senza identità abbiano identità e nel caso dell'Advaita scopri Brahman, unico vero Atman, nel caso del Buddismo scopri il Nirvana, l'assenza di identità. In occidente tutto ciò è una sorta di "bestemmia": ma come i concetti non sono indipendenti da noi? "2+2=4" per tutti no? In sostanza noi tutti siamo "platonici" e crediamo nell'esistenza degli enti e finiamo a volte per etichettare troppo, loro invece ritengono che proprio questa tendenza a dare etichette e nomi è l'Errore. Tant'è che Maya (l'inganno "illusionistico") per l'Advaita ci fa credere di trovare il suo "atman" "in questo mondo" mentre Mara (il Re di questo mondo della morte, dell'esistenza condizionata, del samsara, figura che trovo simile al "nostro" diavolo...) cerca di distoglie il buddista dalla pratica per farlo "morire" nella perdizione dell'illusione, facendogli credere di trovare il suo "atman" nel mondo. 
Per me sinceramente sbagliano entrambi ma di questo parlerò un'altra volta e porterò la mia personale opinione sul merito! Volevo però darvi una panoramica sugli "estremi" di questo tema...
#1000
A mio giudizio il concetto di ente è legato a quello di identità in modo insicindibile. Motivo per cui per stabilire se un ente è un ente bisogna saperlo distinguere. In occidente siamo convinti (seguendo Aristotele e Platone) che noi uomini siamo enti, ma lo sono anche gli alberi, il Pianeta Terra e le montagne. E lo sono anche gli atomi, le galassie e gli elettroni. Eppure non appena indaghiamo con più sensatezza la realtà ci accorgiamo che l'ente "albero" e l'ente "Terra" non sono separati. Basta questo per buttare all'aria un millennio e mezzo di filosofia. Quando si è capito ciò si capisce che nel mondo materiale, a parte forse le particelle elementari, nulla ha una vera identità. Ossia tutto è vuoto di "atman" per dirla in modo indiano. Rimane da vedere "enti" come ad esempio l'uomo che è auto-cosciente. Un cristiano direbbe che l'uomo ha uno spirito e ciò gli conferisce la sua identità, gli animali hanno il "soffio vitale" e quindi sono anche loro enti. Le "cose" invece non possedendo identità non sono enti.

Taoismo, buddismo e Adviata Vedanta invece negano che anche noi siamo "enti separati". L'Adviata Vedanta asserisce che c'è solo un Ente, Brahman che possiede Atman, cioè identità. Il buddismo (almeno la Madhyamaka cioè la scuola più vicina a Sariputra - il Nibbana dei Teravada sinceramente mi sembra tanto simile al Nirguna dell'Adviata) nega che si possa trovare un Ente. Il Taoismo sinceramente non l'ho ancora capito ma più lo analizzo più mi sembra vicino al buddismo. Spinoza concordo più o meno con l'Advaita. Leibniz è un pluralista, cioè ci sono più enti o atman. Parmenide similmente all'Advaita dice che c'è solo un Ente ma fece l'infelice identifazione "Essere è un ente" che ha portato a millenni di fraintendimenti, dispute e insensatezze.

Detto questo Sariputra se per "atman" intendi identità allora per la filosofia occidentale "ente=atman". Prova con questo criterio e usalo nello studio degli "occidentali". D'altronde per dire "questo è" bisogna che "questo" abbia un'identità. Quindi l'ente è tutto ciò che ha identità.

Con questo vorrei quindi che prima di parlare di enti si chiarisse la definizione di parola. Io l'ho appena data e mi sembra "ovvia". Se non chiariamo i significati delle parole, allora cadiamo nell'equivoco.

P.S. Lo spirito è "postulato" per le religioni e filosofie che lo prevedono perchè appunto non c'è veramente nulla che in noi possiamo dire con certezza che sia distinto dal "mondo esterno".
#1001
@cvc la tua metafora è bellissima e la penso più o meno allo stesso modo. Concordo che i filosofi sono come bambini troppo curiosi e per la loro curiosità la rischiano grossa, finendo spesso di strangolarsi con i loro stessi mostri linguististici.

Detto questo ritengo il taoismo tra le filosofie più rigorose perchè da quello che mi pare di vedere i filosofi taoisti prima formulano un'ipotesi metafisica e poi la distruggono. E in effetti credo che più di ogni altra tradizione viene contemplato il silenzio contemplativo. Ogni riga del Tao Te Ching mi sembra un invito a riconoscere che ogni nostra metafisica non potrà mai cogliere la realtà. Perchè dunque scrivere libri o parlare di queste cose? Semplice per dimostrare che non si può parlare (un po' come il Tractatus...). Motivo per cui non concordo con acquario69 che dice che il Tao è identificabile con lo 0 che genera l'1. Il problema è che se il Tao è qualcosa è già un "1", quindi per non essere identificato con l'1 (in modo simile nel neoplatonismo si dice che l'Uno è ineffabile...). Quello che secondo me voleva dire Laozi è ribadire che il Tao ossia la Via in cui procedono gli eventi è incomprensibile (d'altronde "il Tao che può essere detto non è il Tao eterno...") e lo stesso Chuang-Tzu rifiutava l'idea secondo la quale il taoismo era un filosofia monistica (cioè rifiutava il detto che "tutto è uno"). Infatti se al posto di Tao ci mettete "Mistero" credo che il libro sia più facile da comprendere. In ogni caso il Tao non è né l'Essere né un Ente, cosa che per un occidentale è aberrante.

Detto questo sorprendentemente concordo sul fatto che sia un concetto ben definito l'Ente che è "creatore e sostenitore" di tutto ma questo è appunto un Ente (Dio) e non il Tao.  In ogni caso per spiegare il divenire a mio giudizio si deve accettare di "usare" una metafisica che si fonda sulle logiche paraconsistenti, cioè che ammettono contraddizioni. Altrimenti ci creaiamo dei "sistemi" coi quali finiamo per strangolarci.
#1002
Eh infatti Wittgenstein era il primo a rompere il suo auspicato silenzio (d'altronde a differenza di Laozi e Chuang-Tzu non si limitava a usare la logica per creare paradossi e a contemplare in silenzio...filosofava ancora quindi http://www.roangelo.net/logwitt/acassino.html sito in inglese dove ci sono importanti riflessioni sulla sua filosofia. In particolare il link contiene una pagina con la traduzione italiana e la frase "filosofava ancora quindi"). Tant'è che ad esempio per tutta la vita si trovò in una situazione imbarazzante: era cristiano fideista e al contempo era convinto che "non dovevamo mai smettere di pensare". Questo suo conflitto si traduceva ad esempio nell'etica. Negli scritti filosofici non ne parlava mai ma nella vita continuava a porsi (e a porre agli altri...) problemi etici. Motivo per cui credo che con lui si sia passati da una filosofia errata (la bimillenaria filosofia dell'Essere-come-Ente) alla morte della filosofia (se si prende totalmente sul serio la sua filosofia, la filosofia è morta). Motivo per cui personalmente scelgo una via di mezzo (e qui Sariputra dovrebbe "accendersi"  ;D ): cerco cioè di usare i concetti metafisici finchè si possano applicare alla nostra esperienza sia in senso fisico (per parlare del mondo) che in senso "spirituale" (per parlare di etica, spiritualità, religione...). Cerco di seguire poi il suo esempio per non cercare di costruire vaniloqui.  

Detto questo secondo tutta la questione e tutti i paradossi sull'Essere sono dovuti ad una incomprensione linguistica. Si dice "Essere" sia per indicare che qualcosa esiste, "essere" per indicare che un oggetto ha una certa proprietà ecc ma l'Essere fuori contesto è una chimera. Motivo per cui credo che l'unico modo per parlare in modo sensato di enti sia quello di dire che enti ed esistenti sono la stessa cosa. Altrimenti possiamo costruire sistemi filosofici assurdi e che spiegano tutto (e quindi solitamente un bel Nulla  ;D ). Intanto vado a godermi la vista del drago nei cieli della Padova ormai liberata (purtroppo  ::) ) dall'effimera copertura nevosa...

P.S. Accetto l'invito... virualmente ahahah. A parte gli scherzi buon banchetto!
#1003
Finchè ci si ostina nell'Errore iniziato da Parmenide e Platone non se ne esce. Tutta la metafisica da Platone fino diciamo a Kant e poi nuovamente da Fichte fino a Schopenhauer si basa sull'assunzione errata, il peccato originale della metafisica, secondo il quale l'Essere è un ente. Un indiano e ancor più un taoista si sarebbero messo a ridere sull'ingenuità di tale affermazione. Quello che si è in sostanza verificato è confondere l'esistenza con gli esistenti e chiaramente facendo così arrivano mostri linguistici come: "l'esistenza esiste?". Tale errore si perpretò anche dopo e in realtà condizionò anche Kant seppur in modo subdolo. Finì con Wittgenstein il quale finalmente capì il problema: il linguaggio era andato in vacanza. Il buon Ludwig Wittgenstein ebbe due fasi: la prima nella quale la filosofia coincideva con l'attività della chiarificazione logica del linguaggio mentre nella seconda la filosofia era la chiarficazione grammaticale (termine più generico di "logica") del linguaggio. In sostanza Wittgenstein tornò all'inizio, ancor prima dell'epistemologia (la quale è come giustamente notavano gli indiani era prima dell'ontologia) e tornò allo studio del linguaggio. Così si accorse che l'importante era il contesto in cui venivano proferite le parole. In sostanza Wittgenstein non criticò la metafisica ma il suo abuso il quale però era ormai diventato bimillenario. Così "ente" è un termine che viene portato alla realtà per indicare le cose che esistono. Essere ed esistenza vengono nuovamente fatte coincidere. RIsultato: la filosofia era ritornata indietro di duemila anni e credo che se Wittgenstein avesse letto il Tao Te Ching lo avrebbe considerato il miglior libro filosofico: in tale libro il linguaggio viene continuamente usato per mostrare che non appena si parla delle "grandi questioni" si dicono inconsistenze e quindi non rimane che tacere ("chi non sa parla, chi sa tace") ma per capirlo prima si deve dire qualcosa. Wittgenstein non solo pretende razionalità ma pretende che prima di parlare si controlli se ciò che si sta dicendo abbia senso. Il silenzio taoista e Wittgensteiniano perciò è il silenzio tipico della "dotta ignoranza" o via negativa.

Cosa sono gli enti? Te lo abbiamo detto: l'albero, le sue radici, l'atomo che compone la foglia, la foglia, il tronco, il pianeta Terra di cui fa parte, io, te, la mia mano, il PC su cui scrivo, il messaggio che leggi, la tua idea che ti fai leggendo quello che leggerai. TUTTI enti.  Non si può parlare di Essere e Nulla ma solo di ciò che è ente e ciò che non lo è (non è un ente ad esempio il drago che in questo momento vola sopra Padova ma è un ente il concetto di drago che vola sopra Padova)
#1004
Come già detto da Phil un ente è una cosa che è in linea generale. Quindi l'albero, le sue radici, le sue foglie, le parti delle radici sono tutti enti. L'uomo è un ente e lo è anche il suo cervello, il suo cuore, il suo piede...
Come chiaramente stai intuendo la definizione di ente non è mai stata formalizzata da nessuno e tanto in occidente quanto in oriente di fatto ognuno ha "studiato" il concetto e lo ha interpretato a modo suo.
Il problema che tu poni delle parti è il cosiddetto problema della "mereologia" che è una branca dell'ontologia.

Personalmente ritengo che Parmenide non volesse dire che l'essere è un ente e recentemente si è fatta di lui un'interpretazione secondo la quale la sua era una filosofia del (solo) linguaggio. Personalmente ritengo la sua filosofia molto simile a quella dell'Advaita: l'Essere è Uno. Tutto quello che vediamo invece sono enti tuttavia per Parmenide è errato vedere le cose come enti ma bisogna cogliere l'Essere il quale è "senza proprietà".

Il tomismo è invece molto simile alla Dvaita: Dio crea e mantiene le cose in essere per il fatto che c'è una partecipazione come dici tu. Tuttavia l'obiezione è: ma i demoni allora perchè esistono?

Quindi come vedi la filosofia occidentale è tanto confusa quanto quella orientale e in occidente una filosofia come il buddismo sarebbe considerata "acosmistica" perchè nega l'esistenza di enti. Tuttavia non (?) negando l'Essere non è nichilismo perchè anche il Divenire d'altronde puoi considerarlo una forma di Essere. E qui però tutto il sistema logico si auto-distrugge perchè l'Essere diventa così generico che assomiglia al Non-Essere.
#1005
Tematiche Filosofiche / Re:Tempo ed eternità
13 Gennaio 2017, 14:50:16 PM
Citazione di: paul11 il 12 Gennaio 2017, 23:12:25 PMAperion, -La reincarnazione/trasmigrazione delle anime, non comporta memoria delle passate vite nel corpo fisico "nuovo". Paradossalmente noi stessi potremmo essere reincarnati, ma inconsapevoli. -la visione estetica/estatica è già una forma di distacco mondano. -L'eterno ritorno di Nietzsche presuppone la conoscenza dei cicli periodici temporali delle scienze degli "Arya",dei libri Veda e potrebbe essere davvero così. -Fisicamente, chimicamente un corpo umano morto si decompone, si dissolve in molecola toranndo a disposizione del pianeta.Questo è un dato di fatto, una tautologia.Altro se c'è un'anima/spirito. -Diventare tutt'uno con il pianeta forse è un modo di rientrare nei cicli vedici -Non credo all'oblio, se tutto ebbe un 'origine fisica cosmologica astronomica, oppure divina-spirituale-fisica ed esiste un'intelliggibilità dentro un ordine che ci appare nel divenire temporale ,in cui il tempo è metronomo dei fenomeni proprio per costruire sequenze intellegibili, deve avere un senso. -Non credo al Dio sensibile percettivo con il barbone biancovestito, Semmai credo ad un ritorno all'Uno. -Veniamo alla problematica Nirvana/buddhismo e cristianesimo (parusia,escatologia)- paradiso-eterno Il discorso sarebbe lungo e complesso, per cui detto in breve penso che lo"stato" di Nirvana corrisponda ad uno "stato/eterno". Lì si è fuori dalle schiavitù fisiche dentro e fuori di sè,non c'è dimensione temporale seppure il metronomo batte ,non esiste nel Sè che è in un'altra dimensione e riunisce in sè gli ordini e quindi è talmente armonico che tutto è allo stesso tempo negativo e positivo, per cui si dissolvono.Chi riesce a toccare un simile stadio da vivente ha riordinato il mondo dentro di sè E' il massimo per un vivente .Ci sono famosi rabbini durante la storia che studiavano il modo di ritornare all'origine di Genesi,E' un processo che ha lo stesso fine. Quando nei testi cristiani si parla di giudizio universale, di Rivelazioni(o Apocalisse di S.Giovanni),degli ultimi giorni, c'è una serie di fatti cronologici che dovrebbero avvenire poichè profetizzati. Quì vi sono alcune incongruenze, perchè appiono contraddittoriamente due impostazioni di nuovo(ccome ai tempi di S,Paolo) la sconfitta del male, fine del giudizio e tutti si torna ora felici e contenti in una nuova umanità fisica in un corpo fisico. Oppure il "Padre che è nei cieli" è stato interpretato ellenisticamente come trascendente il dominio naturale, oltre il mondo fisico, fuori dal tempo fisico e dalla vita fisica,Come si "viva" da spiriti, nell'eterno è fuori dalla nostra portata mentale, linguistica, potremmo dire cosa non è, ma dire cosa sia ritengo di no. Quella fine ultima dove i morti risorgono e tutto è giudicato, attenzione perchè è vicina alla storia dei sette Manu. Ogni Manu finisce e risorge dopo un diluvio, una catastrofe e di nuovo il ciclo. E se il cristianesimo ci apparisse lineare solo perchè ha descritto un solo ciclo?

So benissimo che la reincarnazione non comporta necessariamente la memoria ma è anche vero che non mi ricordo un tubo di quando avevo un anno, tuttavia ero comunque io (e non ero io per un certo punto di vista  ;D ). Il discorso è che un eterno samsara non è proprio il massimo perchè per necessità i cicli sono limitati nel tempo e chi abita nel samsara per vivere si deve attaccare a qualcosa di impermanente. E anche se uno fosse sempre contento nel samsara il ciclo nascita-morte-rinascita-rimorte sarebbe comunque una vita perpetua e non una vita eterna, ergo sarebbe sempre incompleta e senza senso.
Nel cristianesimo da quanto io posso capire Dio non è antropomorfo, è "personale" ossia ha proprietà condivise con noi. Non è quindi né totalmente diverso da noi ma non è uguale a noi e quindi è ineffabile. La salvezza cristiana in sostanza è il "completamento" che si ha con la "visione beatifica". A differenza del neoplatonismo questo "ritorno a Dio" non sarebbe un riassorbimento nell'Uno ma una "elevazione" dell'io - in sostanza anche noi saremo trasformati in qualcosa che è simile a noi ma non è uguale.
Chiaramente poi se il cosmo è ciclico il cristianesimo descriverebbe a modo suo un ciclo.