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Messaggi - quasar97

#1
Citazione di: Phil il 31 Maggio 2017, 10:56:57 AM
Citazione di: quasar97 il 30 Maggio 2017, 23:27:35 PM
Posso essere d'accordo con il dover tagliare con il richiamo metafisico e sulla temporalità (ottimo esempio anche questa volta), però mi viene spontaneo chiedermi: stiamo rincorrendo la tartaruga di Zenone?
Direi di no, piuttosto (stavolta l'esempio non è mio, ma del neopositivismo) ci troviamo in mezzo al mare e dobbiamo tappare le falle nello scafo della nostra nave, potendo usare solo quello che abbiamo a bordo, ingegnandoci al meglio  ;)

Citazione di: quasar97 il 30 Maggio 2017, 23:27:35 PMSappiamo di non poterla raggiungere ma vogliamo avvicinarci sempre di più, perchè?
Questa "volontà (di) metafisica" e lo pseudo-problema che essa pone, dovrebbero essere un buon motivo per ripensare "a monte" la metafisica stessa...
C'è da dire, però, che per quanto ne sappiamo, anche il tappare quelle falle (che poi bisognerebbe disquisire meglio sulle ''falle'') può essere un dogma, un qualcosa ''che bisogna fare'' e su cui non avremo mai dei perché convincenti (oltre che la ''sicurezza'' che sia quella la strada giusta). Ho provato a continuare la metafora  ;)




Citazione di: green demetr il 31 Maggio 2017, 14:51:30 PMVedo proprio che ogni tanto, ritornano gli scettici su questo forum. Evidentemente gli piace farsi del male.I ragionamenti non sono vizi in partenza, perchè l'intera storia della filosofia sta lì a dimostrarlo. Come al solito prendo Hegel. Le sensazioni sono i dati primari, non c'è fondazione, senza il cemento che la possa fortificare. Negare i sentimenti è sciocco, lo scettico è sciocco dunque. Ma in questo ennesimo inutile 3d, stiamo parlando dell'intelletto. Come se esistesse qualcosa come l'intelletto, essendo l'intelletto non una sostanza ma una modalità della ragione. (la quale ragione è esistente, pena l'inesistenza degli enti, in quanto non vedremmo enti, senza separarli: ragione è uguale a razione, a parte.) L'intelletto è quella facoltà di unire le parti con cognizione di causa, abduttiva, induttiva, deduttiva. L'intelletto dunque non viene prima della ragione. E' passibile certo di errori. Sopratutto nelle sue forme abudttive e induttive (che richiederebbero per un concetto di verità assoluto, la fine della storia etc...). La filosofia non è filosofia che si inventa le cose, non è una mera opinione, La filosofia metafisica, è fondazione, fondazione su ciò che è vero. L'ente è tale solo se è un ente e non un altro. Il genio maligno di Cartesio è stupido se applicato alla ragione, in quanto un ente non sarà mai il suo opposto, bianco non sarà mai nero. Il genio maligno ha senso solo se si parla dell'intelletto. In questo caso passiamo al formale, ai processi di diacronia del linguaggio, dalla sua casualità e dei suoi eventuli errori. (ma gli errori si riferiscono al senso, e non al formale, benchè esistano anche errori formali, e se ne è parlato in questo 3d). Bene fa lo scettico a dubitare, ma non a impiantarsi su questa posizione, che di fatto è un blocco alla prassi. E anzi se andiamo a vedere è esattamente quello che vuole, bloccare delle prassi, che lui, scettico, ritiene nel suo delirio, essere pratiche a lui avverse. Come se il soggetto non fosse sempre all'interno delle pratiche. (ma questa per chi mi segue sa che è tutt'altro discorso). La stupidità dello scettico, va ben oltre alle solite cose che si dicono riguardo gli scettici. C'è della malvagità calcolata in questi individui. Quindi ben venga la domanda...ma vediamo di liquidarla al più presto.

Mi fermo a quello che ho evidenziato in rosso senza continuare a leggere quello che si configura come un vaniloquio.
Dire che le sensazioni sono dati primari inconfutabili è la cosa più folle che abbia mai sentito. Come se non esistessero casi reali di ''sfasamento'' dei sensi, che danno senza subbio adito a delle speculazioni sull'inesattezza di questi.

''I ragionamenti non sono vizi in partenza perchè l'intera storia della filosofia stà lì a dimostrarlo''
Oltre a delle giustificazioni, per la tua conclusione, a dir poco patetiche, ti ricordo che anche questa tua osservazione si propone come verità assoluta ed è di fatto indimostrabile. 
L'arroganza è la qualità che detesto maggiormente, bisognerebbe essere più umili sia parlando di filosofia che nella vita in generale.
#2
Citazione di: baylham il 30 Maggio 2017, 10:05:01 AM
Il primo  «tropo» concerne la discrepanza dei giudizi (diaphonia) rilevabile sia presso i filosofi, sia nella gente comune, a proposito di qualsiasi questione si prenda in esame.

Antitesi: allora c'è concordanza del giudizio sulla questione e sul disaccordo. Inoltre la tesi è smentita, falsificata in numerosi casi: i giudizi possono convergere.
(Non hai falsificato niente, il fatto che i giudizi possano convergere non toglie che rimane sempre il binomio accordo-disaccardo su qualunque questione. Anche adesso, io sto da un lato e tu da un altro del ragionamento: il fatto che possiamo convergere in una nuova posizione non toglie che qualcun'altro si opporrà a sua volta a noi)

Il secondo «tropo» rileva come, se si vuole risolvere una questione, occorra addurre una prova: ora, nessuna prova si rivela esaustiva: ogni prova ha bisogno di un'altra prova, e, questa, di una ulteriore prova, e così si cade in un processo all'infinito.

Antitesi: come si dimostra che una prova non è esaustiva se non c'è l'accordo tra le parti? Se invece le parti sono d'accordo allora la prova è esaustiva oppure non è considerata una prova. Si ritorna alla prima tesi.
Ma appunto una prova non può essere esaustiva, ''completa''. Comprese le tesi di Agrippa, il mio ragionamento o il tuo ragionamento. Non c'è una ''sicurezza'' e una ''fine''

Il terzo «tropo» chiama in causa la relatività, evidenziando come ogni oggetto appaia in un certo modo solo in relazione al soggetto che lo giudica

Antitesi: parti della prospettiva dell'oggetto sono individuali, ma parti della prospettiva dell'oggetto sono comuni, a partire dall'esistenza dell'oggetto. Altrimenti si ritorna alla prima tesi.
La comunanza dell'esistenza dell'oggetto tra due eventuali soggetti è un'ovvietà, di fatto se non esistesse non potremmo relazionarci con esso, è su cosa quel particolare oggetto  significhi per il singolo soggetto che è soggettivo e sui cui c'è discrepanza (o accordo) con altri soggetti. La relatività non si può discutere dai

Il quarto «tropo» mostra come i filosofi dogmatici, per tentare di sfuggire al processo all'infinito, assumano i loro principi primi senza dimostrazione, pretendendo che essi siano immediatamente degni di fede.

Antitesi: sono principi primi proprio perché non sono dimostrabili, ciascuna parte è libera di accettarli o respingerli. Si ritorna alla prima tesi.
E quindi? E' corretto accettare un principio primo indimostrato o indimostrabile? Non so dove vuoi andare a parare

Il quinto  «tropo» riguarda il «diallele», che si verifica quando, per voler dar ragione della cosa ricercata, la si presuppone dalla ragione stessa che si adduce per spiegarla, o, meglio ancora, quando la cosa che si assume per spiegazione e la cosa di cui si vuole dare spiegazione hanno bisogno l'una dell'altra.

Qualche esempio?
Cartesio e l'esistenza di dio


@Phil
Posso essere d'accordo con il dover tagliare con il richiamo metafisico e sulla temporalità (ottimo esempio anche questa volta), però mi viene spontaneo chiedermi: stiamo rincorrendo la tartaruga di Zenone?
Sappiamo di non poterla raggiungere ma vogliamo avvicinarci sempre di più, perchè?

@maral


Citazione''Questo vuol dire che il medesimo non può che essere il medesimo, ma non è mai identico. Vuol dire Che Baylham, pur non  essendo altro da quello che è, non è mai davvero quello che è, è sempre altro e altro ancora, mai lo stesso; che questa lampada accesa sul mio tavolo pur essendo proprio ed eternamente questa lampada accesa sul mio tavolo non è mai davvero questa lampada accesa, è sempre altro.
E che anche in questo che ho detto, proprio perché l'ho detto, si apre a un altro dire in cui sarà contraddetto. ''
[/pre]

Quando sento questo genere di ragionamenti, mi si apre quella ''porta''. Sartre la chiama nausea, Camus assurdo, io non saprei come definirla questa sensazione, ma questo passaggio '' l'ho provato'' sulla mia pelle.
Detto ciò, sarei curioso di chiederti, visto che lo scetticismo lo hai scartato, a cosa ''credi'', come ti disponi nei confronti del mondo, anche alla luce del tuo pensiero nell'ultimo intervento.

Un saluto a tutti!
#3
Citazione di: maral il 29 Maggio 2017, 22:32:26 PM
Citazione di: quasar97 il 29 Maggio 2017, 22:18:59 PM
Rinunciare a ogni pretesa di certezza epistemica è una certezza epistemica  ::)
Ripeto, a mio parere non è il principio di non contraddizione che può fermarci
No, significa semplicemente ammettere che ogni certezza ha in sé il suo errore che la contraddice e proprio in quanto è errore si apre alla verità. E dunque sì, il principio di non contraddizione non ci ferma, ma non ci ferma perché il principio di non contraddizione non può che avere in sé stesso la contraddizione di sé, non essendoci nulla al di fuori di esso che possa contraddirlo.

Ho studiato filosofia politica quest'anno, devo concordare con Spinoza quando dice che, in virtù della natura umana, la comunicazione tra uomini non sarà mai limpida: alla fine è ovvio, ognuno con i propri schemi, il proprio lessico e così via; questo preambolo serve per dirti che non riesco a capirti al 100%, sei criptico  ;D  
Ovviamente non sto affatto offendendo o altro, però non saprei cosa risponderti, inizialmente mi hai detto di aver rinunciato alle certezze, qui invece me ne stai parlando!


Citazione di: Phil il 29 Maggio 2017, 22:47:00 PMCommento
Citazione di: quasar97 il 29 Maggio 2017, 21:23:18 PMdevo per forza dedurre che tra noi (anche il più razionalista) ed un credente (ad es.) non c'è alcuna differenza, il che mi rende alquanto pensieroso.
e
Citazione di: paul11 il 29 Maggio 2017, 18:46:14 PMSe tutto è falso, daccapo, allora tutto è anche vero.
Non vorrei deviare il discorso verso sentieri già ampiamente battuti (in altri topic), ma se la Verità Assoluta non c'è, allora diventa ancor più importante discriminare le gradazioni delle "verità relative": per questo, in alcuni casi, espressioni come "fino a prova contraria" sono un fattore più rilevante del famigerato "inconfutabilmente", pur non essendo parimenti assolute. Ci sono gradazioni di falsità e di verità che prescindono dall'identificazione della verità assoluta e, anzi, in sua assenza, sono quanto di più funzionale, prezioso e plausibile la nostra ragione possa offrire. Propongo un esempio sciocco ma, spero, adeguatamente allusivo: dire che sto scrivendo tirando i peli di un gatto a tre code, o sostenere che sto scrivendo usando un computer vecchio di 10 anni, sono due affermazioni entrambe false, ma possiamo concludere davvero che una vale l'altra? Direi di no: se non avessi svelato che sono entrambe false, da una delle due può partire un'indagine di verifica, l'altra indica invece che sono un soggetto burlone, fantasioso o sotto effetto di stupefacenti ;D Detto in altro modo: appiattire tutte le verità e tutte le falsità (valore "1" vs valore "0") funziona (forse) nella compilazione delle tavole di verità, ma nella vita umana le ripercussioni nella prassi (sociale o individuale) delle "differenti sfumature di falsità" sono ben più sfaccettate...
Citazione di: paul11 il 29 Maggio 2017, 18:46:14 PMMa soprattutto, e questo è il punto fondamentale dell'attuale cultura, ritenere che non essendovi una verità costituiva originaria, allora tutto è opinione. se così fosse vince la forza bruta , non la forza del ragionamento.
Non saprei... stando alla nostra società, direi che, in assenza di valori forti, non vince affatto la forza bruta (che era più diffusa all'epoca dei valori forti, se non erro ;) ), ma domina proprio il ragionamento-come-discorso, tuttavia non quello logico e orientato di verità, bensì quello retorico, affabulatore, strumentale, che impregna la "società delle comunicazioni forti installate su pensieri deboli" (il vecchio adagio "ne uccide più la lingua che la spada" è forse più attuale oggi che in passato...). Così come, nella vita vissuta, una falsità non vale l'altra (vedi sopra), ugualmente un'opinione non vale l'altra...

A parte eleggerti a re degli esempi, vorrei fare solo una domanda: ma se la verità assoluta non esiste. come possiamo discriminare tra ''verità parziali''?
Lo so. è un discorso del tutto alieno dalla vita quotidiana, perchè effettivamente nella ''realtà'' sembrano esistere dei diversi gradi di verità, l'esempio più banale che mi viene da fare è eliocentrismo vs geocentrismo. Però, se abbiamo appurato, seppur velocemente, che da un punto di vista epistemologico non possiamo giungere ad una verità assoluta poiché tutto, anche il ragionamento, si risolve in un atto di fede, di conseguenza eliocentrismo e geocentrismo, su un piano ''più ampio'' sono entrambi già ''viziati'' da un problema conoscitivo di base, a prescindere dalla applicazione nella realtà.  (Provo a fare un esempio: è come se stessimo facendo un'equazione senza sapere di aver sbagliato qualcosa durante il procedimento)
Per quanto utile nella vita reale, la ricerca tra verità parziali sposta il focus dai problemi conoscitivi!

Anche qui, non so se sono riuscito a farmi capire, in quanto si tratta di argomenti davvero ma davvero astratti e intricati

Poi concordo con sgiombo sul non riuscire ad accettare l'impotenza pratica dello scetticismo, nonostante questo sia praticamente ''''' inattaccabile dal punto di vista logico '''''' (notare le virgolette). Mi verrebbe da dire che, mentre Falcone e Borsellino tentarono di sconfiggere la mafia con le leggi, qua cerchiamo di sconfiggere la logica con logica, le contraddizioni sbucano come funghi, di conseguenza.

Arrivati a questo punto, è molto facile finire a contemplare l'esistenza individuale, ed è per questo che sono molto vicino anche all'esistenzialismo
#4
Citazione di: maral il 29 Maggio 2017, 22:05:11 PM
CitazioneMa se l'intelletto fosse fallace? Se ogni ragionamento fosse un paralogismo?
Se l'intelletto fosse fallace sarebbe fallace anche il ragionamento di Agrippa (per quanto accurato e pertinente possa risultare), quindi saremmo comunque daccapo, lo scettico coerente non può non mettere in dubbio il suo scetticismo coerente e dunque non può non sospendere il giudizio pure sulla sospensione del giudizio.
E allora come se ne esce? semplice, rinunciando a ogni pretesa di certezza epistemica fondata sull'intelletto e basandosi sulla necessità di convenire sulla inevitabile possibilità di errore in ogni giudizio, per quanto corretto possa formalmente apparire. Questo implica che il fondamento su cui ci si basa è frutto di una parzialità espressa da un contesto di pratiche in continua trasformazione di cui noi stessi, con i nostri giudizi, non siamo che il prodotto variante.
Rinunciare a ogni pretesa di certezza epistemica è una certezza epistemica  ::)
Ripeto, a mio parere non è il principio di non contraddizione che può fermarci
#5
Citazione di: baylham il 29 Maggio 2017, 15:20:51 PM
"La necessità di sospendere il giudizio su tutto ne risulta definitivamente confermata."

Le tesi scettiche di Agrippa sono autoreferenziali.


Cerco di rispondere a tutti, usando il fallace intelletto  8)
Credo che l'autoreferenzialità possa viziare unicamente la conclusione di Agrippa, mentre ritengo che le premesse siano incontestabili. Poi se la vogliamo dire tutta, uno scettico non potrebbe assumere nulla come 'incontestabile', in quanto, appunto, si auto-contraddirebbe. Probabilmente ci troviamo in un sistema logico paraconsistente


Citazione di: Phil il 29 Maggio 2017, 16:25:10 PMQuando si tenta di giustificare [/size]logicamente i fondamenti, gli assiomi normativi del discorso, si incappa nell'indecidibilità (v. Godel). Come dire che nel momento in cui analizziamo una lingua, non possiamo che farlo ricorrendo alla lingua stessa, o ad un'altra lingua, poiché per parlare sensatamente è inevitabile usare una lingua (o un linguaggio)... parimenti, per ragionare logicamente è inevitabile ricorrere ad una logica, che sarà fondata su alcuni assiomi, che all'interno di quella logica restano inverificabili (in quanto la fondano ed essa li presuppone). Differente è la questione se mettiamo in gioco anche il mistico, il religioso, l'extra-logico... Allora non resta che la sospensione del giudizio, l'epochè, l'atarassia, l'afasia, l'aponia, etc.? Direi di no, questi sono tutti approcci molto bilanciati e statici, ma la vita è invece dinamica ed esige di sbilanciarsi... e sbilanciarsi nella prassi quotidiana con la consapevolezza dell'imperfezione, dell'arbitrarietà, della "relatività", proprie dell'impostazione che si adopera, è secondo me più un valore aggiunto che un limite (per chi crede ancora nell'ottimismo illuministico, ovviamente la questione è meno pacifica). A farla breve, per ragionare sulla ragione occorre la ragione, in tutta la sua autoreferenzialità e in tutte le sue declinazioni possibili, non se ne esce...



Sulla conclusione mi trovo d'accordo, l'epochè non mi sembra una soluzione realistica. Sulla prima parte, oltre a farti i complimenti perchè hai reso benissimo l'idea attraverso l'esempio, devo per forza dedurre che tra noi (anche il più razionalista) ed un credente (ad es.) non c'è alcuna differenza, il che mi rende alquanto pensieroso.
Credo però che il trucco nascosto stia proprio in quel ''per ragionare occorre la ragione'', proprio in quelle norme che fondano la logica, norme indimostrabili, come hai giustamente osservato. Se è vero che rispetto al I secolo abbiamo fatto dei passi avanti da gigante per quanto riguarda la qualità di vita (anche questo sarebbe opinabile in realtà), oggi come allora resta l'enigma di ragione e ragionamenti


Citazione di: paul11 il 29 Maggio 2017, 18:46:14 PM...... se non che la posizione di Wittgenstein è che non è possible recintare il linguaggio, da insegnante di matematica e famoso teorizzatore delle tavole della verità; ma Godel, che " non si poteva vedere" con Wittgenstein, capisce che se tutto è assiomatizzazione, basta mutare i primitivi per cambiare il ragionamento, e quindi apre un "mondo", è possibile costruire multi-domini come il multi-universo a dodici dimensioni, o ,come era credente Godel (come Cantor famoso per l'insiemistica, ebreo che voleva arrivare a dimostrare Dio/infinito), costruire una dimostrazione logica dell'esistenza di Dio da parte di Godel. Ma il punto è ancora un'altro e ha ragione Severino a prendersi gioco dei logici e pragmatisti.. Qualunque posizione di partenza, anche dello scettico, è ontologia, anche chi non crede alla metafisica, anche per Diogene. Il non- credere è ancora credere, il non-dimostrare è ancora dimostrare il non dimostrabile.ecc. Quindi sono d'accordo con il finale di Phil, non se ne esce. Il problema dello scettico Agrippa, è legato soprattutto alla credenza del singolo. Infatti l'esperienza, che è reiterazione di prassi/teoria, convalida in noi stessi quello che noi pensiamo. Così come convalida la socializzazione e il dialogo delle esperienze. Io posso dubitare di aver osservato una cometa, ma se altri l' hanno osservata nel medesimo punto e medesima orario, tenendo conto delle latitudini, convalida l'osservazione. Gli esperimenti hanno procedure e protocolli proprio per non far alterare la relazione soggetto/oggetto. e per essere ripetuti . Significa allora che una verità è interna alla limitatezza del cervello, linguaggio, sistema uomo. Ma se vine riconosciuta dalla comunità come verità, diventa convenzione. L'uomo è fallibile, anche il giudizio giuridico, per questo vi sono più gradi di giudizio e una giurisprudenza, dove le sentenze seguono ad una casistica. Altro problema è il rapporto prassi/teoria = pensiero. Tanto più il nostro pensiero si allontana dalle pratiche ,tanto più è slegato dal mondo "reale" sensibile e tanto più la correttezza del linguaggio formale dovrebbe garantire ,passo dopo passo, argomentazione dopo argomentazione, che una teoretica è ancora giustificabile e giudicabile come veritativa Ma soprattutto, e questo è il punto fondamentale dell'attuale cultura, ritenere che non essendovi una verità costituiva originaria, allora tutto è opinione. se così fosse vince la forza bruta , non la forza del ragionamento. Se tutto è falso, daccapo, allora tutto è anche vero.



Provo a risponderti anche se, lo anticipo, non è facile controbattere in maniera esaustiva al tuo messaggio senza andare off-topic (del resto succede molto spesso, dalla filosofia si arriva alla matematica, alla psicologia ecc., sarà un caso??). Mentre concordo con Severino, l'unica osservazione che mi permetto di fare è che non credo che l'errore di Agrippa sia nella credenza del singolo: i 5 ''tropi'', per essere nel I secolo , sono davvero accurati e pertinenti a mio parere, non riesco a trovare niente con cui confutarli (che nessuno mi dica che mi sto autocontraddicendo, lo so, ma non è questo il punto); come ho già detto, la conclusione non è ''il massimo del fichissimo'', ma del resto con qualcosa doveva pur concludere.

Resta il fatto che per quanto ne sappiamo il ''demone'' di Cartesio potrebbe essere più reale che mai, e il fatto che ne siamo ''coscienti'' non ci libera dalla prigionia

Un saluto e un ringraziamento per gli ottimi spunti!
#6
Ciao a tutti!
Questo è il mio primo post, vi leggo da un po' e trovo molto interessanti le tematiche trattate in questo forum, avevo letto qualcosina anche nel vecchio che è adesso in modalità solo lettura.
Ma bando alle ciance. Sicuramente si susseguono dei pareri, idee, visioni molto suggestive in ciascun topic, però vorrei provare a spostare le discussioni su un altro piano: ogni volta che cominciamo ad argomentare riguardo ad un qualsiasi tema, automaticamente l'intelletto inizia a ingranare, spaziando dall'induttivo al deduttivo, dal generale al particolare passando per l'a-priori e l'a-posteriori, ecc. ecc.

Ma se l'intelletto fosse fallace? Se ogni ragionamento fosse un paralogismo?

Qualcuno mi catalogherà nell' '' autocontraddittorio mondo degli scettici '' , però, in un certo qual modo, credo che anche il ragionamento e la fede nell'intelletto siano dei dogmi.

Porto a sostegno della mia tesi un appassionante visione di un filosofo scettico del I secolo d. C., Agrippa (Spero possa fare quello che sto per fare, in ogni caso ringraziamenti a filosofico.net e a Marco Machiorletti):


Citazione
Il filosofo scettico Agrippa non rimase soddisfatto della tavola dei dieci «tropi» redatta da Enesidemo.
Egli ne formulò una nuova, composta da cinque «tropi», che andò ad affiancarla al fine di rafforzare la conclusione della necessità di sospendere sempre il giudizio.
Il primo  «tropo» concerne la discrepanza dei giudizi (diaphonia) rilevabile sia presso i filosofi, sia nella gente comune, a proposito di qualsiasi questione si prenda in esame.
Il secondo «tropo» rileva come, se si vuole risolvere una questione, occorra addurre una prova: ora, nessuna prova si rivela esaustiva: ogni prova ha bisogno di un'altra prova, e, questa, di una ulteriore prova, e così si cade in un processo all'infinito.
Il terzo «tropo» chiama in causa la relatività, evidenziando come ogni oggetto appaia in un certo modo solo in relazione al soggetto che lo giudica.
Il quarto «tropo» mostra come i filosofi dogmatici, per tentare di sfuggire al processo all'infinito, assumano i loro principi primi senza dimostrazione, pretendendo che essi siano immediatamente degni di fede.
Il quinto  «tropo» riguarda il «diallele», che si verifica quando, per voler dar ragione della cosa ricercata, la si presuppone dalla ragione stessa che si adduce per spiegarla, o, meglio ancora, quando la cosa che si assume per spiegazione e la cosadi cui si vole dare spiegazione hanno bisogno l'una dell'altra. Scrive Sesto Empirico:


Citazione"nasce il diallele quando ciò che deve essere conferma della cosa cercata ha bisogno, a sua volta,  di essere provata dalla cosa cercata: allora, non potendo assumere nessuno dei due per concludere l'altro, sospendiamo il giudizio intorno ad ambedue". (Schizzi pirroniani, I, 169).


I «tropi» di Agrippa cercano di colpire non solo le rappresentazioni, ma la possibilità stessa dei ragionamenti: chi si propone di spiegare qualcosa attraverso i ragionamenti, infatti, si ritrova imprigionato: (a) si perde in un processo all'infinito (b) o incappa nel circolo vizioso del diallele, (c) oppure assume punti di partenza ipotetici, quindi indimostrati.
La necessità di sospendere il giudizio su tutto ne risulta definitivamente confermata.

Resto in attesa di vostri pareri, un saluto a tutti!

(Ho notato che non riesco a togliere i ''justify'' dal testo, mi sento molto impedito in questo momento)