Ciao Apeiron e Ciao Kobayashi.
Io purtroppo non ho continuato gli studi di Filosofia e sono rimasto emotivamente attaccato ad alcune convinzioni, ma anche a domande che purtroppo nell'opera di Nietzsche non trovano risposta.
Ad esempio, se dovessimo cercare di comprendere quale sia l'obbiettivo principale, il più importante, della razza umana, Nietszche non ci risponderebbe, lo vedrei tacere come uno degli idoli che lui vuole siano al crepuscolo. Innanzitutto suppongo che l'unica strategia per adattarsi all'ambiente degli esseri umani sia stata quella di creare gruppi più ampi e coesi. Ovvero suppongo che tali gruppi possano trovare successo adattivo tramite una divisione sociale del lavoro complessa, una solidarietà interindividuale sentita come motivazione di una morale trascendente, e una forma di collaborazione che a volte supera le motivazioni di sopravvivenza o realizzazione del singolo. E' vero però che la brama di potenza di alcuni individui motiva il gruppo ad armarsi in funzione di una difesa comune. Ed è altrettanto vero che alcuni individui possono trovare appagamento alla loro bramosia in modi narcisistici e non solidali all'interno di tale gruppo senza che tale gruppo perda completamente la sua coesione. Ma è vero anche che in presenza di una guerra il gruppo non si estende mai in numero, anzi solitamente decresce. Quindi non è affatto detto che tale volontà di potenza miri a selezionare dopo uno scontro gli individui socialmente più desiderabili, volitivi, forti o intelligenti o creativi. Purtroppo l'era moderna ci ha insegnato che la distruzione etnica, gli olocausti e le esplosioni nucleari e le devastazioni protratte contro l'ambiente non hanno come risultato la sopravvivenza dell'individuo più adatto o creativo o costruttivo e concreto, in quanto la distruzione agisce a caso.
Quindi Nietzche non mi dice come fare per evitare che lo scontro tra uomini non miri a eliminare le condizioni per un miglioramento delle capacità tecniche o culturali del gruppo di sopravvivere.
Abbandonando per un momento il discorso morale, e considerando la morale per un attimo come funzionale alla coesione del gruppo e della sua sopravvivenza, è difficile pensare ad esempio che il Nazismo avrebbe potuto "funzionare" come rivoluzione sociale. I nazisti uccidevano convinti che solo il loro gruppo potesse ereditare la terra. E tutto ciò aveva un non so che di metafisico.
Inoltre alcuni studiosi hanno supposto che tale bramosia di potere si possa esprimere in modi non distruttivi e comunque per certi versi eroici come lo sport, oppure una vita passata a salvare il prossimo (ospedali o vigili del fuoco, etc...)
E' vero che i sentimenti ed i rapporti o i giudizi morali per le persone sono viziati da proiezione ed è vero che odiamo nelle persone quanto non riconosciamo in noi stessi come morale. Ma esistono forme di amore che trascendono i meccanismi di proiezione. Quella del bambino per la madre o quella del poeta per la Natura... Inoltre il controllo razionale delle nostre emozioni non ci impedisce di limitare i danni sociali del nostro odio o della nostra distruttività. Posso odiare una persona fino a desiderarne la morte ma la società mi impone regole fondamentali per la sopravvivenza del gruppo e della sua coesione che mi sanzionerebbero se io imponessi il mio giudizio morale in modo illegittimo. La società umana viene tenuta coesa proprio da sentimenti che vengono stimolati dalla produzione di ormoni come l'ossitocina. L'ossitocina ha una funzione sociale prevalente. Però rende gli individui paranoici ed ostili verso altri individui considerati appartenenti ad altri gruppi. Nulla mi vieta però di cercare alleanze affinché il mio gruppo si allarghi. Nulla mi vieta di "ideare" e non "idealizzare" una società che mi permetta veramente di garantire una più concreta sopravvivenza proprio a coloro che implementano le possibilità di sopravvivenza del gruppo. Quindi è utile e non solo "giusto" che la volontà di potenza si schieri nella repressione o nel controllo di quanto possa essere sconveniente all'adattamento del gruppo ed alla creazione di gruppi sempre più allargati e funzionali alla sopravvivenza umana. La lotta dunque, la contesa e la volontà di potenza o di sfruttamento devono esprimersi in una audace intelligenza volta a risolvere o ridurre i problemi di adattamento del gruppo alla vita, e all'adattamento all'ambiente e persino oramai alla preservazione dell'ambiente. Questo io intendo per pienezza ed è una considerazione razionale che ispira il mio umanismo. Ma ciò che ancora di più lo ispira in un periodo ove i mezzi di comunicazione permettono possibilità di interazione quasi infinite è la possibilità sempre più efficace di creare opportunità del tutto pacifiche affinché più gruppi si scambino informazioni. L'umanità si è evoluta comunicandosi soluzioni a problemi. Lo scambio di tecnologia e soluzioni ha affrancato spesso gruppi in conflitto dalla necessità di una guerra. La promozione dello spirito collaborativo e solidale ha emarginato spesso proprio gli individui più violenti e meno appagati dalla volontà di proteggere l'intelligenza e la naturale predisposizione al confronto. Ci tengo a dire che non si tratta di pura e semplice morale democratica. Non sto dicendo che trovi innaturale la competizione politica che è spesso tenuta proprio da individui amanti della volontà di potenza, sto parlando del confronto cristallino tra persone motivate a risolvere problemi di prima necessità, in quanto tale confronto delimita il potere a contesti estranei alle loro necessità quotidiane. Ancora una volta il grande filosofo non mi aiuta. Certo, il suo disquisire torna vitale quando la società impone a volte con ipocrisia le idee cattoliche, Nietzche sembra un genio che togliamo dalla bottiglia proprio quando le persone che veicolano idee cattoliche non riescono a dimostrare che tali idee usate in modo dispotico non tolgano vitalità sia al confronto che alle possibilità di adattamento del gruppo. E quindi per dei brevi momenti pare che le persone più disgustate da questa ipocrisia vedano nella filosofia di N. una possibilità concreta di abbattere tutto ciò che rende meno vitali anche sul piano emotivo le relazioni tra le persone. Così per non dovere sottostare ad una morale dispotica, inibente, ipocrita, ecco che l'abuso, lo sfruttamento, il conflitto appaiono come liberatori. E' una terribile tentazione. E non v'è nulla di eroico. Proprio nulla. Ma chi scegliere? Il despota ipocrita o quello vitalista?
Io purtroppo non ho continuato gli studi di Filosofia e sono rimasto emotivamente attaccato ad alcune convinzioni, ma anche a domande che purtroppo nell'opera di Nietzsche non trovano risposta.
Ad esempio, se dovessimo cercare di comprendere quale sia l'obbiettivo principale, il più importante, della razza umana, Nietszche non ci risponderebbe, lo vedrei tacere come uno degli idoli che lui vuole siano al crepuscolo. Innanzitutto suppongo che l'unica strategia per adattarsi all'ambiente degli esseri umani sia stata quella di creare gruppi più ampi e coesi. Ovvero suppongo che tali gruppi possano trovare successo adattivo tramite una divisione sociale del lavoro complessa, una solidarietà interindividuale sentita come motivazione di una morale trascendente, e una forma di collaborazione che a volte supera le motivazioni di sopravvivenza o realizzazione del singolo. E' vero però che la brama di potenza di alcuni individui motiva il gruppo ad armarsi in funzione di una difesa comune. Ed è altrettanto vero che alcuni individui possono trovare appagamento alla loro bramosia in modi narcisistici e non solidali all'interno di tale gruppo senza che tale gruppo perda completamente la sua coesione. Ma è vero anche che in presenza di una guerra il gruppo non si estende mai in numero, anzi solitamente decresce. Quindi non è affatto detto che tale volontà di potenza miri a selezionare dopo uno scontro gli individui socialmente più desiderabili, volitivi, forti o intelligenti o creativi. Purtroppo l'era moderna ci ha insegnato che la distruzione etnica, gli olocausti e le esplosioni nucleari e le devastazioni protratte contro l'ambiente non hanno come risultato la sopravvivenza dell'individuo più adatto o creativo o costruttivo e concreto, in quanto la distruzione agisce a caso.
Quindi Nietzche non mi dice come fare per evitare che lo scontro tra uomini non miri a eliminare le condizioni per un miglioramento delle capacità tecniche o culturali del gruppo di sopravvivere.
Abbandonando per un momento il discorso morale, e considerando la morale per un attimo come funzionale alla coesione del gruppo e della sua sopravvivenza, è difficile pensare ad esempio che il Nazismo avrebbe potuto "funzionare" come rivoluzione sociale. I nazisti uccidevano convinti che solo il loro gruppo potesse ereditare la terra. E tutto ciò aveva un non so che di metafisico.
Inoltre alcuni studiosi hanno supposto che tale bramosia di potere si possa esprimere in modi non distruttivi e comunque per certi versi eroici come lo sport, oppure una vita passata a salvare il prossimo (ospedali o vigili del fuoco, etc...)
E' vero che i sentimenti ed i rapporti o i giudizi morali per le persone sono viziati da proiezione ed è vero che odiamo nelle persone quanto non riconosciamo in noi stessi come morale. Ma esistono forme di amore che trascendono i meccanismi di proiezione. Quella del bambino per la madre o quella del poeta per la Natura... Inoltre il controllo razionale delle nostre emozioni non ci impedisce di limitare i danni sociali del nostro odio o della nostra distruttività. Posso odiare una persona fino a desiderarne la morte ma la società mi impone regole fondamentali per la sopravvivenza del gruppo e della sua coesione che mi sanzionerebbero se io imponessi il mio giudizio morale in modo illegittimo. La società umana viene tenuta coesa proprio da sentimenti che vengono stimolati dalla produzione di ormoni come l'ossitocina. L'ossitocina ha una funzione sociale prevalente. Però rende gli individui paranoici ed ostili verso altri individui considerati appartenenti ad altri gruppi. Nulla mi vieta però di cercare alleanze affinché il mio gruppo si allarghi. Nulla mi vieta di "ideare" e non "idealizzare" una società che mi permetta veramente di garantire una più concreta sopravvivenza proprio a coloro che implementano le possibilità di sopravvivenza del gruppo. Quindi è utile e non solo "giusto" che la volontà di potenza si schieri nella repressione o nel controllo di quanto possa essere sconveniente all'adattamento del gruppo ed alla creazione di gruppi sempre più allargati e funzionali alla sopravvivenza umana. La lotta dunque, la contesa e la volontà di potenza o di sfruttamento devono esprimersi in una audace intelligenza volta a risolvere o ridurre i problemi di adattamento del gruppo alla vita, e all'adattamento all'ambiente e persino oramai alla preservazione dell'ambiente. Questo io intendo per pienezza ed è una considerazione razionale che ispira il mio umanismo. Ma ciò che ancora di più lo ispira in un periodo ove i mezzi di comunicazione permettono possibilità di interazione quasi infinite è la possibilità sempre più efficace di creare opportunità del tutto pacifiche affinché più gruppi si scambino informazioni. L'umanità si è evoluta comunicandosi soluzioni a problemi. Lo scambio di tecnologia e soluzioni ha affrancato spesso gruppi in conflitto dalla necessità di una guerra. La promozione dello spirito collaborativo e solidale ha emarginato spesso proprio gli individui più violenti e meno appagati dalla volontà di proteggere l'intelligenza e la naturale predisposizione al confronto. Ci tengo a dire che non si tratta di pura e semplice morale democratica. Non sto dicendo che trovi innaturale la competizione politica che è spesso tenuta proprio da individui amanti della volontà di potenza, sto parlando del confronto cristallino tra persone motivate a risolvere problemi di prima necessità, in quanto tale confronto delimita il potere a contesti estranei alle loro necessità quotidiane. Ancora una volta il grande filosofo non mi aiuta. Certo, il suo disquisire torna vitale quando la società impone a volte con ipocrisia le idee cattoliche, Nietzche sembra un genio che togliamo dalla bottiglia proprio quando le persone che veicolano idee cattoliche non riescono a dimostrare che tali idee usate in modo dispotico non tolgano vitalità sia al confronto che alle possibilità di adattamento del gruppo. E quindi per dei brevi momenti pare che le persone più disgustate da questa ipocrisia vedano nella filosofia di N. una possibilità concreta di abbattere tutto ciò che rende meno vitali anche sul piano emotivo le relazioni tra le persone. Così per non dovere sottostare ad una morale dispotica, inibente, ipocrita, ecco che l'abuso, lo sfruttamento, il conflitto appaiono come liberatori. E' una terribile tentazione. E non v'è nulla di eroico. Proprio nulla. Ma chi scegliere? Il despota ipocrita o quello vitalista?