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Messaggi - Phil

#1
Citazione di: niko il 27 Luglio 2025, 12:23:45 PME' qui che tiri in ballo il cogito cartesiano...
L'ho tirato in ballo, come dicevo (correggimi sempre se sbaglio), per il suo residuo realista (il sum), ma non per la confutazioni del volontarismo e dell'"illusionismo" che tu mi/gli hai imputato e di cui non credo sia comunque capace.
Citazione di: niko il 27 Luglio 2025, 12:23:45 PMComunque dalla descrizione non deriva la prescrizione per inferenza logica, ma non si vive solo di inferenza logiche, anzi, il problema e' che spesso e' piu' originaria la prescrizione, della descrizione. Cioe' andrebbe, semmai, inferita, la descrizione. Dall'antecedente piu' generico e piu' "genetico" di una prescrizione. E magari, si finge il contrario. E' quello che dico fin dall'inizio: il fatto che dobbiamo e vogliamo vivere, e' piu' originario, di quello che la vita in quanto pensiero discorsivo e in quanto coscienza, ma spesso anche in quanto emozione e sentimento, ci riflette e ci mostra...
Questo è il rovesciamento fallace che mi ha spinto a segnalarti la fallacia naturalista: il volere la vita, il voler vivere non è una prescrizione (di chi? la natura non "prescrive", essendo essa solo un insieme strutturato di rapporti causali, come insegnano le scienze), tale volere è un istinto. Se affermi che l'uomo vuole vivere per istinto, ne fai una descrizione che non credo sollevi obiezioni. Se invece valutiamo tale istinto come bene, giusto, sano, etc. o, andando oltre l'istinto, scegliamo consapevolmente di restare vivi, in entrambi i casi non possiamo argomentarlo semplicemente descrivendo la voglia (o la scelta) di restare vivi come parte dell'esser vivi (ecco la fallacia). Per una argomentazione valida, non fallace, servono altre argomentazioni e altre prescrizini, prese (non dalla descrizione dell'uomo con la testa attaccata al collo) dalla morale, dalla metafisica, da valori esistenziali, etc.
Citazione di: niko il 27 Luglio 2025, 12:23:45 PMqualcosa mi dice che, ai fini della felicita', o quantomeno do una vita decente e interessante, l'intelletto/cogito, deve adeguarsi alla volonta'/estensione, e non viceversa...
Qui sarò sintetico perché ormai siamo offtopic anche rispetto all'offtopic: l'intelletto non può adattarsi alla volontà (di fatto capisco anche quello che non vorrei capire, come già detto, e non posso illudermi del contrario) e credo sia noto che quando la volontà sottomette (so che hai scritto «adeguarsi» e non «sottomettersi») l'intelletto, lo stato di scollamento fra desiderio e ragione può produrre le migliori frustrazioni, paranoie e altri stati non proprio "felici, decenti e interessanti" (se intuisco cosa intendi con queste espressioni).
L'espressione «volontà/estensione» forse uccide Cartesio più di quando gli ho imputato una calcolatrice e, almeno scritta così, è un ossimoro e non colgo il senso di contrapporla a intelletto/cogito, che ossimoro non è: intelletto e cogito sono affini, ma volontà ed estensione direi di no. Non credo nemmeno tu intenda che l'intelletto sta alla volontà come il cogito sta all'estensione. Forse alludevi al fatto che, secondo te, l'intelletto deve adattarsi alla volontà come il cogito deve adattarsi all'estensione; tuttavia sia l'intelletto che la volontà che il cogito sono "mentali" (passami il termine vago) mentre l'estensione non lo è (se intendi il mondo extra-soggettivo), quindi la proporzione mi sembra un po' vacillante (oltre a quanto già detto sull'improbabile adattamento della intelletto alla volontà).
Ok, non sono stato sintetico, ma almeno credo si capisca che non è questione da sbrogliare in un topic intitolato "Tacere, quando opportuno? Dio nessuno l'ha visto; bisogna restar zitti?" di cui abbiamo già abusato con la fallacia naturalistica (che, almeno borderline, riguarda anche la divinità).
#2
Siamo passati dalla fallacia naturalistica come «ciofeca» (cit. post 92) alla distinzione fra fallacia naturalistica in senso stretto e largo (post 106); direi «bene», se così facendo non ricadessi a mia volta nella fallacia. Battute a parte, l'ultimo tassello di questo percorso potrebbe essere osservare (oltre al fatto che in filosofia con «prescrizione» solitamente non si intende la prescrizione medica di restare vivi, semmai ci sia) che la fallacia non significa che non possa esserci nessun rapporto tematico fra descrizione e prescrizione, ossia che al dolore di un occhio strappato non si possa affatto associare un qualunque giudizio (etico, metafisico o altro). La fallacia, che come tutte le fallacie (se non erro) si occupa del piano logico, indica solo che non c'è inferenza logica fra quella descrizione e quel giudizio o prescrizione («vietato strappare gli occhi»); intendendo per logica non il semplice "ragionare in modo coerente", ma la logica in senso forte (accademico, se vuoi) come cogenza argomentativa («x implica y» e simili).
Ad esempio, dalla descrizione che le case hanno i tetti (riciclo il tuo esempio) non deriva logicamente che è bene (e nemmeno necessario) che le case li abbiano; può suonare strano, ma così è per la logica, che chiamerebbe questa (fallace) autoreferenza una petitio principii (se non ricordo male). Esempio ancora più semplice: perché bisogna (prescrizione) passare con il verde? Perché (descrizione) con il verde si passa; non c'è alcuna autentica argomentazione né implicazione logica che lega il passare al colore verde (sappiamo infatti che tale rapporto passare/verde è basato su una legge, non su un'argomentazione logica).
Torniamo alle case: la prescrizione («le case devono avere i tetti») si applica alla descrizione («le case hanno i tetti»), ma questa non è logicamente il fondamento del contenuto della prescrizione. La fallacia naturalistica invita ad argomentare senza usare la descrizione (che comporterebbe petitio principii), ovvero invita a non affermare «ciò che è, è bene come è, perché così è». Tradotto in pratica: è utile che le case abbiano i tetti, non perché è così che vengono fatte, ma perché il tetto svolge una funzione utile, strutturale, etc. La fallacia naturalistica invita a non sovvertire quel «perché», mutandolo in «è utile che le case abbiano i tetti perché le case hanno i tetti»; quando l'argomentazione corretta è invece «le case hanno i tetti (descrizione) perché è utile che li abbiano (altra descrizione, con valore argomentativo da esplicitare)». Lo stesso vale per i bambini senza braccia e per i lavoratori di Amazon: l'argomentazione a favore della cura verso gli uni e lo sdegno per la condizione degli altri, non si basa su descrizioni del corpo umano o delle routine di lavoro, ma sulla valutazione di tali descrizioni. Questo è ulteriormente dimostrato, concretamente, dal fatto che sono possibili anche interpretazioni differenti delle routine di lavoro (sulle menomazioni fisiche è meno evidente, dato il consenso in merito), interpretazioni che, se fossero davvero fondate logicamente sulla descrizione, verrebbero facilmente falsificate ricorrendo alla descrizione stessa (non ad altre interpretazioni).
Al livello della nuda vita, ad esempio, la "prescrizione" «abbi cura che la tua testa rimanga attaccata al collo» non ha alcun fondamento logico nella descrizione «l'uomo vivo è colui che ha (oltre ad altro) la testa attaccata al collo». Il fatto che gli uomini vivi abbiano la testa attaccata al collo non implica affatto logicamente che restare vivi sia bene, consigliabile, desiderato, etc.; il restare vivi può essere tutte questa cose a causa di motivi estranei alla mera descrizione dell'uomo vivo: motivi come l'istinto di sopravvivenza, il valore della vita, la scelta di non uccidersi pur potendolo fare, etc. Questi non sono affatto immanenti alla descrizione dell'uomo vivo con la testa sul collo, non hanno valore logico-argomentativo tale da poter affermare «è bene restare vivi perché siamo vivi».
In ottica volontaristica ciò è ancor più lampante: «è bene restare vivi perché vogliamo restare vivi» prescinde, argomentativamente, dalla semplice descrizione dell'esser vivi; che rimane ovviamente necessaria per capire, in pratica, come poi alimentare tale voler restare vivi. La descrizione e la prescrizione non sono contraddittorie (non essendo nemmeno sullo stesso piano, a voler essere precisi) e possono benissimo essere dialettiche nel reciproco "collegarsi", almeno finché la descrizione non viene fallacemente intesa come fondamento della prescrizione.
Citazione di: niko il 26 Luglio 2025, 12:17:34 PMTu dici:
C'e' qualcosa di descrittivo e non volontaristico >>> il cogito >>> che confuta l'illusorieta' volontaristica e utilitaristica della vita.
Qui devo fermarti subito: quando l'ho detto o vagamente lasciato intendere? Perché non l'ho nemmeno pensato. Il cogito non confuta, ma anzi semmai fonda, il volontarismo e ogni illusione; dal momento in cui «io voglio» ha senso solo se esisto (sum) in quanto «io». E non credo si possa usare il cogito per avversare le illusioni di questo io, giacche il dubbio metodico cartesiano non è confutazione metodica.
Il cogito può confutare al massimo chi dica che cibarsi e respirare siano illusione, nel senso di non reali (inteso come: non c'è un io che mangia, non c'è il magiare, etc.), o che la vita e la morte non siano reali (ma non mi sembra sia quello che tu proponi); il che non significa, in questo il cogito docet, che debbano essere esattamente come ce li rappresentiamo. Se penso, sono certo di esistere, non di essere esattamente l'utente Phil che scrive su un forum; questa auto-rappresentazione potrebbe essere l'inganno del genio maligno, etc. in questo senso parlavo di «residuo fenomenologico» minimo dell'esistenza, ossia: per quanto estendiamo ciò che definiamo «illusione» (se lo abbiamo definito...) l'essere "qualcosa" (il sum) non può essere considerato un'illusione. Ma da qui a sostenere che il cogito addirittura confuti le illusioni (seppur definite ad libitum) o il volontarismo o l'utilitarismo (come potrebbe?), c'è un salto che non ho mai fatto e, a dirla tutta, non consiglierei nemmeno (come vedi, un po' di paziente ermeneutica sul testo altrui, a volte eviterebbe fraintendimenti colossali).

Per me, da bieco fanfarone, la vita può anche essere illusione, ma non nel modo vitalistico e volontaristico che intendi tu (miro molto più ad oriente in questo). La fede nel razionalismo, tanto più cartesiano o illuminista che sia, non è affatto la mia fede (dopo tutti i miei prediconi sull'attualizzare la filosofia, ti pare che potrei essere davvero un fan di Cartesio che cita Derrida e consiglia Ricoeur?). Il resto del tuo discorso, dopo la citazione messa sopra, soprattutto quando parla di "proiezione di perfezione"(?), "prescrizioni corporee"(!), parla quindi di te e di qualcun altro, di cui non posso fare le veci.
#3
Tematiche Filosofiche / Re: Fallacia naturalistica
26 Luglio 2025, 00:18:24 AM
Secondo me, fra descrizione e prescrizione può esserci un rapporto dialettico senza scadere in fallacie, che invece si realizzano quando tale rapporto viene inteso come fondazionale. Così come non c'è un'etica (bene/male) fondata su descrizioni oggettive (a cui invece si può applicare, ovviamente), altrimenti potremmo con una dimostrazione oggettiva risolvere tutti i dilemmi etici in modo inconfutabile, parimenti non c'è una scienza che sia basata su prescrizioni, che ovviamente possono sopraggiungere dall'esterno (extra-fondamento) in un secondo momento, quando qualcuno vieta alla scienza di prendere una certa strada, proprio perché tale strada la scienza la "sfiora" come possibile o almeno plausibile.
La divergenza più evidente è che le prescrizioni sono solitamente a priori (qualcosa viene vietato spesso per prevenire che accada o è obbligatorio ancor prima che si arrivi alla condizione di poterlo adempiere), mentre le descrizioni sono solitamente a posteriori. Per questo può esserci una dialettica e persino una "complicità ontologica" fra ciò che viene scoperto e descritto (sollecitazione esterna verso il soggetto) e ciò che si ritiene di dover prescrivere (sollecitazione dal soggetto al suo esterno). Tuttavia mentre la descrizione è basata sull'oggetto (oltre che sulle categorie, gli strumenti, etc.), la "necessità" di prescrivere è tutta umana, anche nel senso di specie animale (non certo l'unica in questo), è il modo binario (si/no, bene/male, attrazione/repulsione, etc.) con cui l'uomo si relaziona al mondo (che comprende anche egli stesso); a prescindere da quanto ne sappia descrivere.
Bilanciare quella "complicità ontologica" (descrizione/prescrizione) con questa "asimmetria deterministica" (nel senso che l'uomo condiziona e altera il suo habitat ben oltre il semplice adattamento all'ambiente, v. tecnologia ed ecologia, ovvero adattamento dell'ambiente) è forse la colonna sonora della quotidianità, tanto per gli individui quanto per le collettività.
#4
Citazione di: niko il 25 Luglio 2025, 21:47:25 PMQuindi, se non ho provato a venderti una crema dimagrante o non ho detto che tutti gli omosessuali sono pervertiti e l'aborto e' un omicidio a partire dalla potenza prescrittiva della natura, e non mi pare sia questo il caso, evita per il futuro, di imputarmi la fallacia naturalistica in senso stretto completamente a caso.
Non ti imput(av)o la fallacia naturalistica per rimproverarti o sminuirti, ma come quello che ti vede guidare con un faro fulminato e ti lampeggia dalla sua auto, non certo per accecarti.
Ciò premesso, a scanso di equivoci, questa a me sembra proprio una fallacia naturalistica che parla di bene e male radicati nella biologia (corsivo mio):
Citazione di: niko il 23 Luglio 2025, 11:43:01 AMuna volta dato l'apparire del mondo e della nostra coscienza nel mondo quale "residuo fenomenologico", quale assoluto innegabile, la sua mancanza, il suo contrario, per noi puo' significare solo che siamo addormentati senza sogni o morti: la dualita' metafisica essere = conoscenza e bene/ e nulla = ingnoranza e male non potrebbe essere piu' radicata nella biologia e nell'istinto di sopravvivenza anche nelle sue forme culturalmente riflesse.
Anche questa mi sembra una fallacia naturalistica (corsivo mio):
Citazione di: niko il 25 Luglio 2025, 13:33:35 PMAvere quattro zampe e non tre, è il bene del cavallo, e rientra nell'idea platonica di cavallinità anche intesa nel suo valore noetico, causale e gnoseologico.
e anche questa (sempre corsivo mio):
Citazione di: niko il 25 Luglio 2025, 13:33:35 PMIl gatto, è intero e deve, essere intero. Non c'è niente, di più lezioso e d inutile, che stare a dividere questo essere, da questo dover essere.
con questo corollario esplicativo:
Citazione di: niko il 25 Luglio 2025, 13:33:35 PMnon puoi, a livello della nuda vita, dividere in due una descrizione da una prescrizione, senza ottenere una nuda vita, morta.
mentre dividere descrizione e prescrizione è proprio il consiglio per evitare la fallacia naturalistica.
Questa "difesa" della fallacia naturalistica, a livello della nuda vita, non spiega cosa sia, a questo punto, la "prescrizione" per la nuda vita, rispetto alla sua descrizione:
Citazione di: niko il 24 Luglio 2025, 13:07:31 PMLa fallacia naturalistica non c'entra niente, perche' la fallacia naturalistica e' corretta a livello della vita e soprattutto della nuda vita, dove la descrizione, coincide, almeno in grandi linee, con la descrizione.
Se tale "prescrizione" è il funzionamento della vita, allora è sinonimo di descrizione (quindi, mi stai praticamente "trollando"); se invece è un obbligo non immanente alla descrizione, allora è qualcosa che non può essere logicamente inferito dalla descrizione (e siamo in piena fallacia). Quando parlavi di metafisica, bene/male e radicamento della biologia e nell'istinto, non parlavi di questa coincidenza puramente descrittiva dell'oggetto con il suo dover essere (o no?).
Come dire: descrivo il teorema di Pitagora o la legge di gravitazione, qual è la prescrizione (come la intendi tu)? Che la legge descritta funziona sempre? Ma ciò fa parte del suo esser legge e, soprattutto, non è una prescrizione umana, ovvero quel tipo di prescrizione di cui parla la fallacia naturalistica (larga o stretta che tu le intenda) e che consente di parlare di bene e male (che, non a caso, non hanno senso se applicati al teorema di Pitagora o alla legge di gravitazione, salvo, appunto, cadere in fallacia naturalistica).

P.s.
A partire da questi "frammenti" si potrebbe fare un analisi ermeneutica, ma non sei un presocratico e inoltre a te l'ermeneutica non piace, quindi (proprio come con la questione della "vera" illusione), direi che anche stavolta siamo d'accordo.
#5
Non so quali fonti hai usato per intendere la fallacia naturalistica in quel modo, ma evidentemente non sono molto affidabili. La fallacia ha quel nome (naturalistica), in ambito filosofico, perché si applica a descrizioni naturali (della natura, quindi non c'entrano né gli schiavi, né i tetti delle case), sostenendo che da queste descrizioni naturalistiche non sia logicamente corretto derivare logicamente prescrizioni etiche. Indizio: nel bistrattato articolo di Wikipedia, al punto «Metaetico» (che direi è quello che qui ci interessa) c'è un link alla legge di Hume.
Un esempio sarebbe sostenere che: «la dualita' metafisica essere = conoscenza e bene/ e nulla = ignoranza e male [sia] radicata nella biologia e nell'istinto di sopravvivenza» (citazione dal post 92).

Citazione di: niko il 25 Luglio 2025, 18:12:41 PMQuante volte, tu hai ricevuto una brutta notizia e non ti sei suicidato?
Il fatto che dopo un trauma non sempre ci si uccida non dimostra che, come sostenevi, «quello che conosci > rientra, sempre necessariamente > in quello che vuoi» (cit.). Dimostra che, constatazione che nessuno qui ha mai messo in dubbio, il suicidio è molto meno istintivo, culturale e "praticato" dell'attaccamento alla vita (come confermano le scienze che studiano la vita e gli umani, anche se decidiamo di far finta che non siano abbastanza "oggettive" da essere affidabili).
#6
Citazione di: niko il 25 Luglio 2025, 12:39:57 PMUn illusione utile alla vita, non è una vera illusione (mannaggia a me e a quando l'ho chiamata così, che tanto la gente si attacca sempre alle parole)
Mi concederai che se usi la parola «illusione», ci insisti, non la definisci e poi dici che in realtà non intendevi «vera illusione», mi rendi un po' difficile cercare di seguirti (ho solo le tue parole come punto di contatto con i tuoi pensieri); ma è un "buona palestra" anche questa. Comunque, è importante aver capito che l'illusione "vera" non c'entra, siamo (infine) d'accordo.
Citazione di: niko il 25 Luglio 2025, 12:39:57 PMQuindi, c'è una gerarchia che indica anche un contenimento, se vogliamo, insiemistico, nel rapporto, unico possibile, tra volontà e conoscenza:

quello che conosci > rientra, sempre necessariamente > in quello che vuoi.
«Sempre» e «necessariamente» sono parole molto impegnative; infatti non sempre ciò che conosco rientra in ciò che voglio. Spesso veniamo a conoscenza di realtà che non avremmo voluto fossero tali, ma le conosciamo pur non volendo e pur non volendole. Si pensi ad esempio ai traumi, o a ciò che semplicemente non avremmo voluto vedere o sapere, ma di fatto, purtroppo, abbiamo conosciuto; contro, prima e/o fuori della nostra volontà (a te non è mai capitato? Pensaci bene).
Citazione di: niko il 25 Luglio 2025, 12:39:57 PMIo dico che il filosofo, debba fare una scelta, non indicare cosa si possa studiare e cosa no. Nell'ambito delle scienze e delle altre discipline. Quello, lo dici tu.
In realtà non ho mai detto quello che il filosofo deve fare o studiare (correggimi pure se sbaglio), ma quello che il filosofi può fare (come quando dico che la filosofia può essere anche epistemologia, può dialogare anche con altre discipline senza chiudersi in sé stessa, etc.), fino a spingermi ad affermare che la filosofia può essere come la definisci tu, l'importante è usare lo stesso significato quando usiamo quella parola (per cui non posso certo assegnare doveri a ciò che non definisco rigidamente). Potere non è dovere, e questa differenza è fondamentale per capire tutto quello che ho scritto finora.

Citazione di: niko il 25 Luglio 2025, 13:33:35 PMInvece, ho notato che wikipedia, alla voce fallacia naturalistica, non ci degna di un esempio, di fallacia naturalistica.
Ho citato Wikipedia per praticità, ma sono sicuro che sai approfondire da solo la questione. Tu stesso hai già fatto esempi di fallacia naturalistica e io l'ho esemplificata al volo (male fisico → male etico). Capisco se non ti fidi di me, quindi evito di dare lezioni "più grandi di me", ma non salterei frettolosamente alla conclusione che «se Wikipedia non lo spiega con un semplice esempio per bambini, allora la fallacia naturalistica è solo "ciofeca cervellotica"». Approfondisci tu stesso online o offline così la (e mi) capirai meglio (se sei interessato, ovviamente è solo un consiglio). Approfondendo, scoprirai ad esempio che la fallacia naturalistica non afferma che descrizione e prescrizione sono in contraddizione (come nel tuo esempio del cavallo, che è l'ennesima fallacia naturalistica, se mai mancassero esempi migliori).

Sul fatto che l'autentica filosofia debba per te essere l'eudemonologia "platonico-americana"(!), non ho obiezioni (stante il «per te»), ma sulla separazione fra descrizioni e prescrizioni spiegata spezzando un gatto in due, pur volendo spiegarla a un bambino, mi permetto di invitarti ad un'analisi un po' più filosofica attenta (e qui ritorna utile l'approfondimento consigliato sopra).


P.s.
Con quel «visto che ti piace tanto» riferito a Cartesio, dopo che lo avevo persino confuso con Pascal, mi hai strappato un sorriso, grazie.
#7
Per intravvedere la fertilità filosofica dell'ermeneutica e una "utile" apertura della filosofia alle altre discipline, oltre ad avere in poco spazio tanti spunti di riflessione (a prescindere da quale sia la vostra definizione di «filosofia»), suggerisco la lettura di queste tre paginette introduttive ad una rivista del 2015, dove ritornano anche nomi e concetti citati in precedenza. Qui c'è la rivista completa.
#8
Citazione di: niko il 24 Luglio 2025, 13:07:31 PMTe l'ho gia' detto nel mio post 92: un'illusione che di fatto mantiene vivi, e' primariamente un oggetto di volonta' e di desiderio, e' un voluto [...]e quindi, tale "illusione utile alla vita" NON (e questo e' il punto fondamentale: NON) puo' essere indagata ad un livello, e con un intento, puramente gnoseologico o categoriale.
Eppure tale "illusione utile alla vita" viene di fatto «indagata ad un livello, e con un intento, [...] gnoseologico o categoriale». Tu stesso definendola «illusione utile alla vita» la categorizzi (e lo fai ancor più innestandola nel discorso volontaristico simil-nietzschiano con le sue ulteriori categorie) e tutte le scienze che si occupano della volontà e del volere (dalla psicologia alle neuroscienze, passando per la sociologia e l'antropologia), si occupano proprio di quello che secondo te non si può studiare. Altrimenti quelle discipline di cosa parlano, quando parlano di volontà, desideri etc.?

Citazione di: niko il 24 Luglio 2025, 13:07:31 PMBasti comprendere il complesso rapporto tra Kant e Schopenahuer: il soggetto che conosce, NON puo' essere a sua volta conosciuto
[...]
La volonta' NON puo' essere conosciuta, quantomeno non con categorie analitico divisive puramente intellettuali, perche' essa e' l'attivita' incessantemente ed eternamente conoscente che persegue, e mantiene, la vita quale oggetto di desiderio.
Se restiamo fermi a Kant e Schopenhauer (con tutto il rispetto) ci perdiamo un bel po' di sviluppi successivi (v. sopra): il soggetto conoscente può sia comprendere sé stesso che essere compreso dagli altri; ci può essere infatti auto-analisi (non facile, concordo) e analisi esterna (v. ancora scienze citate sopra).
L'oggetto di volontà/rappresentazione è anzitutto oggetto, intenzionale direbbe Husserl, e comunque categorizzato, ma anche senza fare nomi è intuitivo che identificarlo come oggetto è il contrario di renderlo un "mistico inconoscibile", anche se fosse "illusione" (nel senso un po' asetticamente "idealista" che intendi).

Citazione di: niko il 24 Luglio 2025, 13:07:31 PMLa fallacia naturalistica non c'entra niente, perche' la fallacia naturalistica e' corretta a livello della vita e soprattutto della nuda vita, dove la descrizione, coincide, almeno in grandi linee, con la descrizione. Avere un occhio, presso in corpo umano e' un fatto descrittivo e descrivobile, ma molti, tra i vivi, avrebbero qualcosa da ridire se glielo strappassero. E ne proverebbe grande dolore.  E' evidente; che il loro occhietto lo desiderino, sia in quanto tale, sia in quanto mezzo, utile per altri, fini e proggetti.
Questo è invece un (altro) buon esempio di fallacia naturalistica; pensaci bene (soprattutto se associ il desiderare al "bene" e lo strappare l'occhio al "male", ossia confondendo "male" fisico con male etico).
#9
Citazione di: InVerno il 23 Luglio 2025, 13:50:36 PMFra noi filosofi invece che ci diciamo?
Ci diciamo che ognuno di noi è ingabbiato nella sua definizione di filosofia, e io, tu e niko ne abbiamo di differenti; così che saltellare da una gabbia all'altra aiuta quantomeno a "restare in forma".
Personalmente posso dirti, come fatto in passato, che alla radice delle religioni ci vedo i dogmi, non convenzioni, essendo i primi da ritenere veri (per chi ci crede) a prescindere dalle convenzioni e convinzioni umane. Ci credo in quei dogmi? No, ma mantengo comunque valida la distinzione fra dogma e convenzione (per come la vedo): il dogma è vero (credenti) o come minimo infalsificabile (non posso dimostrare scientificamente che Dio non esista, che chi fa il bravo non vada poi in paradiso, etc.), mentre la convenzione, in quanto tale, stabilisce norme a tavolino, più che verità (vedi dichiarazioni varie che si autodefiniscono universali, ma sono solo invenzioni, non scoperte) che sono tali solo se c'è consenso su di essa (o magari viene applicata con le brutte maniere, ma credo ci siamo capiti lo stesso).
Citazione di: InVerno il 23 Luglio 2025, 13:50:36 PMDio è un idea che funziona nelle definizioni da un certo secolo ad un altro, è un concetto che, nonostante i credenti giurino il contrario, vive nella storia, nasce, matura, invecchia e muore.
Concordo con te sul ciclo di vita delle "religioni con dio" e proprio per questo mi chiedo quanto sia funzionale chiamare religioni anche le "forme derivate senza dio" delle "religioni con dio"; non si fa solo gratuita confusione? Se chiamassimo religioni quelle "cose con dio" e in altro modo ben diverso quelle "cose simili ma senza dio"? Già immagino il contribuente che chiede al commercialista di dare il suo 8 per mille alla religione dei diritti umani e poi mettersi a dibattere che in fondo anche quella è una religione. Parafrasando un tale: in filosofia va bene il senso dell'ambiguità, ma ci vuole anche il gusto dell'evidenza.
#10
Citazione di: niko il 23 Luglio 2025, 11:43:01 AML'ontologia del desiderio, significa solo che il nostro cervello, e tutti I nostri organi di senso, si sono evoluti in modo funzionale alla nostra sopravvivenza, genica e genetica, e quindi, tutto quello che ci mostrano, e tutto quello che pensano, concettualizzano, tramandano e imparano non sara' mai una "realta' oggettiva", ma sempre e solo una "illusione utile alla vita".
Una illusione che di fatto mantiene vivi è un'illusione? Potremmo dire che respiriamo e ci cibiamo di illusioni, quando se non respiriamo e ci cibiamo accade la morte? Anche essa è un'illusione?
Dipende tutto da cosa intendiamo con «illusione»; per questo mettevo in guardia dal maneggiare questo concetto senza preoccuparsi delle sue conseguenze quando poi si parla di altre discipline o, in questo caso, di mera soddisfazione di bisogni primari (che siano o meno intesi come forma primitiva di desiderio, o qualcosa di totalmente altro).

Citazione di: niko il 23 Luglio 2025, 11:43:01 AMla dualita' metafisica essere = conoscenza e bene/ e nulla = ingnoranza e male non potrebbe essere piu' radicata nella biologia e nell'istinto di sopravvivenza anche nelle sue forme culturalmente riflesse.
Questa è la nota fallacia naturalistica (qui in sintesi ) elevata alla potenza di quel nozionismo umanistico e matafisico di cui ancora non si riesce a fare a meno (nonostante le lezioni del novecento). I concetti di «bene» e «male», per quanto possano sembrare scontati nel nostro ragionare umano, non hanno nulla di minimamente biologico. Non siamo spinti dal nostro istinto a mangiare perché «ciò è bene», o perché «restare vivi è bene», ma solo perché la nostra natura ci "programma" per farlo (e che tale programma sia metafisicamente "rivolto al bene" è ciò che rende fallace quel tipo di ingenuo "naturalismo"). La nostra interpretazione (che moraleggia e religioneggia sull'istinto naturale fino a definire «male» il suicidio) non usa categorie né naturali né biologiche quando parla di «bene e male» in quel contesto.
Altrimenti: quali sarebbero tali nessi "causali" fra biologia e morale (che è ciò che si occupa di bene/male e che, guarda caso, non è "scientificabile")? Sappiamo già dove portano queste banalizzazioni tipo vita=bene e quanti asterischi poi ci si finisca col mettere («in realtà dipende da questo... c'è però questa eccezione... è vero, ma non nel caso in cui... etc.»).
Un atomo che decade o una reazione chimica sono bene o male? Oppure la natura ha un "contenuto" di «bene e male» solo quando è relativa al "giardiniere dell'Eden", alla "creatura eletta", a "noi che siamo davvero intelligenti e quindi superiori agli altri animali", etc.?

Citazione di: niko il 23 Luglio 2025, 11:43:01 AMl'intelletto, e' la sede possibile dell'errore, soprattutto qualora non si accordi, alla volonta'.
Manca il (meta)criterio che possa coniugare intelletto e volontà per sancire eventuali errori: quando l'intelletto ci dice di non uccidere il prossimo anche se vogliamo farlo (e le mutazioni biologiche, oggettive, del nostro corpo quando siamo adirati ci preparano a farlo e "non mentono"), tale intelletto è in errore contro la volontà della vita?
Di nuovo: usiamo il nostro intelletto (con annessi imprinting culturali e, volenti o nolenti, religiosi), non certo la volontà, per scegliere cosa preservare dell'istinto, perché è "bene", e cosa invece scartare, seppur parimenti istintivo, perché è "male". Solo una volontà addomesticata dalla ragione può parlare di errori; una volontà che non ragiona è solo istinto (e sappiamo quale è il suo ruolo in una società umana, reale o ideale che la pensiamo).

Citazione di: niko il 23 Luglio 2025, 12:16:30 PMse il senso del tempo e' l'aumentare a valanga del passato, allora il senso del tempo e' (anche) la sconfitta inesorabile della volonta' umana quale continuo proggetto creativo, che in quanto tale continuamente prevede una materia malleabile alla creazione, una materia fangosa e morbida, e quindi, per assurdo, una materia non passatificata.
Il senso del tempo non è «l'aumentare a valanga del passato» più di quanto non sia «l'aumentare a effetto domino del futuro» in cui non vi è «la sconfitta della volontà umana quale...» ma la sua possibile realizzazione, proprio nel senso di diventare realtà. La creatività umana è sconfitta se pensa di cambiare retroattivamente il passato, come un cecchino che prima preme il grilletto e poi inserisce il proiettile (non mi intendo di armi, ma credo si capisca). La materia non passatificata direi che è per definizione il futuro ed è a quello che si rivolge una "sana" creatività e volontà: se voglio creare una mia azienda, non è al passato che devo mirare per pianificare le mie attività (quello che mi torna utile è un calendario degli anni futuri, non passati).

Citazione di: niko il 23 Luglio 2025, 12:40:09 PMLa filosofia non e' ne' tuttologia ne' metodo, e' uno stile di vita finalizzato alla ricerca della felicita' e dell'autenticita'. Questa spiegazione, tutta americana, non ti piacerà ma amen.
Di fatto non è necessario che mi piaccia; l'importante, per intendersi, è avere una comune definizione di filosofia. Possiamo anche concordare che la filosofia è metafisica, che la filosofia è scienza dell'invisibile oppure edonismo, onanismo o altro; l'importante è capirsi (anche cestinando qualunque coerenza filologica e storica del termine). Potrei comunque obiettare che la filosofia americana (non quella stereotipata della cultura pop americana) non parla di sé stessa esattamente come «stile di vita finalizzato alla ricerca della felicità e dell'autenticità», nel senso che i filosofi americani (sempre se concordiamo su quali essi siano; evito di fare nomi) non sono in generale affatto estranei al desiderio di capire il mondo in senso epistemologico (tuttavia, come detto, l'importante è avere fra noi un linguaggio comune).

Citazione di: niko il 23 Luglio 2025, 12:40:09 PMIn ogni caso, la scrittura prolifera nelle sue infinite interpretazioni, proprio perche' fallisce nel sostituire una presenza.
Qualche post fa, non a caso, citai Derrida... quindi proprio per questo non possiamo che concordare che l'ermenutica (che dice anche ciò che hai appena scritto sulla presenza, sulla disseminazione, etc.) non sia propriamente una "caduta della filosofia".
Puoi definirla tale alle luce della tua definizione di filosofia? Certo, se tutto il discorso sulla "sostituzione della presenza", sull'invio di senso, sul circolo ermeneutico, sulla storia degli effetti, etc. per te non ha nulla di filosofico.
#11
Anzitutto grazie per il prezioso lavoro e gli oneri che consentono di tenere online il sito.
Non so se può essere un suggerimento utile, ma per filtrare i bot, almeno quelli più "ingenui", non si potrebbe usare un pagina di "verifica di umanità" con captcha o (se questo fosse proibitivo) una semplice domanda da rispondere (magari riciclando quella del cavallo di Napoleone)? Intendo prima di accedere alla home page del forum o comunque al primo accesso di un browser che non abbia già i cookies del sito.
#12
Citazione di: iano il 20 Luglio 2025, 05:41:42 AMSe per amor di descrizione semplifichiamo dicendo che l'uomo è l'unico animale che desidera capire, cosa aggiunge questo capire al sapere stare al mondo?
Per rispondere in breve, direi che aggiunge al saper stare al mondo la gestione del proprio desiderio di capire e la gestione di ciò che si è capito. Nel senso che saper stare al mondo comprende anche fare i conti con tale desiderio (per chi lo ha e per chi ne è consapevole) e con quello che si è capito (che è ciò che costituisce la "crosta" del mondo in cui si cerca di saper stare).
Citazione di: iano il 20 Luglio 2025, 05:41:42 AMSe non c'è più niente da capire, come nella versione di inizio novecento, o non c'è niente da capire in assoluto, come nella recente versione, il desiderio di capire ancora diffuso è destinato a girare  a vuoto.
Il girare attuale non è a vuoto, ma è un mescolare una pienezza che si trasforma (come la società); quindi si tratta di un "comprendere liquido" e non più velleitariamente granitico come quello delle metafisiche, il cui motto è «trova la Verità, taci e contemplala».
Per il filosofo che non vive nel passato, ma vive nel suo tempo (non tutti lo fanno), la stessa AI non è solo uno strumento, ma un fenomeno da capire; proprio come lo era il lavoro industriale ai tempi di Marx, l'apertura verso oriente ai tempi di Schopenhauer, etc.
Il fatto che non ci sia niente di assoluto da capire (anche se non possiamo esserne assolutamente certi, per evitare il solito paradosso e restare onesti ed umili) comporta quantomeno che proprio la comprensione possa (non debba) essere costantemente all'opera. Finché c'è desiderio di capire e c'è qualcosa da capire, una filosofia attuale è possibile (magari non è più possibile una metafisica assolutistica, ma questo fa parte del suddetto "mescolare" contemporaneo).
#13
Prima che niko proponesse la tematica del desiderio come, se non ho frainteso, elemento centrale nella sua interpretazione del rapporto storico fra uomo e mondo (interpretazione non certo infondata né priva di autorevoli predecessori), ho tirato in ballo il desiderio associandolo al philein della philo-sophia, per cui il filosofo è colui che (sintetizzo brutalmente) desidera capire il mondo e quindi lo indaga. Dunque è opportuno non mettere l'accento solo sul capire filosofico, ma anche sul desiderare filosofico; soprattutto, aggiungo ora, in tempi in cui qualcuno potrebbe dire che l'AI sta iniziando a "capire il mondo"; nessuno, si spera, dirà invece che l'AI desidera capire il mondo.
Questo desiderio filosofico come si esplica, in quale prassi si traduce? Finito (o quasi) il periodo in cui viene frustrato dalla religione, che a suon di dogmi e campane sovrasta gli interrogativi filosofici (pur rispondendogli a suo modo), viene da un lato mantenuto come filosofia in azione, ossia come filosofare (nelle varie discipline tipiche); dall'altro, recuperato dalla scienza che, anche per intrinseca dissonanza con la religione, può portare avanti alcuni interrogativi filosofici rendendoli meno filosofici (paradosso solo apparente), istituendo discipline specifiche che mirano a trovare risposte adeguate (e meno "fragili" di quelle fornite finora dalla filosofia, a cui resta sicuramente il suo bel da fare con le discipline non "scientificabili", come etica, estetica, ermeneutica, etc.).

Caos e ordine, coerenza e incoerenza, più che essere attributi della realtà "in sé", per me sono conseguenze dell'applicazione di categorie del soggetto che guarda la realtà: un'eclissi verrà giudicata come evento caotico e incoerente, da chi considera che il sole abbia la sua ordinata coerenza nel non essere mai coperto, se non dalle nuvole; tuttavia, in un sistema più complesso di analisi astronomica, l'eclissi è quanto di più coerente, ordinato e prevedibile possa esserci (sempre ricordando che è tale solo per chi abita sulla Terra, essendo questione di "prospettivismo").
#14
Citazione di: niko il 19 Luglio 2025, 13:24:40 PMIl desiderio di illudersi e' epistemico perche' al suo fondo non c'e' nulla di altro: il movimento con cui, in modo apparentemente "isolato",  l'oggetto di conoscenza specifico della metafisica si rivela un oggetto di desiderio ( > Dio non esiste ma e' solo un'illusione e rassicurante) e', anche, lo stesso identico movimento con cui tutti gli oggetti di conoscenza, possibili, si rivelano, in fondo, "solo" oggetti di volonta' e di desiderio ( > tutto il pensabile e il conoscibile e' un'illusione utile alla vita, e per giunta un'illusione eventualmente ripetibile data la finitezza di uno spazio, in cui tale illusione potrebbe comporsi e situarsi, e l'infinitudine di un tempo: insieme a Dio, muore la verita', e, insieme alla verita', muore anche il passato in quanto forma preferenziale dell'inamovibile/immodificabile).
Se così fosse dovremmo vivere in un'illusione, come in un sogno, ma resta lecita la domanda: chi sogna? dov'è chi sogna? Esiste solo chi sogna, in un vuoto cosmico? L'"ontologia del desiderio" a volte rischia di sottovalutare la semplice potenza (ed evidenza) del cogito cartesiano e delle sue conseguenze, che ancorano qualunque metafisica ad un minimo di realismo difficilmente alienabile, fosse anche solo come residuo fenomenologico dell'esistenza. Il desiderante non è desiderio, il mondo ontico in cui il desiderante si muove non è desiderio, etc. per questo le scienze, anche filosofiche, che si occupano dell'uomo e del mondo, non possono essere appiattite in mero "esercizio" di desiderio, come non ci fossero un agente e un mondo "pre-" ed extra-desiderio (il che non significa certo espungerlo dall'orizzonte umano, di cui è sicuramente parte pulsante e costituente).
Il passaggio dall'inamovibile/immodificabile Verità divina, alla abbozzata e dinamica verità post-divina (fosse anche solo post-verità), è il marchio dell'attualità; doveva morire Dio affinché la verità potesse risorgere in tutta la sua umanità (e che il rapporto umano con il mondo sia pura illusione e desiderio è forse un spunto buddista, comunque di non facile coniugazione con l'epistemologia, e ancor meno con politica e dintorni).
Citazione di: niko il 19 Luglio 2025, 13:24:40 PMLa fuga continua del tempo nel passato, e' (anche) la fuga continua di tutti gli oggetti presenti e viaggianti nel tempo alla presa e alla "manipolazione" della volonta', il che e' possibile, e anche auspicabile, in un paradigma metafisico, ma impossibile, e anche eticamente non auspicabile, in un paradigma post-metafisico.
Non vedo cosa ci sia di impossibile ed eticamente non auspicabile, in ottica post-metafisica, nel farsi passato del presente (di oggetti o soggetti che sia). Forse il paradigma post-metafisico (se proprio vogliamo impropriamente usare il singolare) è contro il tempo o non ha bisogno del tempo o aspira al senza tempo? Forse l'etica, fuori della metafisica, è un'etica che non ha bisogno del passato? Non ti seguo.
Un metafisico forse sosterrebbe queste bislacche ipotesi (quasi fossero un'anatema per eventuali "apostati"), ma se soppesiamo la post-metafisica con un paradigma metafisico è chiaro che ne derivano conclusioni surreali e, soprattutto, inattuali.
Citazione di: niko il 19 Luglio 2025, 13:24:40 PMnel paradigma post metafisico e' vero il contrario, il desiderio genera conoscenza e quindi gerarchicamente e prioritariamente la domina, e la conoscenza, o meglio, la domanda esistenziale di essa e su di essa, al limite, si acquieta e si paga nel riscoprire se stessa forma e manifestazione del desiderio, perche' al suo "fondo", al suo fondamento, non c'e' altro.
Il desiderio è solo uno dei due ingredienti della conoscenza, così come in passato, da sempre. Qual è l'altro? Ciò che si vuole conoscere, ciò che ancora non si domina e ciò che, da sempre è (e probabilmente sarà) in mutamento; sia esso il mondo esterno, il cosmo, le relazioni umane, le culture, etc. Questa dialettica conoscitiva (soggetto/oggetto, per dirla in sintesi), non è molto cambiata dai tempi dei presocratici, ciò che è cambiato è il bagaglio di conoscenze acquisite nel frattempo che, non a caso, hanno portato a un sensibile ridimensionamento della metafisica. Possiamo dire che è anche cambiato, di pari passo, il desiderio di conoscere? Di certo ha acquisito nuove forme e (forse) nuove finalità, ma resta valido che affermare che «il desiderio genera conoscenza» non rende giustizia né al desiderio (che non è solo di conoscenza), né alla conoscenza che richiede molto, molto di più del mero desiderio (senza contare i casi in cui un desiderio "fuorviante" è di ostacolo alla conoscenza).
La domanda esistenziale sulla conoscenza non «si acquieta e si paga nel riscoprire se stessa forma e manifestazione del desiderio», giacché di tale quiete e appagamento non scorgo traccia, né nell'etica (quando la bioetica confligge con la conoscenza come poter fare), né nell'estetica, né in riflessioni esistenziali sulla conoscenza (e tantomeno, ovviamente, nell'epistemologia). Qualcuno può di certo trovarvi quiete e ristoro, ma non è una posizione che estenderei a discorsi più generali, come quello in corso.
Citazione di: niko il 19 Luglio 2025, 13:24:40 PMInfatti, caro Phil, con un minimo di realismo, non si puo' non riconoscere che la caduta, della filosofia tutta e non solo della metafisica, in Occidente, quantomeno nell'ultimo precedente secolo, (ma con prodromi iniziati nell'ultimo millennio), che l'ha portata dall'essere un elemento culturalmente egemone e intrinsecamente motivante, da sola, o al limite anche insieme alla teologia, all'essere, invece, solo una pregiudiziale di metodo [epistemologia] o una nota a margine [ermeneutica] sul lavoro altrui, sia una caduta. Il valore irripetibile della filosofia, consisteva nel suo essere uno stile di vita, e questo, ne imponeva almeno in un certo grado, l'autonomia e l'originalita'.
Riecco in azione la confusione fra metafisica e filosofia: nel secolo scorso la caduta dell'una (parte) è stata la liberazione dell'altra (tutto); magari può non piacere, soprattutto ai metafisici, che quindi parlano di secolo triste, ma è stato triste solo per quelli che si illudevano la filosofia sarebbe stata per sempre "la più bella del reame" (e quanto accaduto all'altra compagna di metafisica, ovvero la teologia, non è un caso).
In campo scientifico la filosofia non può essere più che epistemologia e se ciò viene visto come un difetto o una "caduta", di nuovo, si sta ancora ragionando con velleità meta-fisiche di altre epoche; ovvero ci si è persi almeno due o tre secoli in cui la filosofia, inevitabilmente, si è ristretta lasciando spazio a discipline più autonome e specializzate. Il che può essere un "male", appunto, solo se si intende la filosofia in modo "medievale", ossia come un regno che deve espandersi fino a conquistare il mondo intero, sottomettendo le altre discipline perché è lei quella trascendente spazio e tempo.
Si è passati dalla filosofia delle origini, che era anche umiltà del non-sapere, alla filosofia come armata del Risiko nello scibile umano; ora pare la filosofia stia ricalibrando la sua "messa a fuoco" su obiettivi che le sono più consoni (detto altrimenti: non è caduta, è solo riatterrata da un salto troppo ambizioso e se dice che "l'uva non è matura" non ne esce certo con più dignità).
Citazione di: niko il 19 Luglio 2025, 13:24:40 PML'ermeneutica poi, nel suo concetto che un testo prolifichi e dia frutto in un altro testo, e non nel dialogo diretto e scambievole per quanto possibile tra lettore e autore, e' la negazione stessa della filosofia.
Che l'ermeneutica sia «nota a margine sul lavoro altrui» (v. sopra) o sia «negazione stessa della filosofia» mi sembra una svista e, nel dubbio, ripassare la storia dell'ermeneutica filosofica del novecento credo chiarisca sia cosa sia davvero l'ermeneutica, sia ogni dubbio in merito alla sua dialogicità.
#15
Citazione di: InVerno il 18 Luglio 2025, 13:49:03 PMSono d'accordo che l'intera discussione dipende da dove si mettono i paletti di "religione", non capisco i termini per cui differenzi una parte proponendo come loro caratteristiche "convenzionali, consensuali", che sono due proprietà che applicherei anche al primo gruppo, le religioni stabiliscono convenzioni quindi sono convenzionali, e consensuali anche? Dipende da come si interpretano certi nodi intermedi riguardo le gerarchie, ma dibattibile.
Fra noi due (atei) possiamo anche dirci che le religioni sono convenzionali, ossia basate su convenzioni (anche se forse non lo faremmo lo stesso); tuttavia per un credente non lo sono affatto: sono veritiere e sacre. Per lui l'esistenza di Dio non è una convenzione stabilita e accettata a tavolino (ma una verità di fede), come invece lo è la dichiarazione universale dei diritti dell'uomo. Lo stesso dicasi per la consensualità: per un credente (non quelli "della domenica") non si pone nemmeno il dilemma se essere d'accordo o meno con il volere di Dio, che già il solo porre l'interrogativo è blasfemia (mentre può porsi, sempre a bassa voce, tale interrogativo riguardo i diritti umani, proprio perché sono convenzionali e basati su un consenso che può, legittimamente, anche non essere il suo).
Detto in sintesi: la differenza sta nel fatto che la "religione", dei diritti umani o altro, prevede che i suoi adepti la riconoscano come convenzionale e come consensuale, mentre solitamente una religione, rivelata o meno, prevede di essere verità assoluta (non per mera convenzione) e eccedente qualunque consenso in nome della sua trascendenza (ossia sarebbe tale anche se nessuno fosse d'accordo).

Citazione di: InVerno il 18 Luglio 2025, 13:49:03 PM"Definizione inadeguata" nel senso che se hai necessità di differenziare tra  "religioni" e "religioni metaforiche" (cioè non-religioni?) hai un problema nell'adeguatezza della definizione di religione che ti costringe a strane perifrasi che offuscano anziché che chiarire. Ti chiedi da solo "vogliamo distinguere quelle con Dio?" e ti rispondi positivamente, però poi ti accorgi che rispondendo positivamente le categorie non ti seguono e devi usare quegli "strani ibridi" di cui parlavo il post prima
In realtà, magari sarò banale, ma con «religione» intenderei solo ciò di cui si parla nei manuali di storia delle religioni. Se ho distinto fra religioni e "religioni" è stato per cercare di mediare (forse con scarso successo), fra il mio linguaggio e il tuo: avendo tu detto che i diritti umani «sono religione» (post n. 72), ho pensato di assecondarti nell'uso del temine, differenziandolo almeno con le virgolette da quello del dizionario. Se vogliamo parlare di "religioni" in senso metaforico (in politica, sport, arte, etc.), posso anche stare al gioco, al prezzo di evitare confusioni usando quantomeno virgolette e fermo restando che mischiare religioni e "religioni" con strane perifrasi è l'opposto dello scopo del mio discorso (che, se fosse soliloquio, parlerebbe semplicemente di religioni e ideologie, più o meno "popolari").