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Messaggi - inquieto68

#1
Tematiche Spirituali / Scienza e religione.
11 Maggio 2021, 13:19:53 PM
Citazione di: iano il 10 Maggio 2021, 01:22:22 AM
La scienza si vanta con alterna fortuna di poter leggere il futuro a partire dalla considerazione del  presente, fidando che un futuro vi sia, mentre la religione auspica al minimo  un eterno presente,  fidando ancor meglio in un ritorno al passato, considerato quale sia  il presente.
Ma in verità la scienza ammette di non sapere dove andiamo , mentre la religione lo crede, perché in fondo si tratta di percorrere al contrario una strada gia' fatta.
Tanta fatica per nulla. Che peccato. Meglio sarebbe stato se non ci si fosse mai mossi.
Il primo passo per  tornare indietro è quindi fermarsi ,trasformando già così  il presente in un futuro certo, in attesa di un radioso regresso futuro.


Provo a raccolgo l'invito a rimanere sul tema del post.


La religione (non solo il cristianesimo) contempla l'idea della trascendenza, un "altrove" che  fedeli, appartenendo alla realtà immanente, si raffigurano in termini di spazio-tempo. A mio avviso questa riduzione del trascendente all'immanente è un'errore (teo)logico: la "pienezza dei tempi" della religione cristiana non è il nostro futuro, e il "principio" in cui "era il Logos" non è il nostro passato.


Ma in un ottica laica la trascendenza, il divino, sono concetti assurdi, mentre la religione, pur come costruzione umana, esiste nei fatti, per cui avrà pur assolto a qualche necessità.
E tali presunte necessità sussistono anche dopo la rivoluzione scientifica?


La scienza si occupa certamente di futuro.
Il motto dei positivisti recitava: "Sapere per prevedere, prevedere per potere" (poter agire sulla realtà)
Scopo della conoscenza scientifica è appunto quello di fare previsioni future, cosa utilissima per poter agire sulla realtà con cognizione di causa.
In un ottica laica la religione è assimilabile alla dimensione etica, che ha il compito di valutare la liceità, il valore morale, la desiderabilità delle conseguenze delle nostre azioni.
La scienza potrà dirci , a partire dalle nostre azioni presenti, quale saranno le conseguenze future. Stabilire se tale futuro sia migliore o peggiore, desiderabile o meno, utile o meno al nostro benessere interiore e umano, attiene all'etica, la cui dimensione collettiva (laddove esiste) è la  morale, e la religione.




Un saluto

#2
Un mio amico sociologo ripete spesso che "la società non esiste". Sicuramente non esiste (più) nel qui ed ora della nostra civiltà "occidentale". Esistono reti. gruppi, sottoculture, diversificate l'una dall'altra per valori, principi etici, comportamenti, simboli.
Questo quadro rende ancora più impegnativo l'utilizzo del termine "popolo" per indicare, ad esempio, la totalità degli italiani.


Se però usiamo il termine popolo come semplicistico sinonimo di "volgo", confesso di credere ancora, ad esempio, nel principio della sovranità del popolo. Certo, il popolo/volgo non è necessariamente illuminato, informato, consapevole, ma credo abbia almeno la capacità di desiderare e di intuire, pur essendo queste qualità facilmente suggestionabili dalla propaganda (dunque dai poteri).  Dunque il popolo/volgo non è infallibile, può compiere scelte sciagurate, ma questo non per un'intrinseca ed inevitabile incapacità.
Situazioni di generalizzata oppressione/malessere, o al contrario di particolare serenità/benessere, possono far nascere sentimenti collettivi molto chiari ed utili all'emancipazione di tutti e di ciascuno.
#3
Attualità / Re:Integralismo Islamico
07 Novembre 2020, 15:19:08 PM
In occasione dell'ultima intervista realizzata  in occasione della presentazione in Francia dell'ultimo suo film Salò o le 120 giornate di Sodoma, Pier Paolo Pasolini dichiarò:
«Io penso che scandalizzare sia un diritto, essere scandalizzati un piacere e chi rifiuta il piacere di essere scandalizzato è un moralista»
Lo stile caustico e lapidario di questo acuto intellettuale mi ha sempre affascinato, anche se nutro seri dubbi sulla capacità di chiunque (compreso lo stesso PPP) di essere coerenti con questo orientamento ideale, soprattutto in riferimento al piacere di essere scandalizzati.
Essere dileggiati nei propri valori di riferimento non è piacevole per nessuno, e il "diritto di scandalizzare" non è mai è consentito in assoluto dalle legislazioni, neppure da quelle più liberali (ad esempio sarà probabilmente varata una legge sull'omofobia, che facilmente limiterà il "diritto" di dileggiare determinati costumi sessuali, e lo dico astenendomi assolutamente da ogni giudizio sull'opportunità o meno di normare questa materia).
Con tutto ciò voglio condividere un certo mio sospetto di incoerenza da parte di chiunque si dichiari strenuo difensore della libertà di parola "senza se a e senza ma", o si pensi  scevro in assoluto da ogni scandalizzato moralismo.


Rispetto al caso in questione, ritengo legittimo esprimere giudizi anche sull'uso intelligente (responsabile) o stupido (irresponsabile) dell'arte della provocazione.  Sinceramente la smetterei di considerare il binomio provocazione-reazione come un gioco a somma zero, nel quale l'eventuale irresponsabilità della prima debba automaticamente sottrarre qualcosa alla responsabilità della seconda.  L'esempio più volte citato  minigonna vs stupro, è paradigmatico e va contestualizzato alla nostra attuale società e a questo preciso momento storico. Oggi, nella nostra civiltà occidentale, non considero irresponsabile andare ad una cena con minigonna, calze a rete e scollatura generosa; scegliere lo stesso abbigliamento per una passeggiata in un quartiere degradato della Colombia potrebbe invece non essere una buona idea. Se poi la provocazione, come nel caso francese, mette a rischio anche la sicurezza altrui, credo che un'attenta valutazione costi/benefici (collettivi) sarebbe quantomeno auspicabile da parte del provocatore.

#4
Tematiche Culturali e Sociali / Re:La sessualità
04 Novembre 2020, 22:17:15 PM
Salve Viator,
sinceramente non comprendo come le tue specificazioni naturalistiche si contrappongano ai significati che la cultura aggiunge alla sessualitá.
Non mi pare di aver negato i presupposti istintuali della sessualitá. Né l'aggiunta di significati simbolici all'atto sessuale ne escludono l'effetto dilettevole.
La cultura si innesta sempre sulla natura, come nell'esempio della conviivialitá legata al cibo.
Ho citato la cultura cattolica in termini laici, culturali, cercando di interpretarne i significati "fuor di metafora" (la metafora Dio)
Con questi presupposti, la mia personale posizione é spostata verso la sacralitá, per cui il partner sessuale evoca in me ulteriori significati simbolici oltre la mera eccitazione genitale: ad esempio  il privilegio  di conoscere il suo "mondo segreto". Sono sentimenti molto gratificanti.
#5
Tematiche Culturali e Sociali / Re:La sessualità
04 Novembre 2020, 19:39:27 PM
Citazione di: Jacopus il 01 Ottobre 2020, 17:34:53 PM
Una frase in un'altra discussione mi ha dato l'estro per iniziare a parlare di un nuovo argomento. Nuovo si fa per dire. Ovvero la sessualità.
Come intendete la sessualità? Ha sempre bisogno di un cappello sentimentale ovvero di amore, oppure è possibile esercitarlo come semplice divertimento, o come facevano gli antichi greci, per rinsaldare "lo spirito di corpo"? C'è qualcosa di perverso nel fare sesso senza che esso sia connesso a due persone che si amano? Ed ancora, queste ipotetiche perversioni sessuali, andrebbero curate, condannate dal codice penale o semplicemente dall'opinione pubblica? E se l'amore unisce due esseri dello stesso genere? O un transessuale e una donna? Quali sono i limiti, e chi li detta?


Esercitare la sessualità come puro divertimento è ovviamente possibile, qualsiasi animale lo fa fondamentalmente per questo e la natura lo gratifica con il godimento fisico. L'attribuzione di particolari significati simbolici a questa ed altre funzioni fisiologiche, (ad esempio il mero nutrirsi si arricchisce di ulteriori significati nella convivialità di una cena tra amici), è prerogativa dell'uomo e conseguenza della sua dotazione intellettuale, la cui espressione collettiva è la cultura.
La mia locuzione "attribuzione di particolari significati simbolici" può anche essere sintetizzata, in termini meno laici, con la il sostantivo "sacralità".
La religione cattolica  ha attribuito alla sessualità e al corpo caratteri di estrema sacralità (il corpo come "tempio dello Spririto Santo", l'unione erotica tra due persone che vuole la benedizione dell'Onnipotente), che possono essere letti in termini laici come metaforiche attribuzioni di senso. Sul fronte opposto, l'assoluto materialismo disdegna tali attribuzioni di senso, e magari considera gli organi sessuali come dotazioni meramente ludiche che la natura ci ha fornito.
Tra questi 2 estremi ci sono tante gradazioni intermedie. Il mio modo di intendere la sessualità è sicuramente spostato verso il versante della sacralità.
#6
Tematiche Culturali e Sociali / Re:Buonismo
24 Luglio 2020, 00:56:11 AM
Citazione di: viator il 10 Luglio 2020, 21:23:11 PM
Salve. Intervengo solamente per proporre una delle mie balzane, lapidarie, qualunquistiche interpretazioni.

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Con i buoni sentimenti è facile riempire bocche ed orecchie. Il problema, quando si deve passare alla pratica, diventa ; "chi paga ?".

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Il BUONO è colui che, a spese proprie, si occupa di soddisfare necessità e desideri altrui.

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il BUONISTA auspica e vorrebbe che le necessità ed i desideri degli altri (e magari pure i propri) venissero esauditi a spese della collettività, inclusi in essa collettività anche coloro che non la pensano come lui.

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Tutto il resto che si può dire in proposito, resta gratis. Saluti.


Salve Viator, questa tua impostazione mi pare neghi o svaluti la possibilità di una collettività "buona" o, per restringere i significati, solidale.
Ritenere virtuoso (buono) unicamente ciò che nasce dalla solidarietà individuale, significa auspicare lo spontaneismo, dunque una società fondata sulla benevolenza individuale, caritatevole. A ben vedere potrebbe essere proprio questa una deriva buonista.

Contemporaneamenti svaluti come "buonista" l'auspicio di una solidarietà collettiva, organizzata, sancita come diritto (esaudire le necessità a spese della collettività), che è sostanzialmente la base del welfare di tradizione socialdemocratica.

Dunque sarebbe "buona" una società in cui il povero orfanello "Marcellino" si salva solamente se ha la fortuna di incontrare i fraticelli buoni che lo soccorrono (a spese proprie), mentre sarebbe "buonista" una società nella quale i diritti di cittadinanza sono sanciti e garantiti (a spese della collettività)?
mmm....mi sembra un ragionamento fallace
#7
Tematiche Filosofiche / Re:L'ira
25 Giugno 2020, 01:34:09 AM
...la giusta ira nei confronti dell'ingiustizia,, legittimità o illegittimità dell'ira...buonismo, ipocrisia, negazione dell'ira.


Io apprezzo l'autocontrollo sull'aggressività e sulla rabbia, e anche sull'impulso di vendetta. Ma questo non per motivi di moralistico di "bon ton", nè di cieca e fantasiosa fiducia nella bontà dell'uomo.
L'autocontrollo non è autocensura o negazione dei propri sentimenti aggressivi.


Ciò che considero negativo non è l'ira in sè, ma l'abbandonarsi alle conseguenze del'ira agendo comportamenti distruttivi.


Il problema è che la rabbia è un'emozione secondaria, conseguenza/sintomo altre emozioni, dunque intrinsecamente ambigua.
Perciò abbandonarsi all'ira significa abbandonarsi ad una passione di per sé oscura. Anche l'odio (ad esempio quello razziale) è riconducibile ad emozioni di ira[/size]
Per dare un nome all'ira, occorre indagare le emozioni primarie che la generano, emozioni che possono essere molto diverse: invidia, gelosia, senso di minaccia, senso di ingiustizia, paura...





#8
Il termine "complottismo" è ormai abusato, al pari di tanti "ismi" (moralismo, buonismo, ecc..) utilizzati in modo generalizzato e spesso acritico.
Credo sia diventato un termine molto superficiale perchè, estremizzando,  mette sullo stesso piano il terrapiattismo al celebre "Io 'so" di Pier Paolo Pasolini.
Questi aggettivi sommari e denigratori sono espressione della tendenza, tipica di questo tempo, a voler ridurre a caricatura qualsiasi posizione, comportamento o atteggiamento percepiti come dissonanti, evitando così di rapportarsi e farsi interpellare dalla complessità dei fenomeni sociali.
Imposterei quindi la tematica in modo completamente diverso e più imparziale:
- Perchè si sta diffondendo un crescente e radicale scetticismo? -
#9
Grazie per lo scambio e perdonate gli errori di battitura.


L'uso intimidatorio della citazione credo abbia a che fare con le insidie del potere.
In una posizione di potere possono emergere le proprie virtù o le proprie miserie. Un patologico delirio di superiorità può trovare un significativo rinforzo all'interno di una posizione di potere.
Lo spessore intellettuale richiede un'attitudine, una predisposizione che può esistere o non esistere a prescindere dall'erudizione, e che ha a che fare con la capacità di intuire e di desiderare (a mio avviso queste 2 capacità si nutrono reciprocamente fino quasi a confondersi l'una nell'altra), ma soprattutto non può escludere la virtù dell'umiltà, alla quale il noto "so di non sapere" socratico ha fornito un fondamento non solo morale, ma anche logico.
La saccenteria, l'uso intimidatorio della citazione, l'ostentazione del sapere, rivela l'assenza di tale attitudine, smaschera la stoltezza del saccente. La conoscenza rappresenta un potere, che può essere usato per edificare o per opprimere
#10
L'uso violento e intimidatorio della propria millantata erudizione è un malcostume che mi pare si stia particolarmente diffondendo nel nostro tempo. L'aggettivo "intimidatorio" scelto come titolo di questo topic, mi pare alluda all'uso della citazione con questo tipo intenzione: tappare la bocca all'avversario imponendogli di inginocchiarsi al cospetto di una fonte universalmente riconosciuta come autorevole, monolitica, inconfutabile.
Posto che questo forum sia un luogo in cui il confronta si fonda comunque sul rigore logico delle argomentazioni, e non certo su una retorica assertività di facciata (di "opinionisti" è pieno il web e la televisione), l'uso della citazione non è un male in sè, e può avere certo finalità più nobili dell'intimidazione, rivelando magari l'onestà e l'umiltà di chi sta argomentando, il quale non vuole attribuire a sé le intuizioni altrui, per cui ne cita la fonte. Anche un umano sentimento di insicurezza e di scarso carisma può indurre a rafforzare il proprio ragionamento corredandolo di una citazione.


Riguardo al dilettantismo, più vole evocato nella discussione, trovo che la prevalenza di fonti filosofiche da parte dei partecipanti a questo forum, possa finire per connotare eccessivamente questo spazio di riflessioni all'interno di un'unica disciplina. Esperienze ed approcci disciplinari diversi, possono arricchire il ventagli delle fonti informative, attingendo ad esempio dall'approccio sociologico, o psicanalitico o antropologico (con i relativi corredi di autori e tradizioni), o anche da culture e sistemi coerenti di rappresentazioni simboliche millenarie, che offrono comunque strumenti potenti di lettura della realtà.
#11
Questa topic sulle dipendenze, il piacere, i vizi, le passioni, è stata fin qui argomentato quasi esclusivamente in termini di "senso del limite": il piacere ha delle insidie, dei rischi, dunque è auspicabile un'autodisciplina. Ed ognuno sposta più in alto  o  più in basso l'asticella dandosi  il limite che ritiene ragionevole, a seconda delle proprie personali sensibilità.


Credo però che si possa affrontare la questione anche ad un livello più radicale. Intendo l'educazione della propria sensibilità emotiva, la possibilità di emancipazione personale, di sublimazione, verso la scoperta di meta-piaceri più evoluti e profondi L'evoluzione dai meri e istintuali piaceri fisici, all'ascolto e riconoscimento delle emozioni, alla formazione dei sentimenti.
Mi pare che tutto ciò sia in crisi nell'attuale civiltà consumistica e di benessere post-industriale. Attualmente la facilità di accesso al piacere e alla trasgressione ha reso tutto enormemente banale e regressivo. Oggi un giovane mediamente intraprendente può facilmente avere uno stile di vita non molto dissimile da quello che aveva 100 anni fa Gabriele D'annunzio: quello che un tempo era di nicchia, quindi trascurabile rispetto al rischio di decadenza dei costumi collettivi, oggi è generalizzato.
E non spacciamolo per un'evoluzione in senso dionisiaco e di liberazione post-moralista. Il modello di riferimento non è certo il Siddharta di Hermann Hesse, ma piuttosto l'Homer Simpson dei fumetti.

La dopamina è una sostanza chimica del nostro organismo, facilmente attivabile mediante additivi come la cannabis o altro. Il piacere, l'emozione che crea,  è quindi un fenomeno abbastanza elementare non particolarmente evoluto. Anche un topo di laboratorio può essere condizionato e reso dipendente mediante la somministrazione di sostanze psico-attive. Più complessi ed evoluti sono invece i sentimenti. Ad oggi non mi risulta esistano sostanze in grado di far generare l'innamoramento verso una persona, o la nostalgia della propria terra.  Non è quindi questione di "limitare" il piacere, ma di emanciparlo.


#12
Percorsi ed Esperienze / Re:La bontà
29 Dicembre 2019, 00:19:07 AM
Considero la bontà una virtù. Tra le più derise, denigrate e banalizzate, ma è per me una grande virtù.
Certo la bontà è fraintendibile, anche da parte di chi la ricerca: non è sufficiente l'intenzione di "essere buoni", occorre "fare qualcosa di effettivamente buono".
Credo però che le buone intenzioni siano una condizione necessaria, anche se non sufficiente.
La bontà è cercare il bene, ciò che migliora la vita, il mondo, la convivenza, la storia, il presente e il futuro.
#13
Citazione di: altamarea il 17 Ottobre 2019, 15:39:54 PMNel tempo c'è l'evoluzione e la ridefinizione dell'identità di una civiltà, perciò io non riesco a percepirla questa decadenza dell'Occidente rispetto al passato. E voi ?
Al netto delle nostalgie, delle attribuzioni di colpe o responsabilità, degli auspici o degli allarmismi, trovo che il declino della cosiddetta civiltà occidentale sia evidente. Uso il termine "declino" non come giudizio di valore (punizione, nemesi, sventura), ma come giudizio di realtà (lo spegnimento, la terminalità). 
La nostra civiltà, la nostra cultura, è finita. Non è più in grado di generare valori e senso.  
La cultura è quel senno collettivo che supera le individualità, e che si costruisce  attraverso le generazioni, in un lento processo storico fatto certamente di "riforme e controriforme",  che vede momenti di effervescenza collettiva e di innovazione, come momenti di conservazione e dogmatismo, ma comunque sempre in grado di rinnovarsi.  Questo processo, nel nostro mondo occidentale, credo proprio che si sia spento.
Da qui in poi qualsiasi evoluzione, qualsiasi costruzione collettiva di significato, potrà provenire unicamente dall'esterno, da altre civiltà, da culture altre.
La nostra storia è finita. La nostra civiltà è finita. E' finita per decadenza dei costumi. E' finita per dissoluzione di valori collettivi, siano essi principi etici (la libertà, l'uguaglianza, la giustizia), comportamenti istituzionalizzati (la coppia monogamica, la formazione dei giovani adulti) o semplici simboli (il significato simbolico del corpo, della sessualità, della convivialità, i riti di passaggio, ecc..).
Qualsiasi germe di possibile rinnovamento si è spento. Non è più possibile una rivoluzione perchè non esiste più un sistema di valori minimamente condiviso nei confronti del quale ribellarsi. Non è più possibile una trasgressione perchè non esistono più regole morali, dunque qualsiasi comportamento diviene banale e conformista. Non è più possibile alcuna dissacrazione dal momento che non vi è più nulla di sacro.
Diversamente dal cardinale Sarah non vedo la necessità di alcun monito, non vedo alcuna possibilità di evitare questo "declino", perchè il processo è inesorabile e irreversibile. 
In ogni caso, poi, le prediche sono assolutamente improduttive laddove non richieste e le offerte di "salvezza" sono inutili laddove non vi è alcun desiderio di  essere salvati.
#14
L'argomento si presta facilmente a scivolare nell'eterna diatriba tra atei e credenti.
Credo sia impossibile tentare una definizione che possa identificare Dio in modo universalistico ed ecumenico. Una definizione di Dio sarà inevitabilmente condizionata da un determinato postulato ideologico, da una concezione del mondo, da una weltanschauung.

All'interno di una  visione atea o agnostica, Dio potrebbe essere definito come:
una metafora, una rappresentazione simbolica (antropomorfa o meno) e metafisica di un determinato concetto astratto, sommo ed assoluto: la Verità, il Bene, la Giustizia, la Bontà.

All'interno di una prospettiva fideistica e monoteista Dio è:
 ll Creatore del cosmo, Il principio e la fine del tempo e dello spazio, la mente creatrice del tutto, il Logos che esiste da sempre e per sempre
#15
Ho letto con interesse questo topic e i successivi commenti.
Molte considerazioni sono stimolanti e condivisibili, ma introdurrei alcune specificazioni.
Giustamente Viator distingue e circoscrive il fenomeno dell'innamoramento rispetto al più complesso sentimento dell'amore.

Citazione di: viator il 24 Giugno 2019, 21:43:35 PML'innamoramento non è altro che il riconoscimento (od il credere di star riconoscendo), da parte di chi si innamora, di ciò che ci serve e che crediamo incarnato dall'amata/amato. Non ha la minima importanza ciò che l'amata/amato è in realtà.


Sono molto in sintonia con Viator. L'innamoramento  è un'idealizzazione dell'altro, che ha molto più a che fare con il desiderio di fuggire dalle nostre insoddisfazioni (che conosciamo) che non con le eventuali virtù dell'altro (che sono solo ipotetiche,, perchè non le conosciamo ancora). L'innamoramento è per me l'eccitazione che deriva dalla percezione che l'altro (idealizzato) possa aprirci, una nuova e radiosa pagina nella nostra insoddisfacente esistenza.

Questo è vero anche nel caso di un innamoramento unilaterale e non corrisposto.
Se invece si instaura l'elemento della simpatia evidenziato da Ipazia, ("l'escalation congiunta di tali gioiose sensazioni"), per cui l'innamoramento è reciproco, allora trovo molto calzante la definizione "sociologica" dell'innamoramento utilizzata da Alberoni: "l'innamoramento è la fase nascente di un movimento collettivo a due". Esattamente come  le fasi nascenti dei movimenti politici, si tratta di un momento di effervescenza destinato via via a scemare, ed eventualmente a stabilizzarsi in qualcosa di meno effimero (anche se meno eccitante), che nel nostro caso è l'amore.

Infine quel salto qualitativo che coglie il carattere olistico del'altro, superando la semplice ammirazione, che è il nodo della riflessione di Davintro, si sposa tanto con l'innamoramento quanto con l'amore duraturo. Nel primo caso però ci si innamora di una individualità idealizzata, trasfigurata.