Citazione di: daniele22 il 27 Ottobre 2025, 09:04:40 AMDa Wp:"Il noumeno compare anche nella filosofia di Immanuel Kant[7] (dove è anche chiamato cosa in sé, in tedesco Ding an sich). In Kant il noumeno è un concetto dai caratteri problematici che si riferisce a una realtà inconoscibile e indescrivibile che, in qualche modo, si trova "al fondo" dei fenomeni che osserviamo, sullo sfondo, al di là dell'apparenza (di come cioè le cose ci appaiono).I termini 'noumeno' e 'cosa in sé' non sono in Kant perfettamente sovrapponibili: il noumeno è comunque una rappresentazione o idea della ragione, e come tale risiede nella mente umana; è il modo in cui il pensiero cerca di rappresentare ciò che va oltre la sua capacità di conoscere. La cosa in sé invece è ciò a cui il noumeno si riferisce: è la 'realtà' in quanto esterna alla mente del soggetto, ciò con cui per definizione non si può entrare in alcun rapporto se non tramite il pensiero poiché questo si pone al di là di ogni esperienza possibile".Io ragiono con la mia testa e quello che ho detto era pure una conseguenza del post in cui dicevi riferendoti a Nietzsche:"....se Hegel ha portato a termine la dissoluzione dell'oggetto (del realismo ingenuo), ora viene il momento per la decostruzione del polo soggettivo.Non c'è più un soggetto che pensa il suo oggetto, ma piuttosto un soggetto e un oggetto che emergono insieme nell'ambito di un'attività specifica".Con tutta la buona volontà, o ti spieghi meglio, oppure faccio fatica a immaginare un'azione "che porti a un "non c'è più un soggetto che pensa il suo oggetto", e vedo inoltre nebbiosa l'immagine di una loro "emersione insieme nell'ambito di un'attività specifica".Dato quindi che possiedo l'uso della ragione, se Hegel avesse fatto una buona critica a Kant, mi chiedo come mai si siano prodotti in seguito pensieri così astrusi. Di fatto, quello che al limite posso capire è che sia velleitario separare il soggetto dall'oggetto quando il soggetto viva all'interno di ciò che vorrebbe descrivere, la realtà appunto. Posso capire anche che ci si faccia manipolare (instupidire) dall'oggetto (cosa, concetto o persona che sia). Ma è difficile pensare che non vi sia un soggetto pensante. Quello che ho detto non è una fesseria o una ovvietà, e questo fatto del concetto del concetto (sicuramente un problema) l'ha messo in evidenza anche Phil quando mi disse se dovessimo giungere infine a metterci d'accordo su cosa si potesse intendere col termine catastrofe. Prova ora immaginare di aprire un thread dal titolo "Perché la mela è una mela ... astenersi perditempo". O un thread sul noumeno, o sull'amicizia.Concludendo, io che non sono un filosofo, ma pretenderei di esserlo nei miei limiti, pongo ad altri che pretendano di esserlo questa semplice questione:Naturalmente, il concetto del concetto genera al più solo confusione, ma non risolve comunque una questione importante.. Che sarebbe, riferendomi alla citazione di cui sopra da Wp ¿vale la pena chiedersi di definire meglio ciò che rende possibile la concezione di "inconoscibilitá" della cosa? O, più direttamente ¿Qual è la natura dell'inconoscibilitá della mela? Se faccio la domanda va da sé che io abbia la mia risposta, ma riterrei opportuno un parere
Quando ho parlato del compito del filosofo non mi riferivo a me naturalmente, ma a autori riconosciuti. Implicitamente mi stavo chiedendo verso quali autori rivolgere la mia attenzione, verso quali orientamenti. Era una specie di riflessione sul "piano di studi" per questo inverno.
Chiarisco ciò che ho scritto sul rapporto soggetto-oggetto.
Alcuni studiosi come Havelock hanno detto: a un certo punto in Grecia emerge la figura di un nuovo sapiente capace di rompere con un rapporto di immedesimazione rispetto a quello che fa, a quello che vive, un nuovo soggetto che inizia a domandarsi la definizione di ciò che prima faceva e basta.
L'emergere quindi nello stesso tempo sia di un soggetto logico che di un oggetto da indagare. Due poli che emergono insieme, quindi.
Nei primi dialoghi platonici si vedono questi ateniesi più o meno noti che vengono "molestati" da Socrate che chiede loro – essendo considerati sapienti in quel determinato settore – che cos'è, per esempio, la santità in generale. Naturalmente la santità in generale prima dell'evoluzione di quel dualismo tra mente e mondo (un modo specifico di interpretare l'esperienza) non è mai esistita. Proprio qui inizia a prendere vita il concetto generale di santità. Cioè la possibilità di definirla. Prima c'era il santo, quel determinato santo, ecc. Non la santità in generale.
Ora, la possibilità di porre quella distanza tra sé e le cose del mondo, secondo Havelock nasce con la scrittura alfabetica. È un effetto materiale e tecnico della scrittura. L'effetto del passaggio da una civiltà orale a una civiltà della scrittura.
Così, secondo alcuni autori, la filosofia di Platone avrebbe come base materiale questo passaggio epocale. La scrittura alfabetica non causa direttamente la nascita del soggetto logico, ma crea le condizioni simboliche e materiali perché tale forma di soggettività emerga. Rende possibile l'astrazione.
Quindi rende possibile anche la riflessione sul metodo e sulla natura del sapere.
Il metodo costruito da Platone è quello della dialettica: saper indagare le idee nelle loro relazioni di somiglianza e differenza. Rispetto a Parmenide dirà: un'idea, una forma, è identica a se stessa, e nello stesso è diversa da tutte le altre. L'essere che Parmenide intendeva come uno, eterno e immobile, diventa con Platone molteplice e ha la struttura di una rete di idee.
Dunque per conoscere la "giustizia", non solo non devo fermarmi a esempi concreti di "uomo giusto", ma non posso nemmeno limitarmi a contemplare l'idea di giustizia: la devo esplorare nelle relazioni che essa ha con tutte le altre.
Fatto questo, stabilito quindi che conoscere significa riuscire a dare una definizione logica, e che la definizione logica consiste nella rappresentazione delle relazioni tra idee, rimane il problema che attraversa tutta la storia della filosofia fino al Novecento: che rapporto c'è tra idea e cosa reale, tra forma generale e cosa sensibile? Cosa c'è in comune tra quella cosa lì e la parola che uso per indicarla?
Problema che ora non può più essere risolto con la fede in un Dio che ha creato il mondo avendo in mente le idee e dando nello stesso tempo alla sua creatura privilegiata, l'uomo, la facoltà naturale di afferrarle.
Problema che in Galileo assume questa versione: Dio ha creato la natura secondo una struttura matematica; l'uomo sa fare matematica. Quindi l'uomo può conoscere la vera struttura del mondo, a patto di seguire il metodo corretto.
Con il collasso dei grandi sistemi metafisici incontriamo per esempio Wittgenstein che cerca di risolvere il problema con la forma logica. L'elemento comune tra concetto e cosa sarebbe la forma logica.
Ammesso che la risposta ci soddisfi, si può chiedere (come hanno fatto alcuni filosofi): ma qual è il contenuto della forma? Proprio il contenuto concreto della forma pura? Non è che questa presunta forma logica pura, questo schematismo, non sia plasmato da qualcosa di più concreto?
Per farla breve: certe ricerche hanno tentato di capire quale sia la base materiale di questo schematismo. Indagini sul costituirsi fisico, pratico della possibilità di significazione del linguaggio. Ricerche su una gestualità originaria, o ricerche secondo cui le lettere dell'alfabeto conserverebbero la traccia di una loro origine figurativa, una stilizzazione di tratti che esprimerebbero immagini e simboli archetipici (Alfred Kallir), ecc.
Venendo infine alla tua domanda "sulla natura dell'inconoscibilità della mela", da quello che ho scritto sopra si potrebbe rispondere che tale inconoscibilità è solo apparente, e legata ai paradossi che vengono dall'emergere di quel dualismo, soggetto da una parte, oggetto dall'altro, e linguaggio come strumento di connessione. Rimanendo all'interno di questa condizione, problematizzandola, salta agli occhi innanzitutto che conoscere la mela significa disporre del suo concetto, ma che tale concetto si definisce a partire da ciò che non è, dalle relazioni con concetti che esprimono ciò che la mela non è. La sua identità rimanda sempre ad altro: e tuttavia è proprio in questo rinvio – in questa rete di differenze – che consiste la possibilità stessa di conoscerla.
