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Messaggi - doxa

#1
Riflessioni sull'Arte / Re: Magna Mater - Cibele
17 Settembre 2025, 13:15:39 PM
Il difficile  periodo della seconda guerra punica (218 – 202 a C.) fu un conflitto decisivo tra Roma e Cartagine, caratterizzato dall'invasione delle truppe di Annibale nella nostra penisola.

Il senato romano per avere il favore degli dei fece consultare i libri sibillini  e dopo, secondo la tradizione, il 4 aprile del  204 a. C. da Pessinunte fu importata a Roma la pietra nera che simboleggiava la dea Magna Mater - Cibele, temporaneamente collocata nel tempio della vittoria, sul colle Palatino.

Quella pietra era considerata uno dei sette "pignora imperii", cioè uno degli oggetti che secondo le credenze dell'epoca garantiva il potere dell'impero.

Il nuovo tempio dedicato alla Magna Mater  venne costruito sullo stesso colle. Concluso nel 191 a. C., fu consacrato l'11 aprile dello stesso anno. In onore della dea furono istituiti i "Ludi Megalenses" (o Megalesie)  e organizzati spettacoli teatrali.

Nel tempio  oltre al  culto pubblico veniva officiato quello privato tramite sacerdoti frigi.



Per due volte il tempio fu distrutto dal fuoco,  nel 111 a.C. e nel 3 d.C.. Fu fatto ricostruire per l'ultima volta dall'imperatore  Augusto.


In questa scultura è raffigurato il tempio durante l'imperium di Claudio. E' in stile corinzio, esastilo (sei colonne sul fronte anteriore) e prostilo (non aveva colonne sui lati),  con alta scalinata. Il pannello è conservato a Villa Medici, a Roma.



I victimarii conducono un bue  al tempio della Magna Mater sul Palatino. Questa lastra marmorea forse era nell'Ara Gentis Iuliae, E' conservata a Villa Medici, a Roma.
#2
Riflessioni sull'Arte / Re: Magna Mater - Cibele
17 Settembre 2025, 13:13:42 PM

Venere di Willendorf, Austria, XXII millennio a. C. circa

Il culto della Grande Madre risale al Neolitico,  forse  al Paleolitico  se si considerano le numerose figure femminili steatopigie.

Steatopigia è una parola composta di origine greca, formata da "stéar-" (= grasso) +  "pygḗ" (= natica). Indica la tendenza ad accumulare adipe sui glutei e sulle cosce.

La steatopigia è tipica delle donne di alcune etnie africane




Sono numerose le antiche  immagini femminili scolpite nel Paleolitico superiore e nel Neolitico denominate "veneri steatopigie" o "Grande Madre",  rinvenute in Europa e risalenti al periodo dal 35.000 a. C, circa al II millennio a. C..

La "Grande Madre", anche detta "Grande Dea" o "Dea Madre" è una divinità femminile primordiale. Simboleggia la maternità, la madre-matrice cosmica, la creatività del grembo materno. Ad essa, Grande dea e Madre della natura, è attribuito il più antico culto.

Nel corso del tempo alle personificazioni della Grande Madre vennero attribuite connotazioni e  mansioni diverse, anche i nomi diversi, a seconda delle zone, per esempio:  Ishtar, Astarte, Afrodite, Cibele, Gaia, Demetra, Rea.

Nel V secolo a.C. lo storico greco Erodoto stabilì un parallelismo tra l'egiziana  dea Iside e le dee Demetra-Persefone.

Nelle feste e nei  misteri in onore di Demetra/Cerere – Persefone/Proserpina il culto della Dea Madre segnava il volgere delle  stagioni,  ma anche la richiesta universale degli esseri umani di poter rinascere proprio come il seme risorge dalla terra.

Col tempo, la simbologia degli dei del cielo si sovrappose a quella delle dee della terra, che vennero marginalizzate. Comunque continuarono ad essere presenti nelle  nuove forme di religiosità. Infatti con il cristianesimo il culto della Grande Madre è perpetuato nella venerazione di "Maria, Mater Dei", la cui immagine iconografica col Bambino in braccio  evoca quella di Iside col neonato Horus.

Nell'Antico Testamento un'analoga figura che evoca la Grande Madre è la mitica Eva, progenitrice del genere umano.

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#3
Riflessioni sull'Arte / Magna Mater - Cibele
17 Settembre 2025, 13:11:52 PM
Il forum langue, allora vi offro un argomento come lettura. :asd:

A Roma, fino al 5 novembre 2025, il Parco archeologico del Colosseo ospita la mostra Magna Mater tra Roma e Zama, un progetto espositivo internazionale che intreccia archeologia, mito e cooperazione culturale tra Italia e Tunisia.

Zama, antica località della Numidia, nell'attuale Tunisia, famosa  per la battaglia decisiva della Seconda guerra punica (202 a.C.) tra Cartagine e Roma.

La mostra è articolata  in sei sedi tra Foro romano e Palatino.

La Magna Mater (la Grande Madre) antica divinità dalle molteplici identità, venerata in Anatolia, Grecia e Roma.

L'esposizione ne ripercorre origini e trasformazioni, dal culto frigio all'adozione di quel culto a Roma nel 204 a.C., quando – secondo il responso dei Libri Sibillini – la sua immagine aniconica fu trasferita da Pessinunte (antica città  dell'Anatolia, in Turchia) a Roma, in un tempio a lei dedicato.

La mostra racconta le origini del culto, la sua diffusione nel mondo greco e romano e in tutto il Mediterraneo antico.


Resti dell'antico tempio dedicato alla Magna Mater-Cibele sul colle Palatino a Roma



statua acefala della Magna Mater, rinvenuta nel 1872 alla sommità della gradinata del tempio a lei dedicato sul colle Palatino.

Nella residuale facciata di quel che fu il tempio c'è iscrizione: M(ater) D(eum) M(agna) I(daea).

In questo sito la mostra accoglie la memoria dell'evento che ha segnato la romanizzazione della dea: il trasferimento della pietra nera, aniconica, da Pessinunte, nella Frigia, a Roma



L'allestimento di una parte della mostra  in quel che era il Tempio di Romolo. Sono esposti reperti di notevole interesse storico e qualitativo che testimoniano il culto della Magna Mater nel Nord Africa. Furono rinvenuti in campagne di scavi archeologici a Zama, oggi Henchir Jama (Tunisia), dove si svolse la celebre battaglia che concluse la seconda guerra punica.


La Curia Iulia amplia la prospettiva alle province dell'Impero romano: dall'Egitto alle Gallie, dalla Tracia alla Britannia, con la diffusione  dei culti di Magna Mater associati a quelli per Attis, e la successiva trasformazione del culto in epoca tardoantica.

Nel colle Palatino, alle Uccelliere Farnesiane, i visitatori possono esplorare le radici orientali della dea e la loro trasmissione nel mondo greco ed ellenistico, con un focus particolare sul carattere misterico del culto, il  mito di Attis, giovane pastore che si evirò per amore e divenne simbolo di rinascita vegetativa.
L'autoimmolazione di Attis non è sacrificio fine a sé stesso, ma rito di passaggio, la simbolizzazione mitica del ciclo vegetale, ma anche della trascendenza del principio maschile nell'unità originaria del femminile sacro.

In quel che rimane del Tempio della Magna Mater c'è sezione dedicata all'introduzione del culto a Roma durante la Seconda guerra punica, che mette in evidenza i significati politici e storici dell'evento.

Nel Ninfeo della Pioggia il culto viene considerato nella sua dimensione sonora e cinetica. I tamburi (tympana), le urla rituali, i suoni fanno  idealmente rivivere la forza performativa del rito. Qui l'archeologia si apre all'esperienza sensoriale, riconoscendo che il sacro antico non era mai solo oggetto, ma esperienza vissuta, trasformativa, corporale. Non si adorava con lo sguardo, ma anche con il corpo e con l'intera coscienza.

Infine l'ultima sezione, al Museo del Foro Romano, la mostra si chiude con una selezione di opere d'arte che illustrano la fortuna iconografica, letteraria e filosofica della dea tra Rinascimento e Seicento. La figura della Magna Mater viene riletta in chiave allegorica, talvolta demonizzata, più spesso celata dietro simboli della regalità celeste.

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#4
Riflessioni sull'Arte / Re: Nemesis
10 Settembre 2025, 20:01:35 PM

Pierre-Paul Prud'hon, "La Giustizia e la vendetta divina (Dike e Nemesi) perseguitano il crimine ( = "La Justice et la Vengeance divine poursuivant le crime"),  olio su tela, 1808 circa. Questo quadro venne creato su commissione di Nicolas Frochot, prefetto della Senna, per esporlo nella sala del tribunale penale  (= Corte d'assise) del palazzo di Giustizia di Parigi. Il dipinto è conservato nel Museo del Louvre.
 
Tre dei quattro personaggi del quadro sono in movimento, il quarto giace  esanime per terra. Essi sono illuminati dalla luce della Luna, dando un aspetto abbastanza scuro alla composizione. Dike e Némesis sono personificate dalle due figure alate che inseguono il criminale, l'uomo che fugge.

Dike mentre vola guarda verso Némesis,  ha una torcia accesa nella mano sinistra, con la mano destra sta per afferrare i capelli  dell'uomo.
 
Némesis ha nella mano destra il pugnale per colpire il fuggitivo, con la mano sinistra regge la borsa che l'uomo ha rubato al 
giovane, lasciato a terra nudo.
 
Le due figure centrali del dipinto:  Dike rappresenta la giustizia umana, basata su leggi e norme, mentre Nemesis incarna la giustizia divina, che punisce i reati. 


#5
Riflessioni sull'Arte / Re: Nemesis
10 Settembre 2025, 19:26:53 PM
Ciao Ipazia, ti dedico questo secondo post.

/2
 
Nella mitologia greca erano due le dee addette alla Giustizia: Némesis e Dike, un'altra, Hybris,  dava loro i "clienti".
 
Ad Hybris è collegato il concetto del limite, che ogni essere umano deve rispettare.
 
Tale concetto è presente anche nella Bibbia. Nella Genesi Adamo ed Eva violarono il limite imposto da Dio e  questo li punì.
 
La dea Hybris interveniva quando l'individuo per eccesso di orgoglio o di arroganza disprezzava o sfidava gli dei,  commetteva un'azione connotata da superbia. Il reato veniva punito della dea Némesis col castigo divino del colpevole.
 
Nell'ambito giuridico, hybris riflette un'azione delittuosa oppure un'offesa personale compiuta "allo scopo di umiliare", il cui movente è dato non da un utile ma dal piacere, dall'orgoglio di sé che l'autore dell'atto trae dalla malvagità dell'atto stesso, mostrando la sua superiore forza sulla vittima. L'azione dello stupro era per esempio resa col verbo hybrìzō.
 
Della dea Némesis ho argomentato nel precedente post. Adesso voglio dire qualcosa della vergine dea Dike, anche questa connessa con la Giustizia.  L'antico filosofo Platone considerava la verginità di questa dea la condizione indispensabile, perché tale deve essere la giustizia legale e sociale.

Dike, personificazione dell'ordine, dell'equità e della legge. E' spesso raffigurata con una bilancia e un ramo d'ulivo (oppure la spada) simboli del suo ruolo nell'assicurare giudizi equi e imparziali. La bilancia simboleggiava l'equilibrio e la misura, determinanti per garantire una giustizia equa e imparziale. Il ramo di ulivo, tradizionalmente simbolo di pace e armonia, rifletteva il suo ruolo nel promuovere l'armonia sociale attraverso l'applicazione delle leggi.
 
Nelle rappresentazioni artistiche, Dike è stata talvolta mostrata  anche con una corona di alloro, simbolo di onore e giustizia.

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#6
Riflessioni sull'Arte / Nemesis
10 Settembre 2025, 17:55:55 PM
Nell'arte  la dea Nemesi è di solito rappresentata come una donna alata, con o senza corona di alloro,  in una mano la spada nell'altra la clessidra: simboli di giustizia al di sopra delle parti.


Alfred Rethel, Nemesis alata, olio su tela, 1837, Museo dell'Hermitage, San Pietroburgo

Nel dipinto, in basso sulla destra, si vede un corpo che giace a terra, l'assassino fugge, l'alata Nemesi lo insegue per vendicare il delitto. Nella mano destra ha la spada, con la mano sinistra regge la clessidra che simboleggia l'inevitabilità della punizione.

Una interessante raffigurazione della Nemesi è questa, realizzata da Albrecht Dürer,


Albrecht Dürer, Nemesis, incisione, 1502 circa,  Staatliche Kunsthalle, Karlsruhe, Germania

Per questo disegno Dürer fu ispirato dal poema in lingua latina "Manto", scritto dal poeta e filologo  Agnolo (Angelo) Ambrogini, detto Poliziano, dal nome latino del paese d'origine, Mons Politianus (= Montepulciano, in provincia di Siena).

La mitologia greca narra che l'indovina tebana Manto era figlia del veggente Tiresia, il quale, secondo l'Odissea, fu consultato da Odisseo (= Ulisse) per avere come responso la strada del ritorno ad Itaca.  Benché morto e residente nell'Ade, Tiresia conserva, a differenza degli altri spettri, una propria identità e le proprie capacità mentali.

Nemesi, dea della giustizia vendicatrice o distributiva: distribuisce a ciascuno ciò che gli è dovuto, fortuna o sfortuna. Nell'incisione di Dürer è una figura femminile possente, nuda e alata, poggia i piedi sul globo.  Sembra che sorrida. Nella mano sinistra ha le briglie, con le quali governa il destino dell'umanità, con la mano destra regge il calice, chiuso dal coperchio, simbolicamente indica la protezione.

Nemesi è  separata dalla sottostante vallata con abitazioni


particolare della zona inferiore

Nemesis incombe sul villaggio quasi deserto: c'è una figura sul ponte di sinistra, un'altra nei pressi della catasta di legno sulla destra, ed ancora un'altra sulla stradina, ma nessuno di loro sembra accorgersi della presenza della dea. O forse  gli altri  si sono accorti e si sono rifugiati in casa per timore della giustizia vendicativa.

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#7
Storia / Re: Il trono e il potere dell'intronato
09 Settembre 2025, 17:43:47 PM
Ad Aachan, Aquisgrana, la Cappella Palatina che contiene il trono e la tomba di Carlo Magno era la cappella di famiglia del palazzo reale di Carlo Magno.

Di quell' edificio non è rimasto nulla. I  motivi sono vari, la perdita del ruolo di capitale nel corso dei secoli, i danneggiamenti durante l'incursione vichinga ed infine il fatto che Aquisgrana sia poi diventata sede vescovile, il palazzo in pratica divenne inutilizzato.

Aquisgrana, in epoca romana, era nota per le sue terme e per la presenza di un palazzo governativo. Questo palazzo passò in mano ai re dei Franchi, fra i quali Pipino il Breve (padre di Carlo Magno) che usò questo edificio come una delle residenze del re, come sappiamo al tempo la corte era "itinerante".

Con la morte di Pipino e la salita al potere di Carlo nel 768 il luogo venne ancora  usato come residenza temporanea,  e quel palazzo di epoca romana fu restaurato più volte.
Aquisgrana,  fu scelta per la sua posizione da Carlo pensando alla sua anzianità e alla necessità di acque termali,  fece costruire un nuovo palazzo reale con scopi residenziali, politici e religiosi sede poi del potere carolingio.

La maggior parte del palazzo carolingio fu costruito nel 790, ma i lavori continuarono fino alla morte di Carlo Magno nell'814. L'architetto fu Oddone di Metz, il suo nome appare nelle opere di Eginardo (775-840 circa), il biografo di Carlo Magno . Si suppone che sia stato un chierico istruito.


trono reale nella cattedrale di Aquisgrana (Germania) noto anche come Trono di Carlo Magno (Thron Karls des Großen o, semplicemente, Karlsthron), è un trono fatto costruire negli anni 790 da Carlo Magno come parte degli arredi della sua cappella palatina (nucleo centrale dell'odierna cattedrale di Aquisgrana), nella quale è rimasto sin dalla sua creazione.

Fu utilizzato per l'incoronazione di Ludovico il Pio a co-imperatore nell'813, e in seguito per l'incoronazione a re dei Romani  di tutti gli imperatori del Sacro Romano Impero da Ottone I di Sassonia (nel 936) a  Ferdinando I d'Asburgo (nel 1531). Pertanto, già dall'XI secolo, il Trono Reale di Aquisgrana era chiamato totius regni archisolium, cioè primo soglio di tutto l'impero.

Carlo Magno, non fu incoronato ad Aquisgrana; divenne infatti re a  Noyon nel 768 e imperatore (augusto) a Roma nell'800.  Forse nella Cappella Palatina  assisteva alle cerimonie religiose seduto su questo trono.


 La pavimentazione originaria ancora presente attorno al trono reale di Aquisgrana è semplice,  privo di ornamenti. E' sopra un podio, separato da sei gradini dal livello del suolo.

Il trono è costituito da quattro lastre di marmo pario,  tenute insieme da staffe di bronzo. Le lastre di marmo forse  furono  prelevate a Gerusalemme dalla basilica del Santo Sepolcro nell'anno 800 circa.
Su di una delle due lastre laterali sono presenti delle linee incise che probabilmente servivano da tavolo per l'antico "gioco del mulino" o "filetto".

Nella lastra posteriore c'è  invece incisa una scena della crocifissione.
Una struttura interna in legno fungeva da supporto della quinta lastra di marmo, andata perduta, che costituiva il sedile. All'interno di essa era presente un vano in cui, secondo recenti studi, erano custodite le insegne imperiali o parte di esse, in particolare la "borsa di Santo Stefano".
#8
Storia / Il trono e il potere dell'intronato
08 Settembre 2025, 19:44:23 PM
La corona e lo scettro sono simbolicamente importanti,  ma è il trono l'espressione migliore del potere dei monarchi.

Il nome "trono" ha una lunga storia: deriva dall'antico greco "thrònos", passato nella lingua latina nella forma "thronus", col significato di "ciò che sostiene": "seggio", in modo più comprensibile: seggiola", :D spesso collocata su una pedana lignea preceduta da gradini.


Napoli, Palazzo reale, Sala del trono, ornata con stucchi  dorati al soffitto.

Su questo trono sedettero re Ferdinando II  e Francesco II di Borbone, gli ultimi sovrani delle "Due Sicilie".  Fu realizzato negli anni '40 del XIX secolo. E' sovrastato da un baldacchino settecentesco di velluto rosso.



Due leoni lignei  decorano i braccioli: uno per parte. Idem nel trono della Reggia di Caserta.

Leoni lignei sono rappresentati  anche nei troni dei Savoia nei palazzi reali di Torino e Genova, ma non in quello che portarono a Roma,  nel Palazzo del Quirinale, per farne il "trono d'Italia".

Gruppi di leoni con aspetto difensivo e minaccioso circondano i bellissimi troni del re di Spagna e del re di Danimarca, realizzati nel '700.

L'antica usanza di ornare il trono con figure leonine  forse deriva  dalla descrizione biblica del trono del re Salomone: due leoni per lato e due su ogni gradino.



Il nome ebreo Salomone significa pace. Secondo l'Antico Testamento, il primo libro dei Re, Salomone regnò per 40 anni, dal 970 a. C. al 930  a. C. e fu il terzo sovrano di Israele, successore e figlio di Davide. Fu l'ultimo re del regno unificato di Giuda e Israele.

Adesso voliamo con la fantasia a molti secoli dopo, nel 1650 circa,  per la regina Cristina di Svezia fu realizzato un trono d'argento, ancor oggi usato dal re di Svezia.

In Francia, il re Luigi XIV riprese l'idea di Cristina facendone realizzare per Versailles uno ancora più ricco,  circondato con statue argentee. Durò poco. Dopo dieci anni fece fondere tutto, per pagare le armi di una delle sue guerre.

Rimango in Francia per dire che Napoleone I Bonaparte, quando divenne imperatore, decise di sedersi sul trono che, secondo la tradizione, sarebbe appartenuto al medievale re franco Dagoberto I (610 circa – 639) della dinastia dei Merovingi. Conservato per secoli a Saint Denis (vicino Parigi) nell'omonima basilica gotica,  Napoleone decise di sedersi su quel trono per concedere le prime decorazioni della "Legion d'Onore".  In tal modo egli intendeva stabilire un legame ideale fra sé e la più antica regalità francese. Ma le cose non andarono bene. Infatti si racconta che  poco dopo essersi seduto un pezzo della sedia si ruppe.

Da non dimenticare è il  trono nel simbolismo religioso.  La Madonna è di solito rappresentata assisa in trono.
#9
Cinema, Serie TV e Teatro / Re: Fabulae
31 Agosto 2025, 19:50:20 PM
Unicorno



Il leggendario animale è raffigurato come un cavallo col mantello bianco e un singolo corno a spirale  in mezzo alla fronte.

Il nome deriva dal latino "unicornis", parola formata dal prefisso "uni-" e dal sostantivo "cornu" (= un solo corno).

In Occidente le prime descrizioni dell'unicorno sono del V secolo a. C.. Lo storico e medico  greco Ctesia di Cnido durante la sua permanenza in Persia ebbe modo di apprendere  notizie dai mercanti che viaggiavano lungo la "Via della seta" provenienti dalla Cina e da quelli provenienti dall'India.  Notizie che poi descrisse nel suo libro titolato "Indikà", in particolare la flora e la fauna indiana, con incluse storie paradossali, come le  tribù di cinocefali, le tigri con volti umani (manticore), cavalli (forse rinoceronti) con un unico corno sulla testa.

L'unicorno viene menzionato anche nella Bibbia.

Nel "Libro dei Numeri" è descritto come un animale potente e fiero. Viene detto che ha la forza di Dio: "Dio li ha fatti uscire dall'Egitto; ha la forza come di un unicorno" (Numeri 23, 22).

Nel Libro di Giobbe, l'unicorno simboleggia la forza e indipendenza: "L'unicorno vorrà egli servirti? Rimarrà egli alla tua greppia?" (Giobbe 39, 9). Questo suggerisce che l'unicorno rappresenta l'indipendenza e la forza di carattere.

Nell'immaginario cristiano del passato l'unicorno simboleggiava la saggezza.  Questo cavallo poteva essere ammansito solo da una vergine, simbolo della purezza. Spesso era considerato la rappresentazione della natura divina di Cristo.

La leggenda dell'unicorno si diffuse nel Medioevo tramite i "Bestiari", per esempio il "Phisiologus", bestiario greco del II secolo d.C., con leggende sugli animali interpretate come allegorie cristiane.

Nei secoli cavalli unicorno furono raffigurati  nei capitelli, nelle vetrate,  negli affreschi e arredi sacri.

Col passare del tempo  l'iconografia dell'unicorno venne  diversificata, fino ad apparire  come un magnifico cavallo bianco con corno in un arazzo della fine del XV secolo, oppure  un mostruoso e deforme capro in una miniatura di Giorgio Martini.

#10
Cinema, Serie TV e Teatro / Re: Fabulae
31 Agosto 2025, 16:29:17 PM
Ciao Jacopus, come "uomo di mare" ed esperto di enogastronomia preferisci pranzare con  il pōlypus "Octopus vulgaris" oppure  con il mollusco cefalopede  "Eledone moschata" ?  E quale vino è adatto ai due molluschi marini ?  ::)

Non mi mandare "a quel paese", sto scherzando.  ;D

L'Octopus vulgaris è il polpo, invece l'Eledone moschata è il moscardino,   della famiglia delle Octopodidae, la stessa di seppie e calamari.

Spesso vengono confusi dai consumatori. 

Morfologicamente  il moscardino è più piccolo ed ha la pelle più liscia rispetto al polpo.

Per non sbagliare gli esperti dicono di guardare gli otto tentacoli. 

il polpo ha due file di ventose lungo ogni tentacolo


 
Il moscardino, invece,   si distingue dal polpo  perché ha una sola fila di ventose sui tentacoli,  che sono più lunghi e sottili.


tentacoli del moscardino con una sola fila di ventose.

Polpi e moscardini hanno differente valore di mercato, dipendente dalla loro diversa qualità. Più pregiata quella del polpo,
ma le loro qualità nutrizionali sono simili.

Differenza tra polpo e polipo

Come suddetto, il polpo è un cefalopede, invece il polipo appartiene alla famiglia dei celenterati, come le meduse e gli anemoni e non è commestibile.
#11
Cinema, Serie TV e Teatro / Fabulae
31 Agosto 2025, 07:07:35 AM
Diversi animali ricevono la dignità letteraria, ma pochi hanno la notorietà come soggetti di romanzi. E' il caso della piovra, questo nome deriva da pieuvre, forma dialettale normanna che discende dal latino pōlypus (= polpo).

Piovra  è sinonimo di polpo, invece il polipo, è un animale marino diverso dal polpo.

La piovra viene immaginata come un polpo gigante, che lo scrittore francese Victor Hugo inserisce nel romanzo "Lavoratori del mare, del 1866.

La piovra ha ispirato anche un altro scrittore francese, Jules Verne, per il suo romanzo di fantascienza "Ventimila leghe sotto i mari". L'autore  immagina i protagonisti  a bordo del sottomarino "Nautilus", comandato dal capitano Nemo. Cercano il misterioso mostro marino, la piovra di grandi dimensioni, astuta e subdola,  che affonda le navi incontrate nel suo percorso.

Un altro fantastico mostro marino fu "Moby Dick, la balena bianca", in realtà un capodoglio.
Lo scrittore statunitense Herman Melville nel 1851 pubblicò il famoso romanzo d'avventura "Moby Dick".

A raccontarci la storia è Ismaele, alter ego dello scrittore e uno dei protagonisti a bordo di una baleniera, la  "Pequod",  comandata dal capitano Achab; la nave viene utilizzata per la caccia alle balene e ai capodogli, in particolare all'enorme "balena bianca".

Achab è ossessionato dalla vendetta contro Moby Dick, perché in una precedente caccia, gli aveva strappato una gamba.

C'è l'incontro e lo scontro fatale che fa inabissare la nave con l'equipaggio.

I ricordi  di Ismaele sono intervallati da  riflessioni scientifiche, religiose, filosofiche e artistiche, rendendo l'ultimo viaggio della nave un'allegoria e  un'epopea epica.


Bello anche  il film  "Moby Dick", del 1956, diretto dal regista John Huston e interpretato da Gregory Peck nel ruolo del capitano Achab, e Orson Welles nel ruolo di Padre Mapple.


L'attore Gregory Peck nel ruolo del capitano Achab





Due avvenimenti reali costituirono la genesi del racconto di Melville. Uno fu l'affondamento nel 1820 della baleniera Essex di Nantucket, dopo che venne urtata da un enorme capodoglio a 3200 km dalla costa orientale del Sud America.
Il primo ufficiale Owen Chase, uno degli otto sopravvissuti, scrisse l'avvenimento nel suo libro del 1821: "Narrazione del naufragio della baleniera Essex", di Nantucket,  che fu affondata da un grosso capodoglio al largo dell'Oceano Pacifico.

L'altro evento fu la presunta uccisione nel 1830  circa del capodoglio albino Mocha Dick al largo dell'isola cilena di Mocha. Si narra che Mocha Dick avesse  più di 20 ramponi nel dorso, conficcati da altri balenieri, perciò sembrava attaccare le navi con ferocia premeditata.

Una delle sue battaglie con una baleniera servì come soggetto per un articolo dell'esploratore Jeremiah N. Reynolds nel maggio del 1839 apparso sul The Knickerbocker.
#12
Riflessioni sull'Arte / Re: Metamorphosĕon
24 Agosto 2025, 22:05:13 PM
Ermafrodito,  androgino: dal greco androgynos, parola composta da "aner" = uomo  (al genitivo andros)  + "gyne" = donna.

In biologia per androgino si intende un individuo che ha entrambi i sessi; in questo senso è usato come sinonimo del più corretto ermafrodito.

Androgino ed ermafrodito alludono a miti che hanno contenuti, tempi e modi differenti, pur nel comune interesse per la natura bisessuale negli esseri umani.

Diversamente dal Simposio platonico, un diverso approccio all'argomento  è quello  narrato dal poeta latino Ovidio  nel IV libro delle Metamorfosi (vv. 285-388), cui si aggiunge un'ulteriore breve menzione quasi alla fine del poema (15, 319), che rievoca e consolida il mito.

Platone propone una trattazione di carattere descrittivo, dal tono serio ma pervaso di arguzia, mentre Ovidio,  usa la forma narrativa, varia i toni seguendo le fasi della vicenda, passando da uno stato d'animo inizialmente sereno a sensazioni inquietanti ed infine ad una visione drammatica dovuta agli eventi.

Emergono anche interessanti affinità, soprattutto un comune atteggiamento positivo, rispettoso verso gli androgini da parte di Platone ed emotivamente partecipe Ovidio, anche se i due autori trattano la bisessualità in modi diversi e quasi opposti.

Il tema della duplice natura sessuale compare nella letteratura latina con l'efficace contributo di Ovidio, l'unico che  crea  la leggenda di Ermafrodito, divenuta modello per i successori come Marziale (in 6,68,9 e 10,4,6) e Stazio (in Silv. 1,5,21).

Il racconto ovidiano è affidato a una voce femminile, ad Alcitoe, una delle tre sorelle figlie di Minia, re di Orcòmeno ed antenato di Giasone, che rifiutavano di celebrare la festa di Bacco preferendo continuare a filare e a narrarsi reciprocamente racconti, ma vennero punite con la trasformazione in pipistrelli.

Ovidio pone la natura bisessuale del protagonista, Ermafrodito, non come condizione iniziale della fabula, bensì come punto di arrivo e risultato di una metamorfosi. Per la  sua narrazione  si ispira a Platone. Infatti, così come Aristofane aveva usato il mito dei tre generi sessuali per spiegare l'origine e la causa dell'amore umano, anche Alcitoe nelle Metamorfosi spiega con un mito l'origine del malefico potere "effeminante" della fonte Salmace, situata nei pressi di Alicarnasso (era una città-Stato greca nel territorio attualmente della Turchia), capace di fiaccare il corpo  dei maschi.

Secondo la mitologia greca Salmace era  anche il nome della ninfa naiade che abitava la fonte e che rifiutò l'obbligo della verginità, proprio del culto della dea Diana, per amore verso Ermafrodito,  adolescente bello,  di genere maschile, connotato dall'insolito "nomen", derivante  dalla fusione dei nomi dei suoi genitori divini, Ermes e Afrodite.

Ovidio inizialmente  non nomina  Ermafrodito, ma usa perifrasi, tipo: "Mercurio puerum diva Cythereide natum" (= un fanciullo nato dal dio Mercurio dalla dea di Citera), e narra l'infanzia del ragazzo, trascorsa sul monte Ida (nell'attuale Turchia), da cui, divenuto adolescente,  partì per viaggiare, fino a giungere in  un "locus amoenus" con un laghetto limpido, luogo ideale per la seduzione del giovane  da parte della ninfa Salmace.

Quando Ermafrodito giunse presso la fontana, Salmace ne fu attratta e lo abbracciò. Il discorso che la ninfa rivolse a Ermafrodito ricorda le parole di Ulisse, rivolte a Nausicaa. Il giovane ha pudico rossore e respinge l'offerta di amore e matrimonio. Salmacide finge di ritirarsi ma, mentre il giovane nuota nudo nel lago,  lei lo avvolge  nell'acqua per il coito.  Poi chiese agli dei  di poter restare eternamente con lui. Gli dei esaudirono la sua richiesta unendo Ermafrodito e Salmace in un unico corpo.


François-Joseph Navez (pittore belga), La ninfa Salmace ed Ermafrodito, olio su tela, 1829

Dalla fusione tra Salmacide ed Ermafrodito, che avvenne anche per volontà e complicità di dèi favorevoli alla ninfa, nacque una nuova ed unica figura con gli attributi di entrambi i generi.

Ovidio accentua l'aspetto involontario della condizione bisessuale di Ermafrodito, causata da una trasformazione forzata. Al giovane, consapevole di essere diventato da "vir" un "semimas" "un maschio a metà", maledice la fonte.

End  ;D
#13
Riflessioni sull'Arte / Re: Metamorphosĕon
24 Agosto 2025, 18:25:20 PM
Il mito greco offre esempi di trasformazioni e travestimenti di divinità in esseri di genere diverso dal proprio, sperimentarono un cambiamento sessuale, come Tiresia, Ceneo ed altri.

Dal V sec. a.C. la statuaria  greca propose immagini di divinità bisessuate, come l'Afrodite barbuta, talvolta chiamata Afrodito, secondo Macrobio (Sat. 3,8,2-3), che attribuisce quest'appellativo al commediografo  Aristofane: "A Cipro c'è anche una statua con la barba...,  ritengono che sia maschio e femmina nello stesso tempo. Aristofane la chiama Aphroditos, al maschile".

Il mito dell'androgino  è presente nel celebre dialogo platonico "Simposio" che si propone di trattare l'immortale tema dell' amore.

Dopo l'esposizione di Fedro, Pausania di Atene ed Erissimaco,  inizia a parlare  Aristofane, che sceglie il mito per esprimere la sua opinione su Eros. Nel passato dice questo poeta, non esistevano, come adesso, soltanto due sessi (il maschile e il femminile), ma tre,  oltre a quelli già citati,  c'era il sesso androgino, con caratteristiche maschili e femminili.
In quel tempo, tutti gli esseri umani avevano due facce orientate in direzione opposta e una sola testa, quattro braccia, quattro mani, quattro gambe e due organi sessuali. Erano superbi e tentarono  di salire sul monte Olimpo per spodestare gli dei. Ma intervenne Zeus e li divise, a colpi di saetta.  Poi disse: "Credo di aver trovato il modo perché gli uomini possano continuare ad esistere rinunciando però, una volta diventati più deboli, alle loro insolenze. Adesso li taglierò in due uno per uno, e così si indeboliranno e nel contempo, raddoppiando il loro numero, diventeranno più utili a noi" (Platone, Simposio 190 c-d).


raffigurazione dell'androgino,  nel manoscritto alchemico "Rosarium philosophorum".

In questo modo gli esseri umani furono divisi in due metà  e s'indebolirono. Ed è da quel momento - spiega Aristofane - che essi sono alla ricerca della loro antica unità e della perduta forza che possono ritrovare soltanto unendosi sessualmente. Da questa divisione in parti, infatti, nasce negli umani il desiderio di ricreare la primitiva unità.

Zeus per evitare l'estinzione dell'umanità inviò Eros per far idealmente ritrovare a uomini e donne l'unità perduta tramite il ricongiungimento fisico: "Dunque al desiderio e alla ricerca dell'intero si dà nome amore" (Platone, Simposio, 192 e – 193 a).

La caratteristica interessante del discorso di Aristofane è nel fatto che la relazione erotica fra due esseri umani non è messa in atto per giungere a un fine quale potrebbe essere la procreazione, ma ha valore per sé stessa, prescindendo dalle conseguenze.

L'antica letteratura greca e latina contribuì alla fortuna di personaggi connotati da questa ambivalenza sessuale, pur trattandosi di un argomento complesso e problematico dal punto di vista culturale e sociale rispetto alla tradizionale suddivisione dei ruoli, attivi e passivi, tra uomo e donna, che costituiva il nucleo della riflessione antica sulla sessualità.
#14
Riflessioni sull'Arte / Re: Metamorphosĕon
24 Agosto 2025, 16:58:34 PM
Metamorfosi, la meraviglia e l'orrore del cambiamento.

La trasformazione fa parte della nostra vita, a cominciare dalle cellule del nostro corpo, che si rigenerano.

Nella mitologia e nelle fiabe è consueta la trasformazione di un essere vivente o  di un oggetto per volere delle divinità o per magia. 


Ermafrodito dormiente,  gruppo scultoreo in marmo, Museo del Louvre, Parigi.

La marmorea statua, di epoca romana, è la copia di un originale ellenistico in bronzo.
Fu rinvenuta nel 1608 a Roma  durante i lavori per la costruzione della chiesa dedicata a Santa Maria della Vittoria, in via XX Settembre.

Nel 1620 venne affidata a Gian Lorenzo Bernini per reintegrarne il piede sinistro e per realizzare un materasso con cuscino in marmo dove adagiare la statua. La grande abilità dell'artista nel rappresentare le pieghe del materasso era tale che il pubblico credeva che fosse un letto vero.

Il personaggio mitologico di Ermafrodito, figlio di Ermes (messaggero degli dei) e della dea Afrodite,  dea dell'amore, presenta caratteristiche fisiche sia maschili che femminili.

Il giovane, nell'arte greco-romana, è spesso raffigurato come figura femminile con genitali maschili.


statua ellenistica di Ermafrodito, divinità della fertilità e dell'androginia.

Con androgino si intende una persona che ha attributi o caratteristiche maschili e femminili, aspetti esteriori, sembianze o comportamenti propri di entrambi i sessi.
#15
Riflessioni sull'Arte / Re: Metamorphosĕon
24 Agosto 2025, 11:33:21 AM
Roberta Scorranese, giornalista del Corriere della Sera, ha recentemente pubblicato il libro titolato: "Fluido. Corpi mutevoli e instabili nell'arte" (edit Giunti), in 11 capitoli spiega i "passaggi di genere e forma".

"Per quanto diversi siano i sessi, nel genere umano ci sono oscillazioni da un sesso all'altro. Spesso sono soltanto gli abiti a mostrare le sembianze maschili o femminili, con complicazioni e confusioni che ne derivano", scrisse nel 1928 Virginia Woolf in "Orlando".

Nel nostro tempo la fluidità, quella "di genere", o "gender fluidity", fa parte della nostra quotidianità.

Le persone gender fluid, dette anche "non binarie", si identificano in un'identità di genere che non è fissa ma può cambiare nel tempo o a seconda delle circostanze, dondolando tra maschile,  femminile, entrambi o nessuna delle due. Questo significa che la percezione del proprio genere è "fluida", non legata a categorie rigide e può manifestarsi con diverse espressioni, come l'abbigliamento. La fluidità di genere,  o transgender, è un aspetto dell'identità di genere, non dell'orientamento sessuale o del sesso biologico.

Comunque non è soltanto una questione di definizione o di autodefinizione, ma anche di rappresentazione. E' la storia a raccontare persone e "tipi" (reali, immaginari, mitologici) che vivono nell'indefinitezza, nella variabilità, come  tra Apollo e Dioniso, tra Afrodite e Atena (per la mitologia romana, Minerva, dea della Sapienza).

Passaggi di genere e di forma hanno popolato la fantasia di artisti e scrittori: dall'Epopea di Gilgames all'indiano Mahabharata, alle "Metamorfosi"  narrate da Ovidio, da Artemide a Narciso, divinità sospese tra gli opposti, androginia e travestimenti, o altre rappresentazioni: "Difficile o dea, riconoscerti quando t'incontra un mortale, anche se è molto saggio: tu prendi tutti gli aspetti": così Ulisse, l'eroe dell'Odissea, si rivolge, sconsolato, ad Atena, protagonista di trasformazioni, come anche  suo padre, Zeus, di identità fittizie.

Atena, la dea della guerra e della strategia bellica, nacque da una gravidanza maschile. Il mito narra che Zeus mise incinta Metis, una figlia di Oceano, ma poi, spaventato dal pensiero che lei potesse generare un figlio più forte e più intelligente di lui, la colse di sorpresa e la divorò.

La gestazione avvenne nel suo corpo maschile e divino. Atena uscì dalla testa di Zeus  già adulta, già guerriera, dotata di elmo, scudo e corazza.

Famosi pittori la rappresentarono nelle sue molte forme e caratteristiche